lunedì 10 maggio 2021

Il processo D'Onofrio, parte 6

Il processo D'Onofrio, sesta parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

L'OTTAVA UDIENZA.

31 maggio 1949 - Quattro ore è durata la deposizione del grande invalido di guerra Danilo Ferretti, unico testimone ascoltato oggi dal Tribunale. Danilo Ferretti ha cominciato con il raccontare tutta la storia della sua conversione politica: partecipò alla guerra civile di Spagna a fianco dei falangisti, poi, finita la guerra spagnola, tornò in Italia dove si interessò attivamente della vita dei sindacati fascisti e finalmente si arruolò in un battaglione di camicie nere con il grado di capo manipolo. Fu dopo la sua cattura sul fronte russo che si verifica in lui la crisi di coscienza che lo portò al comunismo.

Siccome il teste continua a dilungarsi nelle sue divagazioni sulle varie operazioni belliche alle quali prese parte, il Presidente lo invita ad entrare in argomento.

Avv. Paone: 'I soldati italiani erano attrezzati per una campagna in Russia?'.

Ferretti: 'Assolutamente no. Invece arrivati nel campo di Oranki, trovammo buone accoglienze: ci furono disinfettati gli indumenti, facemmo il bagno, i malati furono immediatamente trasferiti al lazzaretto, ci furono distribuite razioni alimentari che ci consentirono di vivere. E soprattutto ci fu di grande conforto sentire dai commilitoni catturati prima di noi che in quel campo si stava discretamente bene e che lì ci saremmo rimessi in salute.

Fui fatto prigioniero nel dicembre del 1942 e condotto nell'interno della Russia con una lunga marcia, durante la quale fummo costretti a trovarci il cibo perché nessuno ce ne dava. Solo dopo quattro giorni di cammino ci fu distribuito un pezzo di pane nero. Appena mangiata la mia razione fui colto da atroci dolori al ventre e mi gettai in terra. M'abbandonarono al mio destino. Ripresa conoscenza dopo qualche ora chiesi ospitalità ad alcuni civili.

Venni accolto cortesemente in una casa e rifocillato. Furono così gentili che lasciai loro in segno di riconoscenza la mia fede d'oro. Ma non sempre era la stessa cosa. Una volta, ad esempio, trovammo rifugio in cinque in un sotterraneo. Poco dopo però fummo costretti a sloggiare. Altra volta fui aggredito da un individuo che a forza mi tolse la pelliccia che avevo indosso. Soltanto il primo gennaio del 1943 arrivai ad una stazione ferroviaria dove trovai un treno pronto che conduceva prigionieri in un campo di concentramento. Molti di noi giunsero a destinazione colpiti da dissenteria'.

Avv. Paone: 'La malattia fu provocata dalla quantità di neve che i soldati ingerirono in mancanza di acqua?'.

Ferretti: 'Certamente sì'.

I primi contatti con i fuorusciti italiani, il teste li ebbe una quindicina di giorni dopo l'arrivo ad Oranki. Il fuoruscito o istruttore politico, promise agli internati tutto l'aiuto possibile nel più breve tempo e si rivolse loro con parole di incoraggiamento. Poi invitò i prigionieri a gruppetti nel suo ufficio. Il capomanipolo Ferretti fu chiamalo insieme al sottotenente Martelli e il fuoruscito - che nessuno sapeva come si chiamasse - chiese loro quali fossero le idee politiche che professavano. Il teste afferma che dichiarò di essere fascista convinto e di desiderare vivamente la vittoria delle armi italiane.

Il teste ha narrato poi come, colpito da tifo petecchiale, venisse ricoverato immediatamente al lazzaretto; come nel frattempo le condizioni del campo fossero notevolmente migliorate con l'arrivo degli aiuti americani e come i prigionieri, sottoposti ad una accurata visita medica, fossero divisi in tre categorie a seconda delle condizioni di salute. Egli fu trasferito al campo di Skit dove trovò il trattamento alimentare ancora migliore. La sola cosa che lasciasse molto a desiderare erano le condizioni igieniche del campo. Ma il fatto che si mangiasse discretamente ebbe naturalmente influenza sul morale dei prigionieri i quali presero ad interessarsi vivamente degli avvenimenti politici. A Skit il teste conobbe Fiammenghi e, successivamente, il D'Onofrio.

Ferretti: 'Di lui riportammo ottima impressione: il discorso che ci tenne fu applaudito da tutti specialmente perché esso era improntato a vivi sentimenti di italianità, dimostrando nell'oratore una certa tolleranza per l'ideologia e per l’organizzazione dello Stato Fascista e, conseguentemente, per quella che era la fede politica di tutti. D'Onofrio chiese allora al capitano quale fosse la nostra opinione sulla situazione italiana in generale e particolarmente sulla situazione bellica. Ma a questa domanda il cap. Magnani si limitò a rispondere che la nostra qualità di ufficiali ci impediva di fare delle affermazioni di carattere politico: i prigionieri dovevano mantenersi apolitici in attesa dello sviluppo degli eventi.

Io affermai, dal mio canto, di ritenere ormai perduta la guerra, ma che, ciononostante, desideravo lo stesso che le opere del fascismo non andassero distrutte. Il solo a rispondere in tono risentito fu il ten. Sandali. Fu allora che D'Onofrio gli spiegò che con quelle idee non si sarebbe trovato troppo bene al suo ritorno in Italia, perché, certamente, al nostro rientro, noi prigionieri avremmo trovato una situazione assolutamente diversa da quella che avevamo lasciata'.

Presidente: 'Prendeva appunti D'Onofrio?'.

Ferretti: 'No. Non ho mai visto che prendesse appunti'.

Il famoso ordine del giorno da inviare a Badoglio fu discusso poco dopo il 25 luglio. Il cap. Magnani si oppose dicendo che come ufficiali i prigionieri erano a disposizione del governo e che quindi non potevano intervenire in alcun modo. D'Onofrio fece rilevare il significato dell'ordine del giorno con il quale in sostanza si approvava l'operato del governo e del Re e disse agli ufficiali di riflettere. Dal canto suo era convinto che la loro adesione non fosse affatto contraria ai loro doveri.

Su cento ufficiali presenti una trentina aderirono. I consensi alla politica del sig. D'Onofrio non erano dunque così unanimi come poco prima lo stesso teste voleva lasciar credere se le adesioni si ridussero al trenta per cento.

Avv. Taddei: 'Lei fu tra quelli che aderirono all'ordine del giorno?'.

Ferretti: 'No. Io ero ancora troppo legato sentimentalmente al mio passato politico per poterlo fare'.

Avv. Taddei: 'È vero che il cap. Magnani fu trasferito in un campo di punizione?'.

Ferretti: 'Sì. Seppi di questo trasferimento ma non ne conosco le ragioni. Non mi risulta però che gli siano state usate delle violenze da parte russa. E del resto escludo che violenze siano state commesse ai danni degli ufficiali prigionieri. Il trattamento era, in genere, discreto, e le condizioni generali dei prigionieri buone tanto che si arrivò ad organizzare perfino delle squadre di calcio.

Frequentai una scuola di antifascismo, precisamente quella di Krasnokowsk. Non potei però ultimare il corso perché, colto da una grave infiltrazione polmonare, dovetti essere trasferito in un sanatorio dove rimasi fino al gennaio del 1946, data nella quale fui rimpatriato. I più zelanti del corso erano quelli che lavoravano di più e che studiavano con più impegno, senza conseguire speciali vantaggi materiali'.

Avv. Mastino Del Rio: '... e mangiavano di meno...'.

Il capo manipolo Ferretti ha poi affermato, contrariamente a quanto aveva deposto il caporale di fanteria Luigi Leggeri, l'apologeta della vittoria delle armi russe, che ai partecipanti ai corsi veniva imposto al termine delle lezioni un giuramento di fedeltà.

