sabato 13 febbraio 2021

Onori a Gino Monzali

Ricevo dal nipote Rossano Sabbi e pubblico con estremo piacere la fotografia dello zio Gino Monzali, carabinieri disperso in Russia, e la corrispondenza avuta a suo tempo con il Generale Attilio Boldoni, all'epoca dei fatti comandante della sezione a cui apparteneva lo zio. Gino Monzali aveva come tanti altri solo 20 anni; nato il 07.03.1922 a Castiglione dei Pepoli (Bologna) ed inquadrato nella 66a Sezione Motociclisti Carabinieri, fu dichiarato disperso il 17.01.1943 in località non nota.







Una tragedia annunciata, parte 1

Riporto la prima parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA.

Molto si è scritto sulla partecipazione italiana alla campagna di Russia dal 1941 al 1943. Alcuni dei protagonisti hanno voluto - attraverso le loro memorie - rievocare soprattutto le fasi drammatiche della ritirata e il coraggio di coloro che non vollero rassegnarsi a gettare le armi. Altri autori si sono limitati a ripercorrere gli avvenimenti dal punto di vista storico-militare; altri ancora ne hanno criticato le motivazioni politiche oppure lo spreco di uomini e di materiali che la disgraziata spedizione aveva comportato, proprio mentre il nostro più vitale teatro di operazioni, quello nordafricano, era carente proprio di quegli automezzi e di quei pezzi di artiglieria che vi erano stati sacrificati.

Qualche commentatore, infine, ha accusato della disfatta soltanto il comando germanico, che senza dubbio era responsabile della condotta delle operazioni e della dislocazione in difensiva delle nostre unità, quasi che Roma avesse rinunciato ad interessarsi della loro sorte e non vi fosse sul posto un comandante in grado di tutelare l'accorto impiego delle proprie truppe. Non vi è dubbio che l'anziano generale Italo Gariboldi - il quale poco più di un anno prima aveva personalmente accolto in Libia il Corpo tedesco d'Africa - sapesse che tra il responsabile dell'Alto comando germanico e il nostro sottocapo di Stato maggiore, generale Guzzoni. prima dell'invio di quel contingente in Libia, era stato concordato: "[...] Nel caso alle forze tedesche venisse affidato un compito per la cui esecuzione, per convenzione del loro comandante, potrebbe soltanto portare a un grave insuccesso e alla menomazione del prestigio delle truppe tedesche, il comandante tedesco ha il diritto e il dovere informando il generale tedesco di collegamento con il Comando Supremo a Roma, di chiedere la decisione al Führer, a mezzo del Comandante Supremo dell'Esercito".

E per esperienza diretta sapeva come il generale Rommel avesse approfittato, oltre ogni limite, di questa facoltà che gli era stata riservata. Analogo era infatti l'accordo concluso nel 1941 al momento dell'invio del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR. poi ARM.I.R). che cosi recitava: "Nel caso in cui al C.S.I.R, venisse affidato un compito la cui esecuzione, per convinzione del proprio comandante, potrebbe portare soltanto a un grave insuccesso e quindi a menomazione del prestigio delle truppe italiane, il comandante italiano ha il diritto e il dovere informando il generale italiano di collegamento con il Comando Supremo delle Forze Armate tedesche a Berlino, di chiedere la decisione del Duce a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale". Nell'impiego del Corpo. si specificava inoltre (art. 1) che questo "dipende direttamente dal Comando Supremo Italiano e tatticamente è alle immediate dipendenze del Comandante Germanico e fa capo allo Stato Maggiore Italiano per quanto riguarda disciplina, servizi e necessità varie di vita".

Ne conseguiva che il Comandante dell'8a Armata italiana in Russia avrebbe potuto contestare, senza problemi, i due errori principali di quel Comando, e cioè la decisione di utilizzare in pianura il Corpo d'Armata alpino e quella di sottrarre ogni riserva motocorazzata allo schieramento delle divisioni italiane di fanteria sul Don. Per oltre cinquant'anni nessuno però si è preoccupato di indagare se il nostro Comando Supremo fosse Stato al corrente dell'effettiva situazione dell' ARM.I.R. dopo i duri combattimenti della tarda estate 1942. Oggi invece abbiamo la certezza - da un documento appena ricomparso - che ne era stato ufficialmente informato e senza reticenze, seppure, diremmo noi, quando era ormai troppo tardi. Pure non si era curato di prendere qualche serio provvedimento, a carico di colui che - se non poteva essere accusato di avere una mentalità arretrata rispetto alla guerra moderna, che pur aveva sotto i suoi occhi - non si era imposto, come ogni buon capo ha il dovere di fare, per salvaguardare la vita dei propri soldati e l'onore dell'esercito a cui appartiene (il Tribunale Straordinario per la Difesa dello Stato, ricostituito dopo l'armistizio dalla R.S.I. alla ricerca di capri espiatori, condannò il generale Gariboldi a dieci anni di reclusione).

