sabato 20 febbraio 2021

Una tragedia annunciata, parte 3

Riporto la terza parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

L'impressione che il sottoscritto ha riportato dell'ambiente attuale dell'8a Armata può riassumersi nei seguenti termini: pletorica negli elementi di retrovia, e con andamento in tono minore in tutti i comandi, andamento non perfettamente consono allo spirito di un ordigno di guerra che dovrebbe rappresentare l'Italia migliore in terra straniera. La nota predominante apparente è stata quella della paura da parte di tutti i comandi - maggiori o minori - di provocare incidenti con la Wehrmacht: quindi acquiescenza e, questa, piena e completa con forse appena deboli, formali e per questo sterili, reazioni. Cosi, sarebbe stato l'Alto Comando tedesco ad ordinare uno schieramento in linea di tutte le Unità della nostra ARM.I.R., come delle altre armate, senza preoccuparsi di lasciare almeno qualche aliquota di esse a protezione delle truppe avanzate. Con la sembra indiscussa accettazione da parte nostra di tale ordine è avvenuto quindi che quello che, altrimenti, avrebbe potuto essere solo un episodio della guerra probabilmente superabile, sia finito in un rovescio di proporzioni ancora non calcolabili, ma certo serio, più che tutto per la perdita di materiali preziosissimi ed insostituibili.

Il soldato di prima linea ha, come meglio ha potuto, assolto in genere il suo dovere: si può dire che si è generosamente battuto fin oltre ai limiti del sacrificio. L'attuale equipaggiamento invernale è più che buono (un documento del Comando Supremo in data 13 ottobre 1941 segnalava l'avvenuta distribuzione a ciascun militare del Corpo di Spedizione "di un berrettone di pelliccia, un paraorecchi di tipo romeno, un paio di guanti foderati di pelliccia, un cappotto foderato di pelliccia. Alle truppe in servizio di guardia o addette a servizi speciali - continuava il promemoria - saranno dati anche il sacco a pelo, un giubbotto di pelliccia di tipo transilvano ed un paio di calzari con suola in legno") e, tenuto conto delle circostanze, anche il vitto è soddisfacente. Ma le nostre truppe in un settore della guerra dove la meccanizzazione raggiunge altissimo grado sono in quanto ad armamento in condizioni assolutamente inadeguate al loro compito; ai carri armati pesanti e pesantissimi di cui i russi sono e continuano ad essere abbondantemente provvisti, sia per propria produzione, sia per rifornimento dall'estero (enorme fu il contributo dell'industria statunitense e britannica allo sforzo bellico sovietico, specialmente per quanto concerneva la fornitura di mezzi moto-meccanizzati: 9.214 carri armati fra leggeri M3 e medi M3 ed M4 (americani) e Churchill, Matilda II, Valentine Mk 3 e 4, Tetrarch Mk VII forniti dal Commonwealth britannico, oltre a ben 520.000 altri veicoli militari, alcuni dei quali blindati) esse non possono opporre che poche anche se e qualitativamente non disprezzabili artiglierie, già d'altra parte anche usate e logorate da un servizio prestato su altri fronti, un discreto numero di mitragliatrici nelle stesse condizioni, il fucile 1891 (cioè di un modello datato di oltre cinquant'anni...) e la volontà di combattere (mentre anche i sovietici erano dotati di un fucile M1891 cal. 7,62 - il nostro era di calibro inferiore, 6,5 mm; in più i sovietici disponevano, su scala ridotta, anche id un modello di fucile semiautomatico, il Tokarev. Come arma automatica individuale, i loro reparti scelti erano armati col moschetto automatico PPSh41 cal. 7,62, mentre ai nostri si stava gradualmente distribuendo, proprio dall'estate 1942 e con precedenza ai reparti speciali, il moschetto mitra Beretta 38-A con caricatore da 40 colpi, calibro 9 parabellum).

Ma esiste veramente nel soldato tale volontà? In quanto ho potuto osservare, sarei portato a rispondere negativamente. La guerra sul fronte russo non è sentita sia dal soldato, sia disgraziatamente dall'elemento ufficiali, segnatamente da quelli inferiori. Ma a tale proposito mi corre l'obbligo di constatare la mancanza di idealità e comprensione da parte della grande maggioranza dei giovani ufficiali addetti alle truppe e che di queste dovrebbero essere i diretti educatori ed ammaestratori: unica preoccupazione di costoro pare essere quella dei godimenti materiali od altrimenti dei vantaggi che dalla campagna di Russia possono loro derivare. La mensa, i conforti annessi alla mensa, i piccoli affari che possono combinare sul posto, la loro sola preoccupazione. L'esempio degli ufficiali non può quindi che esercitare in molteplici casi la sua non sana influenza sullo spirito della truppa. Né gli Alti Comandi e i troppi Uffici e Servizi di cui le retrovie pullulano sono esenti da questa tara: in molti casi la sola e costante attività è rivolta a speculare sui campi e a procacciarsi con qualsiasi mezzo generi alimentari, materiali di recupero, rottami e suppellettili da mandare comunque a casa, molto verosimilmente per farne oggetto di commercio più che per necessità diretta.

