Gennaio 2023... avrei dovuto ripartire, la settima volta, per la Russia, avrei dovuto essere là proprio negli stessi giorni in cui 80 anni fa Mario Rigoni Stern, Raoul Achilli e tutti gli altri scrivevano le pagine di storia di cui parlo in questa pagina.
E invece non accadrà neanche quest'anno e per chissà quanti anni a venire. Mi manca la Russia, mi manca tutto di quei giorni in cui si cammina nel nulla per ore, come se fossimo in un altro mondo e in un'altra epoca. Mi manca tutto quello che c'è lì... il niente della Russia.
Il rumore degli scarponi nella neve che tanto mal tolleravano i reduci nei loro racconti, a me manca. Quel freddo mi manca. Certo, non penserei le stesse cose se avessi vissuto quello che hanno passato loro; ho la fortuna di non averlo provato sulla mia pelle...
Come ho scritto anche in passato è più un viaggio dello spirito che del corpo. La sofferenza interiore è sempre maggiore alla stanchezza fisica. Ma è quello che in ogni viaggio cerco, quasi in modo masochistico. Sentire, capire, ricordare...
Durante il viaggio in treno verso Rossoch il primo anno che sono stato in Russia, ricordo come cercavo di non addormentarmi per non perdermi neanche un istante di quei paesaggi sempre uguali, sempre bianchi, che scorgevo dal finestrino... volevo trovare qualche dettaglio di quei tanti racconti letti nei libri dei reduci.
E poi la neve e il freddo, e i chilometri in un paesaggio sempre uguale, monotono, bianco, dove terra e cielo quasi non si distinguono, dove non si capisce quando termina l'una ed inizia l'altro. Con quel senso di solitudine che l'immensità della Russia riesce a trasmetterti ad ogni passo.
Una settimana prima nella mia vita normale, monotona rispetto alle emozioni della Russia; poi, una settimana dopo lì a chilometri di distanza, in mezzo a quel mare di neve, la stessa neve di cui avevo tanto letto nei libri di Rigoni Stern e di Bedeschi.
Cammini, ti fermi, ti stacchi dalle altre persone quasi per ritagliarti un momento solo tuo; per scattare mentalmente quelle "fotografie" che poi ti porti sempre dietro anche a distanza di mesi o anni; dettagli che ricordi quando torni alla tua vita normale, di tutti i giorni.
Mi manca tutto, mi mancherà ancora di più nei prossimi giorni. E anche quest'anno che verrà non sarò lì con loro...
Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
venerdì 30 dicembre 2022
giovedì 29 dicembre 2022
Cronaca di una sconfitta annunciata, 29.12.42
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
29 DICEMBRE.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Nella notte sul 29 e nella giornata seguente le compagnie in linea venivano sostituite da altre dei battaglioni Vicenza e Val Cismon. Il valoroso comportamento dell'intera Divisione era citato dal bollettino di guerra del Gran Quartier Generale tedesco: «Nei combattimenti della grande ansa del Don si è particolarmente distinta la Divisione alpina Julia».
29 DICEMBRE.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Nella notte sul 29 e nella giornata seguente le compagnie in linea venivano sostituite da altre dei battaglioni Vicenza e Val Cismon. Il valoroso comportamento dell'intera Divisione era citato dal bollettino di guerra del Gran Quartier Generale tedesco: «Nei combattimenti della grande ansa del Don si è particolarmente distinta la Divisione alpina Julia».
Ritorno sul Don, parte 4
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Lasciamo Charkov al primo albore perché la strada sarà molto lunga. Dopo circa centocinquanta chilometri di camionabile asfaltata ci inoltreremo per piste di terra battuta sino a raggiungere Valuiki, poi piegheremo a nord-est per Nikitovka e Arnautovo, e da li, per Nikolajevka lungo la strada del nostro ripiegamento, ritorneremo a Charkov per Sebekino e Bielgorod. [...]
Più avanti entriamo in quella parte dell'Ucraina meno abitata, i villaggi sono lontani tra di loro decine di chilometri; a tratti, dopo le distese di terra nera e grassa, affiorano colline biancheggianti solcate dai calanchi; le isbe hanno quasi tutte il tetto di paglia; le strade sono piste di terra battuta, come allora, e, ai lati di queste, ogni tanto compaiono i lunghi pagliai dove avevano trebbiato nell'estate. Era sui pagliai come questi che molte notti si cercava riparo dal freddo e dalla tormenta; [...] Spiego questo sottovoce a mia moglie ma anche Larissa ha capito qualcosa e chiede spiegazioni. In russo-francese tento di farmi capire e l'autista che segue attentamente le mie parole dice dopo: - Anch'io ho combattuto da queste parti; da Voronesc a Valuichi nell'inverno del '43. Davanti a noi avevamo gli ungheresi; ma poi ho visto anche gli italiani. [...]