L'unico ad essere esonerato, a fine gennaio, fu il Capo di Stato Maggiore Generale, Maresciallo Ugo Cavallero, ma forse più per la perdita della Libia - che aumentava la vulnerabilità della penisola - piuttosto che per il disastro in Russia. Giustamente, le responsabilità di non avere provveduto in tempo non erano soltanto del Capo del Governo ma si allargavano al Maresciallo Cavallero, cui spettava tecnicamente ogni valutazione in merito. Se è vero che bastarono un paio di compagnie di carri sovietici a sfondare le nostre linee, forse potevano tornar utili alle spalle dello schieramento "a cordone" - tanto per fare un esempio - quella trentina di semoventi controcarro da 90 che, al contrario, rimasero in Italia per chiudere la loro breve esistenza, quasi senza combattere, tra le alture della Sicilia. E non ragioniamo con il senno del poi: a chiunque era noto che la nostra regolamentazione sin dal 1928 prevedeva, nell'impiego in difensiva delle Grandi Unità complesse, la presenza di unità di "seconda schiera" o addirittura di terza; il fronte di ogni divisione non doveva eccedere poi i 4-5 km., anche se qualcuno afferma che l'avevano portato a 13,5.

Che qualcosa in Russia non funzionasse a livello di comando d'Armata e nei rapporti con il comando del Gruppo di Armate tedesco lo si sospettava. Altrimenti, non si sarebbe inviato, tardivamente, qualcuno a rendersene conto di persona. Eppure, quanto si legge nell'"Appunto per il Sig. Capo di Gabinetto", visto dal duce il 23 gennaio 1943, getta una nuova luce su quelle drammatiche vicende. Ma dove erano finite e come erano state sottratte le carte ora ricomparse a distanza di sessant'anni?

UN CARTEGGIO DIMENTICATO.

L'appunto che pubblichiamo è uno dei numerosi documenti, finora rimasti sconosciuti e che sono stati consegnati all'Archivio Centrale dello Stato il 12 novembre 2002 dal dottor Francesco Alicicco, in qualità di erede del generale Mario Alicicco, scomparso nel 1999 (il fondo comprende inoltre altro relativo alle ultime fasi della guerra in Africa, alla produzione bellica e all'aiuto germanico, alla difesa della Sicilia, ai Balcani ecc. Vi è anche una memoria di Ambrosio sulla difesa della Sardegna, consegnata al duce l'8 maggio 1943 ed in parte da lui inserita in "Storia di un anno" pubblicato nel 1944). Questi, allora maggiore dei bersaglieri (cl. 1908) e addetto alla Casa Militare del Sovrano, nella primavera 1946 ricevette da Umberto II un carteggio, impegnandosi a tenerlo segreto per cinquant'anni. Questo, tra l'altro, comprende un certo numero di documenti riservati sugli ultimi avvenimenti in Russia, in Tunisia e in Sicilia e sui i rapporti con l'alleato germanico, come l'appunto in questione. Ad un'attenta lettura, questa relazione (9 pagine dattiloscritte), redatta da un certo M. Porta (o Poli?) (la firma appare di 5 lettere, e non è escluso che possa trattarsi del colonnello o generale di brigata Mario Poli. La prosa non è molto felice, ma probabilmente la relazione è stata stesa in uno stato d'animo piuttosto turbato) se ben leggiamo la firma, che era molto probabilmente un ufficiale ben introdotto al comando dell'8a Armata, appare a dir poco sconcertante. Un impietoso ritratto di debolezza più morale che materiale. Tale rapporto, nonostante la sua crudezza, invece di suscitare immediate reazioni e provvedimenti fu fatto passare praticamente sotto silenzio.

In sostanza, si sottovalutò o si cercò di minimizzare la crisi che si stava diffondendo mano a mano che si allontanava la speranza di una vittoria, latente, come gli avvenimenti dei mesi successivi dimostreranno. anche nelle altre Grandi Unità. Altrettanto si fece per mascherare i numeri della sconfitta, evitando, con il pretesto dell'inopportunità politica, di diramare un comunicato ufficiale in proposito. Entità che però ugualmente emergeva (e nonostante ogni censura) dai vari "chi lo ha visto" con fotografia fatti pubblicare periodicamente sui giornali dalle famiglie di coloro che non sarebbero più tornati.

