mercoledì 14 aprile 2021

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 10

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - Lo schieramento sul Woltschja e l'attacco di Pawlograd (9-11 ottobre 1941).

Commissione speciale dell'ONU, parte 3

Pubblico la terza parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

CAPITOLO II.

Non é il caso di dilungarsi sull'azione politica e diplomatica degli organi governativi, iniziata fin dal 1943, poi attenuata e quindi ripresa con maggior interesse, perché non è questa la sede adatta e perché non si avrebbe la necessaria competenza. Comunque, per quanto è dato conoscere, si peccherebbe di insincerità se non si desse atto agli interventi del Governo, in ogni epoca ed in ogni occasione, per avere dal Governo sovietico notizie atte a chiarire il doloroso problema dei nostri prigionieri. Si riassumono gli avvenimenti di maggior rilievo che risultano aver dato motivo di costante e graduale interessamento alla ricerca di notizie. Nel 1943 purtroppo esse furono vaghe e scarse a causa della situazione politica e militare del nostro paese.

Solo da una intervista con persona che abitò nell'URSS per lungo tempo, si ebbe qualche riferimento sulla situazione dei nostri prigionieri, i quali potevano considerarsi divisi in due categorie: quelli ristretti nei campi di concentramento e quelli dispersi per il vasto territorio delle repubbliche sovietiche. Ai campi arrivarono quelli che riuscirono a superare le lunghe marce di trasferimento nel clima rigidissimo dell'inverno, malvestiti ed ancor peggio nutriti. Gli altri meno resistenti si adattarono volontariamente a lavorare in case di contadini russi. I primi, ma non tutti, hanno potuto dare notizie, scrivendo alle famiglie dai campi di concentramento o attraverso messaggi trasmessi da Radio Mosca, per i secondi le notizie furono più difficili giacché essi stessi cercarono di sottrarsi al controllo ufficiale, per tema di persecuzioni e maltrattamenti. La posta dei prigionieri funzionò, sia pure in modo non regolare fino al settembre del 1943 e poi non fu più inoltrata, mentre Radio Mosca continuò periodicamente e fino al Natale del 1945 a trasmettere i messaggi di alcune decine di migliaia di prigionieri; messaggi captati in gran parte dalla Radio Vaticana e comunicati alle famiglie.

Nel 1944, con la Costituzione del nuovo Governo Italiano ebbe inizio l'azione di ricerca di notizie e le richieste ufficiali al Governo russo per conoscere essenzialmente il numero ed i nomi dei prigionieri catturati dalle truppe sovietiche ed internati nei campo dell'URSS. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invitò il Signor Kostilev - addetto militare russo presso la Commissione Alleata in Italia - ad interessare il suo governo perché fornisse l'elenco dei prigionieri italiani e consentisse loro di scrivere alle famiglie, ma l'esito fu negativo. Uguale richiesta venne inoltrata per via diplomatica dal Ministero degli Affari Esteri Italiano, ma con uguale risultato. Si tentò di avere notizie attraverso un Ministro italiano dell'epoca facente parte del Governo e che era stato per vari anni nell'URSS; nel colloquio avuto con l'Alto Commissario per i prigionieri di guerra egli poté solo riferire: "Ho visitato un campo di nostri prigionieri di guerra in Russia, campo misto di ufficiali e soldati. Stavano discretamente bene. I nostri prigionieri hanno sofferto molto freddo. Da quanto mi risulta molti nostri soldati sono morti. Non so precisare il numero dei nostri prigionieri in Russia".

Seguirono altre due identiche richieste attraverso la nostra rappresentanza diplomatica a Mosca e all'Ambasciata dell'URSS a Roma ma nessuna risposta; le autorità sovietiche rimasero sorde anche all'appello della stampa italiana, che, facendo eco alle richieste del nostro Governo e del popolo italiano cosi si rivolgeva al popolo russo: "Dare una notizia che, nelle condizioni di tutti i popoli, non si nega neppure ad un nemico, è atto di umanità, di carità, di solidarietà tanto più non si può negare ad una nazione amica che combatte la stessa guerra". In un colloquio tra l'Alto Commissario per i prigionieri di guerra ed il Colonnello russo Jacolev, si ebbero scarse notizie. L'alto ufficiale russo, premettendo di non avere specifiche e precise notizie sui nostri prigionieri asserì che i prigionieri italiani in Russia erano trattati bene, che non era da escludersi che alcuni di essi fossero ospitati da famiglie russe, che si stavano preparando a cura della nostra Ambasciata a Mosca gli elenchi da comunicare al Governo italiano e che i prigionieri stessi sarebbero stati rimpatriati in un prossimo futuro. Il rimpatrio di parte dei prigionieri si verificò, ma gli elenchi di tutti i prigionieri non giunsero mai.