Esaurita la testimonianza il Presidente licenzia il teste, ma questi prima di allontanarsi vuoi esprimere la sua viva riconoscenza ai fuorusciti italiani che, in terra di Russia, seppero formarlo in maniera da avvicinarlo, almeno spiritualmente, agli italiani che in quel momento combattevano per il loro Paese.

LA NONA UDIENZA.

1 giugno 1949 - Il protagonista della seduta odierna è stato un ex collaboratore del settimanale 'L'Alba', stampato in Russia per i prigionieri italiani, il cap. Emilio Lombardo, ufficiale in servizio permanente effettivo, attualmente collocato a disposizione, il quale depone subito dopo il sergente maggiore del 52 reggimento artiglieria della Divisione Torino, Giovanni Troia, che in sostanza ha riaffermato quanto già avevano detto i precedenti testimoni.

Troia: 'Subito dopo il 25 luglio 1943 fu costituita una scuola di antifascismo che chiesi di frequentare, unitamente ad altri 150 prigionieri italiani'.

Presidente: 'Chi era il comandante della scuola?'.

Troia: 'Un ufficiale russo, ma vi erano anche istruttori italiani come Robotti e Vella che noi chiamavamo compagni'.

Avv. Taddei: 'Che uniforme indossava il Vella?'.

Troia: 'Quella russa. Ci illustravano che cosa fosse veramente il fascismo in contrapposizione con l’idea antifascista. Al termine del corso venne D'Onofrio, il quale si trattenne alcuni giorni e parlò ai prigionieri con parole ispirate ad alto sentimento di italianità. Giurai fedeltà al popolo italiano e alla causa antifascista. Personalmente finito quel corso chiesi di passare ad un’altra scuola'.

P.M.: 'Già una specie di università, dopo la scuola media...'.

Troia: 'Rimasi in questo campo fino al maggio del 1945 e successivamente fui trasferito a quello di Taskent di dove venni rimpatriato. Rividi D'Onofrio nel secondo campo-scuola che frequentai'.

Avv. Taddei: 'Come spiega il teste il fatto di aver veduto il D'Onofrio nel 1945 se l’attuale querelante aveva fatto ritorno in Italia fino dal 1944?'.

Teste: 'Può darsi che abbia fatto confusione nelle date. Certo è però che io parlai con il D'Onofrio al secondo corso che frequentai. Anzi, siccome il corso era anche per gli ufficiali, ebbi modo di parlare del D'Onofrio con molti di essi i quali mi dimostrarono apertamente i loro sentimenti di affettuosità e di simpatia verso di lui'.

L'ingresso del cap. Emilio Lombardo è salutato dai mormorii del pubblico e da un immediato attacco dell’avv. Taddei il quale rivolgendosi al Presidente chiede che, prima che il teste sia inteso, gli si domandi se gli risulti di essere sotto inchiesta per delazione e per vessazione dei suoi compagni di prigionia. La richiesta della difesa è stata prontamente rimbeccata dagli avvocati di parte civile.

Non si può dire certamente che la deposizione del teste sia stata di quelle tranquille; anzi si è svolta sotto un intenso fuoco di fila di interruzioni e di battibecchi e punteggiata dai sorrisi ironici degli imputati. Il teste esordisce affermando come al momento della resa, nel dicembre del 1942, abbia seriamente pensato al suicidio per non cadere in mano dei russi, che gli erano stati dipinti come soldati feroci e crudeli. Ma la realtà era molto diversa. I sovietici non fucilavano i prigionieri e i comandanti russi stringevano la mano ai nostri ufficiali superiori cordialmente.

Avv. Taddei: '... E per caso rimase loro in mano un orologio...'.

L'interruzione provoca addirittura un finimondo. Per qualche minuto è un incrociarsi di vivaci invettive fra gli avvocati delle due parti, fra il rumoreggiare del pubblico e a stento si riesce a ristabilire la calma nell’aula, ove, l'atmosfera è veramente arroventata. Il pubblico e il collegio di difesa ridono clamorosamente. La parte civile interviene per deplorare il contegno degli imputati, che sorridono mentre ad essi è vietato commentare in alcun modo le deposizioni dei testi d'accusa.

Avv. Paone: 'Voi venite qui ben pasciuti ad insultare quelli che vi hanno salvato la vita!...'.

La frase è accolta da un lungo mormorio del pubblico, mentre uno degli imputati grida: 'Lo conosciamo bene, noi, il capitano Lombardo!...'.

Lombardo: 'Durante la lunga, snervante marcia a piedi verso il campo di concentramento di Tamboff, i soldati - qualche migliaio - a differenza degli ufficiali, non furono subito perquisiti e disarmati. Qualcuno, colto da improvvisa pazzia, per la spossatezza, si dette a lanciare bombe a mano, una notte, contro i partigiani sovietici che scortavano la colonna. I russi reagirono immediatamente e perquisirono tutti: coloro che furono trovati in possesso di rivoltelle o di bombe a mano furono fucilati sul posto. Poi il viaggio nella steppa riprese, finché un congelamento ai piedi, durante il cammino, mi costrinse ad una lunga permanenza in un lazzaretto.

A Tamboff, subito dopo l'arrivo di uno scaglione di ufficiali alpini catturati, si manifestò una grave epidemia di tifo petecchiale. Il comando del campo provvide immediatamente ad isolare tutte le baracche da quella dove erano stati alloggiati i nuovi arrivati, ma qualche contatto rimase colla baracca degli ufficiali contagiati per barattare del pane bianco. Si creò così un veicolo di infezione'.

Avv. Taddei: 'Quanti furono i morti?'.

Lombardo: 'Molti, moltissimi anzi. La mortalità toccò una percentuale del 60 per cento nonostante il buon trattamento che ci veniva fatto dai russi, i quali subito dopo aver provveduto all'isolamento dei malati, inviarono nel campo sanitari e infermiere, una delle quali, contagiata, morì nel campo'.

Presidente: 'Dove ha conosciuto D'Onofrio?'.

Lombardo: 'Lo vidi per la prima volta al campo di Oranki. Egli mi mandò a chiamare insieme al cap. Angelozzi. Non si trattava però di un interrogatorio: egli mi rivolse alcune domande per sapere cosa ne pensassi dell'andamento del conflitto, subito soggiungendo che, se non volevo, potevo anche rifiutarmi di rispondere'.

Presidente: 'Lei faceva già parte del gruppo antifascista?'.

Lombardo: 'Sì. Assistetti anche alle conferenze di D'Onofrio. Quanto al famoso ordine del giorno proposto dal querelante dopo il 25 luglio 1943 esso fu prima esaminato dal gruppo antifascista e poi approvato da tutti perché era molto moderato. Passai successivamente al campo di Skit'.

Presidente: 'Secondo lei, che cosa si proponeva D'Onofrio?'.

Lombardo: 'Secondo me voleva sapere se gli italiani intendevano continuare o no a combattere a fianco dei tedeschi. E infatti fu costituita nel campo una formazione garibaldina alla quale aderirono anche due degli attuali imputati...'.

Avv. Taddei: 'Ciò avvenne prima o dopo l’8 settembre?'. Lombardo: 'Dopo l’8 settembre'.

Avv. Taddei: 'Già. Come si vede è tutt’altra cosa. Anche il cap. Lombardo fu allievo della scuola di antifascismo che sorse nei pressi di Mosca. In essa, ha dichiarato il teste, si tenevano lezioni su problemi sociali, economici e filosofici nonché sulla organizzazione della nazione sovietica. Nella scuola vi era ampia facoltà di critica'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Ma davvero?!?!...'.

Lombardo: 'Certamente. Il giuramento che si pronunciava alla fine del corso non era affatto quello riferito dal teste indotto dalla difesa, ma con esso si giurava soltanto 'fedeltà al popolo e al proletariato italiano'. Un ufficiale non poteva trovare nulla in contrario a firmarlo'.