Quanto si verificò durante la Seconda Battaglia del Don, com'essa è passata alla storia, è noto tanto nelle linee generali quanto nei particolari. Ancora "a caldo", nel 1946, quando ancora non si conosceva appieno la terribile sorte dei nostri prigionieri in Unione Sovietica, apparve un sommario sull'"8a Armata nella battaglia difensiva del Don" pubblicato dall'Ufficio Storico dello S.M. Esercito. e solo più tardi completato dall'esauriente sintesi (oggi giunta alle terza edizione) di De Franceschi, De Vecchi e Mantovani sulle "Operazioni delle Unità Italiane al Fronte Russo", edita nel 1977. Per non dire delle altre numerose opere dedicate allo stesso argomento, ivi compreso un recente saggio di chi scrive (in "Rivista Italiana Difesa", n. 3/1993) basato non soltanto su quanto fino ad allora noto, ma soprattutto su una precisa documentazione ufficiale (Comando Supremo. 1° Reparto, Ufficio Operazioni Esercito, Scacchiere orientale, all'oggetto di "Fronte russo - 8a Armata", del 21 marzo 1943). Tale ricostruzione era articolata in cinque parti: Svolgimento battaglia del Don - 1a fase (11-20 dicembre 1942); ripiegamento del II e del XXXV Corpo d'armata; ripiegamento del Corpo d'armata alpino; movimento dell'8a Armata verso la zona di ricostituzione; ricostituzione e impiego in Russia del II Corpo d'Armata.

A quest'ultima ricostituzione saggiamente si volle rinunciare nonostante - come rivela un altro documento del fondo Alicicco (comunicazione al Duce del Maresciallo Ugo Cavallero, Capo di S.M. Generale, circa l'udienza accordatagli da S.M. il Re il giorno 13 gennaio 1943) - il 13 gennaio 1943 il re Vittorio Emanuele III avesse affermato, dopo essere stato messo al corrente delle perdite subite in Russia, di non sopravvalutarle ed anzi di essere favorevole alla ricostituzione di un corpo d'armata - il II - in quel teatro di operazioni.

giovedì 11 febbraio 2021

Il viaggio del 2011, l'ospedale di Podgornoje

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... l'ospedale della Tridentina a Podgornoje; è ampiamente citato nel libro "La fame dei vinti" di Luigi Venturini. In questo edificio furono lasciati alla pietà dei sovietici tutti i feriti che non potevano essere trasportati nelle ore cruciali dell'inizio del ripiegamento.



Campi di prigionia e fosse comuni, parte 11

Grazie al permesso ottenuto dai vertici di U.N.I.R.R. Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia, di cui faccio orgogliosamente parte, pubblico la undicesima ed ultima parte di questo interessantissimo documento relativo ai "campi di prigionia e fosse comuni dello CSIR e dell'ARMIR": la scheda dei campi di Suzdal, Taliza, Tambov, Tiomnikov Iavas, Uciostoie, Usman, Ustà, Vilva e Zubova Poliana.

























lunedì 8 febbraio 2021

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 10

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), decima parte.

BLOCCO SUD (D. «SFORZESCA»; ALIQUOTE D. «PASUBIO»; RESTI D. «CELERE»).

La D. «Sforzesca» inizia il ripiegamento nella notte sul 19 dicembre in base a disposizioni del comando Armata. Il 20, dopo un bombardamento aereo che provoca notevoli perdite, raggiunge ancora efficiente lo Tschir, sul quale avrebbe dovuto schierarsi a difesa. Ma il comando del XXIX C.A. tedesco, in contrasto con gli ordini superiori, dispone l'abbandono di tale linea per occupare posizioni più arretrate. Deficienze di carburante costringono la divisione ad abbandonare gran parte delle artiglierie (il rifornimento del carburante, che avrebbe dovuto essere effettuato a mezzo autocolonna al deposito di Kaschari, non poté aver luogo essendo tale località già occupata dai russi).

Successivamente un nuovo ordine impartito direttamente dal comando Gruppo Armate (senza che il comando d'Armata ne abbia neppur conoscenza) al XXIX C.A. quando già parte della divisione aveva raggiunto Kamenka, prescrive - nella speranza, forse, di stabilire qui il collegamento tra la destra dell'8a Armata e la sinistra della 3a romena - la rioccupazione della linea dello Tschir, dove la «Sforzesca» ritorna ed è ben presto attaccata da forti unità appoggiate da carri.

In base ad ulteriori disposizioni, radiotrasmesse il 21, il grosso della fanteria ormai completamente isolato - ché sullo Tschir non trovò collegamento alcuno né con truppe romene né con truppe tedesche - riprende il movimento verso la valle Jablonowaja ma, mentre reparti ancora in linea per effetto di puntate di disturbo da parte di fanterie avversarie si stanno riunendo a Werch Tschirskìj, un attacco di mezzi corazzati nemici proveniente da ovest investe il 53° fanteria. Si combatte nell'oscurità per circa due ore. Il ripiegamento verso la valle Jablanowaja subisce un tempo di arresto e può iniziarsi soltanto verso le 23. ln avanguardia il I/53; in retroguardia il III/54; tutto il rimanente col grosso. La marcia è appena incominciata che un nuovo fortissimo attacco si abbatte sulla testa e sui fianchi della colonna. L'avanguardia è tagliata fuori dal grosso, combatte tutta la notte, distrugge sei carri armati nemici, riesce a sfondare l'accerchiamento avversario ed a raggiungere poi il resto della divisione. Del grosso poche notizie. Data la stragrande forza nemica soltanto una piccola parte può svincolarsi dalla morsa.

