domenica 9 febbraio 2020

L'Armata Italiana in Russia

1941-43 L'Armata Italiana in Russia: a mio parere il più bel documentario prodotto in italiano sullo CSIR e l'ARMIR... corretto, equilibrato e soprattutto tutto da vedere.

venerdì 7 febbraio 2020

Ricordi...

Facebook mi propone oggi questa fotografia e questo ricordo... era il gennaio 2013, il primo trekking in Russia organizzato da me; così tanto voluto, così tanto desiderato che solo al rientro mi sono reso conto di cosa ero riuscito a realizzare: un sogno! Era il penultimo giorno di marcia; alla sera saremmo arrivati a Nikitowka e il giorno dopo avrei visto finalmente Nikolajewka. Non è stato un inverno mite come quest’ultimo: alcuni giorni di prima mattina la temperatura era anche di -28 gradi sotto zero, e il gruppo, dalle iniziali otto persone che eravamo, si era già ridotto a sei: l’esaurimento fisico aveva già mietuto alcune vittime. Quella mattina il cielo era bellissimo, l’aria tersa e fredda; ogni volta che si chiudevano gli occhi, le ciglia si incollavano fra loro; il passamontagna si copriva di ghiaccio e diventava rigido; improbabile tenere una mano senza guanti per troppi minuti.

Quella mattina la nostra guida ci propose due possibili itinerari: uno più lungo ma su strade battute anche se ricoperte dalla neve (e quanta neve quell’anno) ed uno leggermente più corto ma totalmente o quasi in mezzo ai campi; ci siamo guardati in faccia e alla fine abbiamo optato per la seconda soluzione. Si partiva dal villaggio di Garbusowo... quest’anno per percorrere la tratta Garbusowo-Nikitowka abbiamo marciato per 37 km; nel 2013 furono di meno ma non molti di meno.

Fu e rimane nella mia testa e nel mio cuore la giornata più memorabile trascorsa in Russia: tutto il giorno o quasi a camminare nel nulla; solo silenzio, fatica ed il rumore della neve sotto gli scarponi... quel caratteristico rumore che i nostri soldati descrivevano nei loro libri e che presero presto tanto ad odiare. Un mare, anzi un oceano bianco senza fine e senza punti di riferimento, se non una balca o un filare di alberi. Solo verso metà della giornata incontrammo un piccolo villaggio completamente abbandonato; la domanda fu immediata: saranno passati anche loro di qua e avranno trovato riparo 70 anni prima in queste misere isbe?

Arrivammo a Nikitowka alla sera; era quasi già buio. Quel giorno in particolare la stanchezza si stava facendo sentire; mancava un solo giorno alla fine di tutto quanto. Per una giornata, per qualche ora avevamo davvero viaggiato in un altro mondo, in un’altra epoca, fuori e lontano da tutto ciò a cui eravamo e siamo tutt’oggi abituati. A distanza di anni ricordo ancora quel senso di vuoto e di mancanza di punti di riferimento che deve aver pervaso i nostri soldati in situazioni ben peggiori da quella che avevamo appena affrontato.

Ogni volta che parlo di Russia e tengo una serata in memoria del sacrificio di quei ragazzi, parto con questa immagine, perché in uno scatto c’è davvero tanto di Russia, di quella Russia che qualcuno di noi va ancora cercando.

lunedì 3 febbraio 2020

Antonio Andrioli

Quadrivio di Selenyj Jar... dicembre 1942... la Julia è schierata nel nulla per tamponare la falla del fronte dopo che migliaia di russi armati di tutto punto hanno schiacciato e travolto le nostre divisioni di fanteria schierate sul Don. Cosseria, Ravenna, Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca, insieme alle Legioni CC.NN. Tagliamento, Leonessa, Montebello e Valle Scrivia provarono a resistere fin dove era possibile e poi la rotta. Nella Julia ed esattamente nel Battaglione Misto Genio c'era all'epoca giovane Tenente, il caro Colonnello Andrioli di Torino. Dopo aver resistito per quasi un mese anche lui iniziò il ripiegamento e finì per essere catturato insieme a tanti a Valujki. Le marce del davai, la prigionia per mesi, la morte, il cannibalismo, tutto vide il povero Antonio.

