Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
giovedì 1 aprile 2021
Rievocazione 2019 a Rossosch
Pubblico per gentile concessione del Signor Pasquale Granata che segue questa pagina un video relativo alla rievocazione tenutasi nel 2019 nei pressi di Rossosch con la partecipazione di rievocatori italiani e russi, ieri nemici e oggi amici impegnati a ricordare i caduti di entrambe le parti.
Il viaggio del 2011, Novo Georgiewskij
Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... il villaggio di Novo Georgiewskij. E' il 22 gennaio 1943 quando in questa località sono quasi annientati l'8° Reggimento Alpini e il Gruppo d'artiglieria alpina Conegliano del 3° Reggimento della Divisione Julia.
mercoledì 31 marzo 2021
L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 16
L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), sedicesima e ultima parte.
PERDITE.
Durante le operazioni svolte nel ciclo operativo 11 dicembre-31 gennaio, l'Armata subì gravi perdite di personale, quadrupedi, armi e materiali di ogni genere, specie per le unità che risultarono soggette ad accerchiamenti da parte delle masse nemiche. Cause determinanti: la resistenza in posto che impose il sacrificio, talvolta totale, di capisaldi, di reparti, di intere unità; la violenza e la durata della battaglia, nonché la prevalenza delle forze avversarie; la deficienza per non dire la mancanza di adeguate armi anticarro; le dure condizioni climatiche; la mancanza di carburante che determinò l'abbandono di gran parte delle artiglierie (tutte motorizzate) degli automezzi e dei materiali delle grandi unità; la mancanza di riserve. Complessivamente i caduti e i dispersi furono 85.000 circa, pari pressoché ad 1/3 della forza iniziale dell'Armata; la massa è costituita dalla fanteria e sue specialità. I feriti e congelati furono quasi 30.000.
La sorpresa causata dalla notizia che a soli circa 20.000 ammontano i prigionieri dei campi di concentramento della Russia non si attenua molto alla luce delle cifre sopraindicate anche se ai fini statistici, si osserva che, per giudicare dell'ordine di grandezza di quella che avrebbe potuto essere, nella migliore ipotesi, la cifra dei sopravvissuti fra i disseminati nella steppa, il numero dei prigionieri segnalati in Russia va messo in rapporto, non già, col totale delle perdite (115.000) e, neppure, col totale dei caduti e dispersi (85.000), bensì con quest'ultima cifra diminuita delle perdite, in caduti, subite dall'Armata nella battaglia di logoramento (II C.A. e D. «Pasubio»); nella battaglia di rottura e nei contemporanei attacchi di agganciamento (II C.A., D. «Pasubio», D. «Celere»); e nei combattimenti per rompere l'accerchiamento, prima, sull'ala destra (D. «Torino», D. «Pasubio», D. «Celere», D. «Sforzesca») e, poi, sull'ala sinistra (C.A. alpino).
Non si hanno notizie particolareggiate su queste perdite, salvo per il XXXV C.A. che, in linea approssimativa, indica in 1800 i morti e i dispersi e in i feriti e congelati della D. «Pasubio»; in 370 i morti e i dispersi ed in 980 i feriti e congelati del raggruppamento «3 gennaio»; in 1020 i morti e dispersi ed in 1510 i feriti e congelati delle truppe e servizi del C.A. fino al 19 dicembre. Si rammenta, però, che per la «Cosseria» in conseguenza delle perdite subite nei primi giorni di combattimento, era stata disposta la sostituzione in linea, alla data del 15 dicembre. D'altra parte, la «Torino», che fu solo parzialmente e poco impiegata in combattimento durante la battaglia di logoramento e dl rottura, dopo l'assedio di Tschertkowo raggiunse Starobolosk con soli 1200 uomini sugli 11.000 che la componevano quando era schierata sul Don (comandante della divisione e comandante della fanteria divisionale: congelati; comandanti dei tre reggimenti: due morti, uno ferito; comandanti dei battaglioni e dei gruppi: non uno presente, tutti morti o feriti o dispersi; comandanti di compagnia e di batteria: tre o quattro presenti). Ci asteniamo, perciò, dal trarre non facili illazioni.
Anche le perdite dei materiali risultano dagli allegati sopra citati. Esse ammontano a 3/4-4/5 della consistenza totale per i mezzi di trasporto; a gran parte delle armi di reparto (fuc. mitr., mitr., mortai, pezzi c.c., ecc.); alla quasi totalità delle artiglierie, dei materiali delle unità e loro scorte ad immediata portata; a gran parte delle dotazioni dei centri logistici avanzati (Rossosch, Kantemirowka, Maltschewskaja, Millerowo) e un'aliquota di quelle dei centri arretrati (Woroschilowgrad. Kupiansk, Kharkow). Nonostante le perdite, il materiale d'intendenza salvato rappresenta una percentuale notevole di quello inizialmente presso l'Armata. Ed invero i rapporti dell'intendenza con le autorità tedesche per l'assegnazione dei mezzi di trasporto e di carburante, come già ricordato, rischiarono più volte di superare il limite di rottura.
CONCLUSIONE.
Queste, in rapida visione le vicende dolorose, ma certo non ingloriose, dell'Armata italiana in Russia. I superstiti sono tornati alle loro case e tornano i prigionieri. E', fra di essi, chi racconta, ma i più rifuggono dal rinnovare, pur anche nel pensiero, il loro tormento. Il tempo attenuerà il ricordò delle atrocità sofferte o viste. Alcuni troveranno forse attenuanti anche per i disumani misfatti nelle supreme esigenze della guerra. Ma i figli dei figli, tutti, ricorderanno pur sempre lo sdegno dell'avo per l'altezzoso contegno di chi gli era, suo malgrado, compagno d'armi. Ricorderanno che amaro conforto per il superstite avvilito sulla via del ritorno, nelle desolate steppe dell'oriente, era stata la visione della sconfitta tedesca terrorizzato come egli era dal pensiero di dover «dividere» (!) la Vittoria con un tal «condomino» sulla soglia di casa.
Per un peccato veniale, molti anni or sono, un grande uomo di Stato, che contribuì a promuovere la soluzione pacifica dei conflitti internazionali - e non esitava, quando riteneva che il suo paese fosse nel torto, a dirlo - William Gladstone, dall'alto del suo scanno in Parlamento, rivolgeva un fiero monito al popolo britannico: «Viaggi un inglese dove vuole come privato cittadino. Sarà ritenuto in generale integro, magnanimo, coraggioso, liberale e sincero; ma con tutto ciò gli stranieri sentiranno troppo di sovente qualche cosa di repulsivo in sua presenza; ed io mi rendo conto che ciò avviene perché egli ha una spiccata tendenza a presumere di sè e troppo poca disposizione a considerare i sentimenti, le abitudini e le idee degli altri... «Da parte mia sono d'avviso che l'Inghilterra sarà privata di gran parte della sua gloria e della sua dignità se verrà a mancarle l'appoggio morale che scaturisce dal fermo generale consenso del genere umano; se giorno verrà in cui essa pur continuando a destare la meraviglia ed il timore delle altre nazioni non avrà parte alcuna nella loro affezione e nella loro stima».
Per un peccato oltre ogni dire «mortale», a nome di milioni di colpiti negli affetti più cari, il tormentoso dopoguerra infligge, oggi, un duro insegnamento al popolo germanico perché bandisca dal suo linguaggio le parole «popolo eletto» e da ogni suo programma ed azione la politica che a tale formula si ispira. Sono esse bandite altresì, e decisamente, in ogni altra lingua e nazione? L'umanità se lo augura perché sono parole maledette!
PERDITE.
Durante le operazioni svolte nel ciclo operativo 11 dicembre-31 gennaio, l'Armata subì gravi perdite di personale, quadrupedi, armi e materiali di ogni genere, specie per le unità che risultarono soggette ad accerchiamenti da parte delle masse nemiche. Cause determinanti: la resistenza in posto che impose il sacrificio, talvolta totale, di capisaldi, di reparti, di intere unità; la violenza e la durata della battaglia, nonché la prevalenza delle forze avversarie; la deficienza per non dire la mancanza di adeguate armi anticarro; le dure condizioni climatiche; la mancanza di carburante che determinò l'abbandono di gran parte delle artiglierie (tutte motorizzate) degli automezzi e dei materiali delle grandi unità; la mancanza di riserve. Complessivamente i caduti e i dispersi furono 85.000 circa, pari pressoché ad 1/3 della forza iniziale dell'Armata; la massa è costituita dalla fanteria e sue specialità. I feriti e congelati furono quasi 30.000.
La sorpresa causata dalla notizia che a soli circa 20.000 ammontano i prigionieri dei campi di concentramento della Russia non si attenua molto alla luce delle cifre sopraindicate anche se ai fini statistici, si osserva che, per giudicare dell'ordine di grandezza di quella che avrebbe potuto essere, nella migliore ipotesi, la cifra dei sopravvissuti fra i disseminati nella steppa, il numero dei prigionieri segnalati in Russia va messo in rapporto, non già, col totale delle perdite (115.000) e, neppure, col totale dei caduti e dispersi (85.000), bensì con quest'ultima cifra diminuita delle perdite, in caduti, subite dall'Armata nella battaglia di logoramento (II C.A. e D. «Pasubio»); nella battaglia di rottura e nei contemporanei attacchi di agganciamento (II C.A., D. «Pasubio», D. «Celere»); e nei combattimenti per rompere l'accerchiamento, prima, sull'ala destra (D. «Torino», D. «Pasubio», D. «Celere», D. «Sforzesca») e, poi, sull'ala sinistra (C.A. alpino).
