Storia Illustrata - I generali russi intervistati sulla tragedia dell'ARMIR - Gennaio 1980. Articolo molto interessante tutto da leggere; di particolare interesse nell'articolo l'affermazione del Generale Baukov riguardo allo stato dei nostri soldati in Russia: "Quando anch'io raggiunsi Kantemirovka, degli italiani erano rimasti soltanto i feriti nell'ospedale. Dovunque c'erano automezzi sventrati, corpi con le membra straziate sotto le ruote. Non è uno spettacolo che mi piace ricordare. I magazzini erano pressoché intatti. Evidentemente non c'era stato il tempo di bruciarli. Erano comunque ben riforniti, più di quanto potessi immaginare dall'aspetto dei primi prigionieri italiani".
Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
venerdì 6 gennaio 2023
Cronaca di una sconfitta annunciata, 06.01.43
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
6 GENNAIO.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Alle 8,30 del 6, la 76a compagnia (battaglione Cividale), in concorso con un plotone ed alcuni carri armati tedeschi, ritornava sulla posizione catturando 45 prigionieri. Il battaglione Cividale tra morti e feriti aveva perduto 300 uomini. Il nemico, esso pure molto provato, sospendeva l'azione per alcuni giorni.
DIFESA DI VOROSCILOVGRAD E DI UN ALTRO SETTORE SUL DONEZ.
Nel periodo tra il 6 ed il 19 gennaio, la Divisione inviava oltre il fiume consistenti elementi di ricognizione e dava inizio a lavori di rafforzamento nei vari abitati e di sbancamento della sponda del fiume stesso, in funzione anticarro. Dalle informazioni di varia provenienza appariva l'intenzione del nemico di attaccare la Ravenna nel tratto compreso tra la foce del Derkul e Davido Nicholskij, mentre sue forze di fanteria affluivano nella zona di Dubovoj.
6 GENNAIO.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Alle 8,30 del 6, la 76a compagnia (battaglione Cividale), in concorso con un plotone ed alcuni carri armati tedeschi, ritornava sulla posizione catturando 45 prigionieri. Il battaglione Cividale tra morti e feriti aveva perduto 300 uomini. Il nemico, esso pure molto provato, sospendeva l'azione per alcuni giorni.
DIFESA DI VOROSCILOVGRAD E DI UN ALTRO SETTORE SUL DONEZ.
Nel periodo tra il 6 ed il 19 gennaio, la Divisione inviava oltre il fiume consistenti elementi di ricognizione e dava inizio a lavori di rafforzamento nei vari abitati e di sbancamento della sponda del fiume stesso, in funzione anticarro. Dalle informazioni di varia provenienza appariva l'intenzione del nemico di attaccare la Ravenna nel tratto compreso tra la foce del Derkul e Davido Nicholskij, mentre sue forze di fanteria affluivano nella zona di Dubovoj.
Serata a Tradate
Sabato 14 gennaio 2023 a Tradate (VA) parteciperò ad una serata dedicata alla Campagna di Russia e avrò il così il piacere di raccontare in prima persona emozioni, storie e aneddoti sui miei viaggi; alle ore 16.00 saremo al Sacrario Militare di Tradate presso il cimitero comunale a ricordare il Capitano Dorigo Albisetti, comandante della 112ª Compagnia del battaglione “Val Chiese” (6º Reggimento Alpini - Divisione “Tridentina”), caduto in Russia nel dicembre del 1942 dopo aver meritato la Medaglia d’Argento al Valor Militare durante la battaglia di Kotowsky (settembre 1942). Le spoglie rientrarono poi in Italia il 15 febbraio 1998.
La giornata proseguirà appunto poi con l'appuntamento alle ore 20.30 presso Villa Truffini in Tradate, corso P. Bernacchi 2 con il mio intervento.
La giornata proseguirà appunto poi con l'appuntamento alle ore 20.30 presso Villa Truffini in Tradate, corso P. Bernacchi 2 con il mio intervento.
Ricordare, ricordare, ricordare sempre...