Quanto fin qui brevemente esposto, formò oggetto di un promemoria dell'Alto Commissariato per i prigionieri di guerra italiani al Segretario Generale della Confederazione Italiana del Lavoro, perché nella sua missione in Russia potesse svolgere opera certamente meritoria nei contatti con le personalità sovietiche particolarmente interessate al problema, allo scopo di ottenere: - le liste nominative dei nostri connazionali; - l'organizzazione di un scambio di corrispondenza tra essi e le loro famiglie in Italia; - informazioni circa il loro trattamento e protezione dei loro interessi sulla base della convenzione di Ginevra; - attuazione degli stessi criteri adottati dai governi inglese ed americano per il rimpatrio di quelli rientranti in determinate categorie: ammalati, anziani età, ecc. Pur tenendo presente che la Russia non aderì alla Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, si sperava che essa si sarebbe indubbiamente attenuta all'osservanza di quelle norme umanitarie e di diritto internazionale che ogni paese civile si onorava di rispettare.

Ciò anche perché per quanto si riferiva particolarmente alle liste dei prigionieri e dei caduti era intervenuto un accordo reciproco di scambio di notizie che, nel 1942, secondo il Governo russo, l'Italia avrebbe denunciato per inadempienza da parte sovietica. Che il Governo Italiano non intendesse comportarsi in tal senso fu provato dal fatto che la Commissione Interministeriale - l'unica che avesse veste di agire in nome del Governo - nella sua seduta del 3 luglio 1942 decise di interessare il Ministero degli Esteri perché a mezzo della potenza detentrice e degli stessi alleati dell'U.R.S.S. tentasse di ottenere da parte delle autorità sovietiche l'esecuzione dell'obbligo intervenuto col Governo Italiano. Pertanto la pretesa sovietica non trovò appoggio legale e denunciò palesemente l'intenzione di volere con essa mascherare un rifiuto, troppo contrario ad ogni forma di legalità e di giustizia. Si sconosce quanto abbia potuto fare in proposito il Segretario della C.G.I.L. (On. Di Vittorio) nel corso della sua missione in Russia compiuta nel 1945. Comunque al suo rientro in Italia si è potuto sapere solo che in Russia vi erano circa 20 mila italiani in procinto di rimpatriare: notizia già nota per comunicazione delle stesse autorità sovietiche.

Nel settembre 1945 ebbero inizio i rimpatri che si conclusero nell'ottobre del 1946 per un totale complessivo di 10.030 fra ufficiali e militari di truppa appartenenti all'ARMIR. Affluirono ai Centri Alloggi dell'Italia Settentrionale dai valichi del Brennero e di Tarvisio, provenienti dalla Germania e dall'Austria ove furono presi in consegna dalle autorità militari alleate che li ricevettero dai russi numericamente: solo uno scaglione fu preso in consegna il 7 luglio 1946 da un rappresentante italiano in Austria e comprendeva circa 550 ufficiali per la maggior parte dell'ARMIR e pochi sottufficiali; solo uno scaglione di 145 prigionieri giunse in Italia con il ruolino di marcia - lista nominativa - consegnata all'ufficiale più elevato in grado dello stesso scaglione all'atto della partenza per il rimpatrio. Il modo col quale fu effettuato il rimpatrio dei nostri prigionieri evidentemente non fu normale e nella sua sollecita improvvisazione sorprese le nostre autorità che avrebbero gradito inviare proprie commissioni di controllo in Germania ed in Austria per ricevere i reduci dai russi.

Ne conseguì che l'opinione pubblica italiana ritenne di ravvisare nell'iniziativa russa una procedura apprezzabile per la sollecitudine e la buona volontà manifestata nella restituzione dei prigionieri, ma allo stesso tempo poco chiara, quasi che l'iniziativa stessa volesse mascherare e confondere la provenienza dei prigionieri restituiti che infatti risultarono solo per metà quelli appartenenti all'ARMIR, mentre l'altra metà si riferiva a prigionieri in Germania. Perciò al governo sovietico non dovette meravigliare se la sua nota dichiarazione del 27 novembre 1946 con la quale annunziò ultimato il rimpatrio dei prigionieri italiani, fu, a suo avviso, colta dall'opinione pubblica italiana con poco entusiasmo e con scarsa riconoscenza per l'atto di benevolenza dimostrata dall'URSS nell'aver provveduto d'iniziativa al rimpatrio degli italiani.

Sta di fatto che ancora oggi rimane il dubbio sui 21.065 prigionieri che le autorità sovietiche avrebbero rimpatriato fra quelli che essi sostennero di aver catturato nella battaglia del Don e che il generale Golubev asserì che furono presi con le armi in pugno. L'uno e l'altra affermazione avrebbero dovuto far ritornare in Italia 21.065 prigionieri italiani dell'ARMIR mentre ne giunsero 10.030 e mai fu possibile dirimere tale atroce dubbio per il quale sarebbe stato sufficiente avere gli elenchi nominativi dei reduci componenti i singoli scaglioni. Elenchi che le autorità sovietiche sostennero di aver consegnato alle autorità alleate all'atto del passaggio in consegna dei prigionieri italiani da rimpatriare e dei quali ne conservavano copia per ricevuta. Purtroppo tali elenchi non sono mai giunti né le autorità alleate che all'epoca ricevettero in consegna i prigionieri italiani hanno potuto, a distanza di tempo, precisare sulla loro esistenza e consegna da parte delle autorità russe.