Avv. Taddei: 'Il teste sa se prima della sua cattura siano stati distribuiti nelle file dell’esercito italiano manifesti russi?'.

Lombardo: 'Sì. Effettivamente alcuni aeroplani gettarono sul nostro fronte volantini nei quali si assicurava che i prigionieri italiani erano trattati con la massima cura. I volantini erano firmati anche dall’imputato Avalli che era stato già catturato a quell'epoca. Fui anche nel campo di Susdal, per qualche tempo. Lì ogni domenica si celebrava la messa e i sovietici non facevano alcuna difficoltà. Nella ricorrenza del Natale, anzi, fu allestito un presepe artistico dai prigionieri e fu celebrata anche una solenne messa cantata. Il comandante russo del campo e parecchie autorità e funzionari sovietici vennero a vedere il presepe'.

Avv. Taddei: 'È vero che un funzionario sovietico, vedendo il presepe esclamò: 'Napoli bella...'?'.

La domanda rimane senza alcuna risposta, ma in compenso, a questo punto, siamo quasi alla fine dell’udienza, si scatena l'ennesimo incidente della giornata.

Avv. Taddei: 'Sa spiegarci lei, perché al rientro dalla prigionia, appena varcata la frontiera di Tarvisio, alcuni ufficiali furono schiaffeggiati da altri loro compagni di prigionia?'.

Lombardo: 'Fra gli aggrediti ero anche io. Fummo malmenati perché avevamo fatto parte del gruppo antifascista...'.

Avv. Taddei: 'O non piuttosto perché il teste fece parte al campo di Sighet, in Romania, di una commissione la quale ordinò che 50 nostri prigionieri fossero trattenuti, come lo furono, ancora per un mese?'.

Lombardo: 'È assolutamente falso'.

Avv. Taddei: 'Il cap. Lombardo, può dire, in tutta lealtà, se egli è attualmente sottoposto a sanzioni disciplinari?'.

Avv. Sotgiu: 'Mi oppongo alla domanda!'.

Avv. Taddei: 'Allora faccio istanza formale, perché il Tribunale richieda al Ministero della Difesa l'elenco degli ufficiali sottoposti ad inchieste disciplinari per crimini commessi nella loro qualità di prigionieri di guerra. E ciò per vagliare la attendibilità di certi testimoni'.

Avv. Sotgiu: 'Ritengo infondata la richiesta della difesa. Essa non contribuirebbe a chiarire nessun elemento del processo'.

P.M.: 'Mi associo alla domanda dell’avv. Taddei purché tale elenco sia accompagnato da notizie riguardanti l'esito di tali inchieste'.

Avv. Sotgiu: 'Dichiaro fin d'ora che, se la domanda viene accolta, il processo dovrebbe essere sospeso finché non sia stato reso noto l'esito definitivo dell’inchiesta'.

Il Presidente toglie la seduta dopo che il Tribunale ha stabilito di prendere un provvedimento una volta escussi tutti i testi. E il seguito è rinviato a lunedì.

martedì 4 maggio 2021

Commissione speciale dell'ONU, parte 6

Pubblico la sesta parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

In apertura dei lavori della Commissione il Delegato Italiano On. Meda fece la seguente dichiarazione: "Signor presidente, il Governo italiano ha accolto con la più profonda gratitudine l'invito che la Commissione speciale delle Nazioni Unite gli ha rivolto di prendere parte a questa riunione. Invito che il Governo ha accolto in uno spirito di fraterna solidarietà verso tutti coloro che ancor oggi, a tanta distanza dalla fine del secondo conflitto mondiale, hanno nel cuore un'angoscia, quella di non poter conoscere il destino dei loro congiunti, che i tragici eventi della guerra hanno strappato ai loro familiari. L'iniziativa che si realizza in seno alla commissione speciale, ha senza dubbio rafforzato nei cuori, provati da tanto dolore, la speranza, che è l'espressione dei più nobili e profondi sentimenti umani. A nome di questo spirito umanitario, di questo spirito che non conosce ne frontiere, né interessi ideologici, noi siamo pronti a dare il nostro modesto ma appassionato contributo, nella certezza di trovarci vicini a tutti i popoli sul fronte della umana solidarietà.

Noi non abbiamo altro desiderio che di far si che tutti gli italiani che si trovano ancora forzatamente lontani dalla loro patria a causa o a seguito della guerra possano ritornare alle loro case. Il nostro voto si formula anche per tutti i cittadini, e noi sappiamo che sono numerosissimi, che sono lontani dai loro Paesi in condizioni simili ai nostri connazionali. Noi sappiamo che in questo momento centinaia e migliaia di cuori seguono e vivono la nostra speranza, la speranza di far si che il nostro lavoro arrivi a dare risultati concreti, e noi crediamo che questo lavoro non potrà trovare ostacoli, perché il suo scopo è soltanto e sinceramente umanitario. Noi siamo d'avviso, ripeto, che quando si tratta di proteggere i diritti, i più sacrosanti diritti degli uomini e soprattutto degli uomini poveri, la coscienza ci invita ad unirci al di sopra di tutti i possibili contrasti. Davanti al dolore non possono sorgere che l'amore e la solidarietà. Noi abbiamo dunque speranza che, in rapporto ai fini cosi elevati perseguiti dalla Commissione speciale, tutti i Paesi invitati vorranno dare la loro collaborazione al suo lavoro. Possa questa collaborazione realizzarsi. Essa permetterà cosi che si verifichi anche la realtà di ritornare a ciascuna famiglia, che ancora piange nel dolore dell'incertezza, la certezza di una vita".

Nel corso delle sedute i Delegati delle Nazioni interessate svolsero le loro dichiarazioni sul problema in discussione mantenendosi puramente nel piano umanitario. Durante le sedute private la Commissione ascoltò le comunicazioni e le informazioni supplementari, dei Delegati che dettero chiarimenti alle domande loro poste dai membri della commissione. Il Delegato Italiano On. Meda fece a nome del suo Governo la seguente dichiarazione ufficiale nella seduta pubblica del 9 febbr. 1952: "Il sentimento di stima e di gratitudine che ho espresso a nome del mio Governo al principio della presente sessione della Commissione Speciale per i prigionieri di guerra trova la sua piena conferma in questo momento in cui stiamo per separarci dopo aver preparato insieme un lavoro destinato ad avere, senza alcun dubbio, in un prossimo avvenire uno sviluppo tale che ci permetterà di raggiungere lo scopo che ci siamo prefissi. Noi abbiamo detto che sul fronte russo circa 73.000 soldati italiani erano stati dati dispersi e che di questo totale circa 10.000 sono stati poi rimpatriati. Restano dunque 63.000 militari di cui non si conosce la sorte.

Inoltre, sul fronte dei Balcani vi furono 21.000 militari dispersi, un certo numero di civili. Ma noi abbiamo dichiarato che al di sopra di ogni ragione e passione di carattere politico avremmo agito solamente in uno spirito di umanità e di solidarietà. Non ci siamo scostati e non dobbiamo scostarci da questa linea di condotta, nella speranza che tutti possano collaborare con voi alla realizzazione di questo principio di carità umana e di giustizia. I lavori della Commissione sono stati seguiti da vicino dalle famiglie dei dispersi e dei prigionieri che, rendendosi conto delle difficoltà che sbarrano la strada, si sono più affettuosamente e più fraternamente affiancati a noi in questo sforzo. Questi lavori sono stati seguiti, siatene sicuri, da tutti quelli che hanno la speranza di rientrare alle loro case, e per i quali l'attività della Commissione rappresenta un viatico e un conforto che darà loro la forza di resistere a tutte le difficoltà e a conservare la loro fiducia nell'avvenire. E' nostro dovere indirizzare una parola di speranza e di formulare una promessa precisa a tutti coloro che attendono: la Commissione continuerà il suo lavoro fino a quando, nei limiti del possibile, la sorte dei dispersi sarà conosciuta. Noi abbiamo piena fiducia nell'avvenire, nella generosità degli uomini, e crediamo fermamente nella Divina provvidenza. E' per questo che ora, prendendo congedo cordialmente da voi, noi indirizziamo un arrivederci pieno di speranza e formuliamo un voto: l'augurio che la prossima sessione possa vedere realizzata la collaborazione di tutti gli Stati, e che nessuna poltrona resti vuota attorno a questo tavolo. Il nostro augurio, la nostra speranza, la speranza di tutti gli uomini di buona volontà, di tutti gli uomini onesti".