Finalmente incontriamo una tabella che indica Valuichi a quarantatré chilometri. Ci arriviamo dopo l'una e quando scendo dalla macchina sento che ora, si proprio ora, sono tra loro. Tra gli alpini, dico. E mi allontano dal gruppo per una strada qualsiasi. Quasi mi viene da chiamare nomi. Qui, tra queste case, per queste strade, per questi orti finirono i resti della Julia e della Cuneense tra il 26 e il 28 gennaio del 1943. I paesani e i ragazzi mi guardano curiosi: - Chi sarà questo straniero dal passo incerto?
Mia moglie mi chiama e anche Larissa e Jurij mi fanno cenno di ritornare. Nel ristorante del Soviet locale è pronto da mangiare per noi. Ma io prima mi aggiro ancora, solo, attorno alla chiesa bianca e celeste dove vecchie contadine sono forse venute in pellegrinaggio dalla campagna. [...] Finché mia moglie e Jurij mi vengono a prendere perché la tavola è già imbandita e la solianka va raffreddandosi. La nostra colazione non è ancora terminata che viene da noi un uomo con gli occhiali; ci dice: - Il segretario del Soviet di Valuichi vi aspetta nella sede; vi prego, quindi, appena avete finito, di seguirmi. [...]
L'accompagnatore con gli occhiali e dall'aria di seminarista, senza bussare apre una porta e ci fa entrare. Mi accorgo che con noi non c'è Jurij e mi sento come indifeso; sento pure la preoccupazione di mia moglie e la improvvisa remissività di Larissa.
Stava dietro una scrivania e dietro, sopra la parete campeggiavano un ritratto di Lenin e una bandiera rossa ricamata con simboli in oro. Con un gesto ci indica una panca laterale dove sederci; di fronte a noi, sull'altra panca, stanno seduti l'uomo che che è venuto a chiamarci e un altro uomo più anziano dall'aria bonaria di fabbro paesano. Senza farsi vedere dagli altri, mi sorride con gli occhi. [...]
Lasciamo Charkov al primo albore perché la strada sarà molto lunga. Dopo circa centocinquanta chilometri di camionabile asfaltata ci inoltreremo per piste di terra battuta sino a raggiungere Valuiki, poi piegheremo a nord-est per Nikitovka e Arnautovo, e da li, per Nikolajevka lungo la strada del nostro ripiegamento, ritorneremo a Charkov per Sebekino e Bielgorod. [...]
Più avanti entriamo in quella parte dell'Ucraina meno abitata, i villaggi sono lontani tra di loro decine di chilometri; a tratti, dopo le distese di terra nera e grassa, affiorano colline biancheggianti solcate dai calanchi; le isbe hanno quasi tutte il tetto di paglia; le strade sono piste di terra battuta, come allora, e, ai lati di queste, ogni tanto compaiono i lunghi pagliai dove avevano trebbiato nell'estate. Era sui pagliai come questi che molte notti si cercava riparo dal freddo e dalla tormenta; [...] Spiego questo sottovoce a mia moglie ma anche Larissa ha capito qualcosa e chiede spiegazioni. In russo-francese tento di farmi capire e l'autista che segue attentamente le mie parole dice dopo: - Anch'io ho combattuto da queste parti; da Voronesc a Valuichi nell'inverno del '43. Davanti a noi avevamo gli ungheresi; ma poi ho visto anche gli italiani. [...]
Finalmente incontriamo una tabella che indica Valuichi a quarantatré chilometri. Ci arriviamo dopo l'una e quando scendo dalla macchina sento che ora, si proprio ora, sono tra loro. Tra gli alpini, dico. E mi allontano dal gruppo per una strada qualsiasi. Quasi mi viene da chiamare nomi. Qui, tra queste case, per queste strade, per questi orti finirono i resti della Julia e della Cuneense tra il 26 e il 28 gennaio del 1943. I paesani e i ragazzi mi guardano curiosi: - Chi sarà questo straniero dal passo incerto?
Mia moglie mi chiama e anche Larissa e Jurij mi fanno cenno di ritornare. Nel ristorante del Soviet locale è pronto da mangiare per noi. Ma io prima mi aggiro ancora, solo, attorno alla chiesa bianca e celeste dove vecchie contadine sono forse venute in pellegrinaggio dalla campagna. [...] Finché mia moglie e Jurij mi vengono a prendere perché la tavola è già imbandita e la solianka va raffreddandosi. La nostra colazione non è ancora terminata che viene da noi un uomo con gli occhiali; ci dice: - Il segretario del Soviet di Valuichi vi aspetta nella sede; vi prego, quindi, appena avete finito, di seguirmi. [...]
L'accompagnatore con gli occhiali e dall'aria di seminarista, senza bussare apre una porta e ci fa entrare. Mi accorgo che con noi non c'è Jurij e mi sento come indifeso; sento pure la preoccupazione di mia moglie e la improvvisa remissività di Larissa.