Comunque, se é vero che le autorità sovietiche dispongono tuttora di copie di detti elenchi, non si comprende perché si ostinano a non rimetterle al governo italiano che ripetutamente ha fatto richiesta. Ostinazione mantenuta anche quando ad una richiesta di rimborso delle spese sostenute per il rimpatrio di detti prigionieri si assicurò che da parte italiana si sarebbe provveduto al pagamento purché le autorità sovietiche avessero rimesso l'elenco nominativo dei prigionieri italiani rimpatriati. Nel 1947 una delegazione di donne italiane si recò nell'URSS ed ebbe modo di far visita al vice delegato del consiglio dei ministri dell'URSS per gli affari di rimpatrio tenente generale K. D. Golubev.

martedì 13 aprile 2021

Ricordi, parte 16

A volte è una traccia, un solco nella neve da seguire per ore e ore nel nulla...

Commissione speciale dell'ONU, parte 2

Pubblico la seconda parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Perciò dalla perdita complessiva di circa 85.000 unità, calcolati i morti e i prigionieri restituiti, si poté dedurre che i militari dispersi ammontavano a circa 64.000 uomini dei quali si ignora tuttora la sorte loro toccata. Queste distinte cifre dei prigionieri e dei dispersi, puramente indicative, non convincono, ne possono essere accettate per una sequela di considerazioni e soprattutto di prove raggiunte dalle nostre autorità e di contraddizioni da parte delle stesse autorità sovietiche, le quali, uniche in possesso dei dati necessari, possono rivelare la verità su questo angoscioso problema dei prigionieri, la cui sorte sconosciuta, angoscia l'animo di migliaia di famiglie italiane, che invocano comprensione e senso di umana solidarietà da parte del popolo russo.

La sorpresa causata dalla notizia della liberazione e restituzione di appena 20.000 prigionieri italiani e poi la dolorosa constatazione che solo 10.030 di essi erano quelli dell'ARMIR restituiti dai campi di concentramento della Russia, disorientarono l'opinione pubblica italiana e furono fonte di amarezza e di angoscia in tante famiglie che speravano di riabbracciare i loro congiunti. Il 27 novembre 1946 il Governo sovietico fece seguire al rimpatrio dei prigionieri la seguente dichiarazione: "Il Ministero degli Affari Esteri dell'U.R.S.S. ha l'onore di attirare l'attenzione dell'Ambasciata d'Italia sul fatto che il Governo sovietico, venendo incontro al desiderio del Governo Italiano e per manifestare la sua buona volontà ha proceduto di sua iniziativa al rimpatrio dei prigionieri italiani nell'U.R.S.S., che è stato ultimato nell'agosto u.s.". Con questo passo il Governo sovietico intendeva considerare chiusa definitivamente la questione dei nostri prigionieri di guerra.

Intanto dagli interrogatori dei reduci si poté acclarare che altri prigionieri italiani erano sicuramente rimasti nell'U.R.S.S., sparsi in campi di punizione o in carcere, perché incolpati di crimini di guerra. Raccolte le prove testimoniali dei reduci, si produsse una chiara ed inoppugnabile documentazione alle autorità sovietiche, che nel 1947, senza alcun preavviso restituirono altri 5 prigionieri, nel 1948 altri due, dei quali non si aveva notizie dell'esistenza in vita, nel 1950 un gruppo di altri 21 prigionieri fra i quali i tre generali delle Divisioni Alpine e nel 1951 un altro prigioniero, del quale si sconosceva la sorte. Quindi le autorità sovietiche trasmisero una lista di 34 prigionieri italiani trattenuti, in attesa del procedimento giudiziario che li riguardava per accuse di atrocità commesse contro la popolazione civile in territorio dell'U.R.S.S. durante la guerra.

Infine nel gennaio-febbraio del 1954 veniva restituito il predetto gruppo di prigionieri, presunti criminali di guerra il cui rimpatrio venne annunziato dall'Ambasciata dell'U.R.S.S. in Roma con la seguente nota verbale: "L'Ambasciata dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste presenta i suoi complimenti al Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana e per incarico del suo Governo ha l'incarico di comunicare quanto segue: Terminato nell'agosto 1946 il rimpatrio dall'U.R.S.S. dei prigionieri di guerra italiani che espiavano la pena per delitti da loro commessi, ora in relazione col decreto di amnistia del presidium del Consiglio Supremo dell'U.R.S.S. e per corrispettiva decisione del Tribunale Supremo dell'U.R.S.S. dopo il riesame delle pratiche, 27 prigionieri di guerra italiani vengono liberati prima del tempo e sono ammessi al rimpatrio. Un altro prigioniero di guerra italiano è ammesso al rimpatrio dall'U.R.S.S. avendo scontato la pena. In pari tempo per decisione del Tribunale Supremo, riesaminate le pratiche, vengono liberati prima del tempo e ammessi al rimpatrio dall'U.R.S.S. 6 italiani civili che erano anch'essi detenuti in espiazione di pena per delitti da loro commessi. L'Ambasciata è autorizzata a dichiarare che nell'Unione sovietica oltre ai suddetti 28, non esiste alcun altro prigioniero di guerra italiano e che con la loro partenza dall'U.R.S.S. il rimpatrio dei prigionieri di guerra italiani dall'Unione Sovietica sarà del tutto completo".