A chiusura dei lavori la Commissione decise di: - indirizzare a tutti i Governi che detenevano alcune persone, sia sotto l'accusa di crimini di guerra, sia dopo il giudizio che li aveva dichiarati colpevoli di tali crimini, una lettera chiedendo di inviare informazioni dettagliate; - inoltrare al Governo dell'Unione Sovietica una lettera con la quale si sarebbe chiesto di conoscere i nomi dei prigionieri di guerra che erano morti durante la prigionia in mano russa; - chiedere al Governo dell'Albania, su raccomandazioni, della Delegazione Italiana, le informazioni su un certo numero di italiani internati e trattenuti in Albania; - trasmettere al Governo dell'U.R.S.S. la domanda del Governo Italiano per il rimpatrio di quattro connazionali trattenuti in Russia, sotto l'accusa di crimini di guerra e che si sapevano gravemente ammalati.

Nel mese di agosto dello stesso anno 1952 venne convocata la IIIa Sessione della Commissione Sociale dell'O.N.U.; intervennero le delegazioni di 10 Paesi: Australia - Belgio - Danimarca - Francia - Germania - Giappone - Gran Bretagna - Italia - Lussemburgo e Stati Uniti. In linea di massima le dichiarazioni - con le quali si fece il punto della situazione dei prigionieri di guerra e dei dispersi dei singoli stati interessati - risultarono concordi nel chiedere la prosecuzione dei lavori per pervenire ad una soluzione del problema. Senza alcuna riserva si espressero favorevolmente le delegazioni del Giappone e della Germania, specie quest'ultima che attribuì all'azione della Commissione il rimpatrio di circa 600 prigionieri tedeschi, avvenuto nel corso dell'anno 1952. La delegazione italiana, pure solidale alla richiesta, formulò la proposta di informare con un rapporto l'Assemblea Generale dell'O.N.U. sui lavori e sui risultati conseguiti dalla Commissione nelle tre sessioni.

La proposta della delegazione italiana venne accolta ed alla chiusura della IIIa Sessione, la Commissione Speciale dell'O.N.U. determinò la stesura di un particolareggiato rapporto da presentare all'Assemblea dell'O.N.U. in una delle sue riunioni. Questa la dichiarazione ufficiale del delegato On. Meda: "Signor Presidente, Io sono incaricato dal mio Governo di ringraziare vivamente Voi e gli altri membri della Commissione Speciale per il lavoro già compiuto. La Delegazione Italiana ancora qui per sottoporVi di nuovo il problema dei soldati italiani dispersi in territorio sovietico con lo stesso spirito e con gli stessi termini espressi nelle sedute pubbliche e private della sessione precedente. Noi ci riferiamo ugualmente alla documentazione già in Vs. possesso, ma noi abbiamo qualche elemento che rinforza le prove dell'esistenza di un certo numero di Italiani trattenuti nell'Unione Sovietica. Ci dispiace che l'Unione Sovietica non abbia sentito il dovere di inviare un delegato ai lavori di questa terza Sessione, noi, sempre attaccati a quello spirito di obiettività che abbiamo adottato come linea di condotta nel passato, ci permettiamo di attirare ancora una volta l'attenzione della Commissione e dell'opinione pubblica sui seguenti fatti: l'Armata italiana che ha operato sul fronte russo durante la guerra si elevava a 230.000 uomini: 11.000 sono deceduti in combattimento e circa 73.000 sono risultati dispersi.

Noi non abbiamo potuto conoscere esattamente il numero dei soldati italiani caduti in prigionia e diretti verso i campi sovietici. Le sole indicazioni che abbiamo sono le liste dei nomi che la radio sovietica ha diffuso immediatamente dopo le operazioni militari del 1942-1943 e i nomi di un certo numero di prigionieri trattenuti dal Governo sovietico sotto il pretesto che essi erano dei criminali di guerra; inoltre qualche testimonianza e più recentemente delle lettere - in verità poco numerose - che qualche prigioniero ha potuto far pervenire in Italia. A tutto questo bisogna aggiungere gli atti di decesso - di un centinaio - che sono pervenuti alle autorità italiane per le cure di un servizio diplomatico sovietico. Tenendo conto che circa 10.000 prigionieri catturati sul fronte russo sono stati rimpatriati nel corso degli anni 1945-46, resta ancora da chiarire la sorte di circa 63 mila Italiani che facevano parte dell'ARMIR.

Che cosa abbiamo domandato e che cosa domandiamo ancora oggi al Governo sovietico? Semplicemente questo: 1. Che ci faccia sapere il numero dei prigionieri italiani che sono arrivati nei campi sovietici; 2. Che ci faccia pervenire una lista di questi campi; 3. Che ci dia un esemplare dei registri di questi campi con i nomi dei prigionieri e l'indicazione della loro sorte; vale a dire se essi sono morti o rimpatriati; 4. Che ci informi della eventuale perdita della nazionalità italiana, per legge o per loro volontà, dei prigionieri. In questo caso che ci dia la lista di queste persone d'origine italiana; 5. Che ci dia una lista dei cimiteri dove sono sepolti i soldati deceduti in prigionia indicandoci eventualmente, per ciascun cimitero, il numero e la lista dei nomi dei soldati che vi sono seppelliti; 6. Che permetta il rimpatrio degli italiani ancora trattenuti nell'URSS sia come pretesi criminali di guerra sia sotto altro titolo. Attendendo che ci comunichi il nome di tutti questi, e, per i pretesi criminali, le colpe delle quali essi sono accusati e la durata dell'eventuale pena, si incarichi di rimpatriare i soldati di cui l'esistenza in territorio sovietico è stata provata da lettere di data recente inviate ai loro famigliari in Italia; 7. Che studi la possibilità di permettere l'accesso in territorio sovietico di una commissione italiana sotto gli auspici della Commissione Speciale o del Comitato Internazionale della Croce Rossa, al fine di fare delle ricerche dei nostri concittadini viventi in territorio sovietico.



Racconti di Russia, Buck

Questo racconto è tratto dal libro: "NIKOLAJEWKA: C'ERO ANCH'IO" di Giulio Bedeschi e narra la vicenda di un cane, mascotte del Gruppo Conegliano, che insieme ai suoi compagni alpini affrontò i giorni della ritirata. Tenente veterinario Carlo Dodi, Gruppo Conegliano, 3° Reggimento Artiglieria Alpina.

Si chiamava Buck, gli artiglieri se l'erano portato da Gorizia in Russia come mascotte, era un bellissimo cane pastore tedesco che si era particolarmente affezionato a me. Quando, a metà dicembre '42, per lo sfondamento del fronte avvenuto a sud, la Julia venne improvvisamente trasferita su quel fronte, dovemmo lasciare Buck al reparto munizioni e viveri a Popowka, ed io non seppi più nulla del cane per un mese esatto allorché, giungendo in ritirata a Popowka, mentre già ci eravamo incolonnati per ripartire, venni aggredito dalla frenesia di Buck che mi aveva ritrovato, e a salti e balzi e con gioioso abbaiare mi aggrediva letteralmente sulla neve.

Eravamo reduci da un'ininterrotta marcia di due giorni, e ormai in preda a una stanchezza mortale; ma non so descrivere la contentezza e addirittura l'aiuto morale che me ne venne, nel constatare che anche in quei frangenti c'era un cane che dava importanza alla mia presenza: mi sentii stimolato a resistere. Già i russi attaccavano sparando dalla parte di Rossosch, cadde una gragnuola di colpi di mortaio ma Buck mi rimase vicino, innervosito, mi strisciava il capo contro il ginocchio e mi restò vicino, strisciando contro il grigioverde del mio cappotto sembrava volermi rincuorare con la sua presenza.