L'ho conosciuto anni fa e da subito mi affezionai a quell'uomo tanto buono e tanto mite. Insieme a Silvia, amica e compagna di tante avventure in Russia alla ricerca di ciò che solo noi sapevamo e sappiamo, ho passato pomeriggi ad ascoltare i suoi racconti, le sue spiegazioni con la cartina della Russia aperta sul tavolo. Il Colonnello, come sempre lo chiamavamo noi, era sempre presente e attento a tutti i particolari.

Ma poi quando parlava dei suoi tanti ragazzi persi soprattutto a Selenyj Jar il suo sguardo si staccava da noi e si perdeva lontano. Parlava con noi ma in quei momenti si capiva che stava tornando là... li rivedeva e io cercavo, guardandolo negli occhi di capire cosa mai potesse avere visto e provato quell'uomo. Si, soffriva e io sono convinto che soffriva forse anche per essere tornato a casa, al contrario di quei ragazzi lasciati, per forza maggiore, nella steppa.

Raccontava sempre con quella sua voce mite e tranquilla dei suoi ragazzi, in qualche modo li cercava... se sono quello che sono sulla Russia lo devo anche al Colonnello e a quelle sensazioni che è sempre riuscito a trasmettermi.

Antonio è morto il 7 settembre 2014; sono già passati così tanti anni... quest'anno sono tornato a Selenyj Jar e girare per quelle quote, cercando una qualsiasi testimonianza relativa alla presenza dei nostri soldati è stato come cercare anche lui. Camminando mi sono chiesto tante volte dove lui e i suoi soldati fossero esattamente 77 anni fa; non posso saperlo ma so che tornare lì è servito a ritrovare lui, anche se ormai sono passati 5 anni e mezzo dalla sua scomparsa.

A presto carissimo Antonio; presto tornerò lì a trovarti dove hai lasciato i tuoi ragazzi e un pezzo di importante del tuo cuore!



sabato 1 febbraio 2020

Albino, eroe di Russia

La commovente storia di Albino, tratta dal bellissimo libro di Vincenzo Di Michele, "Animali in guerra vittime innocenti".

Albino fu assegnato da puledro al 3° Reggimento Savoia Cavalleria a Milano tra le due guerre mondiali, presumibilmente nel 1936. Aveva allora quattro anni e si era già fatto notare tra i suoi compagni di scuderia, arrivando primo in molte gare. Stando a Milano forse credeva che tutti gli uomini fossero buoni come i soldati del suo squadrone o come il giovane sottufficiale, al quale era stato assegnato: il sergente maggiore Giuseppe Fantini. Albino era felice: la biada era fresca e abbondante, frequenti le galoppate e sempre pulita la paglia del suo giaciglio.

Ma un giorno scoppiò la seconda guerra mondiale, il "Savoia Cavalleria" partì in Russia, e Albino seguì il suo reggimento e il suo amico Fantini. Tutto adesso era cambiato per lui, ma si sentiva orgoglioso di dividere con i soldati i pericoli dei combattimenti. Siamo nell'estate del 1942, nella steppa del Don, il reggimento era dislocato a difesa di quota 213.5, una piccola sommità in mezzo a una vasta pianura, piena di girasoli verso il Don. All'alba del 24 agosto, il comando del reggimento, capì che i russi approfittando dell'alta vegetazione, erano a meno di un chilometro, quindi vicinissimi, e in procinto di accerchiarli.

Il comandante del "Savoia", Gen. Alessandro Bettoni Cazzago, allora non perde tempo e ordinò al comandante del 2° squadrone (quello di Albino) Francesco De Leone di attaccare il nemico. Albino si trovò in mezzo alle grida incitanti dei soldati e agli squilli di tromba "della carica".

Con le orecchie diritte, fremente, si lanciò con il suo cavaliere contro il nemico. Era la carica di Isbuscenskij, la più gloriosa carica della cavalleria italiana. Le cariche si succedettero ininterrottamente per buona parte della giornata e Albino continuò a galoppare insieme agli altri cavalli, anche se a un certo punto si accorse di non avere più in sella il suo amico Fantini, colpito da una raffica di mitragliatrice nemica.