Stava dietro una scrivania e dietro, sopra la parete campeggiavano un ritratto di Lenin e una bandiera rossa ricamata con simboli in oro. Con un gesto ci indica una panca laterale dove sederci; di fronte a noi, sull'altra panca, stanno seduti l'uomo che che è venuto a chiamarci e un altro uomo più anziano dall'aria bonaria di fabbro paesano. Senza farsi vedere dagli altri, mi sorride con gli occhi. [...]
mercoledì 28 dicembre 2022
Il viaggio del 2013, da Podgornoje a Postojalyi
Immagini del mio primo trekking effettuato nel 2013... Sabato 19 gennaio - 1a tappa Km.29: da Podgornoje a Opit, a Postojalyi. Arrivo al villaggio di Opit dove nel gennaio 1943 si verificarono i primi significativi scontri della colonna in ritirata. Vivremo qui, senza ancora saperlo, alcuni dei momenti più intensi e significativi di questa memorabile esperienza.
Cronaca di una sconfitta annunciata, 28.12.42
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
28 DICEMBRE.
BLOCCO SUD.
Alla mezzanotte del 28 era finalmente raggiunto lo schieramento tedesco. L'affollamento ai varchi per raggiungere più presto la salvezza ed il riposo, faceva sì che alcuni uomini uscissero dai limiti stabiliti e rimanessero vittime dei campi minati predisposti a difesa. I superstiti si raccoglievano nella zona Michajlovskij - Nadeshovka, e vi sostavano per l'intera giornata del 29.
BLOCCO NORD.
Il 28 dicembre un aereo italiano effettuava un lancio di viveri, medicinali e munizioni per armi leggere. Nel pomeriggio del 29 dicembre giungevano in aereo il Comandante dell'aviazione dell'8a Armata, Generale Pezzi, ed il Colonnello medico Bocchetti, ai quali era esposta la situazione in atto. Nel viaggio di ritorno l'aereo andava disperso.
28 DICEMBRE.
BLOCCO SUD.
Alla mezzanotte del 28 era finalmente raggiunto lo schieramento tedesco. L'affollamento ai varchi per raggiungere più presto la salvezza ed il riposo, faceva sì che alcuni uomini uscissero dai limiti stabiliti e rimanessero vittime dei campi minati predisposti a difesa. I superstiti si raccoglievano nella zona Michajlovskij - Nadeshovka, e vi sostavano per l'intera giornata del 29.
BLOCCO NORD.
Il 28 dicembre un aereo italiano effettuava un lancio di viveri, medicinali e munizioni per armi leggere. Nel pomeriggio del 29 dicembre giungevano in aereo il Comandante dell'aviazione dell'8a Armata, Generale Pezzi, ed il Colonnello medico Bocchetti, ai quali era esposta la situazione in atto. Nel viaggio di ritorno l'aereo andava disperso.
Ritorno sul Don, parte 3
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Ora sono venuto in Russia per la terza volta. Il treno è entrato in Ucraina e corre via liscio e veloce; a Cop, mentre ci controllavano i passaporti, gli operai hanno cambiato i carrelli ai vagoni e ora non si sentono più i sobbalzi e gli scossoni che nell'attraversare l'Ungheria ti mescolavano il cervello e le viscere. Allora i treni non facevano questa strada, passavano più a nord, per la Cecoslovacchia e la Polonia. Da Leopoli si che sarà la stessa. Sarò forse il primo alpino che ritornerà in quei luoghi dopo trent'anni. Come sarà? Il treno corre tra i boschi della Transcarpazia, ricordo i miei due viaggi precedenti, i compagni di allora. In silenzio guardo le cittadine e i villaggi con i camini che fumano, le oche negli stagni, i vagoni che sfilano nelle ampie curve. [...]
È notte, mia moglie prepara i lettini nella cabina e intanto parlo nel corridoio con i compagni di viaggio. Due sono italiani, gli altri russi. Il più giovane degli italiani si è laureato a Mosca e ha sposato una ragazza di qui, ora si interessa di export-import; l'altro italiano è un vecchio fuoruscito della Bassa Padana [...] Mi mostra con orgoglio la lettera che Longo gli ha mandato in occasione del suo cinquantesimo di militante comunista, la medaglia d'oro e la cicatrice sulla mano, quando venne ferito in uno scontro davanti la Casa del Popolo. Gli aveva fatto impressione rivedere il suo paese dopo tanti anni, e commosso la festa dei vecchi compagni; pure sentiva nostalgia della moglie che lo aspettava a Mosca e del pane nero e saporito.
Mi dice anche in confidenza che quando al confine sono saliti i funzionari russi, ha sentito che tra loro dicevano di un certo Rigoni, un italiano, scrittore di guerra, che avrebbe dovuto essere sul treno. Mi aspettavano, insomma. [...] I miei compagni di viaggio dormono nelle loro cabine, il treno corre liscio sulle rotaie, la notte è serena e le costellazioni mi indicano l'orientamento: andiamo verso sud-est. Passano foreste, villaggi con piccole luci, città illuminate, distese di terra nera arate di fresco, stoppie, altre distese, ancora villaggi: questa è la Russia. Domattina saremo a Kiev. Per questa strada ferrata passammo anche allora, e da Vinitza era Lisa Mitz che faceva la cuoca al distaccamento di prigionieri lungo la ferrovia del Baltico. Sarà ancora viva?
