mercoledì 17 febbraio 2021

Bruno e Mario Carloni, parte 1

Legate alle vicende belliche ci sono e ci saranno sempre "belle" storie da raccontare; storie di uomini e di eroismi, di paure e di coraggio. Ve n'è una che ho scoperto per intero da poche settimane, ed è quella di un figlio ed un padre, entrambi combattenti in Russia, entrambi combattenti nel 6° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere. Il primo di cui parlerò è il figlio, Bruno Carloni, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria.

Bruno è "figlio d'arte" se così si può dire; il padre Mario partì come soldato volontario nel 5° Reggimento Bersaglieri, scalando la gerarchia militare fino a diventare ufficiale di complemento, con il grado di Sottotenente, nel 7° Bersaglieri. Partecipò al primo conflitto mondiale, distinguendosi per valore e per capacità di comando, venendo decorato al Valor Militare e passando al servizio effettivo, terminando il conflitto con il grado di Capitano: è seguendo il suo esempio di soldato che il giovane Bruno, nato nel 1920 a Isola del Liri, in provincia di Frosinone, decise di indossare il piumetto dei Bersaglieri. Arruolatosi volontario come ufficiale entrando all’Accademia di Modena nel 1940, lo stesso anno della dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, due anni più tardi uscì dall’istituto militare con il grado di Sottotenente, venendo assegnato al 6° Reggimento Bersaglieri. Raggiunto il reparto in Russia, dove era stato già precedentemente dislocato, la durezza del conflitto in corso catapultò fin da subito il giovane ufficiale nella dura realtà della guerra, fatta di assalti, agguati e imboscate, fino ad allora studiate e apprese sui libri dell’Accademia.

Assegnato alla 2a Compagnia del VI Battaglione, il 13 luglio 1942, a Wladimorowka, durante un assalto condotto alla testa dei suoi uomini, primo ad uscire allo scoperto, si guadagnò sul campo la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: "Comandante di un plotone d’una compagnia bersaglieri distaccata presso altra unità, si lanciava per primo all’assalto d’una munitissima trincea protetta da profondo reticolato, che superava strisciando per giungere più presto sul nemico che assaliva a bombe a mano, nonostante il vivace fuoco delle mitragliatrici avversarie. Visto cadere gravemente ferito il proprio capitano, assumeva il comando della Compagnia e, dopo aspra, accanita, lotta, conquistava la posizione, catturando armi e prigionieri. Wladimorowka, 12 luglio 1942". Il giovane Bersagliere, seguendo le orme del padre nella Prima Guerra Mondiale, dimostrò tutto il suo valore nella nuova guerra che l’Italia fu chiamata a combattere. Pochi giorni dopo la battaglia di Wladimorowka, il 6° Reggimento Bersaglieri venne dislocato in un altro settore del Don, lungo la testa di ponte che da Satonskij giungeva fino a Bobrowskij, fino ad allora tenuto da un piccolo reparto tedesco.

Inevitabile lo scontro. In pieno giorno, infatti, mentre il 3° Bersaglieri muoveva verso le sue posizioni lungo l’ansa del Don, i soldati dell’Armata Rossa scatenarono una prima, violenta offensiva, appoggiata anche da una quarantina di carri armati: l’attacco investì in pieno sia i tedeschi che i bersaglieri del Sottotenente Bruno Carloni. Un primo assalto venne bloccato e i russi non riuscirono a oltrepassare il fiume: restava a questo punto soltanto una cosa da fare, ovvero prendere l’iniziativa e pensare subito ad un contrattacco. Il 2 agosto 1942 iniziò l’attacco verso i villaggi di Baskovskij e di Bobrowskij, raggiunti entrambi e superati a costo di perdite che andavano aumentando sempre di più. Dopo i villaggi rimaneva il bosco vicino, che si apriva e degradava verso il fiume: il nuovo obiettivo divenne la quota 210, affidata agli uomini di due compagnie, tra cui quella di Bruno. Gli scontri furono duri con pesanti perdite: ferito ad un braccio, il giovane bersagliere restò in mezzo alla battaglia, là dove maggiore era il fuoco sovietico. Non smetteva di incitare i suoi uomini a proseguire nell’azione fino a quando una raffica di mitragliatrice, colpendolo in pieno petto, non lo faceva cadere a terra, esanime. L’offensiva, che non fruttò alcun risultato alle forze italo-tedesche, venne interrotta il giorno 8 agosto, dopo che entrambi le parti avevano subito pesanti perdite.

Inutili furono i tentativi dei medici di salvarlo: si spense tra le braccia dei suoi uomini, riservando le ultime parole per suo padre e per i Bersaglieri, che tanto fedelmente aveva giurato di servire. Alla sua memoria verrà concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: "Giovanissimo Ufficiale entusiasta e valoroso, già decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare sul campo. Durante l’accanito e sanguinoso combattimento, quando il nemico era riuscito a penetrare nelle linee, minacciando il fianco di un nostro battaglione, alla testa dei suoi si lanciava al contrassalto. Ferito ad un braccio, rifiutava ogni soccorso e fasciatosi sommariamente, continuava con immutato slancio, ricacciando l’avversario all’arma bianca. Mentre, ritto innanzi a tutti, difendeva a bombe a mano la posizione da rinnovati più furiosi assalti, una raffica di mitragliatrice lo abbatteva. Ai Bersaglieri accorsi in suo aiuto rispondeva in un supremo sforzo sollevando in alto il piumetto: me l’ha donato mio padre, ditegli che l’ho portato con onore! Magnifica figura di soldato, che nella luce del sacrificio consacra ed esalta il fascino della più pura passione bersaglieresca. Fronte russo, Bobrowskij, 3 agosto 1942".