Fu una grande vittoria! Seicentocinquanta cavalieri avevano combattuto e ricacciato indietro, duemila siberiani. Le nostre perdite ammontarono a 32 morti (3 ufficiali), 52 feriti (5 ufficiali) e più di 100 cavalli fuori combattimento. I russi avevano lasciato sul campo 150 morti, 300 feriti, 500 prigionieri, 4 cannoni, 10 mortai, 50 mitragliatrici e centinaia di fucili.

Tra i prigionieri c'era un intero comando di battaglione e anche alcuni plotoni di mongoli, interamente equipaggiati con uniformi italiane preda di una precedente nostra sconfitta. Che fine aveva fatto Albino? Alla fine della giornata, quando si ricomposero i corpi dei nostri soldati, si riconobbe il corpo del sergente maggiore Fantini, ma di Albino nemmeno l'ombra.

Solo dopo due giorni, Albino fu avvistato, mentre zoppicando, tornava al suo reggimento. Povero Albino, non era più l'Albino che era partito pieno di forze dal campo due giorni prima. Stava rientrando dai suoi compagni - proprio mentre il reggimento stava ritirandosi su posizioni più sicure - con una profonda ferita in una zampa dalla quale usciva ancora sangue e inoltre era privo di uno dei suoi mitissimi occhi, il sinistro.

La guerra di Russia era oramai giunta al suo epilogo e Albino sebbene gravemente ferito partecipa alla ritirata e riesce a giungere in Italia con i superstiti del "Savoia". Con la baraonda dell'otto settembre del 1943, di Albino si perde ogni traccia. Finisce la guerra e il reggimento "Savoia Cavalleria" si ricostituisce a Milano e torna nella sua sede di via Vincenzo Monti.

Un giorno del 1946, il reggimento per una cerimonia, si trova a Somma Lombardo con la propria fanfara. In quel piccolo paese, per lo più di contadini, si riunisce una piccola folla per vedere sfilare gli squadroni, quando da una strada adiacente a quella da dove sta transitando il reggimento, si sentono grida, urla, nitriti e un gran baccano. Un cavallo, forse imbizzarrito, legato a un carretto pieno di verdura, si dimenava tra la folla correndo all'impazzata verso la sfilata dei reparti.

Quel giorno, il comandante dello squadrone a cavallo del "Savoia" era il capitano De Leone, il quale capisce subito che il galoppo forsennato di "quel ronzino" non poteva essere casuale, ma aveva qualche cosa di familiare. Fa fermare la marcia del reggimento e raggiunge il cavallo che nel frattempo di era calmato arrivando vicino ai soldati. Da una sommaria ispezione non potevano esserci dubbi. Era lui, proprio Albino, il quale alle note della fanfara aveva riconosciuto il suo reggimento.

Il cavallo era scheletrico, il pelo a chiazze, ma il capitano De Leone vede il ciuffo candido a stella in mezzo alla fronte, il suo modo di piegare la testa dalla parte dell'occhio cieco, come per un'istintiva difesa. Con un'emozione indicibile, De Leone allora gli solleva lo zoccolo destro e con grande gioia riconosce il marchio del reggimento. Albino viene quindi subito riscattato e rientra al suo reggimento, dove gli viene costruita una casetta con sopra il suo nome e una fotografia del sergente maggiore Fantini.

Perché nessuno potesse dimenticarsene, scrissero anche per lui, in prima persona, l'intera storia a grandi lettere nere sulla parete imbiancata a calce, firmandola con il disegno del suo zoccolo destro seguito dai titoli di benemerenza: "Mutilato, Ferito e Reduce di Russia". La storia di Albino intanto viene a conoscenza anche del Ministro della Difesa che ne perora la causa in Parlamento, affinché gli fosse concessa una pensione a vita (l'unica finora concessa a un animale) e ospitato quale mascotte del reggimento.

Negli ultimi anni della sua vita, Albino ha avuto nella sua casetta un altro compagno: l'asinello Mariolino che gli ha fatto compagnia fino alla morte. Da quando Albino tornò al suo reggimento e la sua storia fu di dominio pubblico, ricevette molte visite di scolaresche e di semplici cittadini che volevano vedere l'eroico quadrupede reduce della Campagna di Russia.