A questa seconda affermazione da parte delle autorità sovietiche dell'avvenuta completa restituzione dei prigionieri di guerra italiani nell'U.R.S.S., seguono sporadicamente altri rientri insperati di cittadini italiani dei quali nulla si conosceva se non la loro posizione di dispersi, in conseguenza della quale ai congiunti veniva assegnata la pensione di guerra. Infatti ne rimpatriarono 4 nel 1955, 2 nel 1956 e uno nel 1957. Cosi furono restituiti complessivamente dal 1945 ad oggi 10.100 italiani, dei quali 10.081 militari dell'A.R.M.I.R., 13 altoatesini della Wermacht e 6 civili. Naturalmente il ritorno dei prigionieri italiani dopo le ripetute dichiarazioni del Governo Sovietico della inesistenza di altri in territorio russo, ha giustamente convinto l'opinione pubblica della inesattezza delle affermazioni e alimentata la speranza, nelle migliaia di famiglie dei dispersi, che altri prigionieri potrebbero trovarsi ancora sparsi nello sconfinato territorio delle Repubbliche Sovietiche.

Sull'entità dei nostri prigionieri in Russia si sono azzardate varie cifre: 60.000 secondo i nostri calcoli al termine della campagna di guerra; 85.000 secondo un comunicato apparso sul giornaletto «ALBA» del 10-2-1943 - periodico edito in Russia e distribuito nei campi di concentramento italiani; 115.000 secondo un comunicato dell'agenzia d'informazioni Tass, diramato nella notte tra il 15 e il 16 marzo 1943; 50.000 o 80.000 secondo una rassegna della stampa svedese del 3 aprile 1944 - secondo cui da notizie raccolte da un suo corrispondente londinese, si riteneva prossima la organizzazione in Russia di una Armata italiana composta di 50.000 - 80.000 prigionieri di guerra. Cifre alle quali si ritenne di dare un valore relativo, considerato che esse potessero essere state divulgate a scopo propagandistico nel periodo della guerra ancora in atto, ma che purtroppo rimasero inalterate nella convinzione degli ambienti familiari e associative dei prigionieri e dispersi.

La cifra piu attendibile si considerò quella di 46.000 militari dell'ARMIR, sia per concordi dichiarazioni dei reduci che per ammissione della stessa stampa sovietica. E a conferma giova riportare un passo tratto dal libro «Discorsi agli Italiani» di Mario Correnti - edito in lingua estera a Mosca - 1943 - ove fra l'altro si legge: "I dati della stampa sovietica sono inconfutabili. ...In tutto, la stampa sovietica, calcola che Mussolini ha perduto sul fronte orientale 60.000 morti, 69.000 feriti e 46.000 prigionieri...". Fu anche accertato, attraverso notizie fornite dai reduci, che tutti i prigionieri, all'atto della cattura, venivano elencati nominativamente prima del loro avvio ai campi di concentramento. Ufficialmente non si è potuto mai conoscere con esattezza dall'autorità sovietiche il numero ed i nomi dei prigionieri italiani catturati, quelli di essi deceduti durante le lunghe marce di trasferimento per raggiungere i campi e nei campi stessi per malattie ed altre cause.

I reduci hanno riferito di alte percentuali di decessi per epidemie, ma limitatamente a determinati campi e quindi non è stato possibile dedurre un numero anche approssimativo, che solo le autorità sovietiche possono precisare attraverso la documentazione in loro possesso e sulla cui esistenza non possono sorgere dubbi e per unanime dichiarazione dei reduci e per le stesse comunicazioni delle autorità sovietiche, che, per circa 450 certificati di morte, finora rimessi alle autorità italiane, hanno indicato con precisione per ogni prigioniero deceduto: nome, cognome, paternità, luogo e data di nascita, la data di morte, che per alcuni risulta essere di pochi giorni dopo quella della cattura, la località, la causa del decesso, specificando, nei 450 casi di morte, circa 40 malattie diverse.

Che l'URSS non avesse sentito l'obbligo di fare alcuna comunicazione alle autorità italiane sui prigionieri di guerra poteva anche ritenersi giustificata, in quanto non firmataria della Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, non era in dovere di farlo verso il paese nemico, ma la stessa giustificazione non avrebbe dovuto avere più senso allorché il nostro paese si unì nella lotta per la causa alleata e più ancora dopo, quando nel 1949 aderì alla nuova Convenzione Internazionale di Ginevra. Su questa ostinazione ed intransigenza, che tuttora mantengono le autorità sovietiche, ogni illazione è avventata anche perché nell'attuale parvente clima di distensione, almeno tale considerato, con lo scambio di accordi commerciali e visite culturali, artistiche, sportive, ecc. non si riesce a puntualizzare la causa della mancata collaborazione in questo doloroso problema la cui chiarificazione contribuirebbe tanto a rafforzare i vincoli di amicizia fra i due popoli.

lunedì 12 aprile 2021

MOVM - Camandone Bruno

Le Medaglie d'Oro al Valor Militare della Campagna di Russia, Capitano CAMANDONE Bruno - 4° Reggimento Artiglieria Contraerea.