Chi scrive potrebbe citare il caso di ufficiali anche superiori i quali, giornalmente, inviano in Italia vari pacchi di generi vari che, prelevati per uso locale, non vengono usati dagli aventi diritto ma sottratti al loro legittimo consumo per essere [destinati] ad altri meno chiari scopi. Sono esempi isolati, ma indici di una situazione anche troppo generalizzata. Esiste poi disgraziatamente, soprattutto fra i più giovani ufficiali alle truppe la persuasione che in caso di cattura da parte dei russi, essi vengano seviziati o trucidati. Non so sino a che punto ciò essere esatto, ma debbo notare come tale persuasione profondamente radicata non costituisca certo un coefficiente atto ad aumentare la combattività di coloro che sono destinati a condurre reparti al fuoco e incidere profondamente sul loro morale. A qualunque costo bisognerebbe evitare che tali idee persistessero, ma d'altra parte come raggiungere tale scopo con - oltre tutto - degli armamenti tanto impari alla lotta?".

L'estensore accenna poi alla stanchezza ed al logorio delle truppe germaniche ed all'evidente indebolimento delle loro armate corazzate dopo Stalingrado, ricordando di aver osservato, nel viaggio di ritorno attraverso la ferrovia sud, solo "un movimento normale di uomini - non inquadrati - come non ho potuto vedere se non qualche treno di materiali: in tutto non più di 150 carri armati diretti verso le prime linee". E conclude riferendo che al fronte è diffusa la convinzione che l'Armata Rossa sia ben lontana dal crollo, specie grazie ai consistenti aiuti dei suoi "alleati" ed allo spirito di adattamento del suo popolo, evidente anche da quanto si ha modo di constatare nei territori occupati dalle truppe dell'Asse.

venerdì 19 febbraio 2021

L'Italia entra in guerra

Se avete la pazienza di ascoltare per oltre 2 ore e mezza, vi consiglio vivamente di seguire questa conferenza webinar realizzata e trasmessa dall'Ufficio Storico dello SME dal titolo "L'ingresso dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale - Una riflessione a ottant'anni di distanza"; con l'intervento del Gen. B. Fulvio Poli, Ufficio Generale Promozione Pubblicistica e Storia dello Stato Maggiore dell’Esercito: "Aspetti militari e diplomatici all’atto dell’ingresso dell’Italia in guerra, preparazione e ritardi"; di Antonio Varsori, Professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali Università degli Studi di Padova: "Le conseguenze dell’ingresso in guerra: le politiche britannica e statunitense verso l’Italia sino all’armistizio dell’8 settembre"; di Eugenio Di Rienzo, Professore ordinario di Storia moderna Sapienza, Università di Roma: "La politica estera dell’Italia fascista dalla crisi etiopica al 10 giugno 1940"; di Giuseppe Parlato, Professore ordinario di Storia contemporanea Università degli Studi Internazionali di Roma (Unint). "La guerra rivoluzionaria. Caratterizzazione ideologica di una guerra “breve”.

Il viaggio del 2011, intorno ad Opit

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... le strade ghiacciate intorno ad Opit; si seppur su strada sono i miei primi passi sul fronte russo e vedo finalmente la steppa.



Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 8

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - La manovra di Petrikowka (28-30 settembre 1941).

giovedì 18 febbraio 2021

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 11

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), undicesima parte.

LA RICOSTITUZIONE Dl UNA DIFESA ARRETRATA CONTINUA. SOSTA NELLE OPERAZIONI.

