domenica 16 aprile 2023

Autieri in Russia

Spesso pensiamo e ricordiamo i reparti combattenti, quelli di prima linea, che si sacrificarono fino all'estremo per compiere il proprio dovere, trascurando ingiustamente tutti quei soldati che solo raramente ebbero occasione di scontrarsi con il nemico di allora. Ecco un esempio del valore che anche questi soldati seppero dimostrare, sia al nemico che all'alleato.

Il racconto è tratto dal testo "I servizi logistici delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943)" edito dal Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico.

Un episodio indica lo stato d'animo degli autieri. Negli ultimi giorni della difesa di Karkov (febbraio 1943), si presentò al Direttore dei Trasporti dell'Intendenza un tenente colonnello dei carristi tedeschi, accompagnato da un altro ufficiale e da tre soldati, chiedendo l'assegnazione di cinque autocarri per un urgente rifornimento di munizioni a mezzi corazzati tedeschi impegnati in azione al margine nord-orientale della città. L'adesione era stata immediata, ma quando il tenente colonnello si avvide che gli autocarri sarebbero stati guidati dal personale che li aveva in consegna, non seppe trattenersi dal far intendere che avrebbe preferito avere i soli mezzi senza gli uomini. L'ufficiale tedesco venne invitato a scendere nel cortile dove si stava operando la scelta dei cinque conducenti volontari. A tutti i soldati italiani presenti fu spiegato dal Direttore dei Trasporti, mentre un interprete andava traducendo le parole affinché fossero intese anche dagli stranieri, come l'ufficiale superiore tedesco desiderasse avere i soli autocarri per risparmiare ai soldati italiani i pericoli del combattimento in corso. Il superiore italiano domandava a quella cinquantina di autieri se tra di loro ve ne fossero cinque pronti a dimostrare all'ufficiale germanico che la sua diffidenza sul coraggio degli alleati era ingiustificata. Tutti i presenti, nessuno escluso, si fecero avanti di tre passi per offrirsi all'invito. I prescelti, compiuto in tempi diversi il loro servizio, rientrarono regolarmente al reparto, elogiati dai comandanti tedeschi a favore dei quali avevano operato. Furono poi premiati con ricompense al valor militare italiane e tedesche.

venerdì 14 aprile 2023

Il viaggio del 2013, da Postojalyi a N.Karcowka

Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Domenica 20 gennaio - 2a tappa Km.17: da Postojalyi a Nova Karcowka. Partenza da Postojalyi.







Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 10

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, decima parte. P.S. oggi questa testimonianza ha ancora più valore perché, seppur ho conosciuto il Signor Gianluigi una sola volta al telefono, ho appreso qualche settimana fa che ha raggiunto il suo povero padre; ad entrambi va la mia più profonda stima e il mio ricordo.

Breve biografia.

Il suo corpo, come sopra ricordato, viene deposto, con gli onori militari, nel cimitero militare campale di Jussowo, alla periferia della città di Stalino (ora chiamata Donetz, il suo antico nome, nella Repubblica Ucraina), in una zona allora quasi campestre, accanto al nostro ospedale militare campale 159. Il cimitero è sistemato dignitosamente a cura dei cappellani militari, che provvedono a recintarlo, a porre croci metalliche su ogni sepoltura, a erigere una grande croce centrale (fortunosamente recuperata dai reduci dell'UNlRR - Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia - negli anni novanta e riportata in Italia), a redigere la documentazione atta a rendere identificabili le spoglie dei caduti ai fini di un loro rientro in Patria. In particolare, accanto a ciascuna salma viene posta una bottiglia di vetro sigillata, contenente un foglio dattiloscritto con tutti i dati necessari per l'identificazione del defunto. Dopo circa sessant'anni sono state ritrovate quelle bottiglie, intatte, che hanno consentito di dare l'esatta identità ai corpi riesumati.