Il treno corre nella notte e non dormo. Allora eravamo in tanti dentro i vagoni dalle porte spalancate e si stava distesi tra armi e zaini. Ma ha un senso andare alla ricerca di quel tempo? A Kiev, appena siamo giù dal treno si avvicina una ragazza: - Scusi. - dice in perfetto italiano, - è lei il signor Rigoni Stern? Le do il benvenuto. Sono dell'Inturist. [...]
Si sa che Kiev è una città antica [...] L'interprete vorrebbe accompagnarci nei soliti luoghi che i turisti vogliono vedere: il Gum, il metrò, i musei, le cattedrali, i vecchi conventi, e rimane sorpresa quando le dico che preferisco stare tra la gente. I colori e il sole di questo lungo autunno sui giardini di Kiev mi allontanano dallo scopo del mio viaggio fino a quando in un parco sopra la collina vediamo il monumento ai soldati caduti per liberare la città nel dicembre del 1943. Leggo il nome di un generale di quarantadue anni e quello del giovanissimo soldato che per primo vi entrò su un carro armato, e vedo la grande fossa dove sono tutti insieme sepolti e i fiori freschi sulle pietre. [...]
Nella primavera del 1945 a Kiev erano sopravvissuti appena duecentocinquantamila abitanti, ora sono oltre i due milioni. I trucidati, i deportati, i caduti in combattimento in Ucraina furono milioni, e non c'è casa o famiglia che non abbia avuto i suoi morti. [...] O sedermi accanto a quell'ebreo, chissà come sopravvissuto, che sulla panchina si gode il sole guardando i ragazzi che giocano che giocano. No, noi qui non eravamo come i tedeschi; e dopo, quando ognuno poté scegliere, fui con voi. Per questo posso dire tranquillamente: - Ià italianschi, - e voi rispondermi sorridendo: - Italianschi carasciò! [...]
Il giorno dopo sono in viaggio per Charkov: è da questa città che spero di raggiungere il Don. Qui a Charkov vi era un grande ospedali italiano dove molti nostri compagni sono morti. Anche il mio capitano che venne ferito a Nikolajewka il 26 gennaio. E nei pressi di Bielgorod, a una ottantina di chilometri da qui, siamo usciti dalla sacca in quel febbario del 1943. [...] A Charkov scendiamo allo stesso albergo.
Anche qui mi aspettano alla stazione, e dopo, in albergo, il direttore dell'Inturist mi chiede se il mio desiderio è proprio quello di visitare i luoghi dove hanno combattuto gli italiani. Ci tiene a precisare che le distanze sono grandi, le strade non tutte buone e, infine mi chiede se sono disposto a pagare in valuta [...] e lo scopo del mio viaggio è solo per portare un saluto ai miei compagni caduti e rimasti per sempre in quelle steppe, e anche un ringraziamento alla gente dei villaggi e delle isbe. Solamente ora sorride appena: - Allora siamo d'accordo, - dice. [...]
Ora sono venuto in Russia per la terza volta. Il treno è entrato in Ucraina e corre via liscio e veloce; a Cop, mentre ci controllavano i passaporti, gli operai hanno cambiato i carrelli ai vagoni e ora non si sentono più i sobbalzi e gli scossoni che nell'attraversare l'Ungheria ti mescolavano il cervello e le viscere. Allora i treni non facevano questa strada, passavano più a nord, per la Cecoslovacchia e la Polonia. Da Leopoli si che sarà la stessa. Sarò forse il primo alpino che ritornerà in quei luoghi dopo trent'anni. Come sarà? Il treno corre tra i boschi della Transcarpazia, ricordo i miei due viaggi precedenti, i compagni di allora. In silenzio guardo le cittadine e i villaggi con i camini che fumano, le oche negli stagni, i vagoni che sfilano nelle ampie curve. [...]
È notte, mia moglie prepara i lettini nella cabina e intanto parlo nel corridoio con i compagni di viaggio. Due sono italiani, gli altri russi. Il più giovane degli italiani si è laureato a Mosca e ha sposato una ragazza di qui, ora si interessa di export-import; l'altro italiano è un vecchio fuoruscito della Bassa Padana [...] Mi mostra con orgoglio la lettera che Longo gli ha mandato in occasione del suo cinquantesimo di militante comunista, la medaglia d'oro e la cicatrice sulla mano, quando venne ferito in uno scontro davanti la Casa del Popolo. Gli aveva fatto impressione rivedere il suo paese dopo tanti anni, e commosso la festa dei vecchi compagni; pure sentiva nostalgia della moglie che lo aspettava a Mosca e del pane nero e saporito.