Bruno fu sepolto al cimitero militare campale di Fomichinskij, un piccolo paese della regione di Serafimovic; la salma fu riesumata nel 1991 e riportata in Italia con solenne cerimonia al Sacrario Militare di Redipuglia.

martedì 16 febbraio 2021

Il viaggio del 2011, il T-34 ad Opit

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... il T-34 presente alla sommità della tristemente famosa salita verso Opit, con il monumento dedicato ai caduti sovietici.



Una tragedia annunciata, parte 2

Riporto la seconda parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA SITUAZIONE SENZA RIMEDIO.

Esaminiamo l'Appunto, interessante, come si è detto, non tanto per la sommaria ricostruzione degli avvenimenti, che di certo non ci svela nulla di nuovo, ma per le circostanze e per i puntuali rilievi che la caratterizzano. L'estensore dichiara di essere "[...] partito dal fronte orientale il 23 dicembre 1942, in pieno svolgimento, cioè, delle operazioni offensive da parte russa oggi in corso. Non posso quindi se non riferire quanto è di mia conoscenza fino al giorno 22, peraltro conoscenza frammentaria derivante in parte da osservazioni personali e in parte da quanto ho potuto apprendere da fonti dirette. Lo sfondamento nelle nostre linee sarebbe avvenuto esattamente nella zona di Bogushar (sic. Bagutschar) tenuta da una nostra divisione (Ravenna) ed in parte dal 309° Reggimento di fanteria germanica (sic. 318° r.f.). Già dai giorni precedenti la pressione russa su tale settore si era venuta intensificando; dopo avvenuta la rottura sul fronte rumeno (situato più a destra del fronte dell'ARM.I.R.) essa aveva assunto carattere di estrema violenza in gran parte del nostro settore.

Dopo un rapido ma efficace bombardamento aereo i russi iniziarono la loro manovra di rottura nel tratto di fronte tenuto dal 309° e su buona parte del nostro fronte, manovra che fu nel punto principale effettuata relativamente con pochi - circa una trentina - appoggiati da altri mezzi di offesa psicologicamente formidabili (verosimilmente lanciarazzi multipli. Come riporta B.H. Liddel Hart, nel suo "Storia militare della seconda guerra mondiale" - Milano, Mondadori, 1970, rist. 2003 Vol. II, p.682 - le carenze in fatto di artiglieria manifestatesi nel 1942 avevano portato alla produzione su vasta scala di razzi e lanciarazzi, di più agevole fabbricazione rispetto ai tradizionali pezzi di artiglieria e di grande efficienza). Il 309° Reggimento Germanico fu prestissimo preda al panico; si sbandò completamente ripiegando in disordine, riversandosi sulle retrovie e seminando il panico non già ai reparti - nostri - che erano in linea, bensì alle retrovie. I carri armati russi, approfittando della breccia lasciata dai tedeschi in fuga, si erano intanto infiltrati nelle retrovie con manovra di insaccamento.

Le loro puntate rapide e numerose non fecero che aumentare la confusione sul terreno che già avevano perso i tedeschi in fuga. Successe cosi, a differenza di quanto si potrebbe supporre; per i nostri reparti il panico si propagò non dalla prima linea alle retrovie (ove poi l'elemento uomo, non combattente aveva minore stamina morale), ma dalle retrovie alla prima linea, tanto è vero che vari reparti isolati più solidi che non caddero preda del panico resistettero valorosamente senza abbandonare le loro posizioni ed in molti casi dovettero essere riforniti per aereo. Fu cosi una fuga quasi generale: la Ravenna che col reggimento germanico aveva subito la prima impressione dell'urto russo, si disfece del tutto; quasi identica sorte avvenne per la Cosseria; successivamente, in misura maggiore o minore, tutte le altre nostre unità furono travolte: nell'ordine la Celere, la Sforzesca, la Torino e la Pasubio. Uniche truppe a resistere con i limitati mezzi di cui disponevano sulle linee furono le alpine e le CC.NN. dell'Armata.

Vi furono anzi, e non pochi, episodi di autentico valore da parte di reparti isolati, ma, in linea generale, lo sfaldamento fu completo. Posso riferire che, fino alla sera del 22 dicembre u.s., al Comando di tappa di Voroscilovgrad erano stati recuperati o si tentava di recuperare 18.000 sbandati, prevalentemente della Ravenna, Cosseria e Celere. I fuggiaschi provocavano una penosa impressione. Molti degli ufficiali soprattutto inferiori si erano strappati i distintivi di grado ed i fregi dei reparti per rendersi indistinguibili: tutti portavano tracce, più che di sofferenza, di terrore. Pare che scene selvagge si siano verificate nell'abbordaggio dei mezzi di trasporto (autocarri) da parte dei fuggiaschi per sottrarsi a quella che essi ritenevano fosse la completa rottura dell'intero fronte: parecchie persone perirono, schiacciate dagli automezzi, in tale "si salvi chi può". Non immuni da tale ondata di panico andarono, come ho detto, i reparti germanici, non solo di prima linea, ma anche delle retrovie. Chi scrive, ricorda la piazza Lenin di Voroscilovgrad (in quella località si trovava il comando dell'8a Armata) letteralmente gremita di automezzi tedeschi di ogni specie, tutti ripiegati più o meno in disordine dalla zona in cui era avvenuta la rottura; in parte anche una certa aliquota di truppe rumene di retrovia subì lo stesso contagio.