Albino partecipò sempre alle sfilate del reggimento, finché le sue zampe lo permisero, poi dopo tanti anni di servizio alla Patria morì il 21 ottobre 1960 e fu imbalsamato e collocato prima al museo dell'Arma di Cavalleria di Pinerolo (TO), quindi trasferito nel museo reggimentale di Grosseto, dove si trova ancora quale preziosa reliquia di un mondo scomparso e simbolo di una fede patriottica che anche un cavallo seppe dimostrare.

Questo il testo esposto su pergamena collocata vicino alla corpo imbalsamato del valoroso cavallo:

Ringrazio il Reggimento “Gorizia Cavalleria 3°” per avermi concesso di trascorrere la vecchiaia nella scuderia del mio Colonnello Bettoni, comandante ad Isbuscenskij, ed auguro “bonnes nuovelles” al Reggimento, allo Stendardo ed ai suoi cavalli corazzati. Occhio cieco conserva luminosa l’immagine del glorioso stendardo, la mia gamba lancina per la ferita da guerra: orgoglio di combattente, le mie orecchie odono sempre la tromba del Caricat ed il grido incitatore degli squadroni al galoppo verso la morte, la gloria e la vittoria, la mia groppa porta ancora la sella affardellata ed in arcione è sempre Fantini, il sergente maggiore che colpito a morte tenne la punta della sciabola verso il nemico in fuga, la mia memoria vive del ricordo di tutti gli eroici Cavalieri che nella leggendaria carica di Isbuscenskij scrissero col sangue la più bella la più gloriosa pagina di Storia della cavalleria di tutto il mondo. Albino - Mutilato, ferito e reduce dalla Russia.”

Le due immagini sono relative al grande Albino ed alla scheda UNIRR del sergente maggiore Giuseppe Fantini, onore a loro, protagonisti di un'epoca ormai tramontata, quando gli ideali di Patria e di Onore avevano un senso e soprattutto un grande seguito!



Mario Paolucci, un eroe dimenticato

Motivazione della Medaglia d'Oro al Valor Militare "alla memoria" concessa alla Camicia Nera Paolucci Mario del 79° Battaglione CC.NN.

Insofferente di attesa, pur essendo ufficiale in congedo, si arruolava come semplice gregario. Sempre volontario nelle azioni più rischiose, durante violento combattimento, si lanciava all’assalto di munite posizioni a colpi di bombe a mano, esempio e incitamento a tutti i compagni. Gravemente ferito al braccio destro, non desisteva dall’azione continuando a combattere con leonino coraggio. Raggiunta la posizione avversaria e determinatosi un violento contrattacco, poiché scarseggiavano le munizioni, attraversava la zona battuta portando alcune cassette di rifornimento con il solo braccio sinistro. Visto cadere il proprio ufficiale, mentre più furiosa si scatenava la reazione nemica, prontamente accorreva per portargli aiuto. Colpito da una raffica di mitragliatrice che gli immobilizzava anche il braccio sinistro, raggiungeva carponi l’ufficiale e afferratolo con i denti per un lembo della giubba, in un supremo sforzo, riusciva a trascinarlo, per breve tratto finché, colpito a morte, consacrava sul campo di battaglia il suo indomito eroismo. - Schterowka (Fronte russo), 17 luglio 1942.

Oggi le spoglie mortali della Camicia Nera Paolucci Mario riposano all'interno del Tempio di Cargnacco in provincia di Udine.



venerdì 31 gennaio 2020

Il Tenente Scalabrino

Ringrazio vivamente il gentile signor Matteo Nardoni per il materiale esclusivo fornitomi che qui pubblico.

Questo è il rapporto del Tenente Medico Dino Scalabrino (originario della provincia di Pistoia e mobilitato con il 628° Ospedale da Campo) della Divisione Julia e che gli valse un encomio solenne: "Durante un attacco di carri armanti nemici si prodigava nell'assistenza di numerosi feriti che, con rischio personale, riusciva a far sgomberare e a portare in salvo".