Non si hanno notizie particolareggiate su queste perdite, salvo per il XXXV C.A. che, in linea approssimativa, indica in 1800 i morti e i dispersi e in i feriti e congelati della D. «Pasubio»; in 370 i morti e i dispersi ed in 980 i feriti e congelati del raggruppamento «3 gennaio»; in 1020 i morti e dispersi ed in 1510 i feriti e congelati delle truppe e servizi del C.A. fino al 19 dicembre. Si rammenta, però, che per la «Cosseria» in conseguenza delle perdite subite nei primi giorni di combattimento, era stata disposta la sostituzione in linea, alla data del 15 dicembre. D'altra parte, la «Torino», che fu solo parzialmente e poco impiegata in combattimento durante la battaglia di logoramento e dl rottura, dopo l'assedio di Tschertkowo raggiunse Starobolosk con soli 1200 uomini sugli 11.000 che la componevano quando era schierata sul Don (comandante della divisione e comandante della fanteria divisionale: congelati; comandanti dei tre reggimenti: due morti, uno ferito; comandanti dei battaglioni e dei gruppi: non uno presente, tutti morti o feriti o dispersi; comandanti di compagnia e di batteria: tre o quattro presenti). Ci asteniamo, perciò, dal trarre non facili illazioni.
Anche le perdite dei materiali risultano dagli allegati sopra citati. Esse ammontano a 3/4-4/5 della consistenza totale per i mezzi di trasporto; a gran parte delle armi di reparto (fuc. mitr., mitr., mortai, pezzi c.c., ecc.); alla quasi totalità delle artiglierie, dei materiali delle unità e loro scorte ad immediata portata; a gran parte delle dotazioni dei centri logistici avanzati (Rossosch, Kantemirowka, Maltschewskaja, Millerowo) e un'aliquota di quelle dei centri arretrati (Woroschilowgrad. Kupiansk, Kharkow). Nonostante le perdite, il materiale d'intendenza salvato rappresenta una percentuale notevole di quello inizialmente presso l'Armata. Ed invero i rapporti dell'intendenza con le autorità tedesche per l'assegnazione dei mezzi di trasporto e di carburante, come già ricordato, rischiarono più volte di superare il limite di rottura.
CONCLUSIONE.
Queste, in rapida visione le vicende dolorose, ma certo non ingloriose, dell'Armata italiana in Russia. I superstiti sono tornati alle loro case e tornano i prigionieri. E', fra di essi, chi racconta, ma i più rifuggono dal rinnovare, pur anche nel pensiero, il loro tormento. Il tempo attenuerà il ricordò delle atrocità sofferte o viste. Alcuni troveranno forse attenuanti anche per i disumani misfatti nelle supreme esigenze della guerra. Ma i figli dei figli, tutti, ricorderanno pur sempre lo sdegno dell'avo per l'altezzoso contegno di chi gli era, suo malgrado, compagno d'armi. Ricorderanno che amaro conforto per il superstite avvilito sulla via del ritorno, nelle desolate steppe dell'oriente, era stata la visione della sconfitta tedesca terrorizzato come egli era dal pensiero di dover «dividere» (!) la Vittoria con un tal «condomino» sulla soglia di casa.
Per un peccato veniale, molti anni or sono, un grande uomo di Stato, che contribuì a promuovere la soluzione pacifica dei conflitti internazionali - e non esitava, quando riteneva che il suo paese fosse nel torto, a dirlo - William Gladstone, dall'alto del suo scanno in Parlamento, rivolgeva un fiero monito al popolo britannico: «Viaggi un inglese dove vuole come privato cittadino. Sarà ritenuto in generale integro, magnanimo, coraggioso, liberale e sincero; ma con tutto ciò gli stranieri sentiranno troppo di sovente qualche cosa di repulsivo in sua presenza; ed io mi rendo conto che ciò avviene perché egli ha una spiccata tendenza a presumere di sè e troppo poca disposizione a considerare i sentimenti, le abitudini e le idee degli altri... «Da parte mia sono d'avviso che l'Inghilterra sarà privata di gran parte della sua gloria e della sua dignità se verrà a mancarle l'appoggio morale che scaturisce dal fermo generale consenso del genere umano; se giorno verrà in cui essa pur continuando a destare la meraviglia ed il timore delle altre nazioni non avrà parte alcuna nella loro affezione e nella loro stima».
Per un peccato oltre ogni dire «mortale», a nome di milioni di colpiti negli affetti più cari, il tormentoso dopoguerra infligge, oggi, un duro insegnamento al popolo germanico perché bandisca dal suo linguaggio le parole «popolo eletto» e da ogni suo programma ed azione la politica che a tale formula si ispira. Sono esse bandite altresì, e decisamente, in ogni altra lingua e nazione? L'umanità se lo augura perché sono parole maledette!
Ricompense - Quartier Generale d'Armata
Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.
MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.
QUARTIER GENERALE DELL'ARMATA E PICCOLE UNITA' DIRETTAMENTE DIPENDENTI.
MAVM Maggiore DI CAMPELLO Ranieri
MAVM Maggiore RICHETTI Alberto
MAVM Capitano GARIBALDI Cristofaro, alla memoria
MAVM Capitano MICHELINI Arturo
MAVM Capitano TORTORANO Gaetano
MAVM Sottotenente MASINI Vittorio
MAVM sergente DE FEO Arturo
MBVM Maggiore ESTRAFALLACES Ugo
MBVM Capitano GRANA Saverio
MBVM Capitano NERVI Nicolò
MBVM Tenente BRUNETTI Paride
MBVM Tenente medico MASOTTI Umberto
MBVM Sottotenente CALVI Gianni
MBVM Sottotenente NINI Luigi
MBVM Sottotenente RATI Rino
MBVM sergente maggiore BACCI Giuseppe
MBVM caporal maggiore BIANCO Lorenzo
MBVM caporal maggiore PARA Roberto, alla memoria
MBVM caporale PALLI Primo
MBVM caporale RIBAUDO Antonio
MBVM soldato MOLINARI Italo
MBVM soldato SAPIA Francesco, alla memoria
CGVM Tenente Colonnello MENTASTI Agostino
CGVM Tenente Colonnello SOGGIU Settimo
CGVM Capitano PELLEGRINI David
CGVM Tenente BIAGIONI Renzo
CGVM Tenente CAO Mario
CGVM Tenente PISA Emilio
CGVM Tenente SALLUSTI Aldo
CGVM Sottotenente CARLINI Angelo
CGVM Sottotenente CASTIGLIONE Lucio
CGVM Sottotenente DI FONTANI Alessio
CGVM Sottotenente GRIPPI Guido
CGVM Sottotenente PASQUINI Lucido
CGVM Sottotenente SALA Giovanni
CGVM maresciallo COSTANZO Nello
CGVM sergente BUSETTI Fortunato
CGVM sergente PIZZIGOTTI Leo
CGVM sergente SERBINI Pietro
CGVM caporale MEROLA Gaetano
CGVM soldato CANTELE Giovanni
CGVM soldato CUNATI Ugo, alla memoria
CGVM soldato DAL VERME Carmine
CGVM soldato MAGNANI Piero
CGVM soldato NOSEDA Felice, alla memoria
MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.
QUARTIER GENERALE DELL'ARMATA E PICCOLE UNITA' DIRETTAMENTE DIPENDENTI.
MAVM Maggiore DI CAMPELLO Ranieri
MAVM Maggiore RICHETTI Alberto
MAVM Capitano GARIBALDI Cristofaro, alla memoria
MAVM Capitano MICHELINI Arturo
MAVM Capitano TORTORANO Gaetano
MAVM Sottotenente MASINI Vittorio
MAVM sergente DE FEO Arturo
MBVM Maggiore ESTRAFALLACES Ugo
MBVM Capitano GRANA Saverio
MBVM Capitano NERVI Nicolò
MBVM Tenente BRUNETTI Paride
MBVM Tenente medico MASOTTI Umberto
MBVM Sottotenente CALVI Gianni
MBVM Sottotenente NINI Luigi
MBVM Sottotenente RATI Rino
MBVM sergente maggiore BACCI Giuseppe
MBVM caporal maggiore BIANCO Lorenzo
MBVM caporal maggiore PARA Roberto, alla memoria
MBVM caporale PALLI Primo
MBVM caporale RIBAUDO Antonio
MBVM soldato MOLINARI Italo
MBVM soldato SAPIA Francesco, alla memoria
CGVM Tenente Colonnello MENTASTI Agostino
CGVM Tenente Colonnello SOGGIU Settimo
CGVM Capitano PELLEGRINI David
CGVM Tenente BIAGIONI Renzo
CGVM Tenente CAO Mario
CGVM Tenente PISA Emilio
CGVM Tenente SALLUSTI Aldo
CGVM Sottotenente CARLINI Angelo
CGVM Sottotenente CASTIGLIONE Lucio
CGVM Sottotenente DI FONTANI Alessio
CGVM Sottotenente GRIPPI Guido
CGVM Sottotenente PASQUINI Lucido
CGVM Sottotenente SALA Giovanni
CGVM maresciallo COSTANZO Nello
CGVM sergente BUSETTI Fortunato
CGVM sergente PIZZIGOTTI Leo
CGVM sergente SERBINI Pietro
CGVM caporale MEROLA Gaetano
CGVM soldato CANTELE Giovanni
CGVM soldato CUNATI Ugo, alla memoria
CGVM soldato DAL VERME Carmine
CGVM soldato MAGNANI Piero
CGVM soldato NOSEDA Felice, alla memoria
lunedì 29 marzo 2021
Il processo D'Onofrio, parte 4
Il processo D'Onofrio, quarta parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.
LA QUARTA UDIENZA.
Comincia, con l'udienza del 25 maggio 1949, la sfilata dei testimoni a discarico. Saranno dieci gravi accuse contro l'attività del sen. D'Onofrio in Russia, alle quali faranno riscontro in seguito i dieci primi testi che quella attività invece, difenderanno.