Su quel cimitero, però, come su tutti gli altri che accolgono i corpi dei nostri caduti (circa 5.300) nei fatti d'arme precedenti la ritirata dell'inverno '42/'43, cala la cortina di ferro e con essa l'oblio. L'ordine di Stalin, una volta riconquistati i territori già occupati dalle forze italo-tedesche è quello di distruggere ogni traccia della loro presenza, fossero anche i cimiteri. L'annullamento, pertanto, di ogni segno esteriore di cristiana pietà per i defunti, unito alla scarsa attenzione riservata al culto dei morti da parte delle popolazioni locali, oltre che al clima politico italiano, certamente non favorevole all'argomento, (basta ricordare la famosa lettera di Togliatti sui nostri soldati in Russia!) ed internazionale del dopoguerra fino alla fine dell'Unione Sovietica, hanno fatto si che delle sepolture dei nostri soldati deceduti in combattimento durante la campagna di Russia, per non parlare delle decine di migliaia scomparsi in prigionia, per quasi mezzo secolo si sia perso il ricordo. Quei nostri fratelli è come se fossero morti una seconda volta!

E' bello ricordare qui, a chiusura della breve biografia del capitano Iannicelli, anche perché potrebbe essere lui un partecipe di quanto narrato, un ricordo di quelle vicende lontane e terribili, che videro coinvolti tanti nostri giovani di allora, che le vissero con coraggio e dignità e che sono perlopiù sconosciute ai giovani d'oggi, perché nessuno le ha loro raccontate. Scrive il comandante Enrico Meille, nella sua opera sui piloti da caccia, raccontando di combattimenti avvenuti nel territorio del Don: "La neve cadeva anche sui campi di battaglia del fronte del Don e nella notte il termometro era disceso di parecchi gradi sotto lo zero. Ma la neve e il freddo non avevano minimamente influito sul corso delle operazioni che si svolgevano secondo i piani prestabiliti, e anche di questo si era tenuto conto. E tutti gli uomini delle macchine, che sulla terra e nel cielo combattevano, avevano visto con gioia scomparire uno dei loro nemici più caparbi ed insidiosi: il fango.

Ora la palude era finita, il fango non c'era più. Sul terreno che il gelo della notte rendeva simile a pietra e il sole delle serene giornate non bastava a disciogliere, le colonne camminavano velocissime. Le nostre divisioni, a stretto contatto col nemico, sempre avanzavano verso gli obiettivi che erano stati loro assegnati e l'aviazione si spostava anch'essa in avanti, a ridosso delle prime linee, dovunque la sua opera poteva essere utile. Ed aveva anche la somma ventura di essere chiamata ad operare a diretto contatto con le truppe, a partecipare anch'essa all'assalto e al balzo in avanti, seguendo gli uomini che avanzavano curvi con il moschetto in una mano e la bomba nell'altra, sotto il tiro delle armi da accompagnamento. Tacevano i cannoni, tacevano le mitragliatrici, tacevano i mortai; la lotta si svolgeva uomo contro uomo, petto contro petto. E anche gli aeroplani da caccia si avventavano giù nella mischia mirando all'uomo, alla postazione, al nucleo di trincea.

C'era, in quei giorni su questo fronte, un nodo ferroviario conteso. Avanzando con animoso slancio, un nostro reggimento l'aveva occupato. Ma il nemico contrattaccava in forze, concentrando contro il nucleo dei nostri, che tenacemente si difendevano, tutti gli uomini, tutti i mezzi e tutte le risorse di cui disponevano nel settore. Una squadriglia di caccia del gruppo "Spauracchio " (22° gruppo caccia terrestre), che già molte vittorie aveva colte in questo cielo, aveva avuto l'onore di essere designala a collaborare direttamente con le truppe avanzanti. L'azione si svolgeva con scelta di tempi e di concomitanze perfetta. Mentre i bersaglieri scattavano all'attacco, la formazione dei caccia appariva nel cielo della battaglia. Cielo grigio. basso, minaccioso, carico di neve che ancora non si decideva a cadere. Minuscoli contro le nuvole enormi, sono apparsi gli apparecchi stretti ala contro ala, secondo una tecnica che ormai è diventata una tradizione. Avevano scelto un bersaglio, si erano abbassati in fulminea picchiata, tempestando di fuoco la terra e il nemico.