In questa fase andarono perduti oltre che moltissimo materiale - specialmente d'artiglieria (qualche reparto rimase assolutamente serva cannoni) - la quasi totalità dei magazzini avanzati dell'Intendenza dell'8a Armata, magazzini che erano inspiegabilmente stati portati a troppa diretta vicinanza della prima linea. Molti furono incendiati dai nostri, molti caddero in mano nemica. Debbo a questo proposito notare come la grandissima maggioranza dei fuggiaschi giunti a Voroscilovgrad non portavano più le armi. Le avevano abbandonate per via. In più di un caso esse furono adoperate i nostri stessi soldati in fuga da elementi civili russi. Chi scrive ebbe un solo colloquio con il comandante dell'8a Armata e pertanto non può esprimere su di lui un preciso giudizio personale. II comandante l'8a Armata comunque, anziché intrattenerlo di quegli argomenti che avrebbero potuto fornire una base della sua missione in Russia, non gli parlò che di un'organizzazione, da lui iniziata, di reparti cosacchi composti di prigionieri e disertori da impiegarsi nella lotta contro i partigiani e in genere come elemento di propaganda in senso zarista. A parte ogni considerazione di opportunità, il sottoscritto non intende neppure discutere l'iniziativa, che nelle attuali condizioni, più facilmente potrebbe rivolgersi [sic] in un'arma di propaganda in favore degli stessi sovietici che non nel senso voluto.

sabato 13 febbraio 2021

Onori a Gino Monzali

Ricevo dal nipote Rossano Sabbi e pubblico con estremo piacere la fotografia dello zio Gino Monzali, carabinieri disperso in Russia, e la corrispondenza avuta a suo tempo con il Generale Attilio Boldoni, all'epoca dei fatti comandante della sezione a cui apparteneva lo zio. Gino Monzali aveva come tanti altri solo 20 anni; nato il 07.03.1922 a Castiglione dei Pepoli (Bologna) ed inquadrato nella 66a Sezione Motociclisti Carabinieri, fu dichiarato disperso il 17.01.1943 in località non nota.







Una tragedia annunciata, parte 1

Riporto la prima parte di un interessantissimo articolo, tutto da leggere, di Nicola Pignato apparso su "Storia Militare" numero 117 del giugno 2003; è un articolo dall'altissima valenza storica che ci permette di conoscere alcuni aspetti della Campagna di Russia, evidentemente fino ad oggi poco evidenziati.

UNA TRAGEDIA ANNUNCIATA.

Molto si è scritto sulla partecipazione italiana alla campagna di Russia dal 1941 al 1943. Alcuni dei protagonisti hanno voluto - attraverso le loro memorie - rievocare soprattutto le fasi drammatiche della ritirata e il coraggio di coloro che non vollero rassegnarsi a gettare le armi. Altri autori si sono limitati a ripercorrere gli avvenimenti dal punto di vista storico-militare; altri ancora ne hanno criticato le motivazioni politiche oppure lo spreco di uomini e di materiali che la disgraziata spedizione aveva comportato, proprio mentre il nostro più vitale teatro di operazioni, quello nordafricano, era carente proprio di quegli automezzi e di quei pezzi di artiglieria che vi erano stati sacrificati.

Qualche commentatore, infine, ha accusato della disfatta soltanto il comando germanico, che senza dubbio era responsabile della condotta delle operazioni e della dislocazione in difensiva delle nostre unità, quasi che Roma avesse rinunciato ad interessarsi della loro sorte e non vi fosse sul posto un comandante in grado di tutelare l'accorto impiego delle proprie truppe. Non vi è dubbio che l'anziano generale Italo Gariboldi - il quale poco più di un anno prima aveva personalmente accolto in Libia il Corpo tedesco d'Africa - sapesse che tra il responsabile dell'Alto comando germanico e il nostro sottocapo di Stato maggiore, generale Guzzoni. prima dell'invio di quel contingente in Libia, era stato concordato: "[...] Nel caso alle forze tedesche venisse affidato un compito per la cui esecuzione, per convenzione del loro comandante, potrebbe soltanto portare a un grave insuccesso e alla menomazione del prestigio delle truppe tedesche, il comandante tedesco ha il diritto e il dovere informando il generale tedesco di collegamento con il Comando Supremo a Roma, di chiedere la decisione al Führer, a mezzo del Comandante Supremo dell'Esercito".

E per esperienza diretta sapeva come il generale Rommel avesse approfittato, oltre ogni limite, di questa facoltà che gli era stata riservata. Analogo era infatti l'accordo concluso nel 1941 al momento dell'invio del Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR. poi ARM.I.R). che cosi recitava: "Nel caso in cui al C.S.I.R, venisse affidato un compito la cui esecuzione, per convinzione del proprio comandante, potrebbe portare soltanto a un grave insuccesso e quindi a menomazione del prestigio delle truppe italiane, il comandante italiano ha il diritto e il dovere informando il generale italiano di collegamento con il Comando Supremo delle Forze Armate tedesche a Berlino, di chiedere la decisione del Duce a mezzo del Capo di Stato Maggiore Generale". Nell'impiego del Corpo. si specificava inoltre (art. 1) che questo "dipende direttamente dal Comando Supremo Italiano e tatticamente è alle immediate dipendenze del Comandante Germanico e fa capo allo Stato Maggiore Italiano per quanto riguarda disciplina, servizi e necessità varie di vita".