I fatti di seguito elencati si svolsero il 17 Gennaio 1943 tra la salita di Podgornoje e Postojali.







giovedì 30 gennaio 2020

Il Tenente Rebeggiani

Quando una scoperta vale tutto un viaggio: dopo anni di letture e ricerche sono finalmente riuscito ad individuare e vedere la famosa quota 204.6 dove il Tenente Rebeggiani del Battaglione l'Aquila fu ucciso in combattimento. Per me una scoperta che corona anni di lavoro sulla Campagna di Russia.

La prima immagine è una cartina con la posizione della quota di fronte all'abitato di Ivanowka; la seconda immagine è relativa alla quota difesa con il caposaldo a 360° vista da Google Earth.

La motivazione della Medaglia d'Oro al valor militare: «Eroico combattente d'Albania, benché assegnato a servizio condizionato presso un deposito per ferite riportate in combattimento, chiese ed ottenne di seguire il suo battaglione in partenza per il fronte russo. In più giorni di sanguinosi combattimenti, contro nemico preponderante di uomini e di mezzi combatté ininterrottamente. Col suo coraggio fu di esempio costante ai suoi alpini. Il suo valore culminava il giorno 22 dicembre, quando, comandante di un plotone sciatori arditi, occupava di sorpresa una importante posizione che il nemico aveva strappato ad altro reparto. Contrattaccato più volte rimaneva in posto con mirabile fermezza, anche quando il suo plotone era quasi distrutto. Benché ferito, visto il nemico che si ritirava, riuniti i pochi superstiti, noncurante del micidiale fuoco di artiglieria, si slanciava all'inseguimento; ferito una seconda volta incitava i suoi alpini a proseguire nella lotta gridando: "Avanti, L'Aquila". Colpito a morte consacrava la sua vita alla Patria.» - Fronte Russo, Ivanowka quota 204, 19-20-21-22 dicembre 1942.



mercoledì 29 gennaio 2020

Appuntamento a Sesto San Giovanni

Per chi fosse interessato parleremo di Russia sabato 15 febbraio dalle ore 16.30 a Sesto San Giovanni!

Sono tornato a casa

Anche questa volta sono tornato a casa, mentre "loro" sono rimasti ancora là; sono tornato a casa ancora con emozioni e pensieri da condividere, mentre alcuni sono troppo miei per scriverli.

Qual'è il senso di un viaggio come questo? Cosa ti spinge ad andare una e poi altre volte in mezzo al nulla? Cosa realmente ti riporti a casa da un'esperienza di questo tipo?

In qualche modo cammini in mezzo a "loro" anche senza vederli, ma li cerchi con lo sguardo e con la testa; vuoi capire meglio cosa è stato, ma non potrai mai comprenderlo totalmente. Allora speri che faccia più freddo, che arrivi la tempesta, che tutto peggiori, per avvicinarti il più possibile alle "loro" condizioni. E poi guardi i tuoi compagni di viaggio e cerchi d'immaginare i loro pensieri; capisci così che persone diverse in questi luoghi possono comunque avere quel minimo denominatore comune che è provare e capire qualche cosa di più di quello che la tua mente può darti.

Allora vedi persone che si fermano improvvisamente e guardano lontano quasi a cercarli e poi si girano verso di te commossi; persone che si bloccano nella neve o nel fango perchè vogliono fotografare mentalmente un momento da poter rivedere ed elaborare a casa quando tutto sarà finito; persone che si staccano dalla fila perchè hanno bisogno di non parlare con nessuno e di stare sole con i loro pensieri.

Abbiamo attraversato località note e raggiunto punti importanti, ma in realtà ogni momento della camminata era unico e diverso dagli altri, perchè ad ogni passo potevamo passare nelle immediate vicinanze dei resti di uno che non è mai tornato a casa. Abbiamo fatto delle cerimonie per commemorarli tutti, ma io preferisco il silenzio in questi luoghi, preferisco sostare da solo davanti ad una lapide, preferisco così senza clamori.

Siamo andati in Russia e si viene in Russia non per celebrare sè stessi ma per "loro", esclusivamente per "loro". E quello che si condivide serve per fare vedere anche a chi non potrà mai venire, cosa abbiamo visto noi con i nostri occhi. Alla fine è tutto qui il senso di andare in Russia...