lunedì 2 ottobre 2023

Storia di tre fotografie...

... anzi a dire il vero le fotografie sono ben di più. Ma partiamo dall'inizio di questa triste storia. E' l'estate del 2019 e mi reco in Russia per la mia quinta volta, aggregandomi ad un viaggio non organizzato da me, l'unico che non ho organizzato. E si vede... ma grazie a Fabio, già presente in Russia e nostro accompagnatore, al suo impegno e anche alla sua pazienza, il tutto prende una piega favorevole. Nasce anche una bella amicizia che rimane salda a distanza di anni.

Grazie ai suoi contatti, andiamo a visitare anche il campo di Uciostoie, nella zona di Tambov; qui sono registrati 4.344 caduti italiani, ma tutti noi sappiamo che furono ben di più. Si, di più, perché i sovietici i primi mesi di prigionia non segnavano nulla, ne i nominativi, ne registravano i morti giornalieri.

Sappiamo che lì intorno ci sono le fosse comuni; ogni volta che si va ad un campo di prigionia e nei dintorni, si è consapevoli che si rischia di camminare sopra i morti, disseminati lì da qualche parte. Ma un conto è pensarlo, un conto è vederli.

I nostri accompagnatori lì presenti, seppur d'estate, ci spiegano che dobbiamo coprire qualsiasi parte del corpo, viso e mani comprese, perché è una zona, come tante altre, piena di zecche e qui le zecche non perdonano, e possono causare seri problemi anche agli esseri umani. Lasciamo quindi le macchine e iniziamo ad inoltrarci in un bosco; ad un certo punto a poca distanza l'una dall'altra, individuiamo tre buche; saranno profonde circa un metro e mezzo e di dimensioni variabili; ci avviciniamo al bordo e quello che vediamo, ciò che ci si para davanti è quello che ora potete vedere anche voi nelle fotografie.

Ossa sul fondo delle buche e teschi, ossa che affiorano dagli scavi e denti, morti e quello che ne resta... è la prima volta nella mia vita che vedo tutto questo; rabbia e dolore... cerco lo sguardo di Silvia, amica di tutti i viaggi in Russia; lei che ha perso uno zio in questa guerra; ha la mia stessa espressione sul viso: anche incredulità, ma tanto dolore a vedere quei resti, lì buttati nelle buche.

Ma come è possibile che nessuno sia venuto a prenderli? Perché sono ancora lì? Ricordo dei vecchi notiziari dell'U.N.I.R.R. nei quali era possibile leggere il resoconto di alcuni viaggi fatti anni prima dai parenti dei caduti e dei dispersi che riferivano di situazioni analoghe. Ma, ripeto, una cosa è leggerlo, una cosa è vederlo.

La rabbia prende il sopravvento al dolore e scatto queste fotografie... "appena esco da questo maledetto bosco voglio pubblicare tutto sulla pagina Facebook e denunciare tutto quanto". Voglio fare sapere a tutti, quello che abbiamo visto; fare sapere a chi ha perso un figlio, un padre, un fratello, dove potrebbero essere i suoi resti, così... buttati in un bosco. Non importa di chi sono quei resti: italiani, tedeschi, rumeni, ungheresi, francesi, olandesi o anche russi. Cosa importa? Chiunque essi siano non devono essere lasciati così; non possono essere lasciati così.

Dopo la pubblicazione delle tre fotografie sulla mia pagina Facebook, in poche ore, centinaia di persone vedono e poi scrivono, commentano indignate, arrabbiate, sgomente; sono le stesse persone che in Italia da sempre cercano notizie, siete voi che leggete questa pagina e tante altre, alla ricerca di qualsiasi notizia che possa esservi utile per conoscere, per sapere.

Ma non succede solo questo; succede anche dell'altro, molto altro. Ma diciamo solo che alla fine le fotografie vengono cancellate dalla mia pagina, o meglio mi viene chiesto di cancellarle; e tutto viene eliminato con la motivazione che le fotografie potevano urtare la sensibilità di voi parenti. E forse era anche vero, forse non era giusto far vedere queste immagini.

Ma le tre fotografie saltano nuovamente fuori e vengono pubblicate, non da me, in questi ultimi mesi; non serve sapere da chi. A Uciostoie io ci sono stato e ho visto; ho le coordinate precise al metro delle tre fosse; tutte queste informazioni sono a disposizione delle autorità preposte che volessero compiere un atto di umanità verso quei caduti, indipendentemente dalla nazionalità. Non posso tornare più in Russia; è difficile per tutti e forse anche impossibile ora, ma mi piacerebbe che chi può, faccia o cerchi di fare. Lo spero per loro che sono ancora là e per chi a casa aspetta a distanza di oltre 80 anni.





































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