Ne conseguiva che il Comandante dell'8a Armata italiana in Russia avrebbe potuto contestare, senza problemi, i due errori principali di quel Comando, e cioè la decisione di utilizzare in pianura il Corpo d'Armata alpino e quella di sottrarre ogni riserva motocorazzata allo schieramento delle divisioni italiane di fanteria sul Don. Per oltre cinquant'anni nessuno però si è preoccupato di indagare se il nostro Comando Supremo fosse Stato al corrente dell'effettiva situazione dell' ARM.I.R. dopo i duri combattimenti della tarda estate 1942. Oggi invece abbiamo la certezza - da un documento appena ricomparso - che ne era stato ufficialmente informato e senza reticenze, seppure, diremmo noi, quando era ormai troppo tardi. Pure non si era curato di prendere qualche serio provvedimento, a carico di colui che - se non poteva essere accusato di avere una mentalità arretrata rispetto alla guerra moderna, che pur aveva sotto i suoi occhi - non si era imposto, come ogni buon capo ha il dovere di fare, per salvaguardare la vita dei propri soldati e l'onore dell'esercito a cui appartiene (il Tribunale Straordinario per la Difesa dello Stato, ricostituito dopo l'armistizio dalla R.S.I. alla ricerca di capri espiatori, condannò il generale Gariboldi a dieci anni di reclusione).

L'unico ad essere esonerato, a fine gennaio, fu il Capo di Stato Maggiore Generale, Maresciallo Ugo Cavallero, ma forse più per la perdita della Libia - che aumentava la vulnerabilità della penisola - piuttosto che per il disastro in Russia. Giustamente, le responsabilità di non avere provveduto in tempo non erano soltanto del Capo del Governo ma si allargavano al Maresciallo Cavallero, cui spettava tecnicamente ogni valutazione in merito. Se è vero che bastarono un paio di compagnie di carri sovietici a sfondare le nostre linee, forse potevano tornar utili alle spalle dello schieramento "a cordone" - tanto per fare un esempio - quella trentina di semoventi controcarro da 90 che, al contrario, rimasero in Italia per chiudere la loro breve esistenza, quasi senza combattere, tra le alture della Sicilia. E non ragioniamo con il senno del poi: a chiunque era noto che la nostra regolamentazione sin dal 1928 prevedeva, nell'impiego in difensiva delle Grandi Unità complesse, la presenza di unità di "seconda schiera" o addirittura di terza; il fronte di ogni divisione non doveva eccedere poi i 4-5 km., anche se qualcuno afferma che l'avevano portato a 13,5.

Che qualcosa in Russia non funzionasse a livello di comando d'Armata e nei rapporti con il comando del Gruppo di Armate tedesco lo si sospettava. Altrimenti, non si sarebbe inviato, tardivamente, qualcuno a rendersene conto di persona. Eppure, quanto si legge nell'"Appunto per il Sig. Capo di Gabinetto", visto dal duce il 23 gennaio 1943, getta una nuova luce su quelle drammatiche vicende. Ma dove erano finite e come erano state sottratte le carte ora ricomparse a distanza di sessant'anni?

UN CARTEGGIO DIMENTICATO.

L'appunto che pubblichiamo è uno dei numerosi documenti, finora rimasti sconosciuti e che sono stati consegnati all'Archivio Centrale dello Stato il 12 novembre 2002 dal dottor Francesco Alicicco, in qualità di erede del generale Mario Alicicco, scomparso nel 1999 (il fondo comprende inoltre altro relativo alle ultime fasi della guerra in Africa, alla produzione bellica e all'aiuto germanico, alla difesa della Sicilia, ai Balcani ecc. Vi è anche una memoria di Ambrosio sulla difesa della Sardegna, consegnata al duce l'8 maggio 1943 ed in parte da lui inserita in "Storia di un anno" pubblicato nel 1944). Questi, allora maggiore dei bersaglieri (cl. 1908) e addetto alla Casa Militare del Sovrano, nella primavera 1946 ricevette da Umberto II un carteggio, impegnandosi a tenerlo segreto per cinquant'anni. Questo, tra l'altro, comprende un certo numero di documenti riservati sugli ultimi avvenimenti in Russia, in Tunisia e in Sicilia e sui i rapporti con l'alleato germanico, come l'appunto in questione. Ad un'attenta lettura, questa relazione (9 pagine dattiloscritte), redatta da un certo M. Porta (o Poli?) (la firma appare di 5 lettere, e non è escluso che possa trattarsi del colonnello o generale di brigata Mario Poli. La prosa non è molto felice, ma probabilmente la relazione è stata stesa in uno stato d'animo piuttosto turbato) se ben leggiamo la firma, che era molto probabilmente un ufficiale ben introdotto al comando dell'8a Armata, appare a dir poco sconcertante. Un impietoso ritratto di debolezza più morale che materiale. Tale rapporto, nonostante la sua crudezza, invece di suscitare immediate reazioni e provvedimenti fu fatto passare praticamente sotto silenzio.

In sostanza, si sottovalutò o si cercò di minimizzare la crisi che si stava diffondendo mano a mano che si allontanava la speranza di una vittoria, latente, come gli avvenimenti dei mesi successivi dimostreranno. anche nelle altre Grandi Unità. Altrettanto si fece per mascherare i numeri della sconfitta, evitando, con il pretesto dell'inopportunità politica, di diramare un comunicato ufficiale in proposito. Entità che però ugualmente emergeva (e nonostante ogni censura) dai vari "chi lo ha visto" con fotografia fatti pubblicare periodicamente sui giornali dalle famiglie di coloro che non sarebbero più tornati.