Primo teste della giornata è l'avv. Mario Bosello, il quale, tenente di artiglieria nella campagna di Russia, fu catturato il 22 dicembre del 1942. Durante la marcia estenuante per raggiungere a piedi il campo di Oranki i russi gli tolsero le scarpe e al ten. Ferretti la pelliccia. La razione di viveri consistette in una sola fetta di pane di non più di 300 grammi assolutamente immangiabile. Quando già da un mese i prigionieri si trovavano nel campo di Oranki giunse un italiano: vestiva una casacca e, sotto, l'uniforme dell’esercito russo. Egli interrogò il teste su i suoi pronostici e sui suoi desideri circa l'esito della guerra in corso. Il teste ha poi ricordato che un certo ten. Ballarin, il quale aveva sottoscritto un manifesto murale con cui si invitava l'esercito italiano a deporre le armi, redarguito dal cap. Lombardo che lo minacciò di denuncia quando fossero rientrati in Italia, si recò dal commissario Fiammenghi a riportare l'accaduto. Il Fiammenghi convocò immediatamente il cap. Lombardo e lo minacciò di fucilazione immediata.
Nel maggio del 1943 corse voce per il campo che gli ufficiali che avevano aderito alle idee del commissario Fiammenghi preparavano un messaggio alle truppe nel quale si incitavano i soldati a gettare le armi. Il teste, insieme ad un gruppo di altri ufficiali di quelli che si trovavano in peggiori condizioni fisiche, fu trasferito alla fine di giugno nel campo convalescenziario di Skit. Fu qui che comparve per la prima volta il D'Onofrio il quale dichiarò subito di essere di professione 'cospiratore'.
Presidente: 'Cosa disse ai prigionieri il D'Onofrio?'.
Bosello: 'Ricordo che ci parlò a lungo dell’Italia e della democrazia e noi ne ricavammo una ottima impressione, fummo soddisfatti del modo con il quale egli ci intrattenne per oltre mezz'ora. Ma un paio di giorni dopo D'Onofrio chiamò me ed altri cinque colleghi, fra i quali il cap. Magnani. Appena entrammo nella sua stanza egli chiuse la porta e ci fece sedere. Accanto a lui era il commissario Fiammenghi e il magg. Orloff. E cominciò l’interrogatorio.
Il sottotenente Sandali al quale per primo furono rivolte le domande, si trincerò sul divieto fatto ai militari dal regolamento di esprimere opinioni politiche e chiese che fosse rispettato il suo diritto, come prigioniero di guerra, di non essere interrogato su fatti politici. La secca risposta del Sandali provocò un violento scatto del D'Onofrio il quale urlò nelle orecchie del sottotenente: 'È necessario che lei riveda le sue posizioni perché con queste idee in Patria, lei, non ci tornerà mai più'. E rivolto a tutti: 'Quello che dico a lui vale per tutti i presenti'. Fiammenghi e il magg. Orloff prendevano appunti su alcuni fogli di carta.
Presidente: 'Gli altri ufficiali convocati, furono interrogati?'.
Bosello: 'Le stesse domande poste al primo vennero poi fatte a tutti gli altri. Per tutti noi, però, rispose il cap. Magnani che eravamo venuti in Russia per combattere perché un soldato deve obbedire senza discutere e che saremmo stati ossequienti al nuovo governo italiano. L'interrogatorio durò tre ore e alla fine, mentre uscivamo dalla stanza, D'Onofrio ci gridò dietro: 'Se non cambiate idea in Italia non si torna'.
A questo punto il Presidente ha fatto leggere al teste l'ordine del giorno presentato dalla parte civile, per sapere se il testo corrisponda a quello con cui D’Onofrio invitò i prigionieri a sottoscrivere.
Bosello: 'Ho la netta sensazione che non sia quello l'ordine del giorno che allora fu presentato ai prigionieri'.
Il teste ha ricordato poi che, qualche sera dopo gli interrogatori, un soldato russo entrò nella baracca e, chiamato il cap. Magnani, gli ordinò di prendere la sua roba e di seguirlo. Il Magnani abbracciò il commilitone con le lacrime agli occhi perché sapeva che non avrebbe più rivisto i suoi bambini.
Avv. Mastino Del Rio: 'Le risulta che il cap. Magnani fosse un criminale di guerra?'.
Bosello: 'Il capitano era un uomo d'onore, decorato di tre medaglie d’argento'.
Avv. Taddei: 'Il teste da che cosa deduce che le risposte fornite durante gli interrogatori venissero verbalizzate?'.
Bosello: 'Nel campo di Susdal fui sottoposto ad un altro interrogatorio. Dalle domande che il commissario politico Rizzoli mi fece, mi accorsi che conosceva già le risposte che avevo dato nei precedenti interrogatori. Mi risulta poi che i fuorusciti italiani erano nient'altro che funzionari sovietici. Infatti al sergente Paolozzi furono inflitti dieci giorni di prigione con la seguente motivazione: 'Si rifiutava di rispondere ad un funzionario politico sovietico'. Il sergente, durante un interrogatorio, aveva detto al Rizzoli che non avrebbe mai risposto alle domande di 'un fuoruscito italiano'.
Il secondo teste chiamato a deporre è il sottotenente dei bersaglieri Franco Santoro.
Santoro: 'Appena arrivati al campo di Oranki fummo sottoposti ad un bagno di disinfezione. La stanza era caldissima. Dopo il bagno a 30 gradi, fummo portati all'aperto con una temperatura di 35 gradi sotto zero. Alcuni morirono. Io, svenuto, fui portato in ospedale. Presi la polmonite doppia, la dissenteria e il tifo petecchiale'.
Il racconto del reduce provoca vivaci mormoni del pubblico che si tramutano in sonore risate quando il teste ribadisce che nel campo di Skit il D'Onofrio gli si presentò come cospiratore di professione.
Avvocati della Parte Civile: 'Allora bisognava ridere, non oggi; oggi è troppo facile!'.
Il tenente Santoro ha narrato poi dell’interrogatorio subito insieme al teste che lo lui preceduto. Nel corso della 'conversazione', D'Onofrio accusò le truppe italiane di essersi comportate malissimo nel territorio russo occupato. Disse che le truppe italiane rubavano, incendiavano, uccidevano e perciò noi prigionieri non dovevamo aspettarci un trattamento migliore di quello che ricevevamo. Il teste ha smentito le accuse di D'Onofrio. I nostri soldati, egli ha detto, quando abbandonavano i paesi occupati, erano seguiti dalle donne e dai bambini russi con i quali avevano diviso fino all’ultimo momento, il pane e anche i vestiti.
Anche al Santoro il Presidente fa leggere la copia dell’ordine del giorno esibito dalla parte civile, ma il teste lo disconosce.
Chiamato insieme al cap. Magnani, per un secondo interrogatorio, e invitato perentoriamente a mutare il proprio atteggiamento che influiva sugli altri e soprattutto sui soldati, il teste disse al D'Onofrio che non poteva tradire i suoi bersaglieri morti. 'Lei parla troppo dei suoi bersaglieri - lo interruppe D’Onofrio. La differenza che passa fra lei e loro è soltanto questa: lei è un criminale di guerra vivo, quelli sono dei criminali di guerra morti'.
Il tenente Santoro si gira lentamente sulla poltrona e fissa il querelante, che lo ha tacciato di falso e di impostura, con sguardo di sfida.
LA QUINTA UDIENZA.
27 maggio 1949 - Man mano che i giorni passano e i racconti dei reduci si ripetono, uguali, tragicamente uguali nella rievocazione dell’odissea, l'atmosfera del dramma in quest’aula di tribunale si fa più cupa, terribile. Certamente nessuno dì quelli che si vanno avvicendando sulla poltrona dei testimoni, o di quelli che si affollano nello spazio riservato al pubblico avrebbe mai pensato, ai tempi della prigionia, che in un’aula di tribunale, davanti alla maestà della giustizia, avrebbe incontrato i superstiti della tragedia.
Dalla deposizione del sottotenente di fanteria Sergio Fiaschi, si apprende come egli fu portato in un 'campo-scuola' a 300 chilometri dall’Afghanistan.
Presidente: 'In che cosa consisteva questa scuola?'.
Fiaschi: 'Ufficialmente doveva avere un carattere informativo, ma ben presto ebbi modo di sapere in che cosa realmente consistesse. Dopo tre mesi di permanenza in quel campo fui chiamato dal fuoruscito Robotti il quale mi disse che la scuola mi tacciava di 'fascista'. E per quella volta la cosa finì lì. Ma poi fui chiamato una seconda volta insieme ad altri che si trovavano nelle mie stesse condizioni per sentirmi ripetere questa accusa con la aggiunta che il mio atteggiamento e quello dei miei colleghi meritavano una severa punizione.
Vissi durante tutti e tre gli anni della prigionia nel continuo terrore di essere gettato in un carcere. D'Onofrio faceva soltanto brevi apparizioni nella scuola il giovedì. Gli insegnanti erano i fuorusciti Robotti e Reghenti oltre il maggiore russo Orloff'.
Avv. Mastino Del Rio: 'Quale trattamento era riservato ai più zelanti frequentatori di questa scuola?'.
Fiaschi: 'A coloro che dimostravano maggiore attività nella frequenza della scuola veniva riservato un trattamento migliore. Essi erano chiamati 'assistenti', non erano obbligati a lavorare e mangiavano meglio degli altri'.
Un cappuccino, dalla lunga barba ben curata, è il secondo teste della giornata chiamato a deporre: padre Giuseppe Fiora, cappellano dell'8° Reggimento Alpini, fatto prigioniero nel gennaio 1943. P. Fiora: 'Sento il bisogno di premettere che al campo di Krinovaia, dove venni portato prima di essere trasferito ad Oranki, la fame dei prigionieri era tanta da dar luogo a casi di cannibalismo. Un giorno si presentò a me un soldato italiano il quale, in una gavetta, mi offrì di mangiare con lui il cuore di un commilitone morto: 'Padre, vuol mangiare?' mi disse. Mi prodigai con gli altri cappellani prigionieri, anche per invito dei fuorusciti e dei russi, perché quei gravissimi fatti avessero a cessare. Ripetemmo ai prigionieri le assicurazioni fatteci dai fuorusciti di future migliorie. Ma nessun miglioramento si verificò mai, né allora né dopo. La promessa non fu mantenuta.