"... per la Campagna di Russia siamo partiti in 230.000 uomini... non siamo mai più ritornati in oltre 80.000..." il cortometraggio che abbiamo realizzato per ricordare l'80° anniversario delle ritirate della Campagna di Russia verrà pubblicato su questa pagina la sera del 10 gennaio 2023... per non dimenticare.
giovedì 5 gennaio 2023
Ritorno sul Don, parte 9
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Mia moglie forse capisce qualcosa perché mi stringe il braccio. - Ho freddo, - dice poi. Ma se dovessi dire a Boris di chiudere il finestrino certo si addormenterebbe perché sono undici ore che guida, e così copro Anna con la mia cacciatora di velluto e lana. Il paese che si dovrebbe raggiungere è Alessjevka (anche allora, in un primo tempo, fu una meta: dicevano che c'era un caposaldo tedesco, invece era già stato occupato); da Alessjevka prenderemo la strada asfaltata per Bielgorod e Charkov. Ma questo paese sembra irraggiungibile, e quando Boris si accorge di aver perso la pista buona, chissà dove diavolo siamo.
[...] e mi viene davanti un'altra immagine, quando la mia compagnia una notte era in colonna accerchiata: c'era tormenta e sbucarono dal buio due autoblinde che nel turbinio della neve ci spararono sopra la testa raffiche di traccianti. Poi sparirono nuovamente nel buio; come questi puledri, dopo che Boris ha spento i fari. Non c'è nessuno qui, a custodire i cavalli, nessuno risponde al nostro richiamo. Risaliamo in macchina e ci inoltriamo cautamente verso il fondo di una balca; incontriamo delle isbe, Boris suona il clacson e scende. [...]
Chiediamo la strada per Alessjevka e rispondono tutte insieme, dicendo cose differenti. Dal gran ciacolare che fanno riesco a capire che grosso modo siamo in quella zona poco abitata che è tra Varvarocka e Ostrogorsk. Anche degli uomini sono usciti dal loro sonno, fanno stare zitte le donne e poi parlano con calma. Ci offrono anche ospitalità e dico a Larissa e Boris di fermarci: potremo riprendere domattina. Noi è possibile, dicono: dobbiamo ritornare nel nostro albergo anche a costo di viaggiare sino a giorno. A questo riguardo, forse, avranno ricevuto una consegna. [...]
La macchina corre nel buio, il vento gelido della steppa entra dal finestrino tutto aperto, nessuno dice parole. Boris ogni tanto rallenta la corsa e china la testa sul volante; anche se andiamo fuori strada, penso, non succederà niente: è tutto piano! Prima un tasso, poi una volpe, un'altra volpe ancora e delle lepri attraversano nella luce dei fari dove sempre le foglie dell'autunno sembrano farfalle rosse. In queste distese infinte dormono i miei compagni, e questa la Russia che sono venuto a cercare.
Se ci fossero le stelle, la troverei la strada per Charkov. Ma quanti nostri compagni allora, in quella bufera di fuoco e di neve come in un inferno, non hanno trovato la strada di casa? Camminavano, giravano in tondo, si trascinavano sulle ginocchia e si perdevano. Quando ritornavano le stelle o il sole, un piccolo rialzo sulla neve indicava che li sotto c'era un uomo. [...]
Per due giorni mia moglie stette quasi sempre a letto con la febbre e io verso sera uscivo un paio d'ore a passeggiare per la città. Mi piaceva andare lungo una vecchia strada, forse la più vecchia e intatta e paesana via di questa Charkov rifatta nuova dopo tante battaglie. [...] Queste botteghe sotto il livello della strada piena del traffico serale mi ricordano la vecchia Russia di Gogol e Chagall; solo che una volta entrato non trovo vecchi mercanti, ma studenti. Ragazzi e ragazze che sfogliano libri, bevono il tè, discutono, si scambiano francobolli e distintivi, si fanno i fatti loro, insomma; e io vecchio sergente maggiore degli alpini che ho combattuto contro i loro padri prima di essere stato a questi fratello, mi sembra d'essere dell'era neolitica. O forse no, perché in una bottega color cannella dove mi sono fermato a bere tè e mangiare frittelle, quando stavo per uscire un paio del gruppo mi hanno detto «ciao». Proprio ciao! [...]
Ecco, sono ritornato a casa ancora una volta; ma ora so che laggiù, quello tra il Donetz e il Don, è diventato il posto più tranquillo del mondo. C'è una grande pace, un grande silenzio, un'infinita dolcezza. La finestra della mia stanza inquadra boschi e montagne, ma lontano, oltre le Alpi, le pianure, i grandi fiumi, vedo sempre quei villaggi e quelle pianure dove dormono nella loro pace i nostri compagni che non sono tornati a baita.