Quanto si verificò durante la Seconda Battaglia del Don, com'essa è passata alla storia, è noto tanto nelle linee generali quanto nei particolari. Ancora "a caldo", nel 1946, quando ancora non si conosceva appieno la terribile sorte dei nostri prigionieri in Unione Sovietica, apparve un sommario sull'"8a Armata nella battaglia difensiva del Don" pubblicato dall'Ufficio Storico dello S.M. Esercito. e solo più tardi completato dall'esauriente sintesi (oggi giunta alle terza edizione) di De Franceschi, De Vecchi e Mantovani sulle "Operazioni delle Unità Italiane al Fronte Russo", edita nel 1977. Per non dire delle altre numerose opere dedicate allo stesso argomento, ivi compreso un recente saggio di chi scrive (in "Rivista Italiana Difesa", n. 3/1993) basato non soltanto su quanto fino ad allora noto, ma soprattutto su una precisa documentazione ufficiale (Comando Supremo. 1° Reparto, Ufficio Operazioni Esercito, Scacchiere orientale, all'oggetto di "Fronte russo - 8a Armata", del 21 marzo 1943). Tale ricostruzione era articolata in cinque parti: Svolgimento battaglia del Don - 1a fase (11-20 dicembre 1942); ripiegamento del II e del XXXV Corpo d'armata; ripiegamento del Corpo d'armata alpino; movimento dell'8a Armata verso la zona di ricostituzione; ricostituzione e impiego in Russia del II Corpo d'Armata.

A quest'ultima ricostituzione saggiamente si volle rinunciare nonostante - come rivela un altro documento del fondo Alicicco (comunicazione al Duce del Maresciallo Ugo Cavallero, Capo di S.M. Generale, circa l'udienza accordatagli da S.M. il Re il giorno 13 gennaio 1943) - il 13 gennaio 1943 il re Vittorio Emanuele III avesse affermato, dopo essere stato messo al corrente delle perdite subite in Russia, di non sopravvalutarle ed anzi di essere favorevole alla ricostituzione di un corpo d'armata - il II - in quel teatro di operazioni.

giovedì 11 febbraio 2021

Il viaggio del 2011, l'ospedale di Podgornoje

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... l'ospedale della Tridentina a Podgornoje; è ampiamente citato nel libro "La fame dei vinti" di Luigi Venturini. In questo edificio furono lasciati alla pietà dei sovietici tutti i feriti che non potevano essere trasportati nelle ore cruciali dell'inizio del ripiegamento.



Campi di prigionia e fosse comuni, parte 11

Grazie al permesso ottenuto dai vertici di U.N.I.R.R. Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia, di cui faccio orgogliosamente parte, pubblico la undicesima ed ultima parte di questo interessantissimo documento relativo ai "campi di prigionia e fosse comuni dello CSIR e dell'ARMIR": la scheda dei campi di Suzdal, Taliza, Tambov, Tiomnikov Iavas, Uciostoie, Usman, Ustà, Vilva e Zubova Poliana.

























lunedì 8 febbraio 2021

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 10

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), decima parte.

BLOCCO SUD (D. «SFORZESCA»; ALIQUOTE D. «PASUBIO»; RESTI D. «CELERE»).

La D. «Sforzesca» inizia il ripiegamento nella notte sul 19 dicembre in base a disposizioni del comando Armata. Il 20, dopo un bombardamento aereo che provoca notevoli perdite, raggiunge ancora efficiente lo Tschir, sul quale avrebbe dovuto schierarsi a difesa. Ma il comando del XXIX C.A. tedesco, in contrasto con gli ordini superiori, dispone l'abbandono di tale linea per occupare posizioni più arretrate. Deficienze di carburante costringono la divisione ad abbandonare gran parte delle artiglierie (il rifornimento del carburante, che avrebbe dovuto essere effettuato a mezzo autocolonna al deposito di Kaschari, non poté aver luogo essendo tale località già occupata dai russi).

Successivamente un nuovo ordine impartito direttamente dal comando Gruppo Armate (senza che il comando d'Armata ne abbia neppur conoscenza) al XXIX C.A. quando già parte della divisione aveva raggiunto Kamenka, prescrive - nella speranza, forse, di stabilire qui il collegamento tra la destra dell'8a Armata e la sinistra della 3a romena - la rioccupazione della linea dello Tschir, dove la «Sforzesca» ritorna ed è ben presto attaccata da forti unità appoggiate da carri.

In base ad ulteriori disposizioni, radiotrasmesse il 21, il grosso della fanteria ormai completamente isolato - ché sullo Tschir non trovò collegamento alcuno né con truppe romene né con truppe tedesche - riprende il movimento verso la valle Jablonowaja ma, mentre reparti ancora in linea per effetto di puntate di disturbo da parte di fanterie avversarie si stanno riunendo a Werch Tschirskìj, un attacco di mezzi corazzati nemici proveniente da ovest investe il 53° fanteria. Si combatte nell'oscurità per circa due ore. Il ripiegamento verso la valle Jablanowaja subisce un tempo di arresto e può iniziarsi soltanto verso le 23. ln avanguardia il I/53; in retroguardia il III/54; tutto il rimanente col grosso. La marcia è appena incominciata che un nuovo fortissimo attacco si abbatte sulla testa e sui fianchi della colonna. L'avanguardia è tagliata fuori dal grosso, combatte tutta la notte, distrugge sei carri armati nemici, riesce a sfondare l'accerchiamento avversario ed a raggiungere poi il resto della divisione. Del grosso poche notizie. Data la stragrande forza nemica soltanto una piccola parte può svincolarsi dalla morsa.

A Werch Makejewka e Kijewskoje - dove affluiscono anche il comando XXXV C.A., il comando D. «Pasubio» con un'aliquota della divisione, il 6° bersaglieri con pochi resti di altri reparti della D. «Celere» - si provvede ad un riordinamento delle unità, costituendo un'unica colonna. Da Werch Makejewka il movimento della «Sforzesca» viene coordinato dal comando del XXIX C.A. tedesco il quale ha alle dirette dipendenze il Gruppo Schuldt. Il comando della «Sforzesca» inquadra tutti gli elementi provenienti dalle G.U. italiane e romene. La colonna riprende il movimento il 23 ed attraverso continui combattimenti si porta lo stesso giorno ad Annenskij, dove il 24 è raggiunta dagli ultimi elementi del 53° col comandante del reggimento, e dove si aggregano ad essa circa 2.000 elementi della 7a D. romena. A tarda sera ripiega su Annenskij anche il 6° bersaglieri il quale si è battuto tutta la giornata a Kijewskoje.

