Speciali di Storia Illustrata, Campagna di Russia - La tragedia dell'ARMIR, Agosto 1999, nona e ultima parte.
Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
lunedì 2 gennaio 2023
Cronaca di una sconfitta annunciata, 02.01.43
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
2 GENNAIO.
Nulla di rilevante viene riportato nel testo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
2 GENNAIO.
Nulla di rilevante viene riportato nel testo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
Ritorno sul Don, parte 7
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Il luogo mi è noto anche se non c'è la neve. Sono certo di essere tra Postojali e Seljachino. Ma perché queste macchie d'alberi lontani, questa terra, queste lunghe erbe secche e questo cielo si impastano e sfumano in un'unica linea orizzontale? Si sciolgono come se una calda luce liquida li dissolvesse. Da laggiù siamo arrivati dopo aver lasciato il Don e per questo lungo dosso abbiamo camminato tra il 20 e il 22 gennaio. Vorrei camminare come allora lungo una traccia che so, e dormire nelle isbe; e vorrei che fossero qui anche loro: gli amici che sono rimasti vivi e che mai, forse, qui potranno ritornare. Ma gli altri come potranno capire questo? [...]
Cammino un poco da solo, e ai margini di uno stagno inselvatichito osservo i resti di quattro isbe. Vedo tra le erbacce le stufe di mattoni, i camini crollati, qualche trave carbonizzata. Per chi si sarà svolta qui l'ultima parte del dramma? Da quale paese delle nostre montagne sono venuti a morire qui? Tutt'intorno non si vede un essere vivente. [...] Passiamo per Olichovatka; scendiamo lungo il Kalitva e alle due pomeridiane arriviamo a Rossoch. [...] Proprio li, tra la chiesa di San Nicola e la stazione (che ancora porta i segni di allora) è stato visto per l'ultima volta il Mario Pesavento, mio compagno alle elementari. Suo padre lo vedevo tutti i giorni passare davanti a casa mia quando tornava dalla cava; ora ha tanti anni, ma l'ultimo suo lavoro di scalpellino è stato un monumento per i dispersi in Russia.
Anche qui a Rossoch c'è un monumento dentro un giardino di betulle e di aceri; è per i loro caduti e a fatica traduco: «Alla gloria eterna di coloro che sono morti per la liberazione e l'indipendenza del loro paese». Un poco fuori del centro, lungo la strada che scende a Novo Kalitva, hanno trovato un ristorante. Prima di sedermi al tavolo mi avvicino al banco per comperare qualcosa per il viaggio perché prevedo una cena molto lontana: - Sono un italiano, - dico alla donna che mi serve. E vedo il suo viso trasfigurarsi: impallidire, arrossire, gli occhi illuminarsi e inumidirsi; sorridere, infine.
Non riusciamo a parlarci. Questa donna che per l'emozione non è capace di avvolgere il pacchetto avrà avuto vent'anni. Mi dice: - Dasvidània! - E poi, in italiano: - Arrivederci -. E nient'altro. [...]
Ora ho fretta di arrivare sul Don, anche se Larissa dopo essersi allontanata dal gruppo per telefonare, mi dice che il Soviet di Rossoch gradirebbe una visita. - No, - dico, - se è possibile; si farebbe troppo tardi. E poi bisogna ritornare a Charkov viaggiando tutta la notte. Andiamo subito a Podgornje. Vorrei anche andare verso Staraja e Novo Kalitva, a Quota Pisello, dove hanno combattuto quelli della Julia e della Cuneense. Ma lassù c'è il mio caposaldo: - Andiamo, - dico, accennando al Nord.
Ecco Podgornje con la fabbrica di calce e i carrelli che passano sopra la strada; [...] Sulla strada che va a Dacia c'è ancora il mulino a vento dove un giorno incontrai il Silvio dalle Ave che faceva il guardafili; ero passato con gli sci prima di andare in linea, per trovare Rino al comando del battaglione genio. Questo mulino indicava la strada ai nostri conducenti e ai portaordini, ed è come rivedere un campanile di paese. Stiamo attraversando un villaggio e Boris ferma la macchina vicino a un pozzo perché ha sete. [...]
Gli scavi erano grandi e profondi, per stare al caldo e al sicuro; uno ogni due plotoni. Noi mitraglieri del tenente Sarpi eravamo con i fucilieri di Cenci. Quanto abbiamo cantato là sotto quando veniva la sera! Ci sono ancora i segni degli scavi ed è come mi ritrovassi davanti tutti i compagni di allora e le voci: Artico, Tardivel, Moreschi, Bodei, Monchieri, Linardi, Corazza, Barp. Tutti. [...]
Bielogoroje; il paese che declina verso il fiume, a destra e a sinistra le due montagne biancheggianti, il boschetto e la piana con il fosso anticarro, le erbe, la riva e l'acqua che va lenta. Lo riconoscete, amici del Tirano, questo posto? Quante volte siete venuti di pattuglia dove ora cammino e non sparano? Quaggiù sulla riva c'erano i posti avanzati dove venivate di notte; sui dossi ci sono ancora i segni delle trincee delle postazioni e guardando verso il sole che tramonta indico con la mano i caposaldi. [...]
Scendo alla riva, con l'acqua mi bagno la fronte e raccolgo una manciata di terra. Un cartello dice che è vietato fare il bagno: forse perché sul letto ci sono ancora bombe a mano o mine? Un ponte di barche unisce le due rive; al di là la strada prosegue dentro il bosco e camminando su questo ponte dondolante ho l'impressione della vastità delle Russie. Quante migliaia di chilometri ancora? Foreste, città, pianure, fiumi, deserti, laghi, villaggi, steppe, montagne fino dove finisce il mondo.