A Werch Makejewka e Kijewskoje - dove affluiscono anche il comando XXXV C.A., il comando D. «Pasubio» con un'aliquota della divisione, il 6° bersaglieri con pochi resti di altri reparti della D. «Celere» - si provvede ad un riordinamento delle unità, costituendo un'unica colonna. Da Werch Makejewka il movimento della «Sforzesca» viene coordinato dal comando del XXIX C.A. tedesco il quale ha alle dirette dipendenze il Gruppo Schuldt. Il comando della «Sforzesca» inquadra tutti gli elementi provenienti dalle G.U. italiane e romene. La colonna riprende il movimento il 23 ed attraverso continui combattimenti si porta lo stesso giorno ad Annenskij, dove il 24 è raggiunta dagli ultimi elementi del 53° col comandante del reggimento, e dove si aggregano ad essa circa 2.000 elementi della 7a D. romena. A tarda sera ripiega su Annenskij anche il 6° bersaglieri il quale si è battuto tutta la giornata a Kijewskoje.

Il 25, raggiunge Krassnajarowka già occupata dal nemico (in tale località si unisce alla colonna anche il comando XXIX C.A.) Il 26, Nish Petrowskij, in valle Beresowka, pure già presidiata dal nemico viene occupata dopo un violento attacco. Lo stesso giorno la colonna è duramente bombardata da aerei tedeschi che la scambiano per una colonna russa. La notte sul 28 il movimento prosegue su Bolschoj Ternowj, ma viene successivamente dirottato in direzione sud-ovest perché la località è fortemente occupata dal nemico. Infine, alle ore 24 del 28, dopo un ultima marcia ininterrotta di 75 km., continuamente attaccata da regolari e partigiani, la colonna raggiunge Skassyrskaja rientrando nelle linee amiche.

Dopo quindici giorni di continui combattimenti contro mezzi corazzati la divisione riusciva così a rompere l'accerchiamento del nemico portando in salvo 4.000 uomini (compresi feriti e congelati) e parte dei materiali. Fra questi 8 pezzi di artiglieria trainati per lunghi tratti a braccia e 700 colpi. Alcuni elementi affluiranno ancora, ma molti non torneranno. Essi sono rimasti lungo la desolata steppa a segnare col sacrificio il Calvario della «Sforzesca» e dei resti della «Celere». Le vicissitudini attraversate da queste unità italiane durante le fasi del ripiegamento furono indubbiamente tragiche. Basti pensare alle perdite subite, al clima inesorabile, alle difficoltà di ogni genere dovute a mancanza di mezzi, scarsità di viveri, deficienza di equipaggiamento; alla continua azione e minaccia delle unità nemiche, alle insidie dei partigiani, ai numerosi e sanguinosi combattimenti sostenuti, alle lunghe estenuanti marce. La mancanza di carburante costrinse, fin dall'inizio del ripiegamento, all'abbandono di parte degli autocarri e delle artiglierie per poter dare sufficiente autonomia ad un'aliquota di mezzi, che successivamente dovette essere a sua volta abbandonata sia per il totale consumo del carburante rimasto, sia gli impantanamenti nei forzati movimenti fuori pista. Soltanto qualche pezzo fu, a stento, trascinato ed a prezzo di ogni sacrificio.

La D. «Ravenna» affluita tra il 19 ed il 21 dicembre nella zona di Woroschilowgrad per riordinamento, assumerà dal 22 al 30 dicembre, la difesa sul Donez dei ponti di Vesselaja e Lunganskaja e, nei limiti del possibile, della zona di Woroschilowgrad da eventuali infiltrazioni nemiche. Sotto la data del I° gennaio la divisione passerà a far parte del Gruppo Fretter Pico ed assumerà, più ad oriente, la difesa dell'ansa di Kushilowka che terrà fino al 24 gennaio. Nonostante le condizioni complessive estremamente difficili, con reparti già duramente provati dalle precedenti vicende, affrettatamente riordinati (3 btg., 1 btr. da 20, 1 btr. da 75/27, 1 btr. da 100/17, 2 pezzi da 105/28), scarsamente armati, deficienti di mezzi, in ispecie di artiglieria, essa contrasterà efficacemente lo sforzo nemico tendente dall'ansa di Kushilowka a dilagare verso sud-ovest per minacciare le difese di Woroschilowgrad e di Kamensk. Gli aspri combattimenti sostenuti costeranno alla divisione circa 700 uomini tra morti, feriti e dispersi tra i quali una trentina di ufficiali ivi compresi due comandanti di battaglione.