Durante il viaggio di trasferimento da Krinovaia ad Oranki fu data come razione di viveri ai prigionieri soltanto un pezzo di pane secco e pesce salato. Niente acqua. E quando gli uomini ne chiedevano, le guardie russe rispondevano: 'Perché siete venuti a combattere contro di noi? Adesso la pagate!'. Appena arrivati ad Oranki tutti furono infettati di tifo petecchiale. Nessuna assistenza sanitaria fu data ai malati dai sovietici: l'unico a prendersi cura di loro fu il tenente medico italiano Reginato il quale non ha fatto più ritorno dalla Russia.
Oltre al tifo altre epidemie scoppiarono nel campo. Fra esse la più grave fu la dissenteria. L'indice di mortalità raggiunse il 90 e anche il 95 per cento dei prigionieri. I malati giacevano su un tavolaccio e a noi cappellani non fu mai consentilo esercitare le nostre funzioni. Per essere ammessi nel lazzaretto dovemmo fare domanda di infermieri. Io però mi ammalai il giorno prima di essere assunto. Appena guarito fui assegnato ad un duro lavoro, quello di segare alberi e trasportarli per dei chilometri.
Ad Oranki, per volere di tutti gli internati, la sera si pregava ad alta voce. Fra le altre recitavamo la preghiera 'Pro Rege'. Un giorno però io e l'altro cappellano, don Brevi, fummo chiamati dal commissario politico del campo, Fiammenghi, il quale ci proibì di recitare quella preghiera perché il Re era 'un venduto allo straniero' e il 'capo dei reazionari'. Naturalmente abolimmo questa preghiera per il Re. Questo avveniva verso la fine di maggio del 1943. Dopo qualche mese Fiammenghi ci chiamò nuovamente e ci disse che dovevamo smettere di recitare preghiere perché in Russia non erano ammessi atti di culto esterno. I prigionieri, se lo volevano, potevano pregare privatamente. Chi non si fosse attenuto a questi ordini precisi sarebbe stato punito con il carcere.
Presidente: 'Lei ebbe occasione di parlare con D'Onofrio?'.
P. Fiora: 'Personalmente no. Assistetti, però, ad una sua conferenza nel campo di Oranki'.
Presidente: 'Che cosa disse il querelante?'.
P. Fiora: 'Non lo so perché poco dopo che aveva cominciato a parlare mi addormentai. Seppi, però, dagli ufficiali, al mio risveglio, che l'impressione riportata fu tutt’altro che buona'.
Avv. Taddei: 'L'intervento dei fuorusciti italiani migliorò le condizioni dei prigionieri?'.
P. Fiora: 'Lei è matto. L'unico nostro sollievo era la fratellanza'.
Presidente: 'Lei può andare'.
P. Fiora: 'No, Non ancora. Voglio aggiungere che quella nostra fratellanza fu distrutta proprio dai fuorusciti. Si deve esclusivamente a loro se si verificarono delle delazioni, delle vendette, dei rancori personali. E non basta. I fuorusciti cercarono in ogni modo di intralciare la nostra opera di umanità, tanto che riuscivamo ad ottenere più rivolgendoci ai russi che ai nostri connazionali. Cito un caso: per ben due volte chiesi al commissario politico Ossola il permesso di visitare un ufficiale che giaceva gravemente ammalato. Non ebbi mai risposta: neppure un rifiuto. Mi rivolsi allora al comandante russo del campo e nel giro di pochissime ore ottenni il permesso richiesto. Il senso di diffidenza che i fuorusciti erano riusciti a far serpeggiare nella nostra compattezza era tale che tra noi si diceva: siamo prigionieri degli stessi prigionieri italiani'.
Dalla deposizione di un altro testimone, il sottotenente di fanteria Luigi Esposito, nulla emerge che non sia già a conoscenza del tribunale. Egli fu portato al campo di Tamboff dove era ad attendere i prigionieri in arrivo un gruppo di fuorusciti italiani. La signora Torre che era nel gruppo accolse i nuovi arrivati con queste parole: 'Venite, venite, soldatini. Finalmente siamo riusciti a liberarvi dalla tirannia dei vostri ufficiali'.
L'udienza ormai sarebbe finita, ma l'avv. Taddei fa istanza perché venga richiesta alla Direzione Generale degli Affari Politici del Ministero degli Esteri la lista ufficiale dei militari italiani segnalati ufficialmente dalla Russia come criminali di guerra, istanza che il tribunale accoglie dopo una breve permanenza in camera di consiglio.
LA QUARTA UDIENZA.
Comincia, con l'udienza del 25 maggio 1949, la sfilata dei testimoni a discarico. Saranno dieci gravi accuse contro l'attività del sen. D'Onofrio in Russia, alle quali faranno riscontro in seguito i dieci primi testi che quella attività invece, difenderanno.
Primo teste della giornata è l'avv. Mario Bosello, il quale, tenente di artiglieria nella campagna di Russia, fu catturato il 22 dicembre del 1942. Durante la marcia estenuante per raggiungere a piedi il campo di Oranki i russi gli tolsero le scarpe e al ten. Ferretti la pelliccia. La razione di viveri consistette in una sola fetta di pane di non più di 300 grammi assolutamente immangiabile. Quando già da un mese i prigionieri si trovavano nel campo di Oranki giunse un italiano: vestiva una casacca e, sotto, l'uniforme dell’esercito russo. Egli interrogò il teste su i suoi pronostici e sui suoi desideri circa l'esito della guerra in corso. Il teste ha poi ricordato che un certo ten. Ballarin, il quale aveva sottoscritto un manifesto murale con cui si invitava l'esercito italiano a deporre le armi, redarguito dal cap. Lombardo che lo minacciò di denuncia quando fossero rientrati in Italia, si recò dal commissario Fiammenghi a riportare l'accaduto. Il Fiammenghi convocò immediatamente il cap. Lombardo e lo minacciò di fucilazione immediata.
Nel maggio del 1943 corse voce per il campo che gli ufficiali che avevano aderito alle idee del commissario Fiammenghi preparavano un messaggio alle truppe nel quale si incitavano i soldati a gettare le armi. Il teste, insieme ad un gruppo di altri ufficiali di quelli che si trovavano in peggiori condizioni fisiche, fu trasferito alla fine di giugno nel campo convalescenziario di Skit. Fu qui che comparve per la prima volta il D'Onofrio il quale dichiarò subito di essere di professione 'cospiratore'.
Presidente: 'Cosa disse ai prigionieri il D'Onofrio?'.
Bosello: 'Ricordo che ci parlò a lungo dell’Italia e della democrazia e noi ne ricavammo una ottima impressione, fummo soddisfatti del modo con il quale egli ci intrattenne per oltre mezz'ora. Ma un paio di giorni dopo D'Onofrio chiamò me ed altri cinque colleghi, fra i quali il cap. Magnani. Appena entrammo nella sua stanza egli chiuse la porta e ci fece sedere. Accanto a lui era il commissario Fiammenghi e il magg. Orloff. E cominciò l’interrogatorio.
Il sottotenente Sandali al quale per primo furono rivolte le domande, si trincerò sul divieto fatto ai militari dal regolamento di esprimere opinioni politiche e chiese che fosse rispettato il suo diritto, come prigioniero di guerra, di non essere interrogato su fatti politici. La secca risposta del Sandali provocò un violento scatto del D'Onofrio il quale urlò nelle orecchie del sottotenente: 'È necessario che lei riveda le sue posizioni perché con queste idee in Patria, lei, non ci tornerà mai più'. E rivolto a tutti: 'Quello che dico a lui vale per tutti i presenti'. Fiammenghi e il magg. Orloff prendevano appunti su alcuni fogli di carta.
Presidente: 'Gli altri ufficiali convocati, furono interrogati?'.
Bosello: 'Le stesse domande poste al primo vennero poi fatte a tutti gli altri. Per tutti noi, però, rispose il cap. Magnani che eravamo venuti in Russia per combattere perché un soldato deve obbedire senza discutere e che saremmo stati ossequienti al nuovo governo italiano. L'interrogatorio durò tre ore e alla fine, mentre uscivamo dalla stanza, D'Onofrio ci gridò dietro: 'Se non cambiate idea in Italia non si torna'.
A questo punto il Presidente ha fatto leggere al teste l'ordine del giorno presentato dalla parte civile, per sapere se il testo corrisponda a quello con cui D’Onofrio invitò i prigionieri a sottoscrivere.
Bosello: 'Ho la netta sensazione che non sia quello l'ordine del giorno che allora fu presentato ai prigionieri'.
Il teste ha ricordato poi che, qualche sera dopo gli interrogatori, un soldato russo entrò nella baracca e, chiamato il cap. Magnani, gli ordinò di prendere la sua roba e di seguirlo. Il Magnani abbracciò il commilitone con le lacrime agli occhi perché sapeva che non avrebbe più rivisto i suoi bambini.
Avv. Mastino Del Rio: 'Le risulta che il cap. Magnani fosse un criminale di guerra?'.
Bosello: 'Il capitano era un uomo d'onore, decorato di tre medaglie d’argento'.
Avv. Taddei: 'Il teste da che cosa deduce che le risposte fornite durante gli interrogatori venissero verbalizzate?'.
Bosello: 'Nel campo di Susdal fui sottoposto ad un altro interrogatorio. Dalle domande che il commissario politico Rizzoli mi fece, mi accorsi che conosceva già le risposte che avevo dato nei precedenti interrogatori. Mi risulta poi che i fuorusciti italiani erano nient'altro che funzionari sovietici. Infatti al sergente Paolozzi furono inflitti dieci giorni di prigione con la seguente motivazione: 'Si rifiutava di rispondere ad un funzionario politico sovietico'. Il sergente, durante un interrogatorio, aveva detto al Rizzoli che non avrebbe mai risposto alle domande di 'un fuoruscito italiano'.
Il secondo teste chiamato a deporre è il sottotenente dei bersaglieri Franco Santoro.