Sotto l'arco di fuoco erano avanzati i bersaglieri. Dinnanzi a loro la terra zampillava sotto i colpi delle mitragliatrici aeree. Il nemico non sparava più, appiattito contro terra dalla massa implacabile di fuoco e dal ruggito fragoroso dei motori a pochi metri di altezza. Due, tre volte, sei volte sono tornati gli aerei all'assalto, mentre il corpo a corpo si accendeva al basso. Bersaglieri e aviatori italiani. La vittoria.







martedì 28 marzo 2023

Le fotografie di Mario Bagnasco, 33

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Disgelo".

Intervista a Cattaneo Alberto

Intervista all'Alpino Cattaneo Alberto, classe 1917.

A seguito della serata organizzata al Teatro Sterna di Quarona, il Presidente Gianni Mora, il gentilissimo Valter Stragiotti e tutto il Consiglio Sezionale, in occasione del 100° anniversario della Sezione Valsesiana hanno aderito alla mia richiesta di diffondere il contenuto del dvd "Ciau Pais", 34 storie di Alpini che sono tornati; obiettivo come sempre quello di fare tesoro e memoria dei nostri soldati e raccontare alle nuove generazioni la loro storia ed il loro sacrificio. Dal bel dvd prodotto dalla Sezione Valsesiana sono state estratte le singole interviste. Un grosso grazie a tutta la sezione per il permesso accordatomi.

Il viaggio del 2013, da Podgornoje a Postojalyi

Trekking 2013 lungo il percorso della ritirata del Corpo d'Armata Alpino in Russia nel gennaio 1943, dal Don a Nikolajewka; da Podgornoje a Postojalyi... isbe nei pressi di Postojalyi.

giovedì 23 marzo 2023

Ancora una volta sul nuovo progetto

Ho scelto questa bellissima immagine di Sofia Loren presa dall'altrettanto bel film "I girasoli" per tornare ancora una volta a promuovere e portare a conoscenza di tutti del nuovo progetto al quale stiamo lavorando con lo stesso gruppo di persone che mi hanno aiutato a realizzare il cortometraggio dedicato ai caduti e ai dispersi della Campagna di Russia nell'80° anniversario delle ritirate verificatesi da dicembre 1942 a gennaio 1943.

Questa volta vogliamo raccontare una storia parallela a quella dei nostri soldati impegnati sul fronte orientale, una storia che forse in maniera così organica non è mai stata trattata... quella di chi aspettava a casa quei nostri ragazzi, quella di chi non li ha più visti tornare, quella di chi li ha aspettati per anni.

L'invito a collaborare è dunque rivolto esclusivamente ai parenti dei caduti e dispersi della Campagna di Russia che vogliano raccontare la storia della loro famiglia, che vogliano testimoniare, attraverso racconti, fotografie e documenti, la sofferenza di quei genitori, fratelli o figli che non hanno più visto ritornare a casa il loro figlio, il loro fratello o il loro padre.

Cosa chiediamo? La disponibilità a partecipare ad un'intervista di circa 10 minuti (verremo noi a realizzarla previo appuntamento), la disponibilità a raccontare la vostra storia, a mostrarci fotografie, documenti o lettere eventuali. Questa breve intervista dovrà essere "sentita" nel senso che vorremmo raccogliere testimonianze toccanti, importanti, che una volta montate insieme consentano di realizzare un video che "lasci il segno" e che porti attenzione su queste vicende. Altro requisito fondamentale è risiedere nel Nord Italia, semplicemente per una nostra questione logistica.

E' per noi un atto dovuto a chi ha sofferto per anni di una perdita incolmabile; scrivetemi all'indirizzo email 𝒅𝒂𝒏𝒊𝒍𝒐.𝒅𝒐𝒍𝒄𝒊𝒏𝒊@𝒈𝒎𝒂𝒊𝒍.𝒄𝒐𝒎 e vi spiegherò in tutti i dettagli questo nuovo progetto che vi potrebbe vedere coinvolti in prima persona. Grazie!

Serata a Novedrate

Una nuova serata per parlare della Campagna di Russia; per chi avrà piacere sarò presente a Novedrate (CO) il giorno 31 marzo 2023 alle ore 21.00 presso il Salone Polivalente del Municipio, in via Taverna 3 accompagnato dal Coro A.N.A. "Sandro Marelli" di Fino Mornasco.

Una colonna di bersaglieri...

COME UNA COLONNA DI BERSAGLIERI SBARRO’ AI RUSSI LA VIA DEL NIPRO (Dniepr).

di Cesco Tomaselli dal "Corriere della Sera" dell'11 maggio 1943.

La Divisione Celere, veterana del C.S.I.R con la Pasubio e la Torino, non era nuova ai traslochi improvvisi, alle partenze lampo. Non per niente si chiamava Celere. Aveva dei bellissimi reggimenti, il Terzo e il Sesto bersaglieri, Il 120° artiglieria e, ancora, un battaglione di motociclisti, uno di cacciatori dl carri, e la Legione croata. Ma mettersi in marcia aveva questa volta diverso significato. Fra il 17 e il 20 dicembre avvenimenti importanti si erano verificati sul medio Don, e la Divisione, che si trovava quasi all’estremità orientale dello schieramento della VIII Armata, era seriamente esposta sul fianco sinistro, tanto che dovette in fretta e furia costituire da quella parte un caposaldo difensivo. Non era disponibili al momento che due battaglioni del Sesto bersaglieri , uno dei quali anzi fu dovuto richiamare indietro mentre viaggiava in autocarro verso altra direzione. Il gruppo che ne risultò prese provvisoriamente il nome del colonnello cui era stato affidato. Le vicende della battaglia sono spesso generatrici di formazioni nuove, autonome, che talora si sciolgono dopo qualche giorno, o qualche ora, talaltra durano e si fanno una storia. Sul Ticiaja, un affluente del. Don, nacque in quei giorni la colonna Carloni, che farà gloriosamente parlare di sé per alcuni mesi. Nella famiglia dei fanti piumati si sanno molte cose sul conto di questo colonnello, che inganna con una apparenza placida, con un che di mesto e bonario nello sguardo. Lo chiamano il “vendicatore” ed è commovente la ragione di quell’epiteto.

Carloni aveva un figlio sottotenente nel 6°, che nell’estate del 41 tenne fede alla tradizione paterna con si generoso impegno che, ferito una volta e poi una seconda, sanguinando tornò all’assalto finché la morte lo stese ancora furente di lotta come l’eroe che i popoli primitivi onorano dandogli il nome di una fiera. Allora il padre chiese di essere mandato in Russia. Ecco, e venuta l’ora di vendicare il figlio nella carne dallo stesso nemico. Carloni porta al combattimento i suoi bersaglieri con una foga che ha del mistico. E’ in piedi giorno e notte, non si sa quando dorma, neanche la testa abbassa quando rugge un colpo in arrivo, e soldati, che sul campo di battaglia diventano ragazzi, vanno allo sbaraglio con le mascelle serrate. Sono i miracoli dell’esempio. Il 24 dicembre, alle undici di notte, Carloni espugnerà un villaggio lanciandosi di corsa alla testa di un battaglione. Tale è il fascino del gesto che un reparto di tedeschi si unisce ai bersaglieri, e il grido ch’esce dalle loro gole è lo stesso che trascina i nostri: Savoia!

Infine anche la Celere si svincola dalla morsa, e le superstiti forze si radunano e si radunano dietro il solco del Donez. Ultima ad arrivare all’appuntamento perché è sempre stata di retroguardia, la colonna Cartoni non viene sciolta, ma si ritiene anzi che convenga rinforzarla. Al momento del nuovo impiego essa risulta costituita da un battaglione del Sesto col Comando di reggimento, da un altro battaglione misto di carristi e di motociclisti pure del Sesto, da due battaglioni appiedati del 120° artiglieria e dal secondo Gruppo e del 17° artiglieria da campagna, il bellissimo reggimento della Sforzesca che ha il primato dei pezzi portati in salvo. I nuovi compiti della colonna consistono nella protezione delle nostre unità in trasferimento verso occidente.