Il luogo mi è noto anche se non c'è la neve. Sono certo di essere tra Postojali e Seljachino. Ma perché queste macchie d'alberi lontani, questa terra, queste lunghe erbe secche e questo cielo si impastano e sfumano in un'unica linea orizzontale? Si sciolgono come se una calda luce liquida li dissolvesse. Da laggiù siamo arrivati dopo aver lasciato il Don e per questo lungo dosso abbiamo camminato tra il 20 e il 22 gennaio. Vorrei camminare come allora lungo una traccia che so, e dormire nelle isbe; e vorrei che fossero qui anche loro: gli amici che sono rimasti vivi e che mai, forse, qui potranno ritornare. Ma gli altri come potranno capire questo? [...]
Cammino un poco da solo, e ai margini di uno stagno inselvatichito osservo i resti di quattro isbe. Vedo tra le erbacce le stufe di mattoni, i camini crollati, qualche trave carbonizzata. Per chi si sarà svolta qui l'ultima parte del dramma? Da quale paese delle nostre montagne sono venuti a morire qui? Tutt'intorno non si vede un essere vivente. [...] Passiamo per Olichovatka; scendiamo lungo il Kalitva e alle due pomeridiane arriviamo a Rossoch. [...] Proprio li, tra la chiesa di San Nicola e la stazione (che ancora porta i segni di allora) è stato visto per l'ultima volta il Mario Pesavento, mio compagno alle elementari. Suo padre lo vedevo tutti i giorni passare davanti a casa mia quando tornava dalla cava; ora ha tanti anni, ma l'ultimo suo lavoro di scalpellino è stato un monumento per i dispersi in Russia.
Anche qui a Rossoch c'è un monumento dentro un giardino di betulle e di aceri; è per i loro caduti e a fatica traduco: «Alla gloria eterna di coloro che sono morti per la liberazione e l'indipendenza del loro paese». Un poco fuori del centro, lungo la strada che scende a Novo Kalitva, hanno trovato un ristorante. Prima di sedermi al tavolo mi avvicino al banco per comperare qualcosa per il viaggio perché prevedo una cena molto lontana: - Sono un italiano, - dico alla donna che mi serve. E vedo il suo viso trasfigurarsi: impallidire, arrossire, gli occhi illuminarsi e inumidirsi; sorridere, infine.
Non riusciamo a parlarci. Questa donna che per l'emozione non è capace di avvolgere il pacchetto avrà avuto vent'anni. Mi dice: - Dasvidània! - E poi, in italiano: - Arrivederci -. E nient'altro. [...]
Ora ho fretta di arrivare sul Don, anche se Larissa dopo essersi allontanata dal gruppo per telefonare, mi dice che il Soviet di Rossoch gradirebbe una visita. - No, - dico, - se è possibile; si farebbe troppo tardi. E poi bisogna ritornare a Charkov viaggiando tutta la notte. Andiamo subito a Podgornje. Vorrei anche andare verso Staraja e Novo Kalitva, a Quota Pisello, dove hanno combattuto quelli della Julia e della Cuneense. Ma lassù c'è il mio caposaldo: - Andiamo, - dico, accennando al Nord.
Ecco Podgornje con la fabbrica di calce e i carrelli che passano sopra la strada; [...] Sulla strada che va a Dacia c'è ancora il mulino a vento dove un giorno incontrai il Silvio dalle Ave che faceva il guardafili; ero passato con gli sci prima di andare in linea, per trovare Rino al comando del battaglione genio. Questo mulino indicava la strada ai nostri conducenti e ai portaordini, ed è come rivedere un campanile di paese. Stiamo attraversando un villaggio e Boris ferma la macchina vicino a un pozzo perché ha sete. [...]
Gli scavi erano grandi e profondi, per stare al caldo e al sicuro; uno ogni due plotoni. Noi mitraglieri del tenente Sarpi eravamo con i fucilieri di Cenci. Quanto abbiamo cantato là sotto quando veniva la sera! Ci sono ancora i segni degli scavi ed è come mi ritrovassi davanti tutti i compagni di allora e le voci: Artico, Tardivel, Moreschi, Bodei, Monchieri, Linardi, Corazza, Barp. Tutti. [...]
Bielogoroje; il paese che declina verso il fiume, a destra e a sinistra le due montagne biancheggianti, il boschetto e la piana con il fosso anticarro, le erbe, la riva e l'acqua che va lenta. Lo riconoscete, amici del Tirano, questo posto? Quante volte siete venuti di pattuglia dove ora cammino e non sparano? Quaggiù sulla riva c'erano i posti avanzati dove venivate di notte; sui dossi ci sono ancora i segni delle trincee delle postazioni e guardando verso il sole che tramonta indico con la mano i caposaldi. [...]
Scendo alla riva, con l'acqua mi bagno la fronte e raccolgo una manciata di terra. Un cartello dice che è vietato fare il bagno: forse perché sul letto ci sono ancora bombe a mano o mine? Un ponte di barche unisce le due rive; al di là la strada prosegue dentro il bosco e camminando su questo ponte dondolante ho l'impressione della vastità delle Russie. Quante migliaia di chilometri ancora? Foreste, città, pianure, fiumi, deserti, laghi, villaggi, steppe, montagne fino dove finisce il mondo.
domenica 1 gennaio 2023
Il viaggio del 2013, da Podgornoje a Postojalyi
Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Sabato 19 gennaio - 1a tappa Km.29: da Podgornoje a Opit, a Postojalyi. Nell'abitato di Opit incontriamo una "babushka" che, riconosciutoci quali italiani, nel pieno inverno russo ci viene incontro e inizia a parlare con la nostra guida Sasha. Racconta, racconta... e ci porta a questo vecchio fienile, e scopriamo che abbiamo di fronte a noi un pezzo di storia di quei tragici giorni. Il fienile era utilizzato come posto di medicazione per i numerosi feriti che le nostre truppe ebbero durante i primi scontro della ritirata. Nessuno di noi ha voluto entrarci, quasi a rispetto di quel luogo e delle sofferenze vissute all'interno.