Fece le prime marce sempre restando ad un passo da me; l'ho perso di vista soltanto durante il successivo feroce combattimento con il grande scompiglio che ne derivò, anch'egli come il mio attendente rimase sperduto nella tragedia. Io non so se ha aspettato me, certo io sono sicuro che non è scappato. Ed era solo un cane, il mio cane Buck.

RICCARDO

mercoledì 21 aprile 2021

Un nuovo amministratore

Ho sempre pensato e desiderato di poter condividere e "tramandare" questa mia passione sulla Campagna di Russia ad almeno uno dei miei due figli... dovevo provarci, dovevo farlo per quei ragazzi che coetanei con uno dei miei figli hanno sacrificato la propria vita e non l'hanno potuta vivere. Dovevo spiegargli la differenza fra i suoi 20 anni e i 20 anni di quei ragazzi cresciuti troppo in fretta e morti troppo presto. Questo anche per comprendere l'immenso valore delle cose, così scontate, di tutti i giorni. Nel 2019 è venuto con me in Russia e ha visto con i suoi occhi molto di più di quanto un libro scolastico gli avrebbe potuto raccontare. Con umiltà, come tale situazione richiede, e facendo un po' di "gavetta" sui libri, oggi è finalmente pronto per affiancarmi quale amministratore di questo sito. RICCARDO firmerà con il suo nome i post che pubblicherà, e non posso che augurarmi che sia degno da oggi e per tutto il resto della sua vita di poter parlare di loro.

La guerra sul fronte orientale, parte 5

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo quinto video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Commissione speciale dell'ONU, parte 5

Pubblico la quinta parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

CAPITOLO III.

Nel 1950 il problema viene posto sul tappeto internazionale. La terza Commissione (sociale ed umanitaria) presso l'ONU nelle sedute dal 7 all'11 dicembre, discusse, esaurendola la questione del mancato rimpatrio dei prigionieri di guerra dalla Russia sollevata dalla Gran Bretagna, dall'Australia e dagli Stati Uniti. I delegati dei tre paesi presentarono un progetto di risoluzione ed i testi delle loro dichiarazioni illustrative. L'Assemblea Generale dell'ONU, dopo lunghi dibattiti e laboriose trattative, tra il gruppo delle delegazioni dei paesi presentatori il progetto e numerose altre delegazioni nella seduta plenaria del 14 dicembre 1950, approvò la risoluzione con 43 voti favorevoli, 8 contrari, 6 astenuti.

Alla votazione seguirono le dichiarazioni dei delegati dei paesi del gruppo sovietico i quali ribadirono che l'assemblea generale ponendo e discutendo il ricorso australiano-anglo-americano, aveva commesso una violazione allo statuto delle Nazioni Unite in quanto la questione non rientrava nei limiti della sua competenza. Il delegato dell'URSS ripete ancora che il rimpatrio dei prigionieri di guerra dalla Russia era ormai ultimato da tempo e fece capire chiaramente che il suo governo non si sarebbe conformato alle raccomandazioni contenute nella risoluzione adottata. La risoluzione adottata a conclusione del dibattito consta di un preambolo e di una parte risolutiva.

Col preambolo l'assemblea generale, considerando che tutti i prigionieri di guerra avrebbero dovuto essere rimpatriati da tempo, e ciò in base, sia a norme generali di diritto internazionale, sia ad accordi specifici intervenuti tra gli alleati, espresse la sua inquietudine in presenza delle informazioni comunicatele, tendenti a provare che un numero rilevante di prigionieri catturati nella seconda guerra mondiale non era stato ancora rimpatriato e che nessuna informazione sulla loro sorte era stata data.

La parte risolutiva prevedeva: 1) un primo invito a tutti i governi che detenevano ancora prigionieri di guerra a conformarsi alle regole internazionali riconosciute ed agli accordi stipulati tra gli alleati, nonché a pubblicare ed a comunicare al Segretario Generale delle Nazioni Unite entro il 30 aprile del 1951: a) i nomi dei prigionieri di guerra ancora detenuti, la ragione della loro detenzione e l'indicazione della località ove si trovavano; b) i nomi dei prigionieri deceduti in prigionia, nonché la data, la località e la causa della loro morte. 2) la creazione da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite di una commissione di tre persone qualificate ed imparziali, designate dalla Croce Rossa Internazionale o, in difetto dal Segretario Generale stesso al fine di risolvere la questione dei prigionieri di guerra in un senso puramente umanitario e secondo condizioni che potessero essere accettate da tutti i governi interessati. 3) un secondo invito ai governi di fare ogni possibile sforzo per ricercare, in base alla documentazione fornita, i prigionieri di guerra la cui presenza sarebbe stata segnalata e potrebbero trovarsi nei rispettivi territori.

La Croce Rossa Internazionale informata della proposta, declinò l'incarico della designazione delle persone che avrebbero dovuto comporre la commissione, a cui provvide il Segretario Generale dell'ONU nominando: Giudice Jose Gustavo Guerrero del San Salvador, Vice Presidente della Corte Internazionale di Giustizia - PRESIDENTE; Contessa Manville Bernadotte della Svezia, vedova del Conte Bernadotte - MEMBRO; Giudice Aung Kine della Birmania - Giudice della Alta Corte di Giustizia di Rangoon - MEMBRO.

Al primo invito della risoluzione adottata dall'Assemblea Generale dell'O.N.U. il 14-12-1950, il Governo Italiano dava incarico al Ministero della Difesa di approntare, nei termini previsti dalla richiesta del Segretario Generale dell'O.N.U., la documentazione sui prigionieri e dispersi italiani in Russia. L'imponente lavoro venne affidato all'Ufficio Ricerche Dispersi e Stato Civile dello stesso Ministero e seguito con viva attenzione dall'allora Sottosegretario di Stato alla Difesa On. Luigi Meda, che successivamente venne dal Governo designato quale Delegato Italiano presso la Commissione Speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra.

Con la collaborazione dell'Ambasciata d'Italia a Mosca e degli Enti militari e civili territoriali, l'Ufficio raccolse, vagliò, coordinò i dati e le notizie relative ai prigionieri in Russia e forni all'ONU la prima documentazione, accompagnandola con un memoriale a titolo di prefazione, suddivisa in tre volumi: 1) Cronistoria sommaria individuale dei militari italiani, la cui esistenza in Russia, riferita ad una determinata data era sostenibile sulla base di due elementi di prova. 2) Cronistoria sommaria individuale dei militari italiani, la cui esistenza era sostenibile da un solo elemento di prova. 3) Cronistoria sommaria individuale dei militari italiani trattenuti dalle autorità sovietiche per presunti crimini di guerra. Successivamente inviò all'ONU un elenco, ordinato in 8 volumi, dei militari italiani non risultanti deceduti e che non dettero mai loro notizie.

Nel 1951, ai primi di agosto, la Commissione si riunì in Ia Sessione privata nel Palazzo delle Nazioni Unite a New Jork. La nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite al termine dei lavori, ebbe un colloquio col Presidente Guerrero e dette le seguenti informazioni: A causa del disappunto della stampa e qualche critica, la Commissione ha deciso di tenere segreti i suoi lavori al fine di non creare un'atmosfera di speculazione e di conseguenti irritazioni politiche. Infatti il primo obiettivo che si propose la Commissione fu quello di togliere possibilmente l'intera questione dei prigionieri di guerra dalla piattaforma politica dalla quale era sorta e di trasferirla su una base umanitaria, spunto preciso che offri la risoluzione dell'Assemblea Generale del 14-12-1950.