Siamo già a febbraio 43. In una vasta area compresa fra il Donez e il Nipro si sviluppa il movimento dell’VIII armata che ha necessità di concentrasi e di riordinarsi. E’ uno spostamento considerevole di uomini, di automezzi, di materiali (basti dire che c’è tutta l’intendenza coi suoi cospicui magazzini, con le officine automobilistiche, con gli impianti sanitari, con l’organizzazione delle tappe), e questo spostamento è effettuato da scaglioni procedenti a diversa andatura, con soste che spesso si prolungano oltre il previsto per le condizioni delle strade e delle piste, il ritardato arrivo del carburante, la convenienza a modificare all’ultimo momento l’itinerario. Già lo scacchiere è immenso. Per dare un’idea, fra gli alpini che sono in marcia nella regione a nord dl Poltava e la Divisione Ravenna, che è l’estrema unità di ala destra, corrono non meno di 500 chilometri. Nello stesso verso, cioè da est a ovest, camminano le colonne dell’Armata romena e dell’Armata ungherese, anch’esse avviate in zona di riordinamento; in senso opposto, usufruendo delle medesime vie di comunicazione, avanzano le Divisioni germaniche che vanno a sostituire le Unite alleate e ad arginare l’avanzata sovietica.

No, per quanto si dica e si scriva, non è possibile rappresentare con evidenza questo colossale movimento e le difficoltà di ogni genere che incontrava. La neve ricopriva ancora il suolo, ma non era più quella di gennaio, spessa ed asciutta, era una neve fradicia, su cui le gomme degli automezzi non avevano più presa. Anche lo stato dell’atmosfera variava continuamente. Nei grossi centri, per effetto di queste alternative nel deflusso del reparti in marcia, si verificavano all’ improvviso ammassamenti di migliaia di uomini, che bisognava alloggiare, nutrire e sfollare al più presto possibile. Le linee ferroviarie, poi, erano addirittura congestionate: convogli dietro convogli si inseguivano a tutte le ore: lo spettacolo ai passaggi a livello era impressionante.

Dall’altra parte, il comando sovietico aveva intuito quanto avveniva e il maresciallo Sciaposnikof, che ora è stato esonerato dalla carica di capo dl Stato Maggiore, doveva mordersi le labbra dal dispetto. Evidentemente l’Armata rossa si era sanguinosamente esaurita sul Don e nella fornace dì Stalingrado. Dal Cremlino partivano ordini furenti di far presto, di serrar sotto, di dare addosso, perché perdere una simile occasione era militarmente un delitto; ma i Comandi operanti non avevano più riserve, dovevano limitarsi a portare avanti l’offensiva con unità logore e decimate. Nella seconda metà di febbraio fu fatto dai russi l’estremo sforzo. Questo li portò a quaranta chilometri dal Nipro. Mosca cantava vittoria, Londra faceva coro. Si udivano recitare alla radio bollettini rimbombanti. Non accadde nulla di risolutivo. L’Armata rossa dimostrava un’altra volta di non avere la capacità di sfruttare il successo iniziale, ottenuto facendo massa in un settore ristretto.

Per noi Italiani è motivo di orgoglio ricordare che in quei giorni, che potevano essere fatali, uno scaglione dei nostri combatteva accanitamente per impedire ai russi di passare Il Nipro. E’ l’episodio di Pavlograd che ora mi viene alla penna. Pavlograd a un centinaio chilometri a est di Nipropetrovsk, è una città di ottantamila abitanti, con alcune fabbriche e una stazione da cui passa la ferrovia da Carcov alla Crimea. Di primo acchito sembra un grosso villaggio per essere l’abitato sparso e allungato su un percorso di alcuni chilometri. Mista, cioè per metà operaia e per metà rurale è la popolazione, e noi, che ci stemmo un paio di giorni, riportammo l’impressione di gente operosa e tranquilla di natura ospitale. Rammento che avendo bisogno di un pezzo di fune per legare la cassetta mi vidi offrire, nella casa dove avevo pernottato, la corda per stendere la biancheria, e non ci fu verso che accettassero il compenso.

Anche i bersaglieri giunti in retroguardia ai primi di febbraio, ebbero la stessa impressione. Ma poi subentrò un intiepidimento che di giorno in giorno volgeva in freddezza. A mano a mano che i sovietici venivano avanti la gente diventava ritrosa e scontrosa. Era una zona infestata di partigiani, bisognava stare all’erta. Il colonnello Carloni, quando seppe che doveva difendere Pavlograd, prese le sue misure, e fu avveduto, perché la rivolta scoppiò improvvisamente il 13 mattina in una fabbrica alla periferia. Non servì a nulla, bastarono alcune cannonate con proietto incendiario a soffocarla sul nascere, e il tenente della Ghepeu che l’aveva fomentata si fece saltare le cervella. O lui aveva anticipato le cose, o gli altri, che venivano avanti un po’ lentamente, erano in ritardo sulla data. Come sempre ne andò di mezzo la popolazione.