Mia moglie forse capisce qualcosa perché mi stringe il braccio. - Ho freddo, - dice poi. Ma se dovessi dire a Boris di chiudere il finestrino certo si addormenterebbe perché sono undici ore che guida, e così copro Anna con la mia cacciatora di velluto e lana. Il paese che si dovrebbe raggiungere è Alessjevka (anche allora, in un primo tempo, fu una meta: dicevano che c'era un caposaldo tedesco, invece era già stato occupato); da Alessjevka prenderemo la strada asfaltata per Bielgorod e Charkov. Ma questo paese sembra irraggiungibile, e quando Boris si accorge di aver perso la pista buona, chissà dove diavolo siamo.
[...] e mi viene davanti un'altra immagine, quando la mia compagnia una notte era in colonna accerchiata: c'era tormenta e sbucarono dal buio due autoblinde che nel turbinio della neve ci spararono sopra la testa raffiche di traccianti. Poi sparirono nuovamente nel buio; come questi puledri, dopo che Boris ha spento i fari. Non c'è nessuno qui, a custodire i cavalli, nessuno risponde al nostro richiamo. Risaliamo in macchina e ci inoltriamo cautamente verso il fondo di una balca; incontriamo delle isbe, Boris suona il clacson e scende. [...]
Chiediamo la strada per Alessjevka e rispondono tutte insieme, dicendo cose differenti. Dal gran ciacolare che fanno riesco a capire che grosso modo siamo in quella zona poco abitata che è tra Varvarocka e Ostrogorsk. Anche degli uomini sono usciti dal loro sonno, fanno stare zitte le donne e poi parlano con calma. Ci offrono anche ospitalità e dico a Larissa e Boris di fermarci: potremo riprendere domattina. Noi è possibile, dicono: dobbiamo ritornare nel nostro albergo anche a costo di viaggiare sino a giorno. A questo riguardo, forse, avranno ricevuto una consegna. [...]
La macchina corre nel buio, il vento gelido della steppa entra dal finestrino tutto aperto, nessuno dice parole. Boris ogni tanto rallenta la corsa e china la testa sul volante; anche se andiamo fuori strada, penso, non succederà niente: è tutto piano! Prima un tasso, poi una volpe, un'altra volpe ancora e delle lepri attraversano nella luce dei fari dove sempre le foglie dell'autunno sembrano farfalle rosse. In queste distese infinte dormono i miei compagni, e questa la Russia che sono venuto a cercare.
Se ci fossero le stelle, la troverei la strada per Charkov. Ma quanti nostri compagni allora, in quella bufera di fuoco e di neve come in un inferno, non hanno trovato la strada di casa? Camminavano, giravano in tondo, si trascinavano sulle ginocchia e si perdevano. Quando ritornavano le stelle o il sole, un piccolo rialzo sulla neve indicava che li sotto c'era un uomo. [...]
Per due giorni mia moglie stette quasi sempre a letto con la febbre e io verso sera uscivo un paio d'ore a passeggiare per la città. Mi piaceva andare lungo una vecchia strada, forse la più vecchia e intatta e paesana via di questa Charkov rifatta nuova dopo tante battaglie. [...] Queste botteghe sotto il livello della strada piena del traffico serale mi ricordano la vecchia Russia di Gogol e Chagall; solo che una volta entrato non trovo vecchi mercanti, ma studenti. Ragazzi e ragazze che sfogliano libri, bevono il tè, discutono, si scambiano francobolli e distintivi, si fanno i fatti loro, insomma; e io vecchio sergente maggiore degli alpini che ho combattuto contro i loro padri prima di essere stato a questi fratello, mi sembra d'essere dell'era neolitica. O forse no, perché in una bottega color cannella dove mi sono fermato a bere tè e mangiare frittelle, quando stavo per uscire un paio del gruppo mi hanno detto «ciao». Proprio ciao! [...]
Ecco, sono ritornato a casa ancora una volta; ma ora so che laggiù, quello tra il Donetz e il Don, è diventato il posto più tranquillo del mondo. C'è una grande pace, un grande silenzio, un'infinita dolcezza. La finestra della mia stanza inquadra boschi e montagne, ma lontano, oltre le Alpi, le pianure, i grandi fiumi, vedo sempre quei villaggi e quelle pianure dove dormono nella loro pace i nostri compagni che non sono tornati a baita.
Cronaca di una sconfitta annunciata, 05.01.43
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
5 GENNAIO.
BLOCCO NORD.
Dopo un intenso bombardamento notturno, al mattino del 5 gennaio un attacco del nemico, diretto parzialmente contro il settore italiano, era respinto con forti perdite degli attaccanti. Proietti incendiari provocavano la distruzione di buona parte del magazzino di vestiario ed equipaggiamento. Un aviorifornimento a favore degli italiani andava perduto, perché sospinto dal vento entro le linee nemiche.