Non erano da farsi troppe illusioni poiché la posizione russa era stata precisata ufficialmente più volte e non era quindi da ritenersi una sua modifica. Comunque si senti doveroso tentare di seguire una procedura che consentisse alla Russia, senza una aperta perdita di prestigio, di cooperare al rientro dei prigionieri e di dar conto di quelli che non sarebbero più tornati. Venne comunicato poi che la prossima riunione della Commissione si sarebbe tenuta nel gennaio 1952. Nel 1952 la Commissione infatti, dopo preliminari contatti avuti con le Delegazioni dei Paesi invitati, inaugurò i suoi lavori il 22 gennaio nel Palazzo dell'O.N.U. a Ginevra.

Erano presenti le Delegazioni di: Australia, Francia, Belgio, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda e Stati Uniti ad eccezione dell'U.R.S.S. L'assenza dell'U.R.S.S. era stata generalmente prevista quantunque la Commissione avesse sperato sino all'ultimo momento in un suo intervento. La notizia creò negli ambienti delle Delegazioni un'atmosfera di pessimismo circa le effettive possibilità di un concreto lavoro della Commissione, che cercò di dissipare tale atmosfera ritenendo il rifiuto sovietico non categorico e sperando in una futura sua collaborazione.







giovedì 15 aprile 2021

Direttive dell'Operazione Barbarossa

Quale spunto storico per comprendere gli avvenimenti della Seconda guerra mondiale, l'Operazione Barbarossa e la nostra partecipazione alla Campagna di Russia, pubblico il testo completo de IL PIANO D'INVASIONE TEDESCO.

L'operazione Barbarossa dell'O.K.W. (Ober kommando der Wehrmacht).

Il Fuhrer e Comandante in Capo delle forze armate. OKW. WFSt. Abt. L. nr 33 408-40 g K Chefs. Segreto militare (Geheime Kommandosache) Segretissimo (Chef Sache).

Quartier Generale del Fuhrer - 18 dicembre 1940. Solo a mezzo di Ufficiali.

Le forze armate tedesche devono essere preparate a schiacciare la Russia sovietica con una rapida campagna (operazione Barbarossa) anche prima della guerra contro l'Inghilterra. A questo scopo l'esercito dovrà far uso di tutte le unità disponibili con il vincolo che i territori occupati devono essere comunque protetti contro eventuali attacchi di sorpresa.

L'aviazione dovrà rendere disponibili per la campagna in oriente per l'appoggio dell'esercito quelle forze che saranno necessarie per il completamento delle operazioni di terra in misura tale da ridurre al minimo il danno alla Germania orientale da attacchi aerei nemici. Lo sforzo principale della Marina rimarrà inequivocabilmente diretto contro l'Inghilterra anche durante la campagna orientale. Ordinerò la concentrazione contro la Russia sovietica possibilmente otto settimane prima dell'inizio fissato per le operazioni.

I preparativi che richiedono più tempo devono essere iniziati ora - se questo non è ancora stato fatto - e essere completati entro il 15 maggio 1941. È di decisiva importanza però, che l'intenzione di attaccare non venga scoperta. I preparativi degli alti comandi devono essere fatti sulle seguenti basi:

Il grosso dell'esercito russo nella Russia occidentale deve essere distrutto in operazioni ardite, spingendo avanti cunei corazzati e impedendo la ritirata di unità capaci di combattere nell'immenso territorio russo. Con una rapida avanzata bisognerà raggiungere una linea della quale l'aviazione russa non sia più in grado di attaccare il territorio del Reich tedesco.

L'ultimo obbiettivo dell'operazione è di stabilire una linea di difesa contro la Russia asiatica secondo un tracciato che vada approssimativamente dal Volga ad Arcangelo. Allora, in caso di necessità, l'ultima zona industriale rimasta alla Russia negli Urali potrà essere eliminata dalla Luftwaffe. Bisogna prevenire un intervento efficace dell'aviazione russa fin dal principio delle operazioni con colpi possenti.

1) Come fiancheggiamento delle nostre operazioni possiamo contare sulla partecipazione attiva della Romania e della Finlandia nella guerra contro la Russia sovietica. L'alto comando a tempo debito concerterà e determinerà in quale forma le forze armate dei due paesi saranno poste sotto il comando tedesco al momento del loro intervento.

2) Sarà compito della Romania, unitamente alle forze là concentrate, di tener impegnato il nemico che la fronteggia e inoltre di rendere servizi ausiliari nelle retrovie.

3) La Finlandia proteggerà il concentramento del gruppo e il nuovo schieramento nord tedesco (parti del XXI gruppo) proveniente dalla Norvegia e opererà in unione a detto gruppo. Inoltre alla Finlandia verrà assegnato il compito di eliminare Hango.

4) Ci si può attendere che le strade e le ferrovie della Svezia siano a disposizione per il concentramento del gruppo nord tedesco dall'inizio delle operazioni fino alla fine.

Compiti.

A. Esercito (approvando con ciò i piani che mi sono stati presentati):

Nella zona di operazioni divisa dalle paludi del Pripet in settore sud e nord, lo sforzo massimo deve essere fatto a nord di questa zona. Due gruppi d'armate vi saranno riuniti. Il gruppo sud di questi due gruppi d'armate - il centro dell'intero fronte - avrà il compito di annientare le forze nemiche nella Russia Bianca avanzando nella regione intorno a Varsavia e a nord della città con speciali unità motorizzate e corazzate. Si deve poi creare la possibilità di deviare verso il nord forti unità mobili in modo di annientare le forze nemiche combattenti sul Baltico, in collaborazione col gruppo d'armata nord operante dalla Prussia orientale in direzione generale di Leningrado. Solo dopo aver portato a termine questo compito importantissimo che deve essere seguito dall'occupazione di Leningrado e di Kronstadt le operazioni offensive devono mirare all'occupazione dell'importante nodo di traffico e strategico di Mosca.

Solo un eccezionalmente rapido crollo della resistenza russa potrebbe giustificare la marcia simultanea verso i due obbiettivi. Il compito più importante del XXI gruppo, anche durante le operazioni orientali, deve essere la protezione della Norvegia. Le forze disponibili supplementari devono essere impegnate nel nord (armata alpina) prima per assicurarsi la regione di Petsamo, le sue miniere e la via verso l'oceano Artico, e poi per avanzare unitamente alle forze finlandesi contro la ferrovia di Murmansk e impedire il rifornimento della regione di Murmansk per via di terra. Dipenderà dalla buona volontà della Svezia di Concedere le ferrovie per questo concentramento e la possibilità di condurre tale operazione nella zona di Rovaniemi e a sud di essa con forze tedesche piuttosto forti (2 o 3 divisioni).

Il corpo principale dell'esercito finlandese avrà il compito, in coordinamento coll'avanzata del fianco nord tedesco, di impegnare notevoli forze russe attaccando ad ovest del lago Ladoga, oppure sulle due sponde del lago e di impossessarsi di Hango. Il gruppo d'armate impiegato a sud delle paludi del Pripet deve concentrare tutto il suo sforzo nella zona che si estende da Lublino in direzione di Kiev, in modo da penetrare rapidamente e con forti unità corazzate nel fianco e alle spalle delle forze russe e spingere lungo il fiume Dnieper.

I gruppi tedesco-romeni sul fianco destro hanno il compito di: a) proteggere il territorio romeno e quindi il fianco sud dell'intera operazione; b) impegnare le opposte forze nemiche mentre il gruppo d'armate sud attacca sul fianco nord e, secondo lo sviluppo progressivo della situazione e in collaborazione coll'aviazione, impedire la loro ritirata ordinata attraverso il Dniester durante l'inseguimento; c) raggiungere Mosca rapidamente.