Motivazione: "Capitano di artiglieria appassionato ed entusiasta, venuto a conoscenza che nel corso dì affrettato ripiegamento del gruppo cui apparteneva alcuni pezzi erano stati abbandonati, ottenne, dopo reiterate insistenze, di poter tentare il recupero dei pezzi stessi Seguito da altri ardimentosi riusciva con perizia e tenacia a ricuperarne due avviandoli alle nostre linee. Fatto segno a violenta reazione nemica e ferito una prima volta volle insistere nel generoso compito assuntosi per recuperare altro pezzo della sua batteria. Raggiunto l’intento a prezzo di forti sacrifici e prossimo ormai a rientrare nelle nostre posizioni col prezioso carico, venne colpito in pieno da raffica anticarro. Esalò l’ultimo respiro abbattuto sul suo cannone, rivolgendo parole di fede e di incitamento ai compagni che lo avevano seguito nell’ardua impresa. Esempio di cosciente valore e di sublime attaccamento alla propria arma. - Cerkowo (Fronte russo), 24 dicembre 1942".

Ricompense - 4° Regg. Artiglieria Contraerea

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

4° REGGIMENTO ARTIGLIERIA CONTRAEREA.

MOVM Capitano CAMANDONE Bruno, alla memoria
MAVM Maggiore SQUILLACI Arturo
MAVM Maggiore URSO Gaetano
MAVM Capitano VEZZIL Mario
MAVM Tenente LIETTI Antonio
MAVM Tenente PESCE Amleto
MAVM caporal maggiore BALLABIO Francesco
MAVM caporal maggiore FORLANI Natale
MAVM soldato BERTOLDO Teonildo
MBVM Tenente Colonnello CAVALIERE Ferdinando
MBVM Tenente Colonnello SQUILLACI Arturo
MBVM Maggiore VALENZA Vincenzo
MBVM Capitano ADAMI Arnaldo
MBVM Capitano AGEN Bruno
MBVM Capitano INCANNAMORTE Nunzio
MBVM Tenente COSTANTINI Nicola
MBVM Sottotenente RUSSO Silvestro
MBVM Sottotenente SINESIO Giuseppe
MBVM Sottotenente VETTORI Francesco
MBVM sergente BOCCA Bruno
MBVM sergente MACCHIAVELLI Massimo
MBVM sergente MASELLI Vito
MBVM sergente SPINELLO Antonio
MBVM caporal maggiore ADDAMIANO Silvano
MBVM caporal maggiore BACCHIANI Luigi
MBVM caporal maggiore CARMINATO Fortunato
MBVM caporale BARILLARO Telemaco
MBVM caporale DE SILVESTRI Rocco
MBVM caporale FENZI Alessandro
MBVM caporale GHINASSI Rinaldo, alla memoria
MBVM caporale RETTORE Antonio
MBVM caporale TANONI Dino
MBVM soldato ALLEGRI Gelsiano
MBVM soldato AMBROSIO Francesco
MBVM soldato BERNARDINELLO Ilario
MBVM soldato CHIEREGATO Attilio
MBVM soldato DE CARIS Gioacchino
MBVM soldato DE GENNARO Giovanni
MBVM soldato FRANCESCON Antonio, alla memoria
MBVM soldato MARZELLA Giuseppe
MBVM soldato PISONI G.Battista, alla memoria
MBVM soldato RAMELLA Lorenzo, alla memoria
MBVM soldato RIGHI Angelo
MBVM soldato SUFFRITTI Guerrino
MBVM soldato TAVAZZI Giuseppe
MBVM soldato VASCO Giovanni
MBVM soldato ZORZIN Mario
CGVM Capitano BALDONI Orfeo
CGVM Capitano CAMPI Pasquale
CGVM Capitano MONTELEONE Lorenzo
CGVM Capitano ROZ Gustavo
CGVM Capitano VISAL Guido
CGVM Tenente ANDREUZZI Federico
CGVM Tenente BROLIS Pier Battista
CGVM Tenente GOBBO GHERBASSI Raim.
CGVM sergente maggiore ANASTASIO Tarcisio
CGVM sergente maggiore GRIGOLATO Bruno
CGVM sergente DI CORRADO Michele
CGVM caporal maggiore BOCCANERA Mario
CGVM caporal maggiore BOIAGO Luigi
CGVM caporal maggiore BUCCHIERI Giuseppe
CGVM caporal maggiore DEL SARTO Adelio
CGVM caporal maggiore FOCANTI Giulio
CGVM caporal maggiore MAGRI Edoardo
CGVM caporal maggiore MUNARON Guerrino
CGVM caporal maggiore SCIARINI Germinano
CGVM caporal maggiore TAMBURINI Diego
CGVM caporale BERNARDI Celeste
CGVM caporale DE VECCHI Nildo
CGVM caporale GUADAGNIN Altinio
CGVM caporale MESCHINI Amedeo
CGVM caporale TONELLI Cesare
CGVM soldato AMBROSI Pietro
CGVM soldato CHIORBOLI Alfredo
CGVM soldato CLERICI Renato
CGVM soldato COLLODEL Giovanni
CGVM soldato CRUCIANELLI Giuseppe
CGVM soldato EVOLA Michele
CGVM soldato GALLINA Ugo
CGVM soldato HAWER Bruno
CGVM soldato MAESTRI Aldo
CGVM soldato MAZZOLA Vincenzo
CGVM soldato MENNA Vincenzo
CGVM soldato PARRON Giuseppe
CGVM soldato PIACENZA Osvaldo
CGVM soldato POMARE' Osvaldo
CGVM soldato PORRO Francesco
CGVM soldato ROMANO Angelo
CGVM soldato SABATO Gaetano
CGVM soldato STABELLINI Werter
CGVM soldato STEFFENINO Luigi
CGVM soldato VIOTTI Guelfo
CGVM soldato ZECCA Francesco