Il 23 dicembre, mentre le D. «Pasubio», «Torino», «Celere», «Sforzesca» ed il comando del XXXV C.A. sono in via di ripiegamento verso sud, ed il II C.A. ritirato dal fronte è in corso di riorganizzazione nelle zone di Woroschilowgrad e di Rossosch, il comando superiore germanico assegna un nuovo settore al comando 8a Armata, limitato al tratto Belogorje (sul Don) - Michailo Alexandrowskij (sulla ferrovia Millerowo - Rossosch). Unità alle dipendenze per le operazioni sono: il C.A. alpino, (D. «Tridentina», «Vicenza», «Cuneense»); il XXIV C.A. (D. «Julia», 385a D. germ., 387a D. germ., Gruppo Cr. Fegelein, presidi di Gartmjschewka e Tschertkowo); la 19a D. cr. germ. che sta per affluire nella zona di Starobolosk - Belowodsk - Nowo Markowka. Con le truppe in posto (C.A. alpino e XXIV C.A.) una difesa continua è in atto tra Belogorje e Golaja.

E' da costituire invece una linea continua a sud del parallelo di Golaja. A ciò il comando 8a Armata provvede: estendendo lo schieramento del XXIV C.A. fino a Wyssotschinoff, facendo occupare dalla 19a D. cr., con una sistemazione nucleare, la linea del Derkul fra il limite sud dell'Armata e Nowo-Markowka e, in seguito ad ordine del Gruppo Armate, svincolando la 27a D. Cr. dalla linea tenuta nel settore del XXIV C.A. per chiudere il vuoto fra le ali del XXIV C.A. e della 19a D. Il comando 8a Armata, il 30 dicembre, sposta inoltre la D. «Cosseria» dalla zona di Rossosch a quella di Rovenko per controllare indirettamente la zona non occupata. Lo schieramento delle unità italo-tedesche sul fronte dell'8a Armata alla data del 21 dicembre ed i successivi spostamenti per la ricostituzione di una difesa arretrata continua risultano dallo schizzo 12.

Il comando dell'Armata non ha alla mano alcuna riserva; lo schieramento è particolarmente debole in corrispondenza dell'ala destra del XXIV C.A. (27a D. cr.) e della 19a D. cr. Il periodo 22 dicembre - 8 gennaio fu caratterizzato da una relativa sosta nelle operazioni. Si svolsero tuttavia combattimenti ed attività da ambo le parti. La difesa del fronte tra Belogorje e Golaja non presentò particolari difficoltà per il C. A. alpino, il quale non ebbe a sostenere attacchi di qualche consistenza tranne uno, effettuato il giorno 24, da un btg. nemico nel settore della D. «Cuneense». Più duro fu invece il compito sul fronte del XXIV C.A. dove l'avversario cercò incessantemente di logorare lo schieramento e di allontanare la nostra difesa dalla valle del Bogutschar. Nei combattimenti che si sostennero quasi giornalmente si distinsero particolarmente la D. «Julia» ed il btg. «Monte Cervino» che furono citati anche sul bollettino tedesco.

Più a sud, risultò laborioso il tentativo di creare una linea continua a mezzogiorno di Golaja, mentre urgente si palesava la necessità di sbloccare, sia pure soltanto per il tempo necessario a rifornirlo di viveri e munizioni, il caposaldo di Tscherkowo, nel quale erano affluiti, il 26 dicembre, i resti delle divisioni «Pasubio», «Torino» e 298a, elevando la consistenza del presidio a 16.000 uomini in gran parte invalidi (feriti e congelati) da sgomberare. La 19a D. effettuò, il 29, un'azione verso Tscherkowo; riuscì a raggiungere la valle Kamyschnaja, ma non a proseguire oltre, malgrado la puntata fatta dal presidio di Tscherkowo verso ovest. Non fu così possibile effettuare il ripiegamento delle forze assediate ed il previsto sgombero dei feriti e congelati. Il caposaldo di Gartmjschewka, anch'esso assediato, venne stretto sempre più.

mercoledì 17 febbraio 2021

Bruno e Mario Carloni, parte 1

Legate alle vicende belliche ci sono e ci saranno sempre "belle" storie da raccontare; storie di uomini e di eroismi, di paure e di coraggio. Ve n'è una che ho scoperto per intero da poche settimane, ed è quella di un figlio ed un padre, entrambi combattenti in Russia, entrambi combattenti nel 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere. Il primo di cui parlerò è il figlio, Bruno Carloni, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.