5 GENNAIO.
BLOCCO NORD.
Dopo un intenso bombardamento notturno, al mattino del 5 gennaio un attacco del nemico, diretto parzialmente contro il settore italiano, era respinto con forti perdite degli attaccanti. Proietti incendiari provocavano la distruzione di buona parte del magazzino di vestiario ed equipaggiamento. Un aviorifornimento a favore degli italiani andava perduto, perché sospinto dal vento entro le linee nemiche.
mercoledì 4 gennaio 2023
Cronaca di una sconfitta annunciata, 04.01.43
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
4 GENNAIO.
BLOCCO NORD.
Il 4 gennaio la 298a Divisione svolgeva un'azione per congiungersi alla 19a corazzata, giungeva fino in prossimità di essa, ma era respinta da un contrattacco dei russi, mentre le forze italiane, attaccate nelle loro posizioni, reagivano energicamente.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Nei giorni 4, 5 e 6 gennaio il combattimento era condotto essenzialmente per il possesso della «quota Cividale», situata nel settore tedesco. Partecipavano alla lotta, nella giornata del 4, prima la 20a compagnia del battaglione Cividale, che muoveva al contrassalto di propria iniziativa; poi la 16a, che suscitava l'ammirato plauso dei tedeschi per lo sprezzo del pericolo dimostrato. Alle azioni intervenivano anche le artiglierie della Cuneense. Il 5, ore 8,30, infiltrazioni nemiche a tergo della quota costringevano ad un temporaneo abbandono di essa, ma la situazione era ristabilita in tre ore. Nuovo attacco nemico respinto alle 14. Alle 17, dopo un nuovo attacco, la quota tornava in possesso del nemico.
4 GENNAIO.
BLOCCO NORD.
Il 4 gennaio la 298a Divisione svolgeva un'azione per congiungersi alla 19a corazzata, giungeva fino in prossimità di essa, ma era respinta da un contrattacco dei russi, mentre le forze italiane, attaccate nelle loro posizioni, reagivano energicamente.
FRONTE DEL CORPO D'ARMATA ALPINO.
Nei giorni 4, 5 e 6 gennaio il combattimento era condotto essenzialmente per il possesso della «quota Cividale», situata nel settore tedesco. Partecipavano alla lotta, nella giornata del 4, prima la 20a compagnia del battaglione Cividale, che muoveva al contrassalto di propria iniziativa; poi la 16a, che suscitava l'ammirato plauso dei tedeschi per lo sprezzo del pericolo dimostrato. Alle azioni intervenivano anche le artiglierie della Cuneense. Il 5, ore 8,30, infiltrazioni nemiche a tergo della quota costringevano ad un temporaneo abbandono di essa, ma la situazione era ristabilita in tre ore. Nuovo attacco nemico respinto alle 14. Alle 17, dopo un nuovo attacco, la quota tornava in possesso del nemico.
martedì 3 gennaio 2023
Libri: "AMINTO CARETTO"
"Aminto Caretto - Una vita al fronte: dalle trincee della Grande Guerra alla campagna di Russia".
Poche figure hanno attraversato la storia italiana del novecento lasciando un ricordo così indelebile come quella di Aminto Caretto. In un secolo caratterizzato da due devastanti guerre mondiali incarnò al meglio la figura di soldato valoroso trascorrendo quasi tutta la sua vita al fronte. Il giovane Capitano Caretto guidò con coraggio il Reparto d’Assalto della IV Brigata Bersaglieri da Carzano a Cima Valbella, fino al Piave e alla vittoriosa controffensiva finale.
Nel 1922 inoltrò domanda per essere dislocato presso le Truppe Coloniali d’Eritrea impegnate in Cirenaica. Caretto rientrato in Italia nel 1926 venne inviato all’ 11° Reggimento Bersaglieri a Gradisca d’Isonzo. Assunse il comando del Terzo Reggimento Bersaglieri nel 1940 dopo un breve periodo operativo nei Balcani, per poi essere inviato sul fronte russo. I documenti dell’epoca e i diari reggimentali ricostruiscono i nove cicli operativi che il Terzo effettuò tra l’estate 1941 e l’autunno 1942; culminando con la Battaglia di Natale. Il libro, attraverso la figura di Aminto Caretto, ricostruisce anche le operazioni di altri reparti che affiancarono le truppe alpine. Tra questi il Sesto, l’Artiglieria a Cavallo, i Cavalleggeri del Savoia Cavalleria e i Lancieri di Novara.