Il 25, raggiunge Krassnajarowka già occupata dal nemico (in tale località si unisce alla colonna anche il comando XXIX C.A.) Il 26, Nish Petrowskij, in valle Beresowka, pure già presidiata dal nemico viene occupata dopo un violento attacco. Lo stesso giorno la colonna è duramente bombardata da aerei tedeschi che la scambiano per una colonna russa. La notte sul 28 il movimento prosegue su Bolschoj Ternowj, ma viene successivamente dirottato in direzione sud-ovest perché la località è fortemente occupata dal nemico. Infine, alle ore 24 del 28, dopo un ultima marcia ininterrotta di 75 km., continuamente attaccata da regolari e partigiani, la colonna raggiunge Skassyrskaja rientrando nelle linee amiche.

Dopo quindici giorni di continui combattimenti contro mezzi corazzati la divisione riusciva così a rompere l'accerchiamento del nemico portando in salvo 4.000 uomini (compresi feriti e congelati) e parte dei materiali. Fra questi 8 pezzi di artiglieria trainati per lunghi tratti a braccia e 700 colpi. Alcuni elementi affluiranno ancora, ma molti non torneranno. Essi sono rimasti lungo la desolata steppa a segnare col sacrificio il Calvario della «Sforzesca» e dei resti della «Celere». Le vicissitudini attraversate da queste unità italiane durante le fasi del ripiegamento furono indubbiamente tragiche. Basti pensare alle perdite subite, al clima inesorabile, alle difficoltà di ogni genere dovute a mancanza di mezzi, scarsità di viveri, deficienza di equipaggiamento; alla continua azione e minaccia delle unità nemiche, alle insidie dei partigiani, ai numerosi e sanguinosi combattimenti sostenuti, alle lunghe estenuanti marce. La mancanza di carburante costrinse, fin dall'inizio del ripiegamento, all'abbandono di parte degli autocarri e delle artiglierie per poter dare sufficiente autonomia ad un'aliquota di mezzi, che successivamente dovette essere a sua volta abbandonata sia per il totale consumo del carburante rimasto, sia gli impantanamenti nei forzati movimenti fuori pista. Soltanto qualche pezzo fu, a stento, trascinato ed a prezzo di ogni sacrificio.

La D. «Ravenna» affluita tra il 19 ed il 21 dicembre nella zona di Woroschilowgrad per riordinamento, assumerà dal 22 al 30 dicembre, la difesa sul Donez dei ponti di Vesselaja e Lunganskaja e, nei limiti del possibile, della zona di Woroschilowgrad da eventuali infiltrazioni nemiche. Sotto la data del I° gennaio la divisione passerà a far parte del Gruppo Fretter Pico ed assumerà, più ad oriente, la difesa dell'ansa di Kushilowka che terrà fino al 24 gennaio. Nonostante le condizioni complessive estremamente difficili, con reparti già duramente provati dalle precedenti vicende, affrettatamente riordinati (3 btg., 1 btr. da 20, 1 btr. da 75/27, 1 btr. da 100/17, 2 pezzi da 105/28), scarsamente armati, deficienti di mezzi, in ispecie di artiglieria, essa contrasterà efficacemente lo sforzo nemico tendente dall'ansa di Kushilowka a dilagare verso sud-ovest per minacciare le difese di Woroschilowgrad e di Kamensk. Gli aspri combattimenti sostenuti costeranno alla divisione circa 700 uomini tra morti, feriti e dispersi tra i quali una trentina di ufficiali ivi compresi due comandanti di battaglione.

Anche i resti del 6° bers., rientrati nelle linee amiche e rinforzati da altri reparti costituiranno un raggtuppamento di formazione che verrà subito ulteriormente impiegato dapprima a Rikowo, di cui assumerà la difesa dal 23 genn. al 3 febbraio, successivamente, nella difesa di Pawlowgrad alle dipendenze del comandante la Piazza di Dnjepropetrowsk. L'unità di formazione risulterà costituita dal comando del 6° rgt. bers. ccn cp. comando, un btg. bers., due gr. del 120° rgt. art. combattenti come fanti, un btg. movim. strad., un btg. bers. di formazione, un gr. art. del 17° rgt. art. Nella difesa di Pawlowgrad, svolta dall'8 al 18 febbraio, il raggruppamento sosterrà numerosi attacchi di unità nemiche e di partigiani. Fra le azioni svolte sono da citare quelle del 17 e 18 febbraio durante le quali le nostre truppe dislocate al perimetro della città, quanto minacciate anche sul tergo, resistono agli attacchi dei russi. Il comportamento del reparto tradotto in cifre si esprime con 628 uomini tra caduti, feriti e dispersi su un totale di 2344.

Dalla commissione speciale dell'O.N.U. (1958)

Arrivato oggi dopo tanto tempo; ovviamente non aggiunge nulla di nuovo a quanto la maggior parte di noi già conosce, ma è un interessante documento storico. Verrà pubblicato presto per intero così tutti ne possano prendere visione.



martedì 2 febbraio 2021

I cappellani militari

Sperando di fare cosa gradita e soprattutto di rendere omaggio a questi uomini di pace andati in guerra, pubblico l'elenco dei cappellani militari caduti, deceduti in prigionia e dispersi, tratto dal libro "7 rubli per il cappellano" di Guido Maurilio Turla, cappellano della Divisione Alpina Cuneense, prigioniero dei russi e rientrato in Italia nel luglio del 1946. L'immagine invece è relativa a Don Carlo Gnocchi, un'istituzione per noi milanesi.