Bruno è "figlio d'arte" se così si può dire; il padre Mario partì come soldato volontario nel 5° Reggimento Bersaglieri, scalando la gerarchia militare fino a diventare ufficiale di complemento, con il grado di Sottotenente, nel 7° Bersaglieri. Partecipò al primo conflitto mondiale, distinguendosi per valore e per capacità di comando, venendo decorato al Valor Militare e passando al servizio effettivo, terminando il conflitto con il grado di Capitano: è seguendo il suo esempio di soldato che il giovane Bruno, nato nel 1920 a Isola del Liri, in provincia di Frosinone, decise di indossare il piumetto dei Bersaglieri. Arruolatosi volontario come ufficiale entrando all’Accademia di Modena nel 1940, lo stesso anno della dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, due anni più tardi uscì dall’istituto militare con il grado di Sottotenente, venendo assegnato al 6° Reggimento Bersaglieri. Raggiunto il reparto in Russia, dove era stato già precedentemente dislocato, la durezza del conflitto in corso catapultò fin da subito il giovane ufficiale nella dura realtà della guerra, fatta di assalti, agguati e imboscate, fino ad allora studiate e apprese sui libri dell’Accademia.

Assegnato alla 2a Compagnia del VI Battaglione, il 13 luglio 1942, a Wladimorowka, durante un assalto condotto alla testa dei suoi uomini, primo ad uscire allo scoperto, si guadagnò sul campo la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: "Comandante di un plotone d’una compagnia bersaglieri distaccata presso altra unità, si lanciava per primo all’assalto d’una munitissima trincea protetta da profondo reticolato, che superava strisciando per giungere più presto sul nemico che assaliva a bombe a mano, nonostante il vivace fuoco delle mitragliatrici avversarie. Visto cadere gravemente ferito il proprio capitano, assumeva il comando della Compagnia e, dopo aspra, accanita, lotta, conquistava la posizione, catturando armi e prigionieri. Wladimorowka, 12 luglio 1942". Il giovane Bersagliere, seguendo le orme del padre nella Prima Guerra Mondiale, dimostrò tutto il suo valore nella nuova guerra che l’Italia fu chiamata a combattere. Pochi giorni dopo la battaglia di Wladimorowka, il 6° Reggimento Bersaglieri venne dislocato in un altro settore del Don, lungo la testa di ponte che da Satonskij giungeva fino a Bobrowskij, fino ad allora tenuto da un piccolo reparto tedesco.

Inevitabile lo scontro. In pieno giorno, infatti, mentre il 3° Bersaglieri muoveva verso le sue posizioni lungo l’ansa del Don, i soldati dell’Armata Rossa scatenarono una prima, violenta offensiva, appoggiata anche da una quarantina di carri armati: l’attacco investì in pieno sia i tedeschi che i bersaglieri del Sottotenente Bruno Carloni. Un primo assalto venne bloccato e i russi non riuscirono a oltrepassare il fiume: restava a questo punto soltanto una cosa da fare, ovvero prendere l’iniziativa e pensare subito ad un contrattacco. Il 2 agosto 1942 iniziò l’attacco verso i villaggi di Baskovskij e di Bobrowskij, raggiunti entrambi e superati a costo di perdite che andavano aumentando sempre di più. Dopo i villaggi rimaneva il bosco vicino, che si apriva e degradava verso il fiume: il nuovo obiettivo divenne la quota 210, affidata agli uomini di due compagnie, tra cui quella di Bruno. Gli scontri furono duri con pesanti perdite: ferito ad un braccio, il giovane bersagliere restò in mezzo alla battaglia, là dove maggiore era il fuoco sovietico. Non smetteva di incitare i suoi uomini a proseguire nell’azione fino a quando una raffica di mitragliatrice, colpendolo in pieno petto, non lo faceva cadere a terra, esanime. L’offensiva, che non fruttò alcun risultato alle forze italo-tedesche, venne interrotta il giorno 8 agosto, dopo che entrambi le parti avevano subito pesanti perdite.

Inutili furono i tentativi dei medici di salvarlo: si spense tra le braccia dei suoi uomini, riservando le ultime parole per suo padre e per i Bersaglieri, che tanto fedelmente aveva giurato di servire. Alla sua memoria verrà concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: "Giovanissimo Ufficiale entusiasta e valoroso, già decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare sul campo. Durante l’accanito e sanguinoso combattimento, quando il nemico era riuscito a penetrare nelle linee, minacciando il fianco di un nostro battaglione, alla testa dei suoi si lanciava al contrassalto. Ferito ad un braccio, rifiutava ogni soccorso e fasciatosi sommariamente, continuava con immutato slancio, ricacciando l’avversario all’arma bianca. Mentre, ritto innanzi a tutti, difendeva a bombe a mano la posizione da rinnovati più furiosi assalti, una raffica di mitragliatrice lo abbatteva. Ai Bersaglieri accorsi in suo aiuto rispondeva in un supremo sforzo sollevando in alto il piumetto: me l’ha donato mio padre, ditegli che l’ho portato con onore! Magnifica figura di soldato, che nella luce del sacrificio consacra ed esalta il fascino della più pura passione bersaglieresca. Fronte russo, Bobrowskij, 3 agosto 1942".