Poche figure hanno attraversato la storia italiana del novecento lasciando un ricordo così indelebile come quella di Aminto Caretto. In un secolo caratterizzato da due devastanti guerre mondiali incarnò al meglio la figura di soldato valoroso trascorrendo quasi tutta la sua vita al fronte. Il giovane Capitano Caretto guidò con coraggio il Reparto d’Assalto della IV Brigata Bersaglieri da Carzano a Cima Valbella, fino al Piave e alla vittoriosa controffensiva finale.
Nel 1922 inoltrò domanda per essere dislocato presso le Truppe Coloniali d’Eritrea impegnate in Cirenaica. Caretto rientrato in Italia nel 1926 venne inviato all’ 11° Reggimento Bersaglieri a Gradisca d’Isonzo. Assunse il comando del Terzo Reggimento Bersaglieri nel 1940 dopo un breve periodo operativo nei Balcani, per poi essere inviato sul fronte russo. I documenti dell’epoca e i diari reggimentali ricostruiscono i nove cicli operativi che il Terzo effettuò tra l’estate 1941 e l’autunno 1942; culminando con la Battaglia di Natale. Il libro, attraverso la figura di Aminto Caretto, ricostruisce anche le operazioni di altri reparti che affiancarono le truppe alpine. Tra questi il Sesto, l’Artiglieria a Cavallo, i Cavalleggeri del Savoia Cavalleria e i Lancieri di Novara.
Ritorno sul Don, parte 8
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Di notte, stando sulla riva alta di questo fiume, vedevamo lontano delle luci che parevano un altro firmamento; ed è da qui che sono partiti per liberare la loro patria e l'umanità dal nazismo. Si fermarono quando raggiunsero Berlino. Sul ponte di barche, nel mezzo del fiume, un vecchio è assorto a pescare e mi fermo con lui in silenzio. Dopo un poco gli chiedo in russo: - Kak dielà? - Nicevò, - mi risponde girando appena la testa. E sorride con gli occhi, non stupendosi del mio essere straniero. Con tutto il cuore avrei voluto sostare a lungo su quel ponte a pescare con il vecchio, a sentire l'acqua frusciare contro i legni mentre il sole incendiava di colori il bosco autunnale. [...]
Allora, in quella notte del 18 gennaio 1943, questa pista che va a ovest era gremita di muli, di automezzi, di battaglioni di alpini della Tridentina che avevano lasciato il Don con troppo ritardo per obbedire a un ordine dell'OKW di Hitler; era stato lui che aveva ordinato al comando dell'VIII Armata italiana che il Corpo d'Armata Alpino non lasciasse il fiume. Da Rossoch saliva la Julia che per un mese in aperta steppa aveva fermato la fanteria e i carri armati russi che avevano rotto il fronte nell'ansa di Verk Mamon e che avevano tentato di aggirarci. Dalla zona di Karavut veniva il 1° reggimento alpini e da Staraia Kalitva il 2° e i gruppi del 4° artiglieria alpina. Dal Nord, dove la 23a divisione ungherese aveva abbandonato la linea di propria iniziativa, le masse degli sbandati ungheresi e tedeschi intasavano villaggi e piste da Judino a Podgornje.
I soldati russi dei reggimenti della Guardia e i carri armati stavano chiudendoci nella sacca. I villaggi bruciavano, negli ospedali gli ufficiali medici più giovani tiravano a sorte chi doveva restare per assistere i feriti che non potevano andarsene con le proprie gambe. [...]
Noi si restava dentro la bufera; ancora reparto per reparto, squadra per squadra. Fino a quando abbiamo trovato i magazzini abbandonati dove i pochi civili rimasti nei villaggi e i partigiani cercavano di salvare dalle fiamme quanto potevano. Allora incominciarono a staccarsi i primi; e di quelli che trovarono il cognac nelle botti forse non si è salvato nessuno. Le notti e i giorni del 19 e del 20: incursioni di carri armati, mitragliamenti aerei, i primi morti assiderati ai lati delle piste, i primi bruciati dentro le isbe. La prima grande fame di sonno e di baita. [...]
Che notti in quel dicembre del 1942! E don Carlo Gnocchi con gli alpini dell'Edolo preparava il presepio in una tana sopra il fiume gelato. Ricordo le postazioni, le pattuglie di collegamento con il Morbegno, le ore nei ricoveri e l'odore e la macina del grano e la polenta di segale e i semi di girasole; e le armi che non volevano sparare e l'alpino Lombardi che stava sempre silenzioso e staccato, indifferente nel suo grande coraggio perché la morte era già in lui. Giuanin: - Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?