Anche i resti del 6° bers., rientrati nelle linee amiche e rinforzati da altri reparti costituiranno un raggtuppamento di formazione che verrà subito ulteriormente impiegato dapprima a Rikowo, di cui assumerà la difesa dal 23 genn. al 3 febbraio, successivamente, nella difesa di Pawlowgrad alle dipendenze del comandante la Piazza di Dnjepropetrowsk. L'unità di formazione risulterà costituita dal comando del 6° rgt. bers. ccn cp. comando, un btg. bers., due gr. del 120° rgt. art. combattenti come fanti, un btg. movim. strad., un btg. bers. di formazione, un gr. art. del 17° rgt. art. Nella difesa di Pawlowgrad, svolta dall'8 al 18 febbraio, il raggruppamento sosterrà numerosi attacchi di unità nemiche e di partigiani. Fra le azioni svolte sono da citare quelle del 17 e 18 febbraio durante le quali le nostre truppe dislocate al perimetro della città, quanto minacciate anche sul tergo, resistono agli attacchi dei russi. Il comportamento del reparto tradotto in cifre si esprime con 628 uomini tra caduti, feriti e dispersi su un totale di 2344.

Dalla commissione speciale dell'O.N.U. (1958)

Arrivato oggi dopo tanto tempo; ovviamente non aggiunge nulla di nuovo a quanto la maggior parte di noi già conosce, ma è un interessante documento storico. Verrà pubblicato presto per intero così tutti ne possano prendere visione.



martedì 2 febbraio 2021

I cappellani militari

Sperando di fare cosa gradita e soprattutto di rendere omaggio a questi uomini di pace andati in guerra, pubblico l'elenco dei cappellani militari caduti, deceduti in prigionia e dispersi, tratto dal libro "7 rubli per il cappellano" di Guido Maurilio Turla, cappellano della Divisione Alpina Cuneense, prigioniero dei russi e rientrato in Italia nel luglio del 1946. L'immagine invece è relativa a Don Carlo Gnocchi, un'istituzione per noi milanesi.

ALBO D'ONORE DEI CAPPELLANI MILITARI IN RUSSIA CADUTI IN COMBATTIMENTO.

Tenente cappellano padre Benedetto Pinca dei frati Minori, appartenente alla alla XV Legione CC.NN. d'Assalto. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Francesco Manocchi della diocesi di Piacenza, appartenente al I Battaglione Chimico, morto il 26 agosto 1942 per ferite riportate in combattimento sul Donets.

Tenente cappellano padre Giovanni Ruzzon dei frati Cappuccini, appartenente al II Battaglione Anticarro, caduto in combattimento il 17 gennaio 1943 a Cerkovo. Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Tenente cappellano don Giuseppe Locatelli della diocesi di Milano, appartenente all'82° Reggimento Fanteria, Divisione Torino, caduto in combattimento l'1 settembre 1942. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Silvio Marchetti della diocesi di Chioggia, appartenente all'ospedale da campo 578, Divisione Torino, fucilalo dai partigiani russi il 20 dicembre 1942 a Kantemirowka. Croce di Guerra al Valor Militare.

Cappellano capo don Giovanni Mazzoni della diocesi di Arezzo, appartenente al 3° Reggimento Bersaglieri, Divisione Celere, caduto in combattimento il 25 dicembre 1941. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

Tenente cappellano don Felice Stroppiana della diocesi di Venezia, appartenente all'81° Reggimento Fanteria, Divisione Torino, caduto in combattimento il 16 dicembre 1942 a Monastirkina. Medaglia d'Oro al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Giacomo Davoli della diocesi di Guastalla, appartenente al 3° Reggimento Bersaglieri, Divisione Celere, caduto in combattimento il 5 gennaio 1942 a Vorosilov. Medaglia di Bronzo al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Nicola Lanese dei preti della Missione, appartenente alla 73a Sezione Sanità, Divisione Celere, ucciso da un soldato russo il 19 dicembre 1942 sulla strada che conduce da Vernakoskija a Millerovo.

Tenente cappellano don Palmiro Ferrucci Morandi della diocesi di Modena, appartenente al 47° Battaglione Bersaglieri Motociclisti, Divisione Celere, caduto per ferite riportate in combattimento sul Don il 26 agosto 1942.

Tenente cappellano don Giuseppe Maria Cante della diocesi di Aversa, appartenente al Raggruppamento 3 Gennaio, morto a Leopoli il 31 gennaio 1943. Medaglia d'Argento al Valor Militare, Medaglia di Bronzo al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Giovanni Battista Cadario dei frati Minori, appartenente alla 307a Sezione Sanità, caduto in combattimento il 19 gennaio 1943 a Seljakino.