Cronaca di una sconfitta annunciata, 01.01.43
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
1 GENNAIO.
BLOCCO SUD.
Il 1° gennaio la colonna si spostava ad Ust Provalskij, dove sostava per un giorno. Il 3 raggiungeva Forschstadt, sul Donez. Di là, finalmente, i reparti erano trasportati per ferrovia a Rykovo, dove si raccoglievano il 5 gennaio.
BLOCCO NORD.
Il 1° gennaio continuavano i bombardamenti terrestri del nemico. I tedeschi restituivano al presidio italiano i magazzini italiani di quel centro logistico, che avevano subito vaste asportazioni di generi alimentari. Venivano tuttavia reperiti galletta bastante per 40 giorni per l'intero blocco di marcia, pasta e riso per 30, carne in scatola per 10, scarsissimi i grassi. Frattanto le forze della 19a Divisione corazzata tedesca, inviate a sbloccare Tcertkovo, erano state fermate a 14 chilometri da una consistente presenza del nemico, mentre il maltempo impediva l'intervento degli aerei tedeschi per rompere quella resistenza. Nelle giornate del 2 e del 3 gennaio non si verificavano particolari avvenimenti.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Nei giorni 1, 2 e 3 gennaio non veniva svolta importante attività operativa. Intensissima l'attività logistica per sostenere la resistenza fisica dei combattenti mediante distribuzioni straordinarie di viveri di conforto, calze di lana, cappotti con pelliccia, mantelli mimetici. I tedeschi concorrevano con la distribuzione di calzature di feltro, mandate a prelevare nelle lontane retrovie di Karkov e di Poltava. L'attività degli alpini era dedicata, nelle giornate di sosta, anche al perfezionamento dei lavori difensivi e della rete dei collegamenti.
DIFESA Dl VOROSCILOVGRAD E DI UN ALTRO SETTORE SUL DONEZ.
Tra il 1° ed il 6 gennaio, la Ravenna eseguiva l'ordine e si schierava sulla sponda destra del Donez, nel tratto compreso tra la confluenza del Derkul e l'abitato di Michajlovka. La fronte assegnata era ampia 45 chilometri. Alla Divisione erano stati assegnati i compiti di: - vigilare la sponda destra, occupandone gli abitati e sorvegliando gli intervalli; - impedire infiltrazioni nemiche con azioni convergenti partenti dalle località occupate; - arrestare puntate di carri armati isolati; - dare profondità alla difesa, occupando centri abitati arretrati.
Le forze combattenti disponibili constavano, in tutto, di tre battaglioni di fanteria, una batteria controaerei da 20 mm, una da 75/27, una da 100/17, due pezzi da 105/28. Però, tranne queste due ultime bocche da fuoco reduci dal Don, le batterie, armate di materiali tratti da magazzini d'Intendenza dislocati anche in lontane località, potevano prendere posizione soltanto il 13 gennaio. Lo schieramento veniva effettuato occupando i paesi di riva sinistra del Donez con una compagnia ciascuno: - II/38°: Makarof - Kruscilovka - Iljevka e Comando di battaglione a Iljevka; - III/38°: Davjdo Nicholskij - Bolscioj Suchodol - Petrovka e Comando di battaglione a Petrovka; - Comando del 38° fanteria ad Ivanovka; - I/37°: Podgornoe - Popovka - Belenki - Malyi Suchodol e Comando di battaglione a Malyj Suchodol; - Comando del 37° fanteria a Voroscilov.
L'artiglieria era assegnata per pezzi o per sezioni in rinforzo all'occupazione dei paesi di Makarof, Kruscilovka, Davjdo Nicholskij, Bolscioj Suchodol, Transiederei, Popovka. Al momento nel quale la Divisione assumeva la responsabilità del settore i grossi del nemico si trovavano nella zona tra Millerovo ed il Donez, fronteggiati dalla 304a Divisione tedesca in ripiegamento. Però punte avanzate sovietiche si spingevano fino ai paesi della riva settentrionale e minacciavano anche località dell'altra sponda ad ovest di Kamensk, sulla destra del nuovo schieramento della Ravenna.
1 GENNAIO.
BLOCCO SUD.
Il 1° gennaio la colonna si spostava ad Ust Provalskij, dove sostava per un giorno. Il 3 raggiungeva Forschstadt, sul Donez. Di là, finalmente, i reparti erano trasportati per ferrovia a Rykovo, dove si raccoglievano il 5 gennaio.
BLOCCO NORD.
Il 1° gennaio continuavano i bombardamenti terrestri del nemico. I tedeschi restituivano al presidio italiano i magazzini italiani di quel centro logistico, che avevano subito vaste asportazioni di generi alimentari. Venivano tuttavia reperiti galletta bastante per 40 giorni per l'intero blocco di marcia, pasta e riso per 30, carne in scatola per 10, scarsissimi i grassi. Frattanto le forze della 19a Divisione corazzata tedesca, inviate a sbloccare Tcertkovo, erano state fermate a 14 chilometri da una consistente presenza del nemico, mentre il maltempo impediva l'intervento degli aerei tedeschi per rompere quella resistenza. Nelle giornate del 2 e del 3 gennaio non si verificavano particolari avvenimenti.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Nei giorni 1, 2 e 3 gennaio non veniva svolta importante attività operativa. Intensissima l'attività logistica per sostenere la resistenza fisica dei combattenti mediante distribuzioni straordinarie di viveri di conforto, calze di lana, cappotti con pelliccia, mantelli mimetici. I tedeschi concorrevano con la distribuzione di calzature di feltro, mandate a prelevare nelle lontane retrovie di Karkov e di Poltava. L'attività degli alpini era dedicata, nelle giornate di sosta, anche al perfezionamento dei lavori difensivi e della rete dei collegamenti.