Vorrei dire a Boris di fermare la macchina per farmi scendere, a Larissa di accompagnare mia moglie a Charkov e farla ripartire per l'Italia e io restarmene qui solo, per tutto l'inverno in questi villaggi, e camminare dall'uno all'altro. In silenzio, sulla neve. Fino a primavera, fino al disgelo, e dopo riprendere il treno per casa. [...]
E' per questo che prima, guardando in cielo, non vedevo più le stelle. Le foglie di betulla che il vento strappa dai rami vengono ad illuminarsi davanti ai fari della macchina come balenanti farfalle: «Se venisse ora a nevicare, - penso, - forse saremmo costretti a fermarci, a cercare un'isba per chiedere ospitalità e ripartire domani». Ora desidero questa neve che ho tanto maledetto, che mi ha ossessionato per anni; la desidero per passare una notte sopra la stufa di un'isba, perché troverei ad aspettarmi tutti gli amici e i compagni che non sono arrivati a baita.
Di notte, stando sulla riva alta di questo fiume, vedevamo lontano delle luci che parevano un altro firmamento; ed è da qui che sono partiti per liberare la loro patria e l'umanità dal nazismo. Si fermarono quando raggiunsero Berlino. Sul ponte di barche, nel mezzo del fiume, un vecchio è assorto a pescare e mi fermo con lui in silenzio. Dopo un poco gli chiedo in russo: - Kak dielà? - Nicevò, - mi risponde girando appena la testa. E sorride con gli occhi, non stupendosi del mio essere straniero. Con tutto il cuore avrei voluto sostare a lungo su quel ponte a pescare con il vecchio, a sentire l'acqua frusciare contro i legni mentre il sole incendiava di colori il bosco autunnale. [...]
Allora, in quella notte del 18 gennaio 1943, questa pista che va a ovest era gremita di muli, di automezzi, di battaglioni di alpini della Tridentina che avevano lasciato il Don con troppo ritardo per obbedire a un ordine dell'OKW di Hitler; era stato lui che aveva ordinato al comando dell'VIII Armata italiana che il Corpo d'Armata Alpino non lasciasse il fiume. Da Rossoch saliva la Julia che per un mese in aperta steppa aveva fermato la fanteria e i carri armati russi che avevano rotto il fronte nell'ansa di Verk Mamon e che avevano tentato di aggirarci. Dalla zona di Karavut veniva il 1° reggimento alpini e da Staraia Kalitva il 2° e i gruppi del 4° artiglieria alpina. Dal Nord, dove la 23a divisione ungherese aveva abbandonato la linea di propria iniziativa, le masse degli sbandati ungheresi e tedeschi intasavano villaggi e piste da Judino a Podgornje.
I soldati russi dei reggimenti della Guardia e i carri armati stavano chiudendoci nella sacca. I villaggi bruciavano, negli ospedali gli ufficiali medici più giovani tiravano a sorte chi doveva restare per assistere i feriti che non potevano andarsene con le proprie gambe. [...]
Noi si restava dentro la bufera; ancora reparto per reparto, squadra per squadra. Fino a quando abbiamo trovato i magazzini abbandonati dove i pochi civili rimasti nei villaggi e i partigiani cercavano di salvare dalle fiamme quanto potevano. Allora incominciarono a staccarsi i primi; e di quelli che trovarono il cognac nelle botti forse non si è salvato nessuno. Le notti e i giorni del 19 e del 20: incursioni di carri armati, mitragliamenti aerei, i primi morti assiderati ai lati delle piste, i primi bruciati dentro le isbe. La prima grande fame di sonno e di baita. [...]
Che notti in quel dicembre del 1942! E don Carlo Gnocchi con gli alpini dell'Edolo preparava il presepio in una tana sopra il fiume gelato. Ricordo le postazioni, le pattuglie di collegamento con il Morbegno, le ore nei ricoveri e l'odore e la macina del grano e la polenta di segale e i semi di girasole; e le armi che non volevano sparare e l'alpino Lombardi che stava sempre silenzioso e staccato, indifferente nel suo grande coraggio perché la morte era già in lui. Giuanin: - Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?
Vorrei dire a Boris di fermare la macchina per farmi scendere, a Larissa di accompagnare mia moglie a Charkov e farla ripartire per l'Italia e io restarmene qui solo, per tutto l'inverno in questi villaggