sabato 20 maggio 2023

Italiani brava gente, introduzione

PREMESSA.

Questo nuovo studio che ho voluto intraprendere e successivamente pubblicare, non vuole gettare discredito sui nostri soldati (e 7 anni di pubblicazioni a ricordo e in loro onore ne sono la prova), ma esclusivamente raccontare una pagina di storia che li riguarda e che, penso volutamente, è stata in parte accantonata. Se questa è la verità, qualsiasi essa sia deve essere raccontata. Erano uomini e come tali soggetti anche ad azioni che oggi riteniamo riprovevoli, ma che vissute direttamente e sulla propria pelle, hanno un senso diverso e come tali vanno prese e non giudicate senza minimamente avere vissuto analoghe e così drammatiche esperienze. Anche tutto questo è raccontare la loro storia e le sofferenze provate.

INTRODUZIONE.

Quante volte viene utilizzata la frase "Italiani brava gente" per identificare i nostri soldati in Russia, soprattutto per differenziare il loro comportamento rispetto a quello dei tedeschi e non solo... si anche perché rumeni e ungheresi nella letteratura sono visti e raccontati spesso come soldati arroganti e con pochissimo rispetto verso le popolazioni dell'Unione Sovietica. Ma è davvero così? Io questa domanda me la sono fatta svariate volte, partendo da una considerazione: su altri fronti e in altri contesti i nostri soldati sono "raccontati" in altro modo; basti pensare alla Jugoslavia e ad uno dei più famosi libri sul tema.

Parlo del testo "Si ammazza troppo poco. I crimini di guerra italiani, 1940-43" di Gianni Oliva. Da una prefazione: "Il titolo è tratto testualmente da un intervento dell'agosto 1942 di Mario Robotti comandante dell'XI Corpo d'Armata in Slovenia. Senza dimenticare il generale Mario Roatta comandante della 2a Armata che raccomandò ai suoi uomini: “Non dente per dente, ma testa per dente". Insomma gli italiani in guerra, in Grecia, nel Balcani, in Africa, ma anche altrove, non sono stati per niente "brava gente": basti pensare che alla fine del conflitto ad una Commissione internazionale furono inoltrate nei confronti di autorità civili e militari 997 richieste di estradizione per crimini di guerra perpetrati contro i civili e 863 per crimini contro i prigionieri di guerra. Niente a che vedere ovviamente con le percentuali raggiunte dai tedeschi, ma le cifre "stanno a dimostrare - dice Oliva - che il soldato italiano non è stato né peggiore né migliore di quello britannico, francese o americano". Lo stereotipo insomma è proprio uno stereotipo, ma ha avuto una funzione ben precisa: elaborare un'immagine della storia del passato ad uso del presente. E qui Oliva allarga la sua analisi: il mito dell'italiano buono è servito a vari obiettivi, tutti assolutori. Il primo è stato quello di dissociare il popolo da Mussolini e dal fascismo che sono stati una parentesi della storia italiana. Tutto quello che il fascismo e la monarchia hanno fatto - dall'alleanza con la Germania nazista, alle leggi razziali, alla guerra 1940-1943 - non c'entra con gli italiani i cui veri valori - secondo obiettivo - sono stati rappresentati prima dall'antifascismo durante il ventennio e dopo dalla resistenza, vera e propria “guerra di popolo”. Non a caso l'Italia ha finito la guerra dalla parte dei vincitori. Una ricostruzione che sta bene sia ai governi centristi dal 1947 in poi preoccupati di salvare la continuità del ceto dirigente fortemente compromesso, invece, con il fascismo, sia alle forze di sinistra a cominciare dal Pci togliattiano che trova nella resistenza di popolo la sua legittimazione come forza politica nazionale. Manca l'ultimo tassello: rimuovere tutto ciò che può incrinare la normalizzazione e quindi stendere il silenzio sui crimini e i criminali di guerra. Per farlo non si guarda tanto per il sottile e qui entra in scena quello che Oliva chiama "il baratto delle colpe". Ne è teorico l'allora ambasciatore italiano a Mosca Pietro Quaroni: se l'Italia, come presunta potenza vincitrice, si ostina - dice - a chiedere di processare i criminali di guerra tedeschi, non potrà dir di no alle richieste di far processare i "suoi" di criminali. E questo - aggiunge - rischia di inceppare il meccanismo di ricostruzione dell'identità nazionale e l'immagine della nazione stessa".

In Jugoslavia, ma non solo, gli stessi soldati che poi parteciparono alla Campagna di Russia (ovvero fanti, bersaglieri, alpini, camicie nere, ecc.) ebbero un comportamento "feroce" nei confronti sia della popolazione che dei partigiani presenti; questi episodi ci vengono raccontati, spesso con enfasi, a sottolineare come anche noi, con i nostri soldati e con i nostri comandanti, ci siamo comportati a volte non da meno dei tedeschi. Ma questo non succede nella Campagna di Russia, non accade. Avete mai sentito o letto di un episodio simile verificatosi sul fronte orientale? Io qualche domanda in questo senso me la sono fatta e mi sono anche dato qualche spiegazione.

Una fra tutte: il contesto ha fatto la differenza e fa sempre la differenza, ovvero dobbiamo considerare che le nostre truppe si trovarono ad operare principalmente in Ucraina e non lontano dalla stessa. In particolare in Ucraina c'era un forte sentimento antisovietico, tant'è che inizialmente anche le truppe tedesche furono accolte come "liberatrici" dal giogo sovietico. Il movimento partigiano in quelle zone era presente, ma in misura assolutamente inferiore rispetto ad altre zone dell'Unione Sovietica e spesso gli ucraini stessi affiancavano le nostre truppe (e quelle tedesche), anche ricoprendo ruoli di controllo, di polizia e di presidio. Ovviamente tutta questa situazione non portò praticamente mai o quasi mai a situazioni estreme e conflittuali anche e soprattutto con la popolazione. Ma se così non fosse stato, siamo certi che saremmo anche oggi ricordati come "Italiani brava gente" o come "Italianski Karasciò"?

Oppure più semplicemente anche uno di noi, inserito in un contesto altamente critico e problematico, potrebbe trasformarsi in un'altra persona e compiere azioni paragonabili ad un "crimine di guerra"? E poi davvero anche durante la Campagna di Russia tutto andò così come ci è stato raccontato, oppure volutamente ci è stata tramandata un'immagine del nostro soldato, sempre esemplare, al contrario di quanto ci viene riportato dello stesso su altri fronti o in altri contesti? Ho voluto cercare delle risposte, per il semplice motivo che mi piace conoscere la verità, qualunque essa sia, anche quella che non è comoda e non ci fa piacere.

Ma a prescindere trovo anche questo un atto di rispetto verso chi, 80 anni fa, si è trovato, magari suo malgrado, ad affrontare prove che oggi noi al momento abbiamo la fortuna di non dover vivere e provare sulla nostra pelle. Anche perché noi dietro ad una scrivania o seduti comodamente su un divano, non abbiamo vissuto quello che loro al contrario hanno vissuto e non possiamo giudicare con obiettività quei momenti così tragici ed intensi.

Come indicato, ho appunto voluto approfondire questo tema e cercare delle risposte, e l'ho fatto con due testi in commercio che trattano queste situazioni, a mio avviso con obiettività e con prove documentate d'archivio: "Criminali di guerra italiani - Accuse, processi e impunità nel secondo dopoguerra" di Davide Conti e "Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943" di Thomas Schlemmer. Quest'ultimo, il cui titolo originale in tedesco risulta essere "Die Italiener an der Ostfront 1942/1943. Dokumente zu Mussolinis krieg gegen dei Sowjetunion" e letteralmente tradotto è "Gli italiani sul fronte orientale 1942/1943. Documenti sulla guerra di Mussolini contro l'Unione Sovietica" e che non viene valorizzato da una traduzione inutilmente inadeguata, risulta essere una fonte davvero ricca di documenti e aneddoti per comprendere la nostra guerra nella Campagna di Russia.

Nei prossimi articoli riporterò alcuni estratti dei due libri citati per cercare di inquadrare al meglio la vicenda ed i comportamenti delle nostre truppe sul fronte orientale.

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