B. Aviazione e Marina.

La conquista di Mosca significa un successo decisivo politicamente e economicamente, e inoltre, l'eliminazione del più importante centro ferroviario. Il suo compilo sarà di paralizzare ed eliminare per quanto possibile l'intervento dell'aviazione russa e di appoggiare l'esercito nei punti di massimo sforzo, particolarmente quelli del del gruppo d'armate di centro e, sul fianco, quelli del gruppo d'armate sud. Le ferrovie russe, in ordine di importanza per le operazioni, saranno interrotte, oppure gli obbiettivi vicini più importanti (passaggi di fiume) saranno occupati coll'ardito impiego di truppe avio-trasportate e paracadutate.

Per concentrare tutte le forze contro l'aviazione nemica e dare un concorso immediato all'esercito, l'industria bellica non sarà attaccata durante le operazioni principali. Solo dopo il completamento delle operazioni mobili si potranno prendere in considerazione simili attacchi, soprattutto contro la regione degli Urali. Il compito della marina contro la Russia sovietica è, provvedendo al tempo stesso alla sicurezza delle nostre coste, di prevenire una fuga delle unità navali nemiche dal mar Baltico. Siccome la flotta russa del mar Baltico, una volta che noi fossimo giunti a Leningrado, si troverà privata della sua ultima base e sarà quindi in una situazione disperata, si dovrà evitare qualsiasi operazione navale su più larga base fino a quel momento.

Tutti ordini emanati dai comandanti in capo sulle basi di queste direttive devono chiaramente indicare che esse sono misure precauzionali per l'eventualità che la Russia possa mutare il suo presente atteggiamento verso di noi. Aspetto i rapporti dei comandanti in capo riguardanti i loro piani futuri basati su queste direttive. I preparativi in atto di tutti i rami delle Forze armate e il loro relativo progresso mi devono essere riferiti attraverso l'alto comando (OKW).

Commissione speciale dell'ONU, parte 4

Pubblico la quarta parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Al quesito posto dalle donne italiane sull'andamento del rimpatrio dei cittadini italiani dall'URSS, il generale Golubev dette le seguenti precisazioni: "Il rimpatrio degli italiani è stato iniziato nell'agosto 1945 per iniziativa del governo sovietico... sono stati liberati ed inviati in Italia 21.097 prigionieri italiani di guerra presi con armi in mano sui campi di battaglia dalle truppe dell'esercito sovietico. Tutte queste persone sono state consegnate in diverse epoche ai rappresentanti del governo americano oppure inglese, oppure a rappresentanti italiani, per l'ulteriore avviamento in Italia. Questo rimpatrio veniva effettuato, come a voi deve essere noto molto rapidamente. In appena tre mesi la massa principale degli italiani è stata rimpatriata. La consegna di tutti i cittadini italiani veniva fatta con liste speciali dove erano indicati i loro nomi e contro verbali che venivano firmati da ambedue le parti. Per tutti i prigionieri di guerra italiani consegnati in diversi tempi dagli organi di rimpatrio noi abbiamo i rispettivi verbali e gli elenchi nominativi. Nel giugno 1947 gli organi di rimpatrio hanno consegnato 10 prigionieri di guerra al rappresentante politico del governo italiano a Vienna ed in questi giorni nel territorio dell'URSS trovassi sei persone le quali vengono avviale in Italia. In tal modo tutti i cittadini italiani e gli ex prigionieri di guerra sono stati rimpatriati, tranne alcune persone, nei riguardi delle quali viene condotta una inchiesta giudiziaria per accusa di atrocità da loro commesse contro la popolazione civile nel territorio dell'URSS, durante la guerra. Gli organi sovietici, eseguendo la decisione del proprio governo circa il rimpatrio di tutti gli italiani, compresi anche i prigionieri di guerra, hanno preso tutte le misure affinché il rimpatrio venga ultimato nel più breve tempo possibile ". (dalla «Pravda» del 10 Agosto 1947, pagina 4).

Il nostro ambasciatore a Mosca prendendo lo spunto dall'intervista tra il generale Golubev e le donne italiane, chiese al vice ministro Malik di poter parlare col generale qualora il governo lo ritenesse utile. Con la richiesta, il nostro Ambasciatore assicurò che non intendeva affrontare tutta la questione ma semplicemente, partendo dalla dichiarazione del Generale Golubev, di venire in possesso delle liste nominative complete dei prigionieri restituiti per un controllo con quelle compilate dal Governo italiano al rimpatrio dei prigionieri stessi. Il colloquio purtroppo non ebbe mai luogo. I comitati dei congiunti dei dispersi di più regioni d'Italia fecero intanto pervenire al Governo l'eco della voce angosciata di migliaia di familiari che chiedevano insistentemente di conoscere la sorte toccata ai loro cari, non ancora tornati dalla Russia e domandavano di conoscere dal Governo i nomi dei prigionieri catturati, quelli di essi rinchiusi in campi di concentramento, l'elenco dei morti, quello dei rimpatriati e quello dei trattenuti per crimini di guerra od altre cause.

A queste sollecitazioni non si poté purtroppo che dare assicurazione dell'effettivo e costante lavoro diplomatico già in atto, il quale incontrava però sempre maggiore intransigenza da parte russa che riteneva inutile l'inoltro di nuove richieste su presunti prigionieri di guerra in Russia, la cui restituzione era stata completata da un anno. Tale affermazione non tardava però ad essere smentita nella maniera più categorica, col rimpatrio, verificatosi poco dopo, di un gruppetto di italiani, 4 ufficiali e 1 sottufficiale. Rimpatri che, anche dopo altre affermazioni del genere si verificarono per prigionieri che nulla avevano a che vedere col gruppo dei presunti criminali di guerra che le autorità sovietiche avevano segnalato trattenuto.

Nel 1948 si intensificò e si ampliò il complesso lavoro già in atto per la ricerca di quelle notizie che costantemente ci furono negate dalle autorità sovietiche. Si porto a termine l'esame degli interrogativi dei nostri reduci dalla Russia, traendo tutti gli elementi con i quali smentire l'affermazione dell'inesistenza di altri prigionieri nell'URSS. Si intensificò il servizio delle ricerche da parte del servizio italiano della Croce Rossa Internazionale attraverso la Croce Rossa e Mezzaluna Rossa sovietiche. Si ricercò la collaborazione del servizio informazioni, dei reduci, con le Croci Rosse germaniche, svedese, olandese, belga e del Comitato dei vecchi combattenti francesi. Si chiese il contributo di tutti i cittadini italiani interessati o non al problema, degli enti militari e civili, delle associazioni varie, senza distinzione di idee o colore politico.

A tal proposito non mancarono gli appelli di desolati genitori a uomini politici, che per la loro ideologia, meglio avrebbero potuto ottenere di conoscere sulla sorte dei loro figli. Le risposte non furono delle più incoraggianti e meno ancora si dette speranza comunque di un interessamento. Nel 1949, ripetuti altri tentativi per ottenere dalle autorità sovietiche notizie di chiarificazione del problema, non ebbero esito. Intanto in Germania avveniva il rimpatrio di circa 250.000 prigionieri tedeschi dai campi di prigionia dell'URSS. Da parte italiana non si mancò l'occasione di poter ottenere da questi reduci, informazioni sul conto degli italiani incontrati in prigionia. L'esortazione fu accolta con molta solidarietà e la radio della Germania Occidentale diffuse in diversi servizi e per più giorni un appello ai reduci tedeschi invitandoli a far pervenire all'ufficio ricerche della Croce Rossa di Monaco di Baviera tutte le notizie sull'esistenza di prigionieri italiani lasciati nei campi di concentramento dell'URSS.

Il servizio, pur avendo incontrato sensibili difficoltà per il fatto che i reduci tedeschi difficilmente potevano ricordare con esattezza nomi di italiani e meno ancora avrebbero potuto annotarli su carta o qualsiasi altro oggetto, pena, se scoperti, il sequestro e la ritorsione con il rinvio del rimpatrio, dette qualche risultato. Infatti si poté stabilire che pur non essendovi indizi della presenza in Russia di un gran numero di prigionieri italiani, quelli per lo meno incontrati potevano calcolarsi ad un centinaio, sparsi nei campi, occupati in lavori, impieghi ed ammaestramenti che li tenevano isolati dal mondo intero.