Tenente cappellano padre Amauri Bianchi dei frati Predicatori, appartenente alla 2a Sezione Sanità, 2° Reggimento Alpino, Divisione Cuneense, caduto in combattimento la notte del 18 gennaio 1943 presso Annovka.

Tenente cappellano padre Giuseppe Re dei frati Minori, appartenente al 1° Reggimento alpino, Battaglione Ceva, Divisione Cuneense, fucilato dai partigiani russi il 22 gennaio 1943 presso Novaja Harkovka.

Tenente cappellano don Antonio Segalla della diocesi di Padova, appartenente al 5° Reggimento Alpino, Battaglione Morbegno, Divisione Tridentina, caduto in combattimento il 23 gennaio 1943 nei pressi di Opyt.

Tenente cappellano padre Lino Pedrini dei frati Cappuccini, appartenente al 6° Reggimento Alpino, Battaglione Vestone, Divisione Tridentina, caduto in combattimento il 26 gennaio 1943 a Nikolaevka.

ALBO D'ONORE DEI CAPPELLANI MILITARI IN RUSSIA DECEDUTI IN PRIGIONIA.

Tenente cappellano don Giacomo Volante della diocesi di Alessandria, appartenente 278° Reggimento Fanteria, Divisione Vicenza, fucilato da una partigiana (testimonio il sottoscritto) il 13 febbraio 1943 sulla strada per Krinovaja.

Tenente cappellano padre Luigi Faralli dei padri Maristi, appartenente al 3° Reggimento Artiglieria Alpina, Divisione Julia. Visto moribondo lungo la strada, oltre il Don, verso la metà del febbraio del 1943. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente padre Antonio Battello dei padri missionari della Consolata, appartenente all'ospedale da campo 617, divisione Cuneense, morto per infezione il 13 febbraio 1943.

Tenente cappellano padre Carlo Cavalleris degli Agostiniani, appartenente alla 1a Sezione Sanità, Divisione Cuneense, morto nel mese di marzo del 1943.

Tenente Cappellano don Vincenzo Moro della diocesi di Cremona, appartenente all'8° Reggimento Alpino, Battaglione Cividale, Divisione Julia, deceduto per nefrite e congelamento agli arti inferiori il 4 marzo 1943.

Tenente cappellano padre Joffrè Coassin missionario della Consolata, appartenente al 4° Reggimento Alpino, Divisione Cuneense, deceduto il 10 marzo 1943 per tifo petecchiale in treno da Krinovaja a Oranki.

Tenente cappellano padre Giuseppe Vallarino dei frati Minori, appartenente al 1° Reggimento Alpino, Battaglione Pieve di Teco, Divisione Cuneense, morto a seguito di cancrena dei piedi causata da congelamento. Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Tenente cappellano don Aldo Bara della diocesi di Novara, appartenente all'ospedale da campo 615, Divisione Cuneense, deceduto per tifo petecchiale nel mese di marzo del 1943.

Tenente cappellano don Francesco Fanti della diocesi di Orte, facente funzione di cappellano capo al comando della Divisione Cuneense, deceduto il 19 marzo 1943.

Tenente cappellano don Giuseppe Muratori della diocesi di Modena, appartenente all'ospedale da campo 633, Divisione Julia, deceduto a seguito di tifo petecchiale nel marzo del 1943.

Tenente cappellano don Stefano Oberto, salesiano, appartenente al 2° Reggimento Alpino, Battaglione Dronero, Divisione Cuneense, morto nel mese di marzo del 1943. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Amedeo Frascati missionario della Consolata, appartenente al 1° Reggimento Alpino, Battaglione Mondovì, Divisione Cuneense, deceduto il 10 aprile 1943, per tifo petecchiale.

Tenente cappellano don Amelio Loy della diocesi di Fermo, appartenente all'LXXX Battaglione Complementi Pieve di Teco, 1° Reggimento Alpino, Divisione Cuneense. Morto per malattia il 10 settembre 1943 all'ospedale russo 1851, zona degli Urali. Medaglia di Bronzo al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Attilio Casagrande dei frati Cappuccini, appartenente al Battaglione Alpino Sciatori Monte Cervino, morto per inanizione e congelamento il 15 marzo 1943. Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

Tenente cappellano don Pietro Codero della diocesi di Padova, appartenente all'ospedale da campo 163, deceduto nell'aprile del 1943.

Tenente cappellano don Pasquale De Barbieri della diocesi di Genova, appartenente al 52° Reggimento Artiglieria, Divisione Torino. Morto il 7 maggio 1943. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Carlo Pomponesi dei frati Cappuccini, appartenente all'11° Reggimento Artiglieria. Morto per inanizione alla fine del mese di febbraio del 1943.