Mi dice anche in confidenza che quando al confine sono saliti i funzionari russi, ha sentito che tra loro dicevano di un certo Rigoni, un italiano, scrittore di guerra, che avrebbe dovuto essere sul treno. Mi aspettavano, insomma. [...] I miei compagni di viaggio dormono nelle loro cabine, il treno corre liscio sulle rotaie, la notte è serena e le costellazioni mi indicano l'orientamento: andiamo verso sud-est. Passano foreste, villaggi con piccole luci, città illuminate, distese di terra nera arate di fresco, stoppie, altre distese, ancora villaggi: questa è la Russia. Domattina saremo a Kiev. Per questa strada ferrata passammo anche allora, e da Vinitza era Lisa Mitz che faceva la cuoca al distaccamento di prigionieri lungo la ferrovia del Baltico. Sarà ancora viva?
Il treno corre nella notte e non dormo. Allora eravamo in tanti dentro i vagoni dalle porte spalancate e si stava distesi tra armi e zaini. Ma ha un senso andare alla ricerca di quel tempo? A Kiev, appena siamo giù dal treno si avvicina una ragazza: - Scusi. - dice in perfetto italiano, - è lei il signor Rigoni Stern? Le do il benvenuto. Sono dell'Inturist. [...]
Si sa che Kiev è una città antica [...] L'interprete vorrebbe accompagnarci nei soliti luoghi che i turisti vogliono vedere: il Gum, il metrò, i musei, le cattedrali, i vecchi conventi, e rimane sorpresa quando le dico che preferisco stare tra la gente. I colori e il sole di questo lungo autunno sui giardini di Kiev mi allontanano dallo scopo del mio viaggio fino a quando in un parco sopra la collina vediamo il monumento ai soldati caduti per liberare la città nel dicembre del 1943. Leggo il nome di un generale di quarantadue anni e quello del giovanissimo soldato che per primo vi entrò su un carro armato, e vedo la grande fossa dove sono tutti insieme sepolti e i fiori freschi sulle pietre. [...]
Nella primavera del 1945 a Kiev erano sopravvissuti appena duecentocinquantamila abitanti, ora sono oltre i due milioni. I trucidati, i deportati, i caduti in combattimento in Ucraina furono milioni, e non c'è casa o famiglia che non abbia avuto i suoi morti. [...] O sedermi accanto a quell'ebreo, chissà come sopravvissuto, che sulla panchina si gode il sole guardando i ragazzi che giocano che giocano. No, noi qui non eravamo come i tedeschi; e dopo, quando ognuno poté scegliere, fui con voi. Per questo posso dire tranquillamente: - Ià italianschi, - e voi rispondermi sorridendo: - Italianschi carasciò! [...]
Il giorno dopo sono in viaggio per Charkov: è da questa città che spero di raggiungere il Don. Qui a Charkov vi era un grande ospedali italiano dove molti nostri compagni sono morti. Anche il mio capitano che venne ferito a Nikolajewka il 26 gennaio. E nei pressi di Bielgorod, a una ottantina di chilometri da qui, siamo usciti dalla sacca in quel febbario del 1943. [...] A Charkov scendiamo allo stesso albergo.
Anche qui mi aspettano alla stazione, e dopo, in albergo, il direttore dell'Inturist mi chiede se il mio desiderio è proprio quello di visitare i luoghi dove hanno combattuto gli italiani. Ci tiene a precisare che le distanze sono grandi, le strade non tutte buone e, infine mi chiede se sono disposto a pagare in valuta [...] e lo scopo del mio viaggio è solo per portare un saluto ai miei compagni caduti e rimasti per sempre in quelle steppe, e anche un ringraziamento alla gente dei villaggi e delle isbe. Solamente ora sorride appena: - Allora siamo d'accordo, - dice. [...]
martedì 27 dicembre 2022
Storia Illustrata 1999, parte 8
Speciali di Storia Illustrata, Campagna di Russia - La tragedia dell'ARMIR, Agosto 1999, ottava parte.
Ritorno sul Don, parte 2
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Questa era la terza volta che andavo nelle Russie; la prima fu quando partimmo da Aosta con il Cervino, la notte del 13 gennaio 1942. Nevicava, allora. Gli alpini salivano sui vagoni con fiaschi e bottiglie in mano e nello zaino, e vino in corpo; si cantava [...] Il viaggio fu lungo, durò fino al 21 febbraio: quaranta giorni attraverso la Germania, la Polonia e l'Ucraina. Il freddo era intenso e persistente. [...]
Più avanti, in Polonia, il treno si fermava perché i partigiani facevano saltare i binari o i ponti sui fiumi. [...] Un giorno incrociammo un treno carico di feriti che scendevano dal fronte di Mosca; stavano ammucchiati sulla paglia dentro i vagoni merci, fasciati con bende di carta, poco coperti, pidocchiosi. Erano nelle medesime condizioni di come si sarebbe stati noi un anno dopo, all'uscita della sacca del Don. Un alpino di Gressoney che parlava tedesco chiese a uno di loro sua volta ci aveva chiesto da fumare: - Come va la guerra? - Merda! - ci rispose.