La lamentata intransigenza dell'Unione sovietica nel negare ogni collaborazione al problema dei prigionieri dispersi, il persistente ed ostinato rifiuto di chiarire con dati ufficiali la sorte di questi militari e la perentoria affermazione che la questione doveva considerarsi chiusa, erano dall'URSS tenuti anche nei confronti della Germania e del Giappone, che annoveravano masse imponenti di dispersi e prigionieri e, in minore misura da altri Stati ex belligeranti nemici ed alleati dell'URSS; come la Francia, il Belgio, l'Austria, il Lussemburgo, l'Olanda, la Polonia, la Romania, l'Ungheria, la Bulgaria, ecc. Ovunque sorsero Associazioni alle quali giunsero domande angosciose di milioni di famiglie che chiedevano notizie dei loro congiunti non ancora tornati in Patria e le associazioni invocavano un maggior interessamento dai rispettivi governi, che prospettarono il problema alla massima organizzazione internazionale - l'O.N.U. - perché avocasse a sé l'intera questione e ricercasse i mezzi per pervenire ad una soddisfacente soluzione.



mercoledì 14 aprile 2021

Il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939

Quale spunto storico per comprendere gli avvenimenti precedenti la Seconda guerra mondiale, l'Operazione Barbarossa e la nostra partecipazione alla Campagna di Russia, pubblico il testo completo de IL PATTO RIBBENTROP-MOLOTOV (1939).

Precedenti del Patto di non aggressione tedesco-sovietico.

Il ministro degli Esteri del Reich telegrafava in data 14 agosto 1939 all'ambasciatore tedesco nell'Unione Sovietica (Schulenburg). "Personale per l'ambasciatore. La prego di parlare col Signor Molotov personalmente e comunicargli quanto segue:

1) I contrasti ideologici tra la Germania, nazionalsocialista e l'Unione Sovietica costituivano in passato l'unica ragione perché la Germania e l'U.R.S.S. si trovassero l'una contro l'altra in due campi separati e ostili, Gli sviluppi recenti sembrano mostrare che diverse concezioni mondiali non impediscono ragionevoli relazioni tra due Stati, e il ristabilimento della cooperazione su una base nuova ed amichevole. Il periodo di opposizione nel campo della politica estera può essere fatto cessare immediatamente e per sempre, aprendo cosi la via a un nuovo avvenire per ambedue i paesi.

2) Non esiste alcun reale conflitto di tra la Germania e l'U.R.S.S. Gli spazi vitali della Germania e dell'U.R.S.S. si toccano, ma non si urtano tra loro nelle naturali esigenze. In tal modo manca ogni causa di atteggiamento aggressivo da parte di un paese verso l'altro. La Germania non nutre alcuna intenzione aggressiva verso l'U.R.S.S. Il governo del Reich è dell'opinione che non vi sia alcuna questione tra il Baltico e il Mar Nero che non possa venir definita con la completa soddisfazione dei due paesi. Tra di esse vi quelle riguardanti il Mar Baltico, la zona baltica, la Polonia, i problemi sud-orientali, ecc. In tali questioni la cooperazione politica tra i paesi potrà essere di benefico effetto. Lo stesso si dica per l'economia tedesca e russa che potranno venir estese in qualsiasi direzione".

Dopo aver deplorato per parecchi anni i due Paesi si vollero guardare con diffidenza, Ribbentrop assicura tuttavia che "anche durante questo periodo la naturale simpatia dei tedeschi per i russi non è mai stata soffocata". Il ministro degli Esteri tedesco con la sua consueta grossolanità ricorda che "nel 1914 la politica di guerra contro la Germania ebbe risultati disastrosi per la Russia". Molotov avrebbe potuto rispondergli che fra questi risultati c'era anche stata la rivoluzione rossa e la vittoria del bolscevismo!

Testo del Patto.

Il governo del Reich tedesco e il governo delle Repubbliche Socialiste Sovietiche desiderosi di rafforzare la causa della pace tra la Germania e l'URSS e basandosi sulle disposizioni fondamentali del trattato di neutralità concluso nell'aprile del 1926 tra la Germania e l'URSS, hanno stipulato il seguente accordo:

Art. 1) Le due parti contraenti si impegnano ad astenersi reciprocamente da qualsiasi atto di violenza, da qualsiasi azione aggressiva e da qualsiasi attacco, sia isolatamente sia insieme ad altre potenze.

Art. 2) Oualora una delle Alte Parti contraenti divenisse oggetto di azione bellica da parte di una terza potenza, l'altra Alta Parte contraente non dovrà in alcun modo appoggiare tale terza potenza.

Art. 3) I governi delle due Alte Parti contraenti manterranno in futuro continuo contatto tra di loro onde consultarsi allo scopo di scambiarsi informazioni su problemi concernenti i loro comuni interessi.

Art. 4) Nessuna delle due Alte Parti contraenti parteciperà a qualsiasi coalizione di potenze che direttamente o indirettamente sia rivolta contro l'altra parte.

Art. 5) Qualora sorgano dispute o conflitti tra le Alte Parti contraenti su problemi di qualsiasi natura, le due Parti procederanno alla loro composizione esclusivamente attraverso, uno scambio amichevole di vedute oppure, se necessario, attraverso la creazione di commissioni arbitrali.

Art. 6) Il presente trattato viene concluso per un periodo di dieci anni con l'intesa che, fintanto che una delle Alte Parti contraenti non lo denunci un anno prima dello spirare di tale periodo, la sua validità venga automaticamente rinnovata per altri cinque anni.

Art. 7) Il presente trattato verrà ratificato entro il più breve termine possibile. Le ratifiche verranno scambiate in Berlino. L'accordo entrerà in vigore al momento della firma.

Fatto in duplice copia, nelle lingue tedesca e russa.

Mosca, 23 agosto 1939 - Per il governo del Reich tedesco: Von Ribbentrop. Coi pieni poteri del governo dell'URSS: V. Molotov.

Protocollo aggiuntivo.

In occasione della firma del patto di non aggressione tra il Reich tedesco e l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche i sottoscritti plenipotenziari di ciascuna delle due parti hanno discusso in conversazione strettamente confidenziale la questione dei confini delle loro rispettive sfere di influenza nell'Europa orientale. Tali conversazioni hanno condotto alle seguenti conclusioni:

1. Nell'eventualità di una nuova sistemazione territoriale e politica nei territori appartenenti agli Stati baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), la frontiera settentrionale della Lituania rappresenterà il confine delle sfere di influenza della Germania e dell'URSS. A questo riguardo l'interesse della Lituania nella zona di Vilna viene riconosciuto da ambo le parti.

2. Nell'eventualità di una nuova sistemazione territoriale e politica dei territori appartenenti allo Stato polacco, le sfere di influenza della Germania e dell'URSS verranno delimitate approssimativamente dalla linea dei fiumi Narev, Vistola e San. La questione se gli interessi delle due parti rendano desiderabili il mantenimento di uno Stato indipendente polacco e quali confini dovrebbe avere un tale Stato, potrà venire definitivamente accesa solo nel corso degli ulteriori sviluppi politici. In ogni caso i due governi risolveranno questa questione a mezzo di un accordo pacifico.

3. Riguardo all'Europa sud-orientale la parte sovietica richiama l'attenzione sui suoi interessi in Bessarabia. La parte tedesca dichiara il suo completo disinteresse politico su tali territori.

4. Questo protocollo verrà considerato da ambo le parti come segretissimo.

Mosca, 23 agosto 1939: Per il governo del Reich tedesco: von Ribbentrop. Plenipotenziario del governo dell'URSS: V. Molotov.

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 10

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - Lo schieramento sul Woltschja e l'attacco di Pawlograd (9-11 ottobre 1941).