ALBO D'ONORE DEI CAPPELLANI MILITARI IN RUSSIA CADUTI IN COMBATTIMENTO.

Tenente cappellano padre Benedetto Pinca dei frati Minori, appartenente alla alla XV Legione CC.NN. d'Assalto. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Francesco Manocchi della diocesi di Piacenza, appartenente al I Battaglione Chimico, morto il 26 agosto 1942 per ferite riportate in combattimento sul Donets.

Tenente cappellano padre Giovanni Ruzzon dei frati Cappuccini, appartenente al II Battaglione Anticarro, caduto in combattimento il 17 gennaio 1943 a Cerkovo. Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Tenente cappellano don Giuseppe Locatelli della diocesi di Milano, appartenente all'82° Reggimento Fanteria, Divisione Torino, caduto in combattimento l'1 settembre 1942. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Silvio Marchetti della diocesi di Chioggia, appartenente all'ospedale da campo 578, Divisione Torino, fucilalo dai partigiani russi il 20 dicembre 1942 a Kantemirowka. Croce di Guerra al Valor Militare.

Cappellano capo don Giovanni Mazzoni della diocesi di Arezzo, appartenente al 3° Reggimento Bersaglieri, Divisione Celere, caduto in combattimento il 25 dicembre 1941. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

Tenente cappellano don Felice Stroppiana della diocesi di Venezia, appartenente all'81° Reggimento Fanteria, Divisione Torino, caduto in combattimento il 16 dicembre 1942 a Monastirkina. Medaglia d'Oro al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Giacomo Davoli della diocesi di Guastalla, appartenente al 3° Reggimento Bersaglieri, Divisione Celere, caduto in combattimento il 5 gennaio 1942 a Vorosilov. Medaglia di Bronzo al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Nicola Lanese dei preti della Missione, appartenente alla 73a Sezione Sanità, Divisione Celere, ucciso da un soldato russo il 19 dicembre 1942 sulla strada che conduce da Vernakoskija a Millerovo.

Tenente cappellano don Palmiro Ferrucci Morandi della diocesi di Modena, appartenente al 47° Battaglione Bersaglieri Motociclisti, Divisione Celere, caduto per ferite riportate in combattimento sul Don il 26 agosto 1942.

Tenente cappellano don Giuseppe Maria Cante della diocesi di Aversa, appartenente al Raggruppamento 3 Gennaio, morto a Leopoli il 31 gennaio 1943. Medaglia d'Argento al Valor Militare, Medaglia di Bronzo al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Giovanni Battista Cadario dei frati Minori, appartenente alla 307a Sezione Sanità, caduto in combattimento il 19 gennaio 1943 a Seljakino.

Tenente cappellano padre Amauri Bianchi dei frati Predicatori, appartenente alla 2a Sezione Sanità, 2° Reggimento Alpino, Divisione Cuneense, caduto in combattimento la notte del 18 gennaio 1943 presso Annovka.

Tenente cappellano padre Giuseppe Re dei frati Minori, appartenente al 1° Reggimento alpino, Battaglione Ceva, Divisione Cuneense, fucilato dai partigiani russi il 22 gennaio 1943 presso Novaja Harkovka.

Tenente cappellano don Antonio Segalla della diocesi di Padova, appartenente al 5° Reggimento Alpino, Battaglione Morbegno, Divisione Tridentina, caduto in combattimento il 23 gennaio 1943 nei pressi di Opyt.

Tenente cappellano padre Lino Pedrini dei frati Cappuccini, appartenente al 6° Reggimento Alpino, Battaglione Vestone, Divisione Tridentina, caduto in combattimento il 26 gennaio 1943 a Nikolaevka.

ALBO D'ONORE DEI CAPPELLANI MILITARI IN RUSSIA DECEDUTI IN PRIGIONIA.

Tenente cappellano don Giacomo Volante della diocesi di Alessandria, appartenente 278° Reggimento Fanteria, Divisione Vicenza, fucilato da una partigiana (testimonio il sottoscritto) il 13 febbraio 1943 sulla strada per Krinovaja.

Tenente cappellano padre Luigi Faralli dei padri Maristi, appartenente al 3° Reggimento Artiglieria Alpina, Divisione Julia. Visto moribondo lungo la strada, oltre il Don, verso la metà del febbraio del 1943. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente padre Antonio Battello dei padri missionari della Consolata, appartenente all'ospedale da campo 617, divisione Cuneense, morto per infezione il 13 febbraio 1943.

Tenente cappellano padre Carlo Cavalleris degli Agostiniani, appartenente alla 1a Sezione Sanità, Divisione Cuneense, morto nel mese di marzo del 1943.

Tenente Cappellano don Vincenzo Moro della diocesi di Cremona, appartenente all'8° Reggimento Alpino, Battaglione Cividale, Divisione Julia, deceduto per nefrite e congelamento agli arti inferiori il 4 marzo 1943.

Tenente cappellano padre Joffrè Coassin missionario della Consolata, appartenente al 4° Reggimento Alpino, Divisione Cuneense, deceduto il 10 marzo 1943 per tifo petecchiale in treno da Krinovaja a Oranki.

Tenente cappellano padre Giuseppe Vallarino dei frati Minori, appartenente al 1° Reggimento Alpino, Battaglione Pieve di Teco, Divisione Cuneense, morto a seguito di cancrena dei piedi causata da congelamento. Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Tenente cappellano don Aldo Bara della diocesi di Novara, appartenente all'ospedale da campo 615, Divisione Cuneense, deceduto per tifo petecchiale nel mese di marzo del 1943.