Bruno fu sepolto al cimitero militare campale di Fomichinskij, un piccolo paese della regione di Serafimovic; la salma fu riesumata nel 1991 e riportata in Italia con solenne cerimonia al Sacrario Militare di Redipuglia.

martedì 16 febbraio 2021

Il viaggio del 2011, il T-34 ad Opit

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... il T-34 presente alla sommità della tristemente famosa salita verso Opit, con il monumento dedicato ai caduti sovietici.



Una tragedia annunciata, parte 2

Riporto la seconda parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA SITUAZIONE SENZA RIMEDIO.

Esaminiamo l'Appunto, interessante, come si è detto, non tanto per la sommaria ricostruzione degli avvenimenti, che di certo non ci svela nulla di nuovo, ma per le circostanze e per i puntuali rilievi che la caratterizzano. L'estensore dichiara di essere "[...] partito dal fronte orientale il 23 dicembre 1942, in pieno svolgimento, cioè, delle operazioni offensive da parte russa oggi in corso. Non posso quindi se non riferire quanto è di mia conoscenza fino al giorno 22, peraltro conoscenza frammentaria derivante in parte da osservazioni personali e in parte da quanto ho potuto apprendere da fonti dirette. Lo sfondamento nelle nostre linee sarebbe avvenuto esattamente nella zona di Bogushar (sic. Bagutschar) tenuta da una nostra divisione (Ravenna) ed in parte dal 309° Reggimento di fanteria germanica (sic. 318° r.f.). Già dai giorni precedenti la pressione russa su tale settore si era venuta intensificando; dopo avvenuta la rottura sul fronte rumeno (situato più a destra del fronte dell'ARM.I.R.) essa aveva assunto carattere di estrema violenza in gran parte del nostro settore.

Dopo un rapido ma efficace bombardamento aereo i russi iniziarono la loro manovra di rottura nel tratto di fronte tenuto dal 309° e su buona parte del nostro fronte, manovra che fu nel punto principale effettuata relativamente con pochi - circa una trentina - appoggiati da altri mezzi di offesa psicologicamente formidabili (verosimilmente lanciarazzi multipli. Come riporta B.H. Liddel Hart, nel suo "Storia militare della seconda guerra mondiale" - Milano, Mondadori, 1970, rist. 2003 Vol. II, p.682 - le carenze in fatto di artiglieria manifestatesi nel 1942 avevano portato alla produzione su vasta scala di razzi e lanciarazzi, di più agevole fabbricazione rispetto ai tradizionali pezzi di artiglieria e di grande efficienza). Il 309° Reggimento Germanico fu prestissimo preda al panico; si sbandò completamente ripiegando in disordine, riversandosi sulle retrovie e seminando il panico non già ai reparti - nostri - che erano in linea, bensì alle retrovie. I carri armati russi, approfittando della breccia lasciata dai tedeschi in fuga, si erano intanto infiltrati nelle retrovie con manovra di insaccamento.

Le loro puntate rapide e numerose non fecero che aumentare la confusione sul terreno che già avevano perso i tedeschi in fuga. Successe cosi, a differenza di quanto si potrebbe supporre; per i nostri reparti il panico si propagò non dalla prima linea alle retrovie (ove poi l'elemento uomo, non combattente aveva minore stamina morale), ma dalle retrovie alla prima linea, tanto è vero che vari reparti isolati più solidi che non caddero preda del panico resistettero valorosamente senza abbandonare le loro posizioni ed in molti casi dovettero essere riforniti per aereo. Fu cosi una fuga quasi generale: la Ravenna che col reggimento germanico aveva subito la prima impressione dell'urto russo, si disfece del tutto; quasi identica sorte avvenne per la Cosseria; successivamente, in misura maggiore o minore, tutte le altre nostre unità furono travolte: nell'ordine la Celere, la Sforzesca, la Torino e la Pasubio. Uniche truppe a resistere con i limitati mezzi di cui disponevano sulle linee furono le alpine e le CC.NN. dell'Armata.