Commissione speciale dell'ONU, parte 1

Pubblico la prima parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

PREMESSA.

Nell'ultimo conflitto mondiale circa un milione e quattrocentomila italiani sono passati per i campi di prigionia e di internamento sparsi in tutto il mondo, in clima ed ambienti eccezionali trattati nelle più strane forme morali e materiali. Dalla Russia Europea alle steppe siberiane, dai campi della Germania e Polonia all'inferno balcanico, dalla Francia alle regioni atlantiche e mediterranee dell'Africa, dalle Americhe alle Isole Hawaj, dall'Inghilterra e Domini dell'Africa, all'India, all'Australia, vigilati da custodi di ogni razza e colore, ove per lunghi anni hanno sofferto umiliazioni e duri sacrifici.

La maggior parte dei prigionieri - quasi i nove decimi del totale - per sua ventura fu detenuta da potenze che, firmatarie della Convenzione Internazionale di Ginevra del 1929, tennero fede agli impegni assunti e furono sollecite nel far conoscere il numero ed i nomi dei prigionieri italiani da esse custoditi, per segnalazioni dirette o tramite le potenze protettrici, oppure attraverso i Delegati della Croce Rossa Internazionale che visitarono i campi di concentramento. Ciò servi a tranquillizzare migliaia di famiglie italiane, che per qualche tempo avevano vissuto in angosciosa attesa di notizie e dette poi ad esse la possibilità di corrispondere con i congiunti lontani, ai quali fu anche consentito di far giungere pacchi con indumenti e viveri. Tutti questi prigionieri italiani - salvo quelli rimasti volontariamente per ragioni di lavoro e pochi deceduti per malattie e cause accidentali, circa il 3% in cinque anni di prigionia, - rimpatriarono entro due anni dal termine delle ostilità.

Meno fortunati furono quelli internati nei paesi balcanici, dei quali per lungo tempo non si poté conoscere né il numero né i nomi. Una attenuante di questa dolorosa incertezza poté essere ricercata nella causa degli avvenimenti dell'8 settembre 1943 durante i quali non fu possibile seguire le peripezie dei nostri militari dislocati in Balcania, molti dei quali, riusciti a sfuggire alla cattura tedesca, perplessi ed indecisi, si sbandarono in ogni dove, peregrinando in paese in paese. Comunque dopo la fine della guerra e dopo la restituzione di gran parte di essi da parte degli Stati detentori, si potò stabilire con larga approssimazione il numero dei nostri militari catturati prigionieri, quelli di essi deceduti nei campi e quelli trattenuti, che furono in seguito rimpatriati, ad eccezione di poche persone - civili e militari - sulla cui restituzione operarono le nostre autorità consolari. La sorte più tragica, perché mai conosciuta, fu riservata ai nostri militari dell'ARMIR combattenti sul fronte russo e non scampati ai tragici eventi della battaglia del Don.

CAPITOLO I.

L'Armata Italiana in Russia, all'inizio della battaglia del Don - 11 dicembre 1942 - era forte di circa 220.000 uomini inquadrati in 3 divisioni alpine, una divisione celere, 6 divisioni di fanteria e truppe e servizi dell'Armata, schierate tutte nella grande ansa del Don. La violenza e la durata della battaglia, la superiorità delle forze nemiche, la eroica resistenza dei nostri reparti, le dure condizioni climatiche ed il ripiegamento sotto la costante pressione avversaria costarono perdite rilevanti in uomini e materiali. Al termine della battaglia - 31 gennaio 1943 - le perdite dell'Armata furono di 30.000 fra congelati e feriti e di circa 85.000 fra morti e dispersi. Al rientro in Italia dei superstiti dell'Armata, attraverso la segnalazione dei reparti si poté stabilire che i caduti in combattimento, potuti constatare e documentare, ammontavano a poco più di 11 mila unità e dei rimanenti mancanti non fu possibile stabilire quanti fossero i dispersi e quanti quelli catturati prigionieri.