DIFESA Dl VOROSCILOVGRAD E DI UN ALTRO SETTORE SUL DONEZ.
Tra il 1° ed il 6 gennaio, la Ravenna eseguiva l'ordine e si schierava sulla sponda destra del Donez, nel tratto compreso tra la confluenza del Derkul e l'abitato di Michajlovka. La fronte assegnata era ampia 45 chilometri. Alla Divisione erano stati assegnati i compiti di: - vigilare la sponda destra, occupandone gli abitati e sorvegliando gli intervalli; - impedire infiltrazioni nemiche con azioni convergenti partenti dalle località occupate; - arrestare puntate di carri armati isolati; - dare profondità alla difesa, occupando centri abitati arretrati.
Le forze combattenti disponibili constavano, in tutto, di tre battaglioni di fanteria, una batteria controaerei da 20 mm, una da 75/27, una da 100/17, due pezzi da 105/28. Però, tranne queste due ultime bocche da fuoco reduci dal Don, le batterie, armate di materiali tratti da magazzini d'Intendenza dislocati anche in lontane località, potevano prendere posizione soltanto il 13 gennaio. Lo schieramento veniva effettuato occupando i paesi di riva sinistra del Donez con una compagnia ciascuno: - II/38°: Makarof - Kruscilovka - Iljevka e Comando di battaglione a Iljevka; - III/38°: Davjdo Nicholskij - Bolscioj Suchodol - Petrovka e Comando di battaglione a Petrovka; - Comando del 38° fanteria ad Ivanovka; - I/37°: Podgornoe - Popovka - Belenki - Malyi Suchodol e Comando di battaglione a Malyj Suchodol; - Comando del 37° fanteria a Voroscilov.
L'artiglieria era assegnata per pezzi o per sezioni in rinforzo all'occupazione dei paesi di Makarof, Kruscilovka, Davjdo Nicholskij, Bolscioj Suchodol, Transiederei, Popovka. Al momento nel quale la Divisione assumeva la responsabilità del settore i grossi del nemico si trovavano nella zona tra Millerovo ed il Donez, fronteggiati dalla 304a Divisione tedesca in ripiegamento. Però punte avanzate sovietiche si spingevano fino ai paesi della riva settentrionale e minacciavano anche località dell'altra sponda ad ovest di Kamensk, sulla destra del nuovo schieramento della Ravenna.
Ritorno sul Don, parte 6
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Mi fanno risalire in macchina e scendiamo lentamente per la strada che va verso la chiesa; da questa strada dove, dopo ore e ore di battaglia, il generale Reverberi e un gruppo di disperati hanno trascinato la massa che aspettava. Per questa strada, tra queste isbe che fanno da quinta, e la chiesa da fondale. É stata la porta che abbiamo aperto per arrivare a baita. Qui, davanti a questa chiesa, con Baroni ho chiamato quelli che mai più sarebbero venuti avanti; e il tenente Zanotelli diceva: - Ma dove sono tutti? Vestone! Vestone! - Il freddo, la notte e il silenzio erano scesi su questo villaggio. E gli alpini morti restavano nella neve. [...]
Quelle lunghe marce, eterne, senza soste, senza cibo, con i congelati che restavano ai lati della pista, con i feriti che morivano sulle slitte, con i sopravvissuti che si trascinavano. Neve cielo, notte giorno, neve cielo. Ma come abbiamo potuto? Dopo ore di corsa con la Volga incontriamo un villaggio, dopo ore un altro, e quando arriviamo a Sebekino è vicina la mezzanotte. Tutte le porte e le case sono chiuse; ma rivedo le isbe che ci hanno accolto dopo quei diciassette giorni di marcia dal Don. [...] Ma è possibile? Ma come è stato possibile?
Ho visto Kiev e Charkov; le università, gli alberghi, i negozi, i monumenti a Lenin, le piazze, le chiese, i musei. A lungo mi sono soffermato in una sala dove erano esposte molte armi della nostra guerra, bandiere naziste e, in una vetrina, alla rinfusa, croci di ferro di ogni classe, spalline di generali e un bastone di maresciallo. [...]
Al funzionario dell'Inturist, in albergo, dico del mio desiderio di ritornare ancora una volta sui campi di battaglia. [...] tra l'altro arrivare laggiù, dove ero il primo inverno con il Cervino, o dove il 10 settembre il Vestone fu distrutto, è troppo lontano. - Sul Don, - dico, - desidero andare. Loro si sono già informati e mi spiegano che invece di rifare la strada per Valuichi è molto meglio arrivare a Rossoch scendendo da Alessievka perché la strada è asfaltata per bel tratto; non sanno, invece, come sarà verso Rossoch e il Don. Cosi, a un primo conteggio, i chilometri sono circa novecento. Ce la faremo? [...]