Nello scompartimento di terza classe assieme a me c'erano De Marzi, Bonomi e Marcellin; due dormivano sulle panche e due sui teli da tenda tesi come amache. Io stavo sopra, dentro il telo, e quando il treno partiva o si fermava gli scossoni erano tali che si dondolava per un bel poco. [...] Una volta ci dissero che il treno sarebbe stato fermato per almeno sei o sette ore. [...] C'era il mercato: uova, galline, nastri, paste colorate, semi di girasole, sedie impagliate, utensili da tavola in legno e donne che conversavano animatamente. Due soldati tedeschi delle SS, armati di tutto punto, osservavano staccati e con aria di sufficienza. [...]
In un altro villaggio incontrai un vecchio che nel 1917 era stato con gli austriaci nel mio paese devastato; io gli offrii tabacco e lui mi portò un secchio di birra, e stemmo a conversare in una lingua strana, ma dicendoci tante cose, durante tutta la sosta. Il 7 febbraio eravamo a Leopoli e qui più che altrove si vedevano i segni della guerra. [...]
Il 23 febbraio il generale Messe che comandava il CSIR venne a Jassinovataja e ci fece il discorso. Disse che il Cervino era un battaglione speciale, da non sprecarsi, e che il nostro compito sarebbe stato di far pattuglie nelle retrovie russe e colpi di mano.
Venne un marzo freddo che per niente annunciava la primavera. Si andava di pattuglia con gli sci per le pianure nei dintorni di Rikovo, e un giorno ci imbattemmo in una grande fossa ricolma di cadaveri nudi di ogni età e sesso. Restammo sconvolti e quando un tenente volle ritornare su quel posto con la macchina fotografica, trovò le fosse coperte con terra e neve. [...]
Qualche pomeriggio ci portavano anche a teatro. La compagnia teatrale era di ragazze e ragazzi ucraini che ballavano e cantavano in costume. I soldati che affollavano il teatro di Rikowo fischiavano, urlavano e battevano i piedi quando nel ritmo della danza apparivano le ginocchia delle ragazze o sobbalzavano i seni. Ma certe canzoni profondamente malinconiche facevano stare tutti zitti. [...]
Nella primavera del 1942 ritornai in Italia con alcuni compagni, alla Scuola d'Aosta. Alla stazione di Jassinovataja, Simonutti e Anzi rubarono alla sussistenza un barile di cognac; dopo la bevuta si addormentarono in Russia e si svegliarono a Udine. Nell'estate ritornai al mio reggimento e ripartimmo per le Russie la seconda volta.
Eravamo in tanti, questa volta, tre divisioni: nove reggimenti di alpini e tre di artiglieria, e i servizi; tanti lunghi treni, con tanti muli, non i trecento alpini del Cervino. Diceva, radio scarpa, che si sarebbe andati nel Caucaso per poi scendere da lì per l'Armenia sino a incontrare l'armata dell'Africa che sarebbe salita dall'Egitto. [...]
Era una domenica mattina e, al comando «Zaino in spalla, riposo», uscimmo dalla caserma Monte Grappa con la bocca ancora impastata per il vino della notte. Le strade mattutine di una Torino ancora addormentata erano deserte; i rari passanti si fermavano sui marciapiedi e ci guardavano passare senza farci alcun gesto. Il rumore dei chiodi degli scarponi e zoccoli dei muli sull'asfalto di corso Vinzaglio sembrava riempire la città [...] Erano gli alpini della Tridentina che andavano in Russia.
Alle 10,40 la tradotta parti, e Gazzoli, il tromba della compagnia, suonò l'avanti; il macchinista rispose con il fischio del vapore. Gli alpini urlarono. [...] Cosi, con un grande coro, partimmo dalla stazione di Porta Nuova quella domenica del 26 luglio. A Brescia trovammo tanto vino perché dalle montagne erano scesi i parenti dei nostri compagni bresciani; vino, pane e salame anche a Verona per i veronesi, e anche a Trento per i trentini. Poi, quando il treno scese dall'altra parte delle Alpi, stavamo a guardare dalla porta spalancata del carro ferroviario, con le gambe a penzoloni.
Questa era la terza volta che andavo nelle Russie; la prima fu quando partimmo da Aosta con il Cervino, la notte del 13 gennaio 1942. Nevicava, allora. Gli alpini salivano sui vagoni con fiaschi e bottiglie in mano e nello zaino, e vino in corpo; si cantava [...] Il viaggio fu lungo, durò fino al 21 febbraio: quaranta giorni attraverso la Germania, la Polonia e l'Ucraina. Il freddo era intenso e persistente. [...]
Più avanti, in Polonia, il treno si fermava perché i partigiani facevano saltare i binari o i ponti sui fiumi. [...] Un giorno incrociammo un treno carico di feriti che scendevano dal fronte di Mosca; stavano ammucchiati sulla paglia dentro i vagoni merci, fasciati con bende di carta, poco coperti, pidocchiosi. Erano nelle medesime condizioni di come si sarebbe stati noi un anno dopo, all'uscita della sacca del Don. Un alpino di Gressoney che parlava tedesco chiese a uno di loro sua volta ci aveva chiesto da fumare: - Come va la guerra? - Merda! - ci rispose.