Santoro: 'Appena arrivati al campo di Oranki fummo sottoposti ad un bagno di disinfezione. La stanza era caldissima. Dopo il bagno a 30 gradi, fummo portati all'aperto con una temperatura di 35 gradi sotto zero. Alcuni morirono. Io, svenuto, fui portato in ospedale. Presi la polmonite doppia, la dissenteria e il tifo petecchiale'.
Il racconto del reduce provoca vivaci mormoni del pubblico che si tramutano in sonore risate quando il teste ribadisce che nel campo di Skit il D'Onofrio gli si presentò come cospiratore di professione.
Avvocati della Parte Civile: 'Allora bisognava ridere, non oggi; oggi è troppo facile!'.
Il tenente Santoro ha narrato poi dell’interrogatorio subito insieme al teste che lo lui preceduto. Nel corso della 'conversazione', D'Onofrio accusò le truppe italiane di essersi comportate malissimo nel territorio russo occupato. Disse che le truppe italiane rubavano, incendiavano, uccidevano e perciò noi prigionieri non dovevamo aspettarci un trattamento migliore di quello che ricevevamo. Il teste ha smentito le accuse di D'Onofrio. I nostri soldati, egli ha detto, quando abbandonavano i paesi occupati, erano seguiti dalle donne e dai bambini russi con i quali avevano diviso fino all’ultimo momento, il pane e anche i vestiti.
Anche al Santoro il Presidente fa leggere la copia dell’ordine del giorno esibito dalla parte civile, ma il teste lo disconosce.
Chiamato insieme al cap. Magnani, per un secondo interrogatorio, e invitato perentoriamente a mutare il proprio atteggiamento che influiva sugli altri e soprattutto sui soldati, il teste disse al D'Onofrio che non poteva tradire i suoi bersaglieri morti. 'Lei parla troppo dei suoi bersaglieri - lo interruppe D’Onofrio. La differenza che passa fra lei e loro è soltanto questa: lei è un criminale di guerra vivo, quelli sono dei criminali di guerra morti'.
Il tenente Santoro si gira lentamente sulla poltrona e fissa il querelante, che lo ha tacciato di falso e di impostura, con sguardo di sfida.
LA QUINTA UDIENZA.
27 maggio 1949 - Man mano che i giorni passano e i racconti dei reduci si ripetono, uguali, tragicamente uguali nella rievocazione dell’odissea, l'atmosfera del dramma in quest’aula di tribunale si fa più cupa, terribile. Certamente nessuno dì quelli che si vanno avvicendando sulla poltrona dei testimoni, o di quelli che si affollano nello spazio riservato al pubblico avrebbe mai pensato, ai tempi della prigionia, che in un’aula di tribunale, davanti alla maestà della giustizia, avrebbe incontrato i superstiti della tragedia.
Dalla deposizione del sottotenente di fanteria Sergio Fiaschi, si apprende come egli fu portato in un 'campo-scuola' a 300 chilometri dall’Afghanistan.
Presidente: 'In che cosa consisteva questa scuola?'.
Fiaschi: 'Ufficialmente doveva avere un carattere informativo, ma ben presto ebbi modo di sapere in che cosa realmente consistesse. Dopo tre mesi di permanenza in quel campo fui chiamato dal fuoruscito Robotti il quale mi disse che la scuola mi tacciava di 'fascista'. E per quella volta la cosa finì lì. Ma poi fui chiamato una seconda volta insieme ad altri che si trovavano nelle mie stesse condizioni per sentirmi ripetere questa accusa con la aggiunta che il mio atteggiamento e quello dei miei colleghi meritavano una severa punizione.
Vissi durante tutti e tre gli anni della prigionia nel continuo terrore di essere gettato in un carcere. D'Onofrio faceva soltanto brevi apparizioni nella scuola il giovedì. Gli insegnanti erano i fuorusciti Robotti e Reghenti oltre il maggiore russo Orloff'.
Avv. Mastino Del Rio: 'Quale trattamento era riservato ai più zelanti frequentatori di questa scuola?'.
Fiaschi: 'A coloro che dimostravano maggiore attività nella frequenza della scuola veniva riservato un trattamento migliore. Essi erano chiamati 'assistenti', non erano obbligati a lavorare e mangiavano meglio degli altri'.
Un cappuccino, dalla lunga barba ben curata, è il secondo teste della giornata chiamato a deporre: padre Giuseppe Fiora, cappellano dell'8° Reggimento Alpini, fatto prigioniero nel gennaio 1943. P. Fiora: 'Sento il bisogno di premettere che al campo di Krinovaia, dove venni portato prima di essere trasferito ad Oranki, la fame dei prigionieri era tanta da dar luogo a casi di cannibalismo. Un giorno si presentò a me un soldato italiano il quale, in una gavetta, mi offrì di mangiare con lui il cuore di un commilitone morto: 'Padre, vuol mangiare?' mi disse. Mi prodigai con gli altri cappellani prigionieri, anche per invito dei fuorusciti e dei russi, perché quei gravissimi fatti avessero a cessare. Ripetemmo ai prigionieri le assicurazioni fatteci dai fuorusciti di future migliorie. Ma nessun miglioramento si verificò mai, né allora né dopo. La promessa non fu mantenuta.
Durante il viaggio di trasferimento da Krinovaia ad Oranki fu data come razione di viveri ai prigionieri soltanto un pezzo di pane secco e pesce salato. Niente acqua. E quando gli uomini ne chiedevano, le guardie russe rispondevano: 'Perché siete venuti a combattere contro di noi? Adesso la pagate!'. Appena arrivati ad Oranki tutti furono infettati di tifo petecchiale. Nessuna assistenza sanitaria fu data ai malati dai sovietici: l'unico a prendersi cura di loro fu il tenente medico italiano Reginato il quale non ha fatto più ritorno dalla Russia.
Oltre al tifo altre epidemie scoppiarono nel campo. Fra esse la più grave fu la dissenteria. L'indice di mortalità raggiunse il 90 e anche il 95 per cento dei prigionieri. I malati giacevano su un tavolaccio e a noi cappellani non fu mai consentilo esercitare le nostre funzioni. Per essere ammessi nel lazzaretto dovemmo fare domanda di infermieri. Io però mi ammalai il giorno prima di essere assunto. Appena guarito fui assegnato ad un duro lavoro, quello di segare alberi e trasportarli per dei chilometri.
Ad Oranki, per volere di tutti gli internati, la sera si pregava ad alta voce. Fra le altre recitavamo la preghiera 'Pro Rege'. Un giorno però io e l'altro cappellano, don Brevi, fummo chiamati dal commissario politico del campo, Fiammenghi, il quale ci proibì di recitare quella preghiera perché il Re era 'un venduto allo straniero' e il 'capo dei reazionari'. Naturalmente abolimmo questa preghiera per il Re. Questo avveniva verso la fine di maggio del 1943. Dopo qualche mese Fiammenghi ci chiamò nuovamente e ci disse che dovevamo smettere di recitare preghiere perché in Russia non erano ammessi atti di culto esterno. I prigionieri, se lo volevano, potevano pregare privatamente. Chi non si fosse attenuto a questi ordini precisi sarebbe stato punito con il carcere.
Presidente: 'Lei ebbe occasione di parlare con D'Onofrio?'.
P. Fiora: 'Personalmente no. Assistetti, però, ad una sua conferenza nel campo di Oranki'.
Presidente: 'Che cosa disse il querelante?'.
P. Fiora: 'Non lo so perché poco dopo che aveva cominciato a parlare mi addormentai. Seppi, però, dagli ufficiali, al mio risveglio, che l'impressione riportata fu tutt’altro che buona'.
Avv. Taddei: 'L'intervento dei fuorusciti italiani migliorò le condizioni dei prigionieri?'.
P. Fiora: 'Lei è matto. L'unico nostro sollievo era la fratellanza'.
Presidente: 'Lei può andare'.
P. Fiora: 'No, Non ancora. Voglio aggiungere che quella nostra fratellanza fu distrutta proprio dai fuorusciti. Si deve esclusivamente a loro se si verificarono delle delazioni, delle vendette, dei rancori personali. E non basta. I fuorusciti cercarono in ogni modo di intralciare la nostra opera di umanità, tanto che riuscivamo ad ottenere più rivolgendoci ai russi che ai nostri connazionali. Cito un caso: per ben due volte chiesi al commissario politico Ossola il permesso di visitare un ufficiale che giaceva gravemente ammalato. Non ebbi mai risposta: neppure un rifiuto. Mi rivolsi allora al comandante russo del campo e nel giro di pochissime ore ottenni il permesso richiesto. Il senso di diffidenza che i fuorusciti erano riusciti a far serpeggiare nella nostra compattezza era tale che tra noi si diceva: siamo prigionieri degli stessi prigionieri italiani'.
Dalla deposizione di un altro testimone, il sottotenente di fanteria Luigi Esposito, nulla emerge che non sia già a conoscenza del tribunale. Egli fu portato al campo di Tamboff dove era ad attendere i prigionieri in arrivo un gruppo di fuorusciti italiani. La signora Torre che era nel gruppo accolse i nuovi arrivati con queste parole: 'Venite, venite, soldatini. Finalmente siamo riusciti a liberarvi dalla tirannia dei vostri ufficiali'.
L'udienza ormai sarebbe finita, ma l'avv. Taddei fa istanza perché venga richiesta alla Direzione Generale degli Affari Politici del Ministero degli Esteri la lista ufficiale dei militari italiani segnalati ufficialmente dalla Russia come criminali di guerra, istanza che il tribunale accoglie dopo una breve permanenza in camera di consiglio.
domenica 28 marzo 2021
La guerra sul fronte orientale, parte 2
Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo secondo video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.
L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 15
L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), quindicesima parte.
COMPORTAMENTO TEDESCO DURANTE LA BATTAGLIA.