La strada corre diritta: sale, scende, risale, ridiscende; i limiti dei kolcos sono segnati da insegne con il nome e il numero. Terre arate, terre seminate: nero, verde. Rosso di foreste di querce, bianco verticale di betulle con le chiome d'oro. Stagni con oche bianche e vaporose, pascoli con mandrie bicolori. La sorpresa in una balca è un gregge di pecore. Dopo Alessjevka il paesaggio cambia; diventa più selvaggio, ampie zone non sono coltivate, i villaggi sembrano più poveri; la strada è una pista di terra battuta che sovente dobbiamo lasciare per i lavori in corso sul fondo delle balche. Piccole mandrie di cavalli girano libere nei pascoli; corsi d'acqua si impaludano. - Fermati, - dico a Boris, - qui vorrei scendere.
Mi fanno risalire in macchina e scendiamo lentamente per la strada che va verso la chiesa; da questa strada dove, dopo ore e ore di battaglia, il generale Reverberi e un gruppo di disperati hanno trascinato la massa che aspettava. Per questa strada, tra queste isbe che fanno da quinta, e la chiesa da fondale. É stata la porta che abbiamo aperto per arrivare a baita. Qui, davanti a questa chiesa, con Baroni ho chiamato quelli che mai più sarebbero venuti avanti; e il tenente Zanotelli diceva: - Ma dove sono tutti? Vestone! Vestone! - Il freddo, la notte e il silenzio erano scesi su questo villaggio. E gli alpini morti restavano nella neve. [...]
Quelle lunghe marce, eterne, senza soste, senza cibo, con i congelati che restavano ai lati della pista, con i feriti che morivano sulle slitte, con i sopravvissuti che si trascinavano. Neve cielo, notte giorno, neve cielo. Ma come abbiamo potuto? Dopo ore di corsa con la Volga incontriamo un villaggio, dopo ore un altro, e quando arriviamo a Sebekino è vicina la mezzanotte. Tutte le porte e le case sono chiuse; ma rivedo le isbe che ci hanno accolto dopo quei diciassette giorni di marcia dal Don. [...] Ma è possibile? Ma come è stato possibile?
Ho visto Kiev e Charkov; le università, gli alberghi, i negozi, i monumenti a Lenin, le piazze, le chiese, i musei. A lungo mi sono soffermato in una sala dove erano esposte molte armi della nostra guerra, bandiere naziste e, in una vetrina, alla rinfusa, croci di ferro di ogni classe, spalline di generali e un bastone di maresciallo. [...]
Al funzionario dell'Inturist, in albergo, dico del mio desiderio di ritornare ancora una volta sui campi di battaglia. [...] tra l'altro arrivare laggiù, dove ero il primo inverno con il Cervino, o dove il 10 settembre il Vestone fu distrutto, è troppo lontano. - Sul Don, - dico, - desidero andare. Loro si sono già informati e mi spiegano che invece di rifare la strada per Valuichi è molto meglio arrivare a Rossoch scendendo da Alessievka perché la strada è asfaltata per bel tratto; non sanno, invece, come sarà verso Rossoch e il Don. Cosi, a un primo conteggio, i chilometri sono circa novecento. Ce la faremo? [...]
La strada corre diritta: sale, scende, risale, ridiscende; i limiti dei kolcos sono segnati da insegne con il nome e il numero. Terre arate, terre seminate: nero, verde. Rosso di foreste di querce, bianco verticale di betulle con le chiome d'oro. Stagni con oche bianche e vaporose, pascoli con mandrie bicolori. La sorpresa in una balca è un gregge di pecore. Dopo Alessjevka il paesaggio cambia; diventa più selvaggio, ampie zone non sono coltivate, i villaggi sembrano più poveri; la strada è una pista di terra battuta che sovente dobbiamo lasciare per i lavori in corso sul fondo delle balche. Piccole mandrie di cavalli girano libere nei pascoli; corsi d'acqua si impaludano. - Fermati, - dico a Boris, - qui vorrei scendere.
Cronaca di una sconfitta annunciata, 31.12.42
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
31 DICEMBRE.
BLOCCO NORD.
II 31 dicembre veniva aperto l'ospedale italiano, nei locali di una scuola. Vi erano ricoverati oltre 1.200 feriti più gravi, per i quali gli interventi operatori da compiere erano più di 700. La forza italiana controllata presente in Tcertkovo era di 7.000 uomini, dei quali 3.800 feriti e congelati.
31 DICEMBRE.
BLOCCO NORD.
II 31 dicembre veniva aperto l'ospedale italiano, nei locali di una scuola. Vi erano ricoverati oltre 1.200 feriti più gravi, per i quali gli interventi operatori da compiere erano più di 700. La forza italiana controllata presente in Tcertkovo era di 7.000 uomini, dei quali 3.800 feriti e congelati.
venerdì 30 dicembre 2022
Ricordi, parte 18
La Russia quella della neve, quella del freddo, quella del passo dopo passo senza mai arrivare, quella dove entri un villaggio e le persone ti aprono la porta di casa per farti scaldare e darti da bere, quella della gente che ti riconosce per strada e seppur all'epoca eravamo invasori ti saluta e ti sorride, quella che mi manca ogni volta che arriva l'inverno.
Cronaca di una sconfitta annunciata, 30.12.42
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
30 DICEMBRE.
BLOCCO SUD.
Al mattino del 30 dicembre il movimento sembrava svolgersi regolarmente, quando una puntata di carri armati sovietici si abbatteva su unità romene unitesi alla colonna italiana. Le unità italiane non ancora incolonnate dovevano adottare misure di emergenza per arrestare il disordinato flusso del numeroso carreggio romeno e riuscivano anche a distruggere tre carri armati del nemico. Il movimento veniva ripreso all'imbrunire; verso le ore 22 la colonna, ormai composta di soli italiani, raggiungeva Gorodjanka e Tessa Ulof. In quest'ultima località il Comando della Sforzesca riconsegnava ai reggimenti le rispettive bandiere, precedentemente ritirate per meglio assicurarne la conservazione. Inoltre il Comandante del XXIX Corpo d'Armata, Generale von Obstfelder, si recava a salutare i reparti italiani che lasciavano la Grande Unità tedesca ed emanava un Ordine del Giorno di commiato e di ringraziamento.