Vi furono anzi, e non pochi, episodi di autentico valore da parte di reparti isolati, ma, in linea generale, lo sfaldamento fu completo. Posso riferire che, fino alla sera del 22 dicembre u.s., al Comando di tappa di Voroscilovgrad erano stati recuperati o si tentava di recuperare 18.000 sbandati, prevalentemente della Ravenna, Cosseria e Celere. I fuggiaschi provocavano una penosa impressione. Molti degli ufficiali soprattutto inferiori si erano strappati i distintivi di grado ed i fregi dei reparti per rendersi indistinguibili: tutti portavano tracce, più che di sofferenza, di terrore. Pare che scene selvagge si siano verificate nell'abbordaggio dei mezzi di trasporto (autocarri) da parte dei fuggiaschi per sottrarsi a quella che essi ritenevano fosse la completa rottura dell'intero fronte: parecchie persone perirono, schiacciate dagli automezzi, in tale "si salvi chi può". Non immuni da tale ondata di panico andarono, come ho detto, i reparti germanici, non solo di prima linea, ma anche delle retrovie. Chi scrive, ricorda la piazza Lenin di Voroscilovgrad (in quella località si trovava il comando dell'8a Armata) letteralmente gremita di automezzi tedeschi di ogni specie, tutti ripiegati più o meno in disordine dalla zona in cui era avvenuta la rottura; in parte anche una certa aliquota di truppe rumene di retrovia subì lo stesso contagio.

In questa fase andarono perduti oltre che moltissimo materiale - specialmente d'artiglieria (qualche reparto rimase assolutamente serva cannoni) - la quasi totalità dei magazzini avanzati dell'Intendenza dell'8a Armata, magazzini che erano inspiegabilmente stati portati a troppa diretta vicinanza della prima linea. Molti furono incendiati dai nostri, molti caddero in mano nemica. Debbo a questo proposito notare come la grandissima maggioranza dei fuggiaschi giunti a Voroscilovgrad non portavano più le armi. Le avevano abbandonate per via. In più di un caso esse furono adoperate i nostri stessi soldati in fuga da elementi civili russi. Chi scrive ebbe un solo colloquio con il comandante dell'8a Armata e pertanto non può esprimere su di lui un preciso giudizio personale. II comandante l'8a Armata comunque, anziché intrattenerlo di quegli argomenti che avrebbero potuto fornire una base della sua missione in Russia, non gli parlò che di un'organizzazione, da lui iniziata, di reparti cosacchi composti di prigionieri e disertori da impiegarsi nella lotta contro i partigiani e in genere come elemento di propaganda in senso zarista. A parte ogni considerazione di opportunità, il sottoscritto non intende neppure discutere l'iniziativa, che nelle attuali condizioni, più facilmente potrebbe rivolgersi [sic] in un'arma di propaganda in favore degli stessi sovietici che non nel senso voluto.

sabato 13 febbraio 2021

Onori a Gino Monzali

Ricevo dal nipote Rossano Sabbi e pubblico con estremo piacere la fotografia dello zio Gino Monzali, carabinieri disperso in Russia, e la corrispondenza avuta a suo tempo con il Generale Attilio Boldoni, all'epoca dei fatti comandante della sezione a cui apparteneva lo zio. Gino Monzali aveva come tanti altri solo 20 anni; nato il 07.03.1922 a Castiglione dei Pepoli (Bologna) ed inquadrato nella 66a Sezione Motociclisti Carabinieri, fu dichiarato disperso il 17.01.1943 in località non nota.







Una tragedia annunciata, parte 1

Riporto la prima parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA.

Molto si è scritto sulla partecipazione italiana alla campagna di Russia dal 1941 al 1943. Alcuni dei protagonisti hanno voluto - attraverso le loro memorie - rievocare soprattutto le fasi drammatiche della ritirata e il coraggio di coloro che non vollero rassegnarsi a gettare le armi. Altri autori si sono limitati a ripercorrere gli avvenimenti dal punto di vista storico-militare; altri ancora ne hanno criticato le motivazioni politiche oppure lo spreco di uomini e di materiali che la disgraziata spedizione aveva comportato, proprio mentre il nostro più vitale teatro di operazioni, quello nordafricano, era carente proprio di quegli automezzi e di quei pezzi di artiglieria che vi erano stati sacrificati.

Qualche commentatore, infine, ha accusato della disfatta soltanto il comando germanico, che senza dubbio era responsabile della condotta delle operazioni e della dislocazione in difensiva delle nostre unità, quasi che Roma avesse rinunciato ad interessarsi della loro sorte e non vi fosse sul posto un comandante in grado di tutelare l'accorto impiego delle proprie truppe. Non vi è dubbio che l'anziano generale Italo Gariboldi - il quale poco più di un anno prima aveva personalmente accolto in Libia il Corpo tedesco d'Africa - sapesse che tra il responsabile dell'Alto comando germanico e il nostro sottocapo di Stato maggiore, generale Guzzoni. prima dell'invio di quel contingente in Libia, era stato concordato: "[...] Nel caso alle forze tedesche venisse affidato un compito per la cui esecuzione, per convenzione del loro comandante, potrebbe soltanto portare a un grave insuccesso e alla menomazione del prestigio delle truppe tedesche, il comandante tedesco ha il diritto e il dovere informando il generale tedesco di collegamento con il Comando Supremo a Roma, di chiedere la decisione al Führer, a mezzo del Comandante Supremo dell'Esercito".