Tenente cappellano don Vannino Vanno della diocesi di Chiusi, appartenente al 2° Reggimento Artiglieria del II Corpo d'Armata. Deceduto per inanizione il 25 aprile 1943.

Tenente cappellano don Francesco Caserini della diocesi di Cremona, appartenente al 53° Reggimento Fanteria, Divisione Sforzesca. Morto all'ospedale russo il 3 gennaio 1943.

Tenente cappellano don Silvio Garzitto della diocesi di Udine, appartenente all'ospedale da campo 825, Divisione Pasubio. Deceduto nel campo di prigionia n.58-C il 27 aprile 1943.

Tenente cappellano don Rocco Lanza dei frati Cappuccini, appartenente all'ospedale da campo 612, Divisione Cuneense, deceduto in ospedale russo.

Tenente cappellano don Pietro Soffientini della diocesi di Alessandria, appartenente all'ospedale da campo 203, Divisione Ravenna. Deceduto per malattia il 31 maggio 1943.

Tenente cappellano padre Dino Bondi appartenente all'ospedale di riserva 4; morto di tifo petecchiale in treno il 25 marzo 1943, diretto verso il campo di prigionia.

Tenente cappellano padre Pietro Capra, benedettino, appartenente all'8a Sezione Sanità, fucilato dai russi a Kolmenkov il 21 dicembre 1942, in cammino verso i campi di prigionia.

ALBO D'ONORE DEI CAPPELLANI MILITARI IN RUSSIA UFFICIALMENTE DISPERSI DA RITENERSI CADUTI.

Tenente cappellano don Antonio Favoccia della diocesi di Pontecorvo, appartenente all'ospedale da campo 249, Divisione Sforzesca, disperso in combattimento nel dicembre del 1942.

Tenente cappellano padre Pio Chiesa dei padri Gesuiti, appartenente all'ospedale da campo 118, Divisione Cosseria, disperso in combattimento sul Don il 17 dicembre 1942. Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Tenente cappellano don Gorizio Arcangeli della diocesi di Troia, appartenente all'ospedale da campo 235, disperso il 18 dicembre 1942 durante il ripiegamento del suo reparto a Radtskensko.

Tenente cappellano don Corrado Prono della diocesi di Ivrea, appartenente al 52° Reggimento Fanteria, Sezione Sanità, Divisione Torino, disperso il 17 gennaio 1943, durante il ripiegamento.

Tenente cappellano don Giobatta Fiorucci della diocesi di Gubbio, appartenente all'ospedale da campo 48, Divisione Celere, disperso in combattimento il 20 dicembre 1942.

Tenente cappellano don Ascenso De Rosa della diocesi di Sora, appartenente alla 5a Sezione Sanità, Divisione Pasubio, disperso nel gennaio del 1943. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Emilio Berto della diocesi di Susa, appartenente al 6° Battaglione Complementi, Divisione Tridentina, disperso nel fatto d'armi di Belgorod il 25 marzo 1943.

Tenente cappellano don Michele Mangani della diocesi di Urbania, appartenente all'ospedale da campo 616, Divisione Cuneense, disperso nel gennaio del 1943.

Tenente cappellano padre Giovanni Battista Martinelli dei frati Minori, appartenente alla 156a Sezione Sanità, Divisione Vicenza, disperso nel gennaio del 1943.

Tenente cappellano don Attilio Palandri della diocesi di Brescia, appartenente al 277° Reggimento Fanteria, Divisione Vicenza, disperso nel gennaio del 1943.

Tenente cappellano don Ugo Bonazzoni della diocesi di Urbino, appartenente all'ospedale da campo 159, Divisione Celere, disperso il 17 gennaio 1943. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

sabato 30 gennaio 2021

Il sottopassaggio di Nikolajewka

Tutti conoscono il sottopassaggio indicato nella cartina dal segnaposto giallo e fotografato nella seconda immagine. Ma fu davvero quello dove passarono i nostri soldati nel lontano 1943?

Nel 2011 durante il mio primo viaggio in Russia il professor Morozov ce ne fece veder un altro molto più piccolo e spostato più a sud, posizionato all'incirca all'altezza della freccia rossa. Il sottopassaggio indicatoci era senza dubbio moderno e probabilmente risistemato rispetto all'originale; e sempre il professore ci disse che abitualmente tutti andavano a vedere l'altro perché più caratteristico e più datato.

Se qualcuno ha qualche informazione maggiore a riguardo ben venga.



L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 9

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), nona parte.

BLOCCO NORD (ALIQUOTE D. «RAVENNA»; 298a D. GERM.; ALIQUOTE D. «PASUBIO » E D. «TORINO).