BLOCCO NORD.
II 30 dicembre le forze nemiche assedianti ricevevano rinforzi e rifornimenti.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
All'alba del 30 dicembre, dopo lunga preparazione d'artiglieria e con l'appoggio di 25 carri armati, il nemico attaccava nuovamente il fronte del battaglione Tolmezzo (6a compagnia), puntando sulla rotabile Novo Kalitva-Komarof. Contenuto in primo tempo dal preciso fuoco delle armi automatiche e dell'artiglieria, l'attacco veniva ripreso verso le 6,30 con largo appoggio d'artiglieria e a ondate successive sempre respinte. Alle ore 8 i russi erano costretti a ripiegare in disordine. Frattanto l'operazione avversaria si estendeva verso sud contro le posizioni tenute dalla 385a Divisione (quota Cividale). Ancora il battaglione Tolmezzo e le artiglierie italiane concorrevano all'azione difensiva dei tedeschi, ma il nemico riusciva a conquistare la posizione. Interveniva allora un contrattacco del battaglione Gemona che ristabiliva la situazione. La lotta durava per l'intera giornata su posizioni conquistate e perdute più volte.
Anche le posizioni del 9° alpini (battaglione Vicenza), a cavallo della strada Deresovatka-Selenj Jar, erano violentemente attaccate fino dalle prime ore del mattino, da circa due battaglioni sovietici. Alle 7,30 comparivano sul campo della lotta, in appoggio alla fanteria sovietica, anche carri armati, dei quali alcuni pesanti. Nella lotta ravvicinata quattro di essi erano posti fuori combattimento. Verso le ore 10, poiché la situazione si era fatta critica anche sul fronte della 385a Divisione, veniva richiesto l'intervento aereo tedesco, effettuato alle 11,45 ad ondate successive di tre apparecchi, che spezzonavano e mitragliavano le forze avversarie. Un contrattacco svolto dalla 59a compagnia del battaglione Vicenza a sud del quadrivio di Selenj Jar, appoggiato da 4 semoventi e 6 carri armati tedeschi, riusciva a respingere il nemico dopo lunga lotta; alle ore 18 la situazione era ristabilita.
Sospesa per alcune ore notturne, la lotta si riaccendeva il 31 dicembre prima dell'alba, nella stessa direzione del giorno precedente, e il nemico attaccava su due colonne (ciascuna circa di un battaglione) appoggiate da 18 carri armati. La difesa, nella quale erano stati inseriti anche gli artieri del III battaglione misto genio divisionale, dopo un primo successo nemico, conteneva l'attacco e, con un pronto contrattacco, alle 8,40 ristabiliva la situazione, infliggendo al nemico gravi perdite in uomini e carri armati. Un ritorno offensivo sovietico alle 12,45 era nuovamente respinto.
DIFESA Dl VOROSCILOVGRAD E Dl UN ALTRO SETTORE SUL DONEZ.
Alla sera del 30 dicembre la Ravenna e le altre forze italiane ad essa unite venivano sostituite dal gruppo tedesco Schramm. La Divisione passava alle dipendenze operative della Sezione di Armata Fretter Pico, per assumere la difesa di un altro settore.
30 DICEMBRE.
BLOCCO SUD.
Al mattino del 30 dicembre il movimento sembrava svolgersi regolarmente, quando una puntata di carri armati sovietici si abbatteva su unità romene unitesi alla colonna italiana. Le unità italiane non ancora incolonnate dovevano adottare misure di emergenza per arrestare il disordinato flusso del numeroso carreggio romeno e riuscivano anche a distruggere tre carri armati del nemico. Il movimento veniva ripreso all'imbrunire; verso le ore 22 la colonna, ormai composta di soli italiani, raggiungeva Gorodjanka e Tessa Ulof. In quest'ultima località il Comando della Sforzesca riconsegnava ai reggimenti le rispettive bandiere, precedentemente ritirate per meglio assicurarne la conservazione. Inoltre il Comandante del XXIX Corpo d'Armata, Generale von Obstfelder, si recava a salutare i reparti italiani che lasciavano la Grande Unità tedesca ed emanava un Ordine del Giorno di commiato e di ringraziamento.
BLOCCO NORD.
II 30 dicembre le forze nemiche assedianti ricevevano rinforzi e rifornimenti.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
All'alba del 30 dicembre, dopo lunga preparazione d'artiglieria e con l'appoggio di 25 carri armati, il nemico attaccava nuovamente il fronte del battaglione Tolmezzo (6a compagnia), puntando sulla rotabile Novo Kalitva-Komarof. Contenuto in primo tempo dal preciso fuoco delle armi automatiche e dell'artiglieria, l'attacco veniva ripreso verso le 6,30 con largo appoggio d'artiglieria e a ondate successive sempre respinte. Alle ore 8 i russi erano costretti a ripiegare in disordine. Frattanto l'operazione avversaria si estendeva verso sud contro le posizioni tenute dalla 385a Divisione (quota Cividale). Ancora il battaglione Tolmezzo e le artiglierie italiane concorrevano all'azione difensiva dei tedeschi, ma il nemico riusciva a conquistare la posizione. Interveniva allora un contrattacco del battaglione Gemona che ristabiliva la situazione. La lotta durava per l'intera giornata su posizioni conquistate e perdute più volte.