Nello scompartimento di terza classe assieme a me c'erano De Marzi, Bonomi e Marcellin; due dormivano sulle panche e due sui teli da tenda tesi come amache. Io stavo sopra, dentro il telo, e quando il treno partiva o si fermava gli scossoni erano tali che si dondolava per un bel poco. [...] Una volta ci dissero che il treno sarebbe stato fermato per almeno sei o sette ore. [...] C'era il mercato: uova, galline, nastri, paste colorate, semi di girasole, sedie impagliate, utensili da tavola in legno e donne che conversavano animatamente. Due soldati tedeschi delle SS, armati di tutto punto, osservavano staccati e con aria di sufficienza. [...]
In un altro villaggio incontrai un vecchio che nel 1917 era stato con gli austriaci nel mio paese devastato; io gli offrii tabacco e lui mi portò un secchio di birra, e stemmo a conversare in una lingua strana, ma dicendoci tante cose, durante tutta la sosta. Il 7 febbraio eravamo a Leopoli e qui più che altrove si vedevano i segni della guerra. [...]
Il 23 febbraio il generale Messe che comandava il CSIR venne a Jassinovataja e ci fece il discorso. Disse che il Cervino era un battaglione speciale, da non sprecarsi, e che il nostro compito sarebbe stato di far pattuglie nelle retrovie russe e colpi di mano.
Venne un marzo freddo che per niente annunciava la primavera. Si andava di pattuglia con gli sci per le pianure nei dintorni di Rikovo, e un giorno ci imbattemmo in una grande fossa ricolma di cadaveri nudi di ogni età e sesso. Restammo sconvolti e quando un tenente volle ritornare su quel posto con la macchina fotografica, trovò le fosse coperte con terra e neve. [...]
Qualche pomeriggio ci portavano anche a teatro. La compagnia teatrale era di ragazze e ragazzi ucraini che ballavano e cantavano in costume. I soldati che affollavano il teatro di Rikowo fischiavano, urlavano e battevano i piedi quando nel ritmo della danza apparivano le ginocchia delle ragazze o sobbalzavano i seni. Ma certe canzoni profondamente malinconiche facevano stare tutti zitti. [...]
Nella primavera del 1942 ritornai in Italia con alcuni compagni, alla Scuola d'Aosta. Alla stazione di Jassinovataja, Simonutti e Anzi rubarono alla sussistenza un barile di cognac; dopo la bevuta si addormentarono in Russia e si svegliarono a Udine. Nell'estate ritornai al mio reggimento e ripartimmo per le Russie la seconda volta.
Eravamo in tanti, questa volta, tre divisioni: nove reggimenti di alpini e tre di artiglieria, e i servizi; tanti lunghi treni, con tanti muli, non i trecento alpini del Cervino. Diceva, radio scarpa, che si sarebbe andati nel Caucaso per poi scendere da lì per l'Armenia sino a incontrare l'armata dell'Africa che sarebbe salita dall'Egitto. [...]
Era una domenica mattina e, al comando «Zaino in spalla, riposo», uscimmo dalla caserma Monte Grappa con la bocca ancora impastata per il vino della notte. Le strade mattutine di una Torino ancora addormentata erano deserte; i rari passanti si fermavano sui marciapiedi e ci guardavano passare senza farci alcun gesto. Il rumore dei chiodi degli scarponi e zoccoli dei muli sull'asfalto di corso Vinzaglio sembrava riempire la città [...] Erano gli alpini della Tridentina che andavano in Russia.
Alle 10,40 la tradotta parti, e Gazzoli, il tromba della compagnia, suonò l'avanti; il macchinista rispose con il fischio del vapore. Gli alpini urlarono. [...] Cosi, con un grande coro, partimmo dalla stazione di Porta Nuova quella domenica del 26 luglio. A Brescia trovammo tanto vino perché dalle montagne erano scesi i parenti dei nostri compagni bresciani; vino, pane e salame anche a Verona per i veronesi, e anche a Trento per i trentini. Poi, quando il treno scese dall'altra parte delle Alpi, stavamo a guardare dalla porta spalancata del carro ferroviario, con le gambe a penzoloni.
Cronaca di una sconfitta annunciata, 27.12.42
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
27 DICEMBRE.
BLOCCO SUD.