Tenente cappellano don Francesco Fanti della diocesi di Orte, facente funzione di cappellano capo al comando della Divisione Cuneense, deceduto il 19 marzo 1943.

Tenente cappellano don Giuseppe Muratori della diocesi di Modena, appartenente all'ospedale da campo 633, Divisione Julia, deceduto a seguito di tifo petecchiale nel marzo del 1943.

Tenente cappellano don Stefano Oberto, salesiano, appartenente al 2° Reggimento Alpino, Battaglione Dronero, Divisione Cuneense, morto nel mese di marzo del 1943. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Amedeo Frascati missionario della Consolata, appartenente al 1° Reggimento Alpino, Battaglione Mondovì, Divisione Cuneense, deceduto il 10 aprile 1943, per tifo petecchiale.

Tenente cappellano don Amelio Loy della diocesi di Fermo, appartenente all'LXXX Battaglione Complementi Pieve di Teco, 1° Reggimento Alpino, Divisione Cuneense. Morto per malattia il 10 settembre 1943 all'ospedale russo 1851, zona degli Urali. Medaglia di Bronzo al Valor Militare e Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Attilio Casagrande dei frati Cappuccini, appartenente al Battaglione Alpino Sciatori Monte Cervino, morto per inanizione e congelamento il 15 marzo 1943. Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

Tenente cappellano don Pietro Codero della diocesi di Padova, appartenente all'ospedale da campo 163, deceduto nell'aprile del 1943.

Tenente cappellano don Pasquale De Barbieri della diocesi di Genova, appartenente al 52° Reggimento Artiglieria, Divisione Torino. Morto il 7 maggio 1943. Medaglia d'Oro al Valor Militare.

Tenente cappellano padre Carlo Pomponesi dei frati Cappuccini, appartenente all'11° Reggimento Artiglieria. Morto per inanizione alla fine del mese di febbraio del 1943.

Tenente cappellano don Vannino Vanno della diocesi di Chiusi, appartenente al 2° Reggimento Artiglieria del II Corpo d'Armata. Deceduto per inanizione il 25 aprile 1943.

Tenente cappellano don Francesco Caserini della diocesi di Cremona, appartenente al 53° Reggimento Fanteria, Divisione Sforzesca. Morto all'ospedale russo il 3 gennaio 1943.

Tenente cappellano don Silvio Garzitto della diocesi di Udine, appartenente all'ospedale da campo 825, Divisione Pasubio. Deceduto nel campo di prigionia n.58-C il 27 aprile 1943.

Tenente cappellano don Rocco Lanza dei frati Cappuccini, appartenente all'ospedale da campo 612, Divisione Cuneense, deceduto in ospedale russo.

Tenente cappellano don Pietro Soffientini della diocesi di Alessandria, appartenente all'ospedale da campo 203, Divisione Ravenna. Deceduto per malattia il 31 maggio 1943.

Tenente cappellano padre Dino Bondi appartenente all'ospedale di riserva 4; morto di tifo petecchiale in treno il 25 marzo 1943, diretto verso il campo di prigionia.

Tenente cappellano padre Pietro Capra, benedettino, appartenente all'8a Sezione Sanità, fucilato dai russi a Kolmenkov il 21 dicembre 1942, in cammino verso i campi di prigionia.

ALBO D'ONORE DEI CAPPELLANI MILITARI IN RUSSIA UFFICIALMENTE DISPERSI DA RITENERSI CADUTI.

Tenente cappellano don Antonio Favoccia della diocesi di Pontecorvo, appartenente all'ospedale da campo 249, Divisione Sforzesca, disperso in combattimento nel dicembre del 1942.

Tenente cappellano padre Pio Chiesa dei padri Gesuiti, appartenente all'ospedale da campo 118, Divisione Cosseria, disperso in combattimento sul Don il 17 dicembre 1942. Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Tenente cappellano don Gorizio Arcangeli della diocesi di Troia, appartenente all'ospedale da campo 235, disperso il 18 dicembre 1942 durante il ripiegamento del suo reparto a Radtskensko.

Tenente cappellano don Corrado Prono della diocesi di Ivrea, appartenente al 52° Reggimento Fanteria, Sezione Sanità, Divisione Torino, disperso il 17 gennaio 1943, durante il ripiegamento.

Tenente cappellano don Giobatta Fiorucci della diocesi di Gubbio, appartenente all'ospedale da campo 48, Divisione Celere, disperso in combattimento il 20 dicembre 1942.

Tenente cappellano don Ascenso De Rosa della diocesi di Sora, appartenente alla 5a Sezione Sanità, Divisione Pasubio, disperso nel gennaio del 1943. Croce di Guerra al Valor Militare.

Tenente cappellano don Emilio Berto della diocesi di Susa, appartenente al 6° Battaglione Complementi, Divisione Tridentina, disperso nel fatto d'armi di Belgorod il 25 marzo 1943.

Tenente cappellano don Michele Mangani della diocesi di Urbania, appartenente all'ospedale da campo 616, Divisione Cuneense, disperso nel gennaio del 1943.

Tenente cappellano padre Giovanni Battista Martinelli dei frati Minori, appartenente alla 156a Sezione Sanità, Divisione Vicenza, disperso nel gennaio del 1943.

Tenente cappellano don Attilio Palandri della diocesi di Brescia, appartenente al 277° Reggimento Fanteria, Divisione Vicenza, disperso nel gennaio del 1943.

Tenente cappellano don Ugo Bonazzoni della diocesi di Urbino, appartenente all'ospedale da campo 159, Divisione Celere, disperso il 17 gennaio 1943. Medaglia d'Oro al Valor Militare.