L’investimento di Pavlograd ebbe inizio il 17 febbraio, con un attacco da tre direzioni, il cui punto d’incrocio era il ponte sul Samara ch’è appena fuori dell’abitato, verso ponente. Dopo qualche ora la città era intenibile per la sparatoria degli abitanti, che i partigiani aizzavano distribuendo qualche esempio sommario: armi a chi voleva usarle e pallottole esemplari a chi nicchiava. Le forze, sovietiche sommavano a 3 reggimenti, appoggiati da carri, artiglieria e mortai. I nostri contrapponevano i 3 battaglioni di cui si componeva la colonna, più il gruppo del 17° artiglieria con cinque pezzi: c’erano inoltre un battaglione di movieri cioè di militi addetti al movimento stradale, mezzo migliaio di avieri tedeschi combattenti come fanteria e sette carri pure germanici. La sproporzione delle forze era evidente. Sgombrata la città, che divampava di vorticosi incendi e spandeva tutto intorno un calore ardente, insopportabile, la difesa s’era ristretta al ponte. Era una difesa rabbiosa, convulsa, perchè improvvisata sul terreno scoperto e concentrata su una breve striscia in corrispondenza di quel passaggio che i russi volevano forzare.

Le perdite non tardarono ad assottigliare le nostre file. I bersaglieri cadevano avvinghiati alla mitragliatrice, artiglieri erano colpiti da pallottole mentre servivano ai pezzi, i portaordini dovevano essere spediti a pattuglie perché almeno uno arrivasse, il cappellano militare, col pastrano mezzo abbruciato da un proietto incendiario, aveva preso il comando di un plotone (in mezzo al ponte una pallottola gli spezzò la canna della pistola che brandiva), il tenente colonnello comandante dei movieri cadeva alle prima raffiche. La posizione del difensori si faceva sempre più precaria, Carloni la rappresenta nella sua crudezza al Comando germanico. Ma che poteva fare questa se non affidarsi al valore del nostri? I rinforzi tedeschi erano ancora in viaggio, la Divisione di testa non era ancora arrivata a Nipropetrovsk, sui ponti del Nipro non c’erano che i guastatori che dovevano farli saltare, e a tutti i costi bisogna trattenere i russi, contenerli in ogni caso ritardare il più possibile la loro corsa al Nipro.

La consegna fu eseguita. I russi fecero ancora qualche progresso, giunsero in vista di il Novo Moscovsca, dove la strada che viene da Pavlograd si unisce a quella che scende da Cercovo, fecero avanzare le artiglierie per la nuova battaglia, ma la rivolta partigiana, che doveva aiutarli dal di dentro non scoppiò, perché il colonnello Carloni l’aveva sventata in tempo riuscendo ad impadronirsi delle armi segretamente approntate (in una fabbrica si scopersero persino sette cannoni, oltre a mortai, mitragliatrici, «pepescià», cioè fuciloni automatici con caricatore a tamburo), e nel frattempo erano arrivati sul Nipro i rinforzi tedeschi, Nipropetrovsk non correva più pericolo, a Kiev si aveva una felice ripercussione dl questi fatti con una repentina caduta dei prezzi, che erano saliti ad altezze fantastiche.

I bersaglieri e gli artiglieri della colonna Carloni furono colmati di elogi dai tedeschi, e il loro comandante citato più di una volta negli ordini del giorno. Ultimi nella marcia dal Don al Nipro, per oltre mille chilometri di gelata steppa sempre a contatto del nemico, essi furono i primi ad assaporare la riscossa, quasi si può dire che ne odorarono la fragranza. Ai primi di marzo la situazione era infatti radicalmente mutata.

mercoledì 22 marzo 2023

Il viaggio del 2013, da Podgornoje a Postojalyi

Trekking 2013 lungo il percorso della ritirata del Corpo d'Armata Alpino in Russia nel gennaio 1943, dal Don a Nikolajewka; da Podgornoje a Postojalyi... senza punti di riferimento.