Nelle ore meridiane del 27 dicembre era compiuto un breve spostamento verso ovest, fino a Nikolajevskij, per migliorare gli alloggiamenti, ma non appena i reparti stavano sistemandovisi, alle ore 22 un ordine del XXIX Corpo ordinava la ripresa del movimento su Bolscioj Ternovyi, in valle Gnilaja. A mezzanotte, nella tormenta, veniva ripresa la marcia, disturbata, in coda, da attacchi di partigiani e, sul fianco destro, alle ore 4 del 28 dicembre, da reparti regolari sovietici. Alle ore 5,30, quando Bolscioj Ternovyi distava ormai soltanto 3 chilometri, un aereo tedesco lanciava un messaggio sulla colonna. Era una carta 1:300.000, con il segno di una forte occupazione nemica a Bolscioj Ternovyi e con l'indicazione di un nuovo itinerario fino a Skassirskaia, occupata da forze tedesche.
Si sarebbe trattato, però, di coprire una nuova tappa di altri 40 chilometri, in aggiunta ai 35 appena percorsi, portando la distanza complessiva a 75 chilometri senza soste intermedie, fuori delle piste, nelle descritte condizioni ambientali. La mancanza assoluta di carburante determinava un ulteriore sacrificio di automezzi e di bocche da fuoco. Carri armati sovietici attaccavano la colonna in testa ed in coda e tre di essi erano distrutti dalla poca artiglieria rimasta. Le perdite di uomini, per esaurimento e per congelamento, si moltiplicavano.
BLOCCO NORD.
Il 27 dicembre venivano richiesti al Comando d'Armata, nuovamente per mezzo della radio della 298a Divisione, l'invio di medicinali, lo sgombero aereo dei feriti più gravi e con automezzi (non appena fosse stata aperta la strada) di 2.000 feriti e congelati meno gravi. Veniva anche richiesta la presenza di un ufficiale del Comando d'Armata per constatare la gravità della situazione e prendere accordi per lo sgombero di feriti ed ammalati. Il necessario riordinamento dei reparti si dimostrava impossibile, poiché il nemico sempre vigilante non consentiva di effettuare adunate all'aperto. Il fuoco delle artiglierie, mortai e lanciarazzi provocava perdite tra gli uomini e la distruzione delle abitazioni. I reparti italiani erano assegnati alla difesa del settore orientale, contiguo ai loro alloggiamenti.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
La lotta si protraeva sullo stesso terreno nelle giornate del 27 e del 28, in una alternanza di perdite e di riconquiste di posizioni che, però, alla sera del 28 erano tutte in mano italiana. Le sole perdite per congelamento nella giornata del 28 ammontavano a 103.
27 DICEMBRE.
BLOCCO SUD.
Nelle ore meridiane del 27 dicembre era compiuto un breve spostamento verso ovest, fino a Nikolajevskij, per migliorare gli alloggiamenti, ma non appena i reparti stavano sistemandovisi, alle ore 22 un ordine del XXIX Corpo ordinava la ripresa del movimento su Bolscioj Ternovyi, in valle Gnilaja. A mezzanotte, nella tormenta, veniva ripresa la marcia, disturbata, in coda, da attacchi di partigiani e, sul fianco destro, alle ore 4 del 28 dicembre, da reparti regolari sovietici. Alle ore 5,30, quando Bolscioj Ternovyi distava ormai soltanto 3 chilometri, un aereo tedesco lanciava un messaggio sulla colonna. Era una carta 1:300.000, con il segno di una forte occupazione nemica a Bolscioj Ternovyi e con l'indicazione di un nuovo itinerario fino a Skassirskaia, occupata da forze tedesche.
Si sarebbe trattato, però, di coprire una nuova tappa di altri 40 chilometri, in aggiunta ai 35 appena percorsi, portando la distanza complessiva a 75 chilometri senza soste intermedie, fuori delle piste, nelle descritte condizioni ambientali. La mancanza assoluta di carburante determinava un ulteriore sacrificio di automezzi e di bocche da fuoco. Carri armati sovietici attaccavano la colonna in testa ed in coda e tre di essi erano distrutti dalla poca artiglieria rimasta. Le perdite di uomini, per esaurimento e per congelamento, si moltiplicavano.
BLOCCO NORD.
Il 27 dicembre venivano richiesti al Comando d'Armata, nuovamente per mezzo della radio della 298a Divisione, l'invio di medicinali, lo sgombero aereo dei feriti più gravi e con automezzi (non appena fosse stata aperta la strada) di 2.000 feriti e congelati meno gravi. Veniva anche richiesta la presenza di un ufficiale del Comando d'Armata per constatare la gravità della situazione e prendere accordi per lo sgombero di feriti ed ammalati. Il necessario riordinamento dei reparti si dimostrava impossibile, poiché il nemico sempre vigilante non consentiva di effettuare adunate all'aperto. Il fuoco delle artiglierie, mortai e lanciarazzi provocava perdite tra gli uomini e la distruzione delle abitazioni. I reparti italiani erano assegnati alla difesa del settore orientale, contiguo ai loro alloggiamenti.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
La lotta si protraeva sullo stesso terreno nelle giornate del 27 e del 28, in una alternanza di perdite e di riconquiste di posizioni che, però, alla sera del 28 erano tutte in mano italiana. Le sole perdite per congelamento nella giornata del 28 ammontavano a 103.
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