La notte sul 20, il XXXV C.A. (298a D. germ. e D. «Pasubio» e la D. «Torino» iniziano il movimento di ripiegamento. La 298a D. con aliquote della D. «Ravenna» muove dalla zona di Radtschenskoje-Tereschkowo a quella di Popowka-Makaroff; la D. «Pasubio» si dirige verso sud: dapprima per assumere un nuovo schieramento sul Tichaja, successivamente per adunarsi nel triangolo Arbusowka - Awakusch II - Alexscjewo Losowskaja e organizzarsi a caposaldo a protezione del fianco sinistro delle unità che, nel frattempo, dovevano dislocarsi sul Tichaja. Nel movimento l'unità viene spezzata in due dall'azione nemica: la maggior parte si congiunge a Popowka con la 298a D. germ. e la D. «Torino»; l'altra parte con il comando divisione ed il comando XXXV C.A. prosegue su Schapiloff - Tichomirowskij - Werch Makejewka ove si unirà alla D. «Sforzesca».

La D. «Torino», muovendo in seguito a ordine del comando XXIX C.A. dalla linea del Don, sino allora tenuta, raggiunge compatta, nella giornata del 20, Popowka dove avviene la riunione con le unità suddette. Si costituisce cosi il complesso del blocco nord che prosegue il ripiegamento in direzione sud-ovest. Il giorno 21, la colonna raggiunge Arbusowka dopo estenuanti marce ed aspri combattimenti sostenuti da una parte della colonna (Gruppo cr. Hoffman - 298a D. germ. ed aliquote della D. «Ravenna») per aprirsi il varco e dalla D. «Torino» ed aliquote della «Pasubio» per contenere e respingere l'azione nemica tendente da tergo all'agganciamento. Un duro combattimento di retroguardia fu sostenuto da reparti della «Torino» sulle alture di riva sinistra del Tichaja (21 mattina). Le perdite furono gravi, ma l'azione consentì a gran parte della pesante colonna di sfilare protetta.

Con le truppe italiane, causa la mancanza di carburante, sono rimasti solo tre pezzi da 75/27, quattro autocarri, tre vetture; mancano i viveri. La 298a D. germ., con servizi a traino animale, ha tutti i rifornimenti e rancio caldo che tiene per sé (ad Arbusowka il comando tedesco procede, di forza, allo svuotamento dei serbatoi delle poche macchine italiane ancora al seguito). La colonna rimane assediata nella conca di Arbusowka il 22 ed il 23 sempre soggetta all'azione di forti unità nemiche che tentano di annientarla. Il mattino del 22, d'intesa col comando tedesco, viene deciso di allargare il cerchio per dare un po' di respiro alla difesa. E' un contrattacco generale delle truppe italo-germaniche che, partendo dal centro della conca, diverge nelle varie direzioni contro la sistemazione russa. Dal centro le armi pesanti ed i pezzi di artiglieria accompagnano l'azione.

Le truppe senza più rispettare vincoli organici e prudenziali di combattimento si lanciano di corsa su per l'erta. Si vede un militare montare su un cavallo e con una grande bandiera tricolore spiegata galoppare verso il nemico trascinandosi dietro tutti i suoi compagni. L'avversario è respinto e il raggio dell'assedio è così allargato di un paio di chilometri. Il 23 la situazione si aggrava però di nuovo e viene richiesto alla «Torino» il rinforzo immediato di centurie di formazione. Alle 19 i russi attaccano da nord appoggiati da carri armati. I carri tedeschi e le formazioni italiane e tedesche respingono i reparti russi giunti a breve distanza dal comando della 298a D. germanica. Più tardi un nuovo attacco fa ancora vacillare il fronte.

Nella notte sul 24, la colonna riesce a rompere l'accerchiamento ed a proseguire il movimento verso ovest. Esso ha inizio alle ore 23,30. I russi attaccano da sud e impegnano le truppe italiane costituenti la retroguardia. Sotto la protezione di questa lo sfilamento del grosso prosegue. Il combattimento si protrae fino all'alba, ed un'aliquota dei reparti impiegati non riuscirà più a sganciarsi. Il 26, dopo altra estenuante marcia e continui combattimenti (anche questa volta, mentre il gruppo semoventi tedeschi apre la strada le unità italiane costituiscono la retroguardia) la colonna raggiunge Tscherkowo dove si congiunge a quel presidio per continuare la resistenza.

venerdì 29 gennaio 2021

Campi di prigionia e fosse comuni, parte 10

Grazie al permesso ottenuto dai vertici di U.N.I.R.R. Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia, di cui faccio orgogliosamente parte, pubblico la decima parte di questo interessantissimo documento relativo ai "campi di prigionia e fosse comuni dello CSIR e dell'ARMIR": la scheda dei campi di Pacta Aral, Piniug, Rudnicnij, Sciucinsk e Spask Zavodsk.