Anche le posizioni del 9° alpini (battaglione Vicenza), a cavallo della strada Deresovatka-Selenj Jar, erano violentemente attaccate fino dalle prime ore del mattino, da circa due battaglioni sovietici. Alle 7,30 comparivano sul campo della lotta, in appoggio alla fanteria sovietica, anche carri armati, dei quali alcuni pesanti. Nella lotta ravvicinata quattro di essi erano posti fuori combattimento. Verso le ore 10, poiché la situazione si era fatta critica anche sul fronte della 385a Divisione, veniva richiesto l'intervento aereo tedesco, effettuato alle 11,45 ad ondate successive di tre apparecchi, che spezzonavano e mitragliavano le forze avversarie. Un contrattacco svolto dalla 59a compagnia del battaglione Vicenza a sud del quadrivio di Selenj Jar, appoggiato da 4 semoventi e 6 carri armati tedeschi, riusciva a respingere il nemico dopo lunga lotta; alle ore 18 la situazione era ristabilita.
Sospesa per alcune ore notturne, la lotta si riaccendeva il 31 dicembre prima dell'alba, nella stessa direzione del giorno precedente, e il nemico attaccava su due colonne (ciascuna circa di un battaglione) appoggiate da 18 carri armati. La difesa, nella quale erano stati inseriti anche gli artieri del III battaglione misto genio divisionale, dopo un primo successo nemico, conteneva l'attacco e, con un pronto contrattacco, alle 8,40 ristabiliva la situazione, infliggendo al nemico gravi perdite in uomini e carri armati. Un ritorno offensivo sovietico alle 12,45 era nuovamente respinto.
DIFESA Dl VOROSCILOVGRAD E Dl UN ALTRO SETTORE SUL DONEZ.
Alla sera del 30 dicembre la Ravenna e le altre forze italiane ad essa unite venivano sostituite dal gruppo tedesco Schramm. La Divisione passava alle dipendenze operative della Sezione di Armata Fretter Pico, per assumere la difesa di un altro settore.
Ritorno sul Don, parte 5
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Finalmente, dopo le mie risposte, l'ambiente si rasserena e, sempre lui, ci racconta che «allora» era qui e aveva quattordici anni. Mi sembra di rivederlo in uno di quei ragazzi che con un parabellum di traverso il petto o un fucile più alto di loro operavano con i partigiani. Ricorda gli italiani e il loro ultimo combattimento quando furono circondati dalla cavalleria cosacca; i prigionieri. Ricorda che cantavano, anche. [...]
- Le so, queste cose, - dico. Di sua iniziativa mi dice che i nostri morti sono stati sepolti in una fossa fuori dal paese, verso la steppa. Forse questo sarà anche vero, ma so per certo che a Nikolajevka tutti i nostri morti li hanno raccolti davanti alla chiesa, cosparsi di benzina e inceneriti: non era possibile scavare una fossa perché il terreno era gelato in profondità, duro come la pietra. [...]
Mi chiede del mio paese, dell'Italia, di come si vive. Rimane molto stupito quando gli spiego che da noi, sulle montagne, viene tanta neve e qualche inverno arriviamo ai trenta gradi sotto zero. Mi nomina qualche città: Torino, Milano, Napoli, Roma, e mi chiede quale di queste è più vicina al mio paese. [...]
Fa portare al tavolo una carta geografica della zona, la confronta con la nostra carta stradale della Russia, con le mie italiane e gli dico dove intendo andare. Ma in nessuna carta russa è segnato il nome che cerco: Nikolajevka. C'è solo sulle carte italiane. - Ma non esiste questo paese? - dico. - Ma qui c'è pure Nikitòvka e Arnautòvo -. Noi abbiamo sempre pronunciato in maniera sbagliata: c'è, mi dicono, Nikitòva e Arnàutovo. Le due carte russe non corrispondono, le tre italiane nemmeno. [...]
Due membri del Soviet di Valuichi si offrono di accompagnarci verso la pista che porta a Nikitovka e Arnautovo: - Andiamo, - dico, - si fa tardi -. Poi penso tra me: «Da li la strada per Nikolajevka la troverò io. Diavolo se la troverò!». [...] Finalmente incontriamo delle isbe e Larissa chiede la strada per Nikolajevka: - Non so, - ci rispondono. Oppure: - Mai sentito nominare questo paese. Mi viene il dubbio che il nome sia quello del tempo degli zar, Nicola, appunto, e prego Larissa di chiedere ai più vecchi. Non lo sanno nemmeno loro. Non c'è.
Larissa e Jurij sono preoccupati. Ma dove ci vuole portare questo pazzo di italiano? Alla ricerca di un paese che non esiste? Allora prendo io l'iniziativa: controllo i chilometri fatti da Valuichi, guardo le carte, il sole: - Vai per di qua, - dico a Jurij. E dopo: - Prendi per quella traccia. [...] Ma laggiù, tra pochi alberi coi colori dell'autunno, in un grande silenzio, due villaggi sembrano confondersi e impastarsi con l'aria e la terra: Nikitova e Arnautovo. Non mi posso sbagliare. No, non mi sono sbagliato. Cammino fuori dalla pista. Capitano Grandi del Tirano, dormi in questa pace. Ti porto i saluti dei superstiti del tuo battaglione, di Nuto Revelli e di tutti gli alpini della Tridentina. Dormite in pace amici valtellinesi, in questo silenzio, in questa terra nera, in questo autunno dolcissimo. [...]