Solo nel 1945 il Governo sovietico, tramite la nostra Ambasciata a Mosca, comunicò di aver deciso di liberare e di rimpatriare circa 20.000 prigionieri italiani. La liberazione ed il rimpatrio avvenivano in due tempi a cura delle autorità alleate in Germania ed in Austria, che ricevettero da quelle sovietiche in consegna i prigionieri italiani numericamente, senza una lista nominativa. Rimpatriarono cosi fra il 1945 ed il 1946 effettivamente 21.065 prigionieri italiani restituiti dalla Russia, però al censimento fatto presso i centri alloggio, assistenza e smistamento in Italia, risultò che solo 10.030 di essi erano militari già appartenenti all'ARMIR catturati dalle truppe russe nella battaglia del Don ed internati in campi di concentramento dell'U.R.S.S., mentre i rimanenti 11.035 erano militari già prigionieri dei tedeschi ed internati nella zona della Germania occupata dai russi, da questi liberati e restituiti.

domenica 11 aprile 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fuori Novo Georgiewskij.



La Tagliamento da Legione a Gruppo

LA TAGLIAMENTO DA LEGIONE A GRUPPO (dicembre - aprile 1942).

Il 9 maggio 1942 il gen. Messe in un messaggio agli ufficiali, sottufficiali, caporali, soldati camicie nere del C.S.I.R. scriveva: "Le grandi, memorabili imprese che avete compiute rinverdendo la gloria delle bandiere, degli stendardi, dei labari, delle insegne che la Patria vi ha affidato, hanno arricchito la storia militare italiana di pagine che splendono di vivida luce nei fasti della Nazione".

Ancor sino a pochi giorni prima le Camicie nere erano rappresentate sul fronte russo soltanto dalla legione "Tagliamento" (un reggimento), il cui labaro sarà decorato con la medaglia d'oro. Il 24 aprile infatti, la legione, come tale, aveva chiuso il suo breve, sanguinoso, vittorioso, ciclo guerriero; nello stesso giorno era nato il Gruppo CC.NN. "Tagliamento" (una brigata) che, nella mutata fortuna della guerra, continuò la tradizione di valore e di umanità della piccola formazione primogenita. Quest'ultima, in una quasi ininterrotta serie di combattimenti contro un nemico superiore per numero, coraggioso e perfettamente armato, all'indomani della battaglia di Natale (24 dicembre 1941 - 26 gennaio 1942) avendo avuto centinaia di morti, feriti e congelati, era ridotta allo stremo delle forze. Rimaneva integro lo spirito: senso del dovere e dell'onore militare, lealtà verso il nemico, rispetto e anzi cordialità per le popolazioni dei luoghi occupati.

Quando quel gelido, ventoso 22 marzo 1942 a Mikailowska, presente il gen. Marazzani comandante della Celere, il cappellano don Biasutti benedì il Camposanto dove erano state raccolte le salme dei Caduti di Natale, una piccola folla di donne, ragazze e bimbi, accorsi anche da villaggi vicini, chiese di assistere al rito. Non li spingeva soltanto curiosità; il caposquadra Valle, interprete, interrogate alcune donne, tradusse: "I soldati italiani sono sempre stati buoni con noi". A Mikailowska aveva infuriato la battaglia, come a Krestowka, a Malo Orlowka, a Nowo Orlowka e poi a quota 331,7 ed a Woroscilowa. La battaglia non era inattesa. Il 9 dicembre il gen. Messe aveva comunicato ai comandi dipendenti: "L'alleato è in grave, se momentanea, crisi. Il C.S.I.R. deve occupare e tenere il contrafforte su cui corre la ferrovia Debalzewo-Rassypnaja, saldando i contatti le Grandi Unità germaniche laterali. Impegno tutti al massimo sforzo".

Il 10, l'11, il 12, il 13 dicembre arditi colpi di mano russi contro caposaldi e blocchi della legione erano stati respinti con perdite dalle due parti. Il 12 era stato gravemente ferito il centurione Pigozzi. Tutte le nostre ricognizioni esplorative avevano accertato grandi movimenti di truppe nemiche. Sulla linea più avanzata del C.S.I.R. il settore del vice comandante della Celere, col. Lombardi i.g.s., era tenuto dalla legione, dal 18° Btg. del III° bersaglieri, dal gruppo 75/27 del Bgt. artiglieria a cavallo, da uno squadrone del Savoia Cavalleria: Nella notte del 23 venne l'ordine: "Tenersi pronti a difendere ad oltranza le località occupate".