E per esperienza diretta sapeva come il generale Rommel avesse approfittato, oltre ogni limite, di questa facoltà che gli era stata riservata. Analogo era infatti l'accordo concluso nel 1941 al momento dell'invio del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR. poi ARM.I.R). che cosi recitava: "Nel caso in cui al C.S.I.R, venisse affidato un compito la cui esecuzione, per convinzione del proprio comandante, potrebbe portare soltanto a un grave insuccesso e quindi a menomazione del prestigio delle truppe italiane, il comandante italiano ha il diritto e il dovere informando il generale italiano di collegamento con il Comando Supremo delle Forze Armate tedesche a Berlino, di chiedere la decisione del Duce a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale". Nell'impiego del Corpo. si specificava inoltre (art. 1) che questo "dipende direttamente dal Comando Supremo Italiano e tatticamente è alle immediate dipendenze del Comandante Germanico e fa capo allo Stato Maggiore Italiano per quanto riguarda disciplina, servizi e necessità varie di vita".

Ne conseguiva che il Comandante dell'8a Armata italiana in Russia avrebbe potuto contestare, senza problemi, i due errori principali di quel Comando, e cioè la decisione di utilizzare in pianura il Corpo d'Armata alpino e quella di sottrarre ogni riserva motocorazzata allo schieramento delle divisioni italiane di fanteria sul Don. Per oltre cinquant'anni nessuno però si è preoccupato di indagare se il nostro Comando Supremo fosse Stato al corrente dell'effettiva situazione dell' ARM.I.R. dopo i duri combattimenti della tarda estate 1942. Oggi invece abbiamo la certezza - da un documento appena ricomparso - che ne era stato ufficialmente informato e senza reticenze, seppure, diremmo noi, quando era ormai troppo tardi. Pure non si era curato di prendere qualche serio provvedimento, a carico di colui che - se non poteva essere accusato di avere una mentalità arretrata rispetto alla guerra moderna, che pur aveva sotto i suoi occhi - non si era imposto, come ogni buon capo ha il dovere di fare, per salvaguardare la vita dei propri soldati e l'onore dell'esercito a cui appartiene (il Tribunale Straordinario per la Difesa dello Stato, ricostituito dopo l'armistizio dalla R.S.I. alla ricerca di capri espiatori, condannò il generale Gariboldi a dieci anni di reclusione).

L'unico ad essere esonerato, a fine gennaio, fu il Capo di Stato Maggiore Generale, Maresciallo Ugo Cavallero, ma forse più per la perdita della Libia - che aumentava la vulnerabilità della penisola - piuttosto che per il disastro in Russia. Giustamente, le responsabilità di non avere provveduto in tempo non erano soltanto del Capo del Governo ma si allargavano al Maresciallo Cavallero, cui spettava tecnicamente ogni valutazione in merito. Se è vero che bastarono un paio di compagnie di carri sovietici a sfondare le nostre linee, forse potevano tornar utili alle spalle dello schieramento "a cordone" - tanto per fare un esempio - quella trentina di semoventi controcarro da 90 che, al contrario, rimasero in Italia per chiudere la loro breve esistenza, quasi senza combattere, tra le alture della Sicilia. E non ragioniamo con il senno del poi: a chiunque era noto che la nostra regolamentazione sin dal 1928 prevedeva, nell'impiego in difensiva delle Grandi Unità complesse, la presenza di unità di "seconda schiera" o addirittura di terza; il fronte di ogni divisione non doveva eccedere poi i 4-5 km., anche se qualcuno afferma che l'avevano portato a 13,5.

Che qualcosa in Russia non funzionasse a livello di comando d'Armata e nei rapporti con il comando del Gruppo di Armate tedesco lo si sospettava. Altrimenti, non si sarebbe inviato, tardivamente, qualcuno a rendersene conto di persona. Eppure, quanto si legge nell'"Appunto per il Sig. Capo di Gabinetto", visto dal duce il 23 gennaio 1943, getta una nuova luce su quelle drammatiche vicende. Ma dove erano finite e come erano state sottratte le carte ora ricomparse a distanza di sessant'anni?

UN CARTEGGIO DIMENTICATO.