Da sopra il dosso mi appare come allora. Non riesco a dire di fermare la macchina ma Jurij ha capito. Le mie mani a stento aprono la porta, a stento i piedi si posano sul terreno. Cammino? Cammino verso Nikolajevka. Il dosso. Questo dosso dove siamo scesi la mattina del 26 gennaio. I resti dei battaglioni, delle compagnie, delle squadre del 6° alpini. Il Vestone, la 55: la valletta ricolma di neve, il terrapieno della ferrovia, il sottopassaggio, il casello. Giuanin, Minelli, il capitano, il tenente Pendoli, i russi vestiti di bianco con le due mitragliatrici, i cannoni anticarro che i paesani del genio alpino hanno assaltato a bombe a mano. Tutto. Tutto come allora. [...]
Quanti siamo rimasti? Forse in due, forse in quattro con loro. Guardo e non sono capace di dire una parola, di fare un gesto. Rino, Raoul, Giuanin. il generale Martinat, il colonnello Calbo, Moreschi, Tourn, il tenente Danda, il maggiore Bracchi, Monchieri, Cenci, Baroni, Moscioni, Novello, don Carlo Gnocchi. Tutti qui eravamo.
Finalmente, dopo le mie risposte, l'ambiente si rasserena e, sempre lui, ci racconta che «allora» era qui e aveva quattordici anni. Mi sembra di rivederlo in uno di quei ragazzi che con un parabellum di traverso il petto o un fucile più alto di loro operavano con i partigiani. Ricorda gli italiani e il loro ultimo combattimento quando furono circondati dalla cavalleria cosacca; i prigionieri. Ricorda che cantavano, anche. [...]
- Le so, queste cose, - dico. Di sua iniziativa mi dice che i nostri morti sono stati sepolti in una fossa fuori dal paese, verso la steppa. Forse questo sarà anche vero, ma so per certo che a Nikolajevka tutti i nostri morti li hanno raccolti davanti alla chiesa, cosparsi di benzina e inceneriti: non era possibile scavare una fossa perché il terreno era gelato in profondità, duro come la pietra. [...]
Mi chiede del mio paese, dell'Italia, di come si vive. Rimane molto stupito quando gli spiego che da noi, sulle montagne, viene tanta neve e qualche inverno arriviamo ai trenta gradi sotto zero. Mi nomina qualche città: Torino, Milano, Napoli, Roma, e mi chiede quale di queste è più vicina al mio paese. [...]
Fa portare al tavolo una carta geografica della zona, la confronta con la nostra carta stradale della Russia, con le mie italiane e gli dico dove intendo andare. Ma in nessuna carta russa è segnato il nome che cerco: Nikolajevka. C'è solo sulle carte italiane. - Ma non esiste questo paese? - dico. - Ma qui c'è pure Nikitòvka e Arnautòvo -. Noi abbiamo sempre pronunciato in maniera sbagliata: c'è, mi dicono, Nikitòva e Arnàutovo. Le due carte russe non corrispondono, le tre italiane nemmeno. [...]
Due membri del Soviet di Valuichi si offrono di accompagnarci verso la pista che porta a Nikitovka e Arnautovo: - Andiamo, - dico, - si fa tardi -. Poi penso tra me: «Da li la strada per Nikolajevka la troverò io. Diavolo se la troverò!». [...] Finalmente incontriamo delle isbe e Larissa chiede la strada per Nikolajevka: - Non so, - ci rispondono. Oppure: - Mai sentito nominare questo paese. Mi viene il dubbio che il nome sia quello del tempo degli zar, Nicola, appunto, e prego Larissa di chiedere ai più vecchi. Non lo sanno nemmeno loro. Non c'è.
Larissa e Jurij sono preoccupati. Ma dove ci vuole portare questo pazzo di italiano? Alla ricerca di un paese che non esiste? Allora prendo io l'iniziativa: controllo i chilometri fatti da Valuichi, guardo le carte, il sole: - Vai per di qua, - dico a Jurij. E dopo: - Prendi per quella traccia. [...] Ma laggiù, tra pochi alberi coi colori dell'autunno, in un grande silenzio, due villaggi sembrano confondersi e impastarsi con l'aria e la terra: Nikitova e Arnautovo. Non mi posso sbagliare. No, non mi sono sbagliato. Cammino fuori dalla pista. Capitano Grandi del Tirano, dormi in questa pace. Ti porto i saluti dei superstiti del tuo battaglione, di Nuto Revelli e di tutti gli alpini della Tridentina. Dormite in pace amici valtellinesi, in questo silenzio, in questa terra nera, in questo autunno dolcissimo. [...]
Da sopra il dosso mi appare come allora. Non riesco a dire di fermare la macchina ma Jurij ha capito. Le mie mani a stento aprono la porta, a stento i piedi si posano sul terreno. Cammino? Cammino verso Nikolajevka. Il dosso. Questo dosso dove siamo scesi la mattina del 26 gennaio. I resti dei battaglioni, delle compagnie, delle squadre del 6° alpini. Il Vestone, la 55: la valletta ricolma di neve, il terrapieno della ferrovia, il sottopassaggio, il casello. Giuanin, Minelli, il capitano, il tenente Pendoli, i russi vestiti di bianco con le due mitragliatrici, i cannoni anticarro che i paesani del genio alpino hanno assaltato a bombe a mano. Tutto. Tutto come allora. [...]
Quanti siamo rimasti? Forse in due, forse in quattro con loro. Guardo e non sono capace di dire una parola, di fare un gesto. Rino, Raoul, Giuanin. il generale Martinat, il colonnello Calbo, Moreschi, Tourn, il tenente Danda, il maggiore Bracchi, Monchieri, Cenci, Baroni, Moscioni, Novello, don Carlo Gnocchi. Tutti qui eravamo.
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