Quelle località erano in un certo senso gli estremi avamposti di Stalino. Perderle, significava aprire al nemico la strada verso il cuore dell'Ucraina. Furono tenute. Poi la legione andò, più avanti, sino a Woroscilowa che espugnò e mantenne; e quando al ritorno i superstiti passarono per Iwanoka un maggiore tedesco ordinò ad un suo drappello di presentare le armi e disse al Console Nicchiarelli che per gli italiani di Woroscilowa bisognava creare un vocabolo nuovo: disse "panzer soldaten" intendendo dire soldati d'acciaio. É difficile dare un'idea di Woroscilowa. Un ufficiale della legione, il cent. Avenati, testimone oculare, ne fece più tardi una descrizione fedele, obbiettiva su "La Stampa" di Torino: "W. non è un paese, è - letteralmente - un buco, uno conchiglia gigantesca e cupa fra quote e balke... Ero un kolkos (magazzino) per la raccolta di bestiame, derrate, arnesi di lavori. Qualche capannone, qualche casa ad un piano, ora semidistrutti. L'unica risorsa locale è un pozzo, ma per attingervi l'acqua bisognava spezzare con il calcio dei moschetti il lastrone di ghiaccio che ne ricopre permanentemente la bocca. Le poche slitte disponibili - sempre bersagliate dal nemico - ci portano i viveri. Non arrivando le slitte, si mangiano i resti dei cavalli trovati uccisi sul posto e la cui carne, data la temperatura che oscilla tra i 30 e i 40 sotto zero con una punta sui 42, si conserva ottimamente. Per i turni di guardia a quota 331,7 si percorrono 800 metri, che abbiamo definito la pista della morte. La prova di scavare camminamenti, ricoveri, ecc., è fallito giacché le stesse mine scalfiscono appena la dura crosta di ghiaccio. Ogni giorno e, naturalmente, ogni notte siamo in allarme. Qui i legionari combattono duramente".

Ora il fiore di quei prodi era li, sotto la bruna terra del cimitero di Mikailowska. C'era la camicia nera scelta Garofolo, porta-treppiede, che a Orlowka, subito colpito mortalmente, poi ferito alla coscia, continuò a far fuoco finché l'arma si inceppò ed allora si trascinò fuori dalla postazione e lanciò bombe a mano sino all'istante supremo. C'era il leggendario cent. Luigi Mutti che ferito a morte, volle rimanere fra i commilitoni e disse di essere contento di sacrificarsi per l'Italia: "Bella Italia, muoio per lei - disse. Salutatemi la cara Patria". Ed ecco i capomanipoli Sandrigo, Meoli, Mazzocchi tutti caduti con l'arma in pugno; ecco la croce su cui si legge il nome del sottotenente Ezio Prigelio. Era di Trieste, era il più giovane degli ufficiali, apparteneva al Btg. Armi accompagnamento, e precedette nel cielo degli eroi il suo comnadante, ten. col. De Franco, morto in Italia, appena rimpatriato, per postumi di guerra. Qui due mitraglieri: l'uno ferito, volle rimanere all'arma dicendo: "Ho ancora qualche nastro...". Furono le sue ultime parole. L'altro, un piemontese, colpito in fronte spirò con stoica semplicità; disse: "Toca a mi" (tocca a me). Una a fianco all'altra le tombe del cent. Gentile e del capomanipolo Barale. Il primo era sostituto procuratore del Re, aveva moglie e due figli. Colpito a morte, al suo comandante, primo seniore Patroncini, disse: "Sono felice di dar la vita per l'Italia". Poi chiese che gli cercassero nel portafogli la fotografia dei famigliari, la baciò e si fece il segno della Croce. I legionari dissero ch'era morto un santo. Del capo manipolo Barale, il suo attendente, Mantello scriverà: "Per tutto il giorno è stato un vero eroe, cioè, in termini nostri, un leone. Morì in un a corpo a corpo all'arma bianca".

E gli altri, i cento altri! Il cons. Nicchiarelli ne lesse i nomi, estremo appello e saluto. Poi nomi non detti, altre immagini fraterne balenarono alle menti tra il sibilo del vento, il tuonar dei cannoni, il rombo dei velivoli nemici. Era come se fossero davvero tutti lì raccolti, i morti di prima e di dopo Natale, i caduti per ferro, fuoco, gelo, in otto mesi di campagna. Praticamente per la legione il ciclo operativo di Natale non si concluse che col febbraio del '42. "Qui rimangono duecento leoni", aveva detto la sera del 9 gennaio il primo seniore Zuliani, comandante del 63°. Niente retorica, nessuna esagerazione in quelle parole superbe. Lo dimostrò la giornata del 18 quando fu respinto l'attacco in forza dei russi; lo dimostrò la giornata del 25 quando una Cp. formata coi resti del 79° Btg., in fraterna gara di valore con i bersaglieri del III° attaccò arditamente il nemico. Di tutti quelli della "Tagliamento" - Camicie nere e fanti - si deve dire che tennero fede alla consegna servendo con onore la Bandiera.

giovedì 8 aprile 2021

La guerra sul fronte orientale, parte 4

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo quarto video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.