L'appunto che pubblichiamo è uno dei numerosi documenti, finora rimasti sconosciuti e che sono stati consegnati all'Archivio Centrale dello Stato il 12 novembre 2002 dal dottor Francesco Alicicco, in qualità di erede del generale Mario Alicicco, scomparso nel 1999 (il fondo comprende inoltre altro relativo alle ultime fasi della guerra in Africa, alla produzione bellica e all'aiuto germanico, alla difesa della Sicilia, ai Balcani ecc. Vi è anche una memoria di Ambrosio sulla difesa della Sardegna, consegnata al duce l'8 maggio 1943 ed in parte da lui inserita in "Storia di un anno" pubblicato nel 1944). Questi, allora maggiore dei bersaglieri (cl. 1908) e addetto alla Casa Militare del Sovrano, nella primavera 1946 ricevette da Umberto II un carteggio, impegnandosi a tenerlo segreto per cinquant'anni. Questo, tra l'altro, comprende un certo numero di documenti riservati sugli ultimi avvenimenti in Russia, in Tunisia e in Sicilia e sui i rapporti con l'alleato germanico, come l'appunto in questione. Ad un'attenta lettura, questa relazione (9 pagine dattiloscritte), redatta da un certo M. Porta (o Poli?) (la firma appare di 5 lettere, e non è escluso che possa trattarsi del colonnello o generale di brigata Mario Poli. La prosa non è molto felice, ma probabilmente la relazione è stata stesa in uno stato d'animo piuttosto turbato) se ben leggiamo la firma, che era molto probabilmente un ufficiale ben introdotto al comando dell'8a Armata, appare a dir poco sconcertante. Un impietoso ritratto di debolezza più morale che materiale. Tale rapporto, nonostante la sua crudezza, invece di suscitare immediate reazioni e provvedimenti fu fatto passare praticamente sotto silenzio.

In sostanza, si sottovalutò o si cercò di minimizzare la crisi che si stava diffondendo mano a mano che si allontanava la speranza di una vittoria, latente, come gli avvenimenti dei mesi successivi dimostreranno. anche nelle altre Grandi Unità. Altrettanto si fece per mascherare i numeri della sconfitta, evitando, con il pretesto dell'inopportunità politica, di diramare un comunicato ufficiale in proposito. Entità che però ugualmente emergeva (e nonostante ogni censura) dai vari "chi lo ha visto" con fotografia fatti pubblicare periodicamente sui giornali dalle famiglie di coloro che non sarebbero più tornati.

Quanto si verificò durante la Seconda Battaglia del Don, com'essa è passata alla storia, è noto tanto nelle linee generali quanto nei particolari. Ancora "a caldo", nel 1946, quando ancora non si conosceva appieno la terribile sorte dei nostri prigionieri in Unione Sovietica, apparve un sommario sull'"8a Armata nella battaglia difensiva del Don" pubblicato dall'Ufficio Storico dello S.M. Esercito. e solo più tardi completato dall'esauriente sintesi (oggi giunta alle terza edizione) di De Franceschi, De Vecchi e Mantovani sulle "Operazioni delle Unità Italiane al Fronte Russo", edita nel 1977. Per non dire delle altre numerose opere dedicate allo stesso argomento, ivi compreso un recente saggio di chi scrive (in "Rivista Italiana Difesa", n. 3/1993) basato non soltanto su quanto fino ad allora noto, ma soprattutto su una precisa documentazione ufficiale (Comando Supremo. 1° Reparto, Ufficio Operazioni Esercito, Scacchiere orientale, all'oggetto di "Fronte russo - 8a Armata", del 21 marzo 1943). Tale ricostruzione era articolata in cinque parti: Svolgimento battaglia del Don - 1a fase (11-20 dicembre 1942); ripiegamento del II e del XXXV Corpo d'armata; ripiegamento del Corpo d'armata alpino; movimento dell'8a Armata verso la zona di ricostituzione; ricostituzione e impiego in Russia del II Corpo d'Armata.

A quest'ultima ricostituzione saggiamente si volle rinunciare nonostante - come rivela un altro documento del fondo Alicicco (comunicazione al Duce del Maresciallo Ugo Cavallero, Capo di S.M. Generale, circa l'udienza accordatagli da S.M. il Re il giorno 13 gennaio 1943) - il 13 gennaio 1943 il re Vittorio Emanuele III avesse affermato, dopo essere stato messo al corrente delle perdite subite in Russia, di non sopravvalutarle ed anzi di essere favorevole alla ricostituzione di un corpo d'armata - il II - in quel teatro di operazioni.