Sul quadro d'insieme del sacrificio cui furono votate le nostre truppe in Russia, e che si è cercato di tracciare, un'ombra fosca si proietta ancora a renderne più triste, ma più realistica la visione. Essa promana dal contegno di qualche comando tedesco e dei militari germanici in generale verso gli «infelici alleati». Il soldato tedesco ha in questa campagna compiuto invero atti di soperchieria ed ha dato sfogo a manifestazioni di violenza a nostro danno che superano la naturale tendenza alla sopraffazione insita nel temperamento germanico! Ricordiamo che, all'inizio della battaglia, una divisione tedesca (la 298a) faceva parte del XXXV C.A. italiano ed un reggimento tedesco (il 318°) dipendeva dalla «Cosseria». Per contro erano alle dipendenze di un comando tedesco (il XXIX C.A.) le nostre tre divisioni «Torino», «Celere» e «Sforzesca».
Ma la reciprocità è soltanto apparente perché: mentre la dipendenza delle nostre unità dall'autorità tedesca è integrale ed assoluta (abbiamo visto la D. «Torino» contrattaccare il 18 dicembre per rioccupare delle posizioni mentre tutte le altre divisioni già ripiegavano; e la D. «Sforzesca» far ritorno sullo Tschir in ottemperanza ad un ordine del comando germanico) l'altra, la dipendenza delle unità germaniche dai comandi italiani, è soltanto nominale ed apparente. Le unità tedesche e non soltanto la divisione, ma i reggimenti, i battaglioni e i gruppi autonomi, quando non crederanno di dare esecuzione ad un ordine ricevuto dall'autorità italiana dalla quale dipendono, chiederanno ed attenderanno la conferma del comando Gruppo Armate e cioè di una autorità germanica superiore alla più alta autorità italiana in terra di Russia!
Ciò incoraggerà la costante tendenza dei nostri alleati ad «accorrere» senza fretta, quando il loro concorso è invece urgente; a pretendere che i nostri reparti resistano «in posto» anche quando per essi è evidente la maggiore convenienza di ripiegare, per salvare qualche cosa. E tutto questo per avere lavoro più facile e per continuare a sfruttare al massimo i mezzi altrui, senza troppo preoccuparsi dell'alleato (non è questa una esclusività del comando in Russia. Nella pubblicazione «The Eight Army» preparata dal Ministero delle Informazioni britannico per il Ministero della Guerra, sulle operazioni nell'Africa Settentrionale, si legge: «Più tardi il generale Montgomery disse che Rommel era un buon generale, ma che aveva tendenza a ripetersi. E' in questo momento che egli iniziò la tattica, di poi costantemente ripetuta quando trovava in situazioni imbarazzanti, di salvare i propri soldati tedeschi a spese degli infelici alleati»).
E che dire del disagio di un'azione di comando da parte italiana in tutto soggetta della parte germanica la quale neppur sempre comunica il quadro complessivo della situazione operativa, e che, disponendo dei trasporti ferroviari e delle assegnazioni di carburante, finisce, in sostanza, per controllarla completamente mettendola in condizioni di assoluta dipendenza? Il disagio si traduce assai di sovente in uno stato di vera impotenza. Né vogliamo soffermarci sulla presunzione germanica di mantenere elevato lo spirito combattivo delle proprie truppe attribuendo agli altri le cause dei rovesci: l'esito vittorioso dell'offensiva sarebbe da imputarsi ad una insufficiente resistenza da parte delle unità alleate in linea! Solo ci limitiamo a riportare alcuni tipici episodi che rivestono particolare importanza per le ripercussioni sfavorevoli ch'essi ebbero sullo sviluppo delle operazioni e che rivelano fino a qual punto i comandanti germanici abbiano abusato del «vincoli d'impiego» delle unità tedesche messe alle dipendenze - per così dire - di comandi italiani:
Nella giornata del 16 dicembre, inizio dell'attacco generale del nemico sul fronte dell'8a Armata: Il comando del XXXV C.A. ordina alla 298a D. germ. di dislocare immediatamente a Galijewka una batteria del L gruppo italiano da 149/28, precedentemente posto alle sue dipendenze, per battere d'infilata alcune vallette a nord di Krassnogorowka, dove si stavano ammassando notevoli forze nemiche. Il comando della 298a D., pur trattandosi di artiglieria italiana e pur non essendo la divisione impegnata, ritarda con pretesti vari l'esecuzione dell'ordine e comunica, infine, che avrebbe messo a disposizione un solo pezzo. Soltanto in seguito ad ulteriori insistenze l'ordine venne integralmente eseguito. Il ritardo frapposto nell'intervento della batteria fa perdere all'azione di fuoco gran parte della sua efficacia.
Il comando del XXXV C.A. ordina che il I/526a germ., dislocato in riserva, passi a disposizione della « Pasubio » per effettuare in unione ad altri reparti, un immediato contrattacco allo scopo di ristabilire la situazione fra Ogolew e Abrassomova. Il comandante del btg. germanico dichiara di non potersi muovere se non dietro ordine del comando Gruppo Armate. In tale atteggiamento il reparto viene appoggiato dal comando della 298a D. germ. Il comando artiglieria del XXXV C.A. chiede all'artiglieria della 298a D. di intervenire a protezione di Krassnogorowka battendo d'infilata le forze nemiche attraversanti il Don per attaccare l'abitato. La 298a D. oppone un netto rifiuto affermando, contrariamente al vero, di essere impegnata sul fronte.
Il 18 dicembre, il comando del XXXV C.A., in conseguenza di disposizioni del comando Armata, ordina alla 298a di sostituire in linea il 79° rgt ftr. ridotto a circa 600 uomini. Gli ufficiali di collegamento germanici preso la «Pasubio» segnalano che due cp. tedesche inviate per sostituire il III/79° non avevano trovato in posto il battaglione. Immediati accertamenti precisano che i reparti non si erano portati sulle previste posizioni, ma si erano dislocati su un costone retrostante alle posizioni sulle quali il btg. italiano aveva, nel frattempo, respinto un altro attacco. I due ufficiali tedeschi di collegamento, invitati a recarsi sul per constatare l'inesattezza della loro comunicazione, opponevano un rifiuto motivato con il solito vincolo della preventiva autorizzazione del comando Gruppo Armate.
Il 19 dicembre, la 298a germ., in seguito a comunicazione del comando XXIX C.A. (tedesco) inizia il ripiegamento non ordinato dal comando XXXV C.A. (italiano) da cui dipende, senza avvertire nè provocare ordini del comando stesso. Alle rimostranze di questo dichiara di essere passata alle dipendenze del comando XXIX C.A. L'episodio (per la rottura dei collegamenti l'episodio è conosciuto dall'Armata soltanto ai primi di gennaio a ripiegamento effettuato) è connesso ad altra contemporanea arbitraria modifica da parte del XXIX C.A. degli ordini impartiti dall'Armata il giorno 19 per il ripiegamento dal Don dei C.A. XXXV e XXIX. Cambiamento di disposizioni che, sottraendo la 298a D. tedesca al XXXV C.A. e passandola alle dipendenze del XXIX (comando tedesco), portò, fra l'altro, all'anormale situazione di un C.A. (XXXV) inserito tra le unità di un altro (XXIX) ed a frammischiamenti e intasamenti sull'unica via di deflusso, con evidenti ripercussioni negative sulle operazioni.
Alla sera del 19, il comando XXIX C.A. ordina, improvvisamente e d'iniziativa, alla «Celere» ed alla «Sforzesca» di abbandonare la linea Meschkoff-Tsdhir (sulla quale secondo disposizioni impartite lo stesso giorno dal comando Armata si doveva condurre la difesa) e di ripiegare in direzione di Kaschary. Il Gruppo Armate dà direttamente, senza interpellare l'Armata, immediato contrordine. Le conseguenze dell'ordine e del contrordine sono gravi: l'iniziale arretramento consente a forti aliquote corazzate nemiche di infiltrarsi sulla strada di Djogtewo; il successivo ritorno verso lo Tschir, compiuto soltanto dalla «Sforzesca», meno premuta dal nemico, mentre disperde energie e sacrifica uomini, mezzi e tempo preziosi, non porta alcun beneficio alla condotta della difesa. Nel campo logistico e dei trasporti in particolare, la soggezione assoluta, i vincoli artatamente creati dal comando germanico si appalesano nel più tormentoso. Basterebbe ricordare che, all'atto del ripiegamento, la 298a D. tedesca disponeva della sua piena dotazione di carburante mentre le nostre unità erano costrette ad abbandonare, fin dal primo giorno, le artiglierie e via via sugli ultimi automezzi che, peraltro, in parte riforniti di carburante dai tedeschi, venivano da questi utilizzati per loro esclusivo uso e consumo. Ma più che dettagliata delle richieste avanzate e delle concessioni avute in fatto di treni, carburante, mano d'opera, prigionieri, sfruttamento di risorse locali etc., a render meglio l'idea delle condizioni di disagio in cui furono messi i nostri servizi, si riporta, in stralcio, il grido di protesta lanciato dall'intendente al superesercito, l'8 gennaio, durante la battaglia del Don, quando già l'ala destra dell'Armata era stata costretta a ripiegare e si delineava l'avvolgimento del C.A. alpino.
Sono motivi ricorrenti nei cifrati dell'intendenza, ma questo che riportiamo sintetizza più efficacemente la situazione: «Autorità tedesca cerca tutti controllare et dove possibile impadronirsi nostra organizzazione et limitare mia libertà azione modo et forma intollerabili et inconciliabili nostro prestigio alt In particolare tende ad impadronirsi direttamente mezzi trasporto alt Nessuna ragione salvo proprio egoistico interesse giustifica interventi che specie nel campo dei trasporti minacciano con impiego antieconomico compromettere nostra efficienza già gravemente scossa recenti avvenimenti... Nelle attuali condizioni massime esasperanti et risorgenti difficoltà sono rappresentate non da ambiente clima distanza etc. ma da rapporti con tedeschi. «Chiedo sia detto chiaramente at che nostri uomini li comandiamo noi et nostri mezzi li comandiamo noi pronti capisce a dare sempre concorso come sempre si è dato anche se est illusorio come esperienza abbondantemente dimostra sperare in una qualsiasi contropartita alt.».
Ispirandomi alla linea di condotta dei loro comandi, i militari tedeschi durante il ripiegamento hanno tenuto il più deplorevole contegno verso l'alleato che aveva sacrificato il 70% delle sue fanterie per tener testa ad un avversario superiore di mezzi e di uomini e aveva dato loro la possibilità di ritirare tutto il materiale e di ripiegare agevolmente. Così si son visti svaligiare magazzeni per i quali erano stati negati i mezzi di trasporto, facendo sorgere il fondato dubbio che il diniego fosse stato inspirato dall'intenzione di appropriarsi dei viveri e dei materiali; laddove, incontrando sezioni di sussistenza tedesche provviste di viveri, compreso il pane, ai nostri soldati non veniva dato nulla; solo, a volte, un po' di miglio e tre patate crude. Dalle isbe, a mano armata, venivano cacciati i nostri soldati per far posto a quelli tedeschi; nostri autieri, a mano armata, venivano obbligati a cedere l'automezzo; dai nostri autocarri venivano fatti discendere nostri soldati, anche feriti, per far posto a soldati tedeschi; dai treni carichi di feriti venivano sganciate le locomotive per essere agganciate a convogli tedeschi; feriti e congelati italiani venivano caricati sui pianali dove alcuni per il freddo morivano durante il tragitto, mentre, nelle vetture coperte, prendevano posto militari tedeschi, non feriti, che, avio-riforniti, mangiavano e fumavano allegramente quando i nostri soldati erano digiuni da parecchi giorni.
Durante il ripiegamento, i tedeschi, su autocarri o su treni schernivano, deridevano e dispregiavano i nostri soldati che si trascinavano a piedi nelle misere condizioni che abbiamo descritte e, quando qualcuno tentava di salire sugli autocarri o sui treni, speso semivuoti, veniva inesorabilmente colpito col calcio del fucile e costretto a rimanere a terra. Né, data la diversa efficienza dei singoli e dei reparti, potevano sempre bastare, a raffrenare la tracotanza germanica, le sporadiche reazioni, anche violente, di comandanti e gregari, né l'ordine dato dall'Armata agli autisti di opporsi, con le armi, ad ogni tentativo di privarli dell'automezzo. «Nella conca di Arbusowka molti, moltissimi, da parte nostra sono i morti ed i feriti, che per mancanza di locali chiusi vengono depositati all'aperto, vicino al posto di medicazione. Il comando tedesco, cui per mezzo dell'interprete ci si era rivolti per avere qualche ambiente da adibire a ricovero di feriti, non aderisce alla richiesta, giustificando tale rifiuto con l'asserzione che tutte le case sono occupate da comandi tedeschi. E' solo dopo vive insistenze che si riesce ad avere una piccola isba, assai piccola, e naturalmente insufficiente per le necessità delle centinaia e centinaia di feriti che di ora in ora vanno accumulandosi. Nevica e la neve li ricopre».
COMPORTAMENTO TEDESCO DURANTE LA BATTAGLIA.
Sul quadro d'insieme del sacrificio cui furono votate le nostre truppe in Russia, e che si è cercato di tracciare, un'ombra fosca si proietta ancora a renderne più triste, ma più realistica la visione. Essa promana dal contegno di qualche comando tedesco e dei militari germanici in generale verso gli «infelici alleati». Il soldato tedesco ha in questa campagna compiuto invero atti di soperchieria ed ha dato sfogo a manifestazioni di violenza a nostro danno che superano la naturale tendenza alla sopraffazione insita nel temperamento germanico! Ricordiamo che, all'inizio della battaglia, una divisione tedesca (la 298a) faceva parte del XXXV C.A. italiano ed un reggimento tedesco (il 318°) dipendeva dalla «Cosseria». Per contro erano alle dipendenze di un comando tedesco (il XXIX C.A.) le nostre tre divisioni «Torino», «Celere» e «Sforzesca».
Ma la reciprocità è soltanto apparente perché: mentre la dipendenza delle nostre unità dall'autorità tedesca è integrale ed assoluta (abbiamo visto la D. «Torino» contrattaccare il 18 dicembre per rioccupare delle posizioni mentre tutte le altre divisioni già ripiegavano; e la D. «Sforzesca» far ritorno sullo Tschir in ottemperanza ad un ordine del comando germanico) l'altra, la dipendenza delle unità germaniche dai comandi italiani, è soltanto nominale ed apparente. Le unità tedesche e non soltanto la divisione, ma i reggimenti, i battaglioni e i gruppi autonomi, quando non crederanno di dare esecuzione ad un ordine ricevuto dall'autorità italiana dalla quale dipendono, chiederanno ed attenderanno la conferma del comando Gruppo Armate e cioè di una autorità germanica superiore alla più alta autorità italiana in terra di Russia!
Ciò incoraggerà la costante tendenza dei nostri alleati ad «accorrere» senza fretta, quando il loro concorso è invece urgente; a pretendere che i nostri reparti resistano «in posto» anche quando per essi è evidente la maggiore convenienza di ripiegare, per salvare qualche cosa. E tutto questo per avere lavoro più facile e per continuare a sfruttare al massimo i mezzi altrui, senza troppo preoccuparsi dell'alleato (non è questa una esclusività del comando in Russia. Nella pubblicazione «The Eight Army» preparata dal Ministero delle Informazioni britannico per il Ministero della Guerra, sulle operazioni nell'Africa Settentrionale, si legge: «Più tardi il generale Montgomery disse che Rommel era un buon generale, ma che aveva tendenza a ripetersi. E' in questo momento che egli iniziò la tattica, di poi costantemente ripetuta quando trovava in situazioni imbarazzanti, di salvare i propri soldati tedeschi a spese degli infelici alleati»).
E che dire del disagio di un'azione di comando da parte italiana in tutto soggetta della parte germanica la quale neppur sempre comunica il quadro complessivo della situazione operativa, e che, disponendo dei trasporti ferroviari e delle assegnazioni di carburante, finisce, in sostanza, per controllarla completamente mettendola in condizioni di assoluta dipendenza? Il disagio si traduce assai di sovente in uno stato di vera impotenza. Né vogliamo soffermarci sulla presunzione germanica di mantenere elevato lo spirito combattivo delle proprie truppe attribuendo agli altri le cause dei rovesci: l'esito vittorioso dell'offensiva sarebbe da imputarsi ad una insufficiente resistenza da parte delle unità alleate in linea! Solo ci limitiamo a riportare alcuni tipici episodi che rivestono particolare importanza per le ripercussioni sfavorevoli ch'essi ebbero sullo sviluppo delle operazioni e che rivelano fino a qual punto i comandanti germanici abbiano abusato del «vincoli d'impiego» delle unità tedesche messe alle dipendenze - per così dire - di comandi italiani:
Nella giornata del 16 dicembre, inizio dell'attacco generale del nemico sul fronte dell'8a Armata: Il comando del XXXV C.A. ordina alla 298a D. germ. di dislocare immediatamente a Galijewka una batteria del L gruppo italiano da 149/28, precedentemente posto alle sue dipendenze, per battere d'infilata alcune vallette a nord di Krassnogorowka, dove si stavano ammassando notevoli forze nemiche. Il comando della 298a D., pur trattandosi di artiglieria italiana e pur non essendo la divisione impegnata, ritarda con pretesti vari l'esecuzione dell'ordine e comunica, infine, che avrebbe messo a disposizione un solo pezzo. Soltanto in seguito ad ulteriori insistenze l'ordine venne integralmente eseguito. Il ritardo frapposto nell'intervento della batteria fa perdere all'azione di fuoco gran parte della sua efficacia.
Il comando del XXXV C.A. ordina che il I/526a germ., dislocato in riserva, passi a disposizione della « Pasubio » per effettuare in unione ad altri reparti, un immediato contrattacco allo scopo di ristabilire la situazione fra Ogolew e Abrassomova. Il comandante del btg. germanico dichiara di non potersi muovere se non dietro ordine del comando Gruppo Armate. In tale atteggiamento il reparto viene appoggiato dal comando della 298a D. germ. Il comando artiglieria del XXXV C.A. chiede all'artiglieria della 298a D. di intervenire a protezione di Krassnogorowka battendo d'infilata le forze nemiche attraversanti il Don per attaccare l'abitato. La 298a D. oppone un netto rifiuto affermando, contrariamente al vero, di essere impegnata sul fronte.
Il 18 dicembre, il comando del XXXV C.A., in conseguenza di disposizioni del comando Armata, ordina alla 298a di sostituire in linea il 79° rgt ftr. ridotto a circa 600 uomini. Gli ufficiali di collegamento germanici preso la «Pasubio» segnalano che due cp. tedesche inviate per sostituire il III/79° non avevano trovato in posto il battaglione. Immediati accertamenti precisano che i reparti non si erano portati sulle previste posizioni, ma si erano dislocati su un costone retrostante alle posizioni sulle quali il btg. italiano aveva, nel frattempo, respinto un altro attacco. I due ufficiali tedeschi di collegamento, invitati a recarsi sul per constatare l'inesattezza della loro comunicazione, opponevano un rifiuto motivato con il solito vincolo della preventiva autorizzazione del comando Gruppo Armate.
Il 19 dicembre, la 298a germ., in seguito a comunicazione del comando XXIX C.A. (tedesco) inizia il ripiegamento non ordinato dal comando XXXV C.A. (italiano) da cui dipende, senza avvertire nè provocare ordini del comando stesso. Alle rimostranze di questo dichiara di essere passata alle dipendenze del comando XXIX C.A. L'episodio (per la rottura dei collegamenti l'episodio è conosciuto dall'Armata soltanto ai primi di gennaio a ripiegamento effettuato) è connesso ad altra contemporanea arbitraria modifica da parte del XXIX C.A. degli ordini impartiti dall'Armata il giorno 19 per il ripiegamento dal Don dei C.A. XXXV e XXIX. Cambiamento di disposizioni che, sottraendo la 298a D. tedesca al XXXV C.A. e passandola alle dipendenze del XXIX (comando tedesco), portò, fra l'altro, all'anormale situazione di un C.A. (XXXV) inserito tra le unità di un altro (XXIX) ed a frammischiamenti e intasamenti sull'unica via di deflusso, con evidenti ripercussioni negative sulle operazioni.
Alla sera del 19, il comando XXIX C.A. ordina, improvvisamente e d'iniziativa, alla «Celere» ed alla «Sforzesca» di abbandonare la linea Meschkoff-Tsdhir (sulla quale secondo disposizioni impartite lo stesso giorno dal comando Armata si doveva condurre la difesa) e di ripiegare in direzione di Kaschary. Il Gruppo Armate dà direttamente, senza interpellare l'Armata, immediato contrordine. Le conseguenze dell'ordine e del contrordine sono gravi: l'iniziale arretramento consente a forti aliquote corazzate nemiche di infiltrarsi sulla strada di Djogtewo; il successivo ritorno verso lo Tschir, compiuto soltanto dalla «Sforzesca», meno premuta dal nemico, mentre disperde energie e sacrifica uomini, mezzi e tempo preziosi, non porta alcun beneficio alla condotta della difesa. Nel campo logistico e dei trasporti in particolare, la soggezione assoluta, i vincoli artatamente creati dal comando germanico si appalesano nel più tormentoso. Basterebbe ricordare che, all'atto del ripiegamento, la 298a D. tedesca disponeva della sua piena dotazione di carburante mentre le nostre unità erano costrette ad abbandonare, fin dal primo giorno, le artiglierie e via via sugli ultimi automezzi che, peraltro, in parte riforniti di carburante dai tedeschi, venivano da questi utilizzati per loro esclusivo uso e consumo. Ma più che dettagliata delle richieste avanzate e delle concessioni avute in fatto di treni, carburante, mano d'opera, prigionieri, sfruttamento di risorse locali etc., a render meglio l'idea delle condizioni di disagio in cui furono messi i nostri servizi, si riporta, in stralcio, il grido di protesta lanciato dall'intendente al superesercito, l'8 gennaio, durante la battaglia del Don, quando già l'ala destra dell'Armata era stata costretta a ripiegare e si delineava l'avvolgimento del C.A. alpino.
Sono motivi ricorrenti nei cifrati dell'intendenza, ma questo che riportiamo sintetizza più efficacemente la situazione: «Autorità tedesca cerca tutti controllare et dove possibile impadronirsi nostra organizzazione et limitare mia libertà azione modo et forma intollerabili et inconciliabili nostro prestigio alt In particolare tende ad impadronirsi direttamente mezzi trasporto alt Nessuna ragione salvo proprio egoistico interesse giustifica interventi che specie nel campo dei trasporti minacciano con impiego antieconomico compromettere nostra efficienza già gravemente scossa recenti avvenimenti... Nelle attuali condizioni massime esasperanti et risorgenti difficoltà sono rappresentate non da ambiente clima distanza etc. ma da rapporti con tedeschi. «Chiedo sia detto chiaramente at che nostri uomini li comandiamo noi et nostri mezzi li comandiamo noi pronti capisce a dare sempre concorso come sempre si è dato anche se est illusorio come esperienza abbondantemente dimostra sperare in una qualsiasi contropartita alt.».
Ispirandomi alla linea di condotta dei loro comandi, i militari tedeschi durante il ripiegamento hanno tenuto il più deplorevole contegno verso l'alleato che aveva sacrificato il 70% delle sue fanterie per tener testa ad un avversario superiore di mezzi e di uomini e aveva dato loro la possibilità di ritirare tutto il materiale e di ripiegare agevolmente. Così si son visti svaligiare magazzeni per i quali erano stati negati i mezzi di trasporto, facendo sorgere il fondato dubbio che il diniego fosse stato inspirato dall'intenzione di appropriarsi dei viveri e dei materiali; laddove, incontrando sezioni di sussistenza tedesche provviste di viveri, compreso il pane, ai nostri soldati non veniva dato nulla; solo, a volte, un po' di miglio e tre patate crude. Dalle isbe, a mano armata, venivano cacciati i nostri soldati per far posto a quelli tedeschi; nostri autieri, a mano armata, venivano obbligati a cedere l'automezzo; dai nostri autocarri venivano fatti discendere nostri soldati, anche feriti, per far posto a soldati tedeschi; dai treni carichi di feriti venivano sganciate le locomotive per essere agganciate a convogli tedeschi; feriti e congelati italiani venivano caricati sui pianali dove alcuni per il freddo morivano durante il tragitto, mentre, nelle vetture coperte, prendevano posto militari tedeschi, non feriti, che, avio-riforniti, mangiavano e fumavano allegramente quando i nostri soldati erano digiuni da parecchi giorni.
Durante il ripiegamento, i tedeschi, su autocarri o su treni schernivano, deridevano e dispregiavano i nostri soldati che si trascinavano a piedi nelle misere condizioni che abbiamo descritte e, quando qualcuno tentava di salire sugli autocarri o sui treni, speso semivuoti, veniva inesorabilmente colpito col calcio del fucile e costretto a rimanere a terra. Né, data la diversa efficienza dei singoli e dei reparti, potevano sempre bastare, a raffrenare la tracotanza germanica, le sporadiche reazioni, anche violente, di comandanti e gregari, né l'ordine dato dall'Armata agli autisti di opporsi, con le armi, ad ogni tentativo di privarli dell'automezzo. «Nella conca di Arbusowka molti, moltissimi, da parte nostra sono i morti ed i feriti, che per mancanza di locali chiusi vengono depositati all'aperto, vicino al posto di medicazione. Il comando tedesco, cui per mezzo dell'interprete ci si era rivolti per avere qualche ambiente da adibire a ricovero di feriti, non aderisce alla richiesta, giustificando tale rifiuto con l'asserzione che tutte le case sono occupate da comandi tedeschi. E' solo dopo vive insistenze che si riesce ad avere una piccola isba, assai piccola, e naturalmente insufficiente per le necessità delle centinaia e centinaia di feriti che di ora in ora vanno accumulandosi. Nevica e la neve li ricopre».
sabato 27 marzo 2021
Libri: "GIUSEPPE MICHELI"
La campagna di Russia è tra i fronti più studiati della Seconda guerra mondiale. La storiografia e la memorialistica hanno affrontato gli eventi della “guerra di Russia” a più riprese, secondo una prospettiva di volta in volta militare, autobiografica, oppure politico-diplomatica. Non molto si sa delle associazioni sorte già nel corso del conflitto che, animate anche in alcuni casi da personalità del mondo culturale e politico, agirono per accertare la morte o la prigionia dei soldati italiani, per alleviare le loro condizioni morali e materiali, per far conoscere la sorte dei sopravvissuti all'opinione pubblica. L’”Alleanza Familiare per i prigionieri e i dispersi in Russia” fu la prima di queste associazioni. Attraverso la rassegna dei documenti inediti e del vasto carteggio pubblico e privato del suo fondatore e dei suoi animatori è possibile conoscere i momenti della sua nascita, l’avvio dei contatti in favore dei prigionieri italiani in Unione Sovietica, la sua azione presso i principali interlocutori sovietici, il mondo politico nazionale e i rappresentanti del Partito Comunista Italiano. Lo studio descrive i rapporti con L’Alto Commissariato per i prigionieri di guerra e la Croce Rossa. Alcune parti dello studio sono dedicate all'illustrazione del dispiegamento della Divisione “Tridentina” e al racconto diretto dei protagonisti, prima della cattura.
Il testo è acquistabile al seguente link https://www.tralerighelibri.com/product-page/giuseppe-micheli-e-l-alleanza-familiare-per-i-dispersi-e-i-prigionieri-in-russia.
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giovedì 25 marzo 2021
Viaggio estivo 2021
Almeno ci proviamo e ci crediamo... non sappiamo quante reali possibilità ci saranno di realizzare il previsto viaggio estivo del 2021, ma siamo comunque in fase di studio e pianificazione... e se non sarà possibile effettuarlo, lo rimanderemo alla prossima estate.
Il viaggio estivo è profondamente diverso da quello invernale; offre emozioni differenti ma non meno profonde e soprattutto per come viene svolto, è aperto praticamente a tutte le persone con davvero un minimo allenamento per qualche ora di camminata nella steppa russa.
Agosto-settembre 2021; 9/10 giorni compreso il viaggio dall'Italia a Mosca e successivamente verso il Don; spostamenti con pullman e guida che parla italiano.
Programma di massima: Mosca e il suo centro; visita della zona del fronte del Don tenuto dagli Alpini (Rossosch, zona della Tridentina, quota Pisello e Cividale, il quadrivio di Selenyj Jar) e dalle Fanterie (l'ansa del "cappello frigio", l'ansa di Werch Mamon, Arbusowka la "valle della morte"); una mezza giornata o una giornata intera di navigazione sul Don per vedere la zona del fronte direttamente dal grande fiume; Tambov e Krinovaja.
Il viaggio estivo è profondamente diverso da quello invernale; offre emozioni differenti ma non meno profonde e soprattutto per come viene svolto, è aperto praticamente a tutte le persone con davvero un minimo allenamento per qualche ora di camminata nella steppa russa.
Agosto-settembre 2021; 9/10 giorni compreso il viaggio dall'Italia a Mosca e successivamente verso il Don; spostamenti con pullman e guida che parla italiano.
Programma di massima: Mosca e il suo centro; visita della zona del fronte del Don tenuto dagli Alpini (Rossosch, zona della Tridentina, quota Pisello e Cividale, il quadrivio di Selenyj Jar) e dalle Fanterie (l'ansa del "cappello frigio", l'ansa di Werch Mamon, Arbusowka la "valle della morte"); una mezza giornata o una giornata intera di navigazione sul Don per vedere la zona del fronte direttamente dal grande fiume; Tambov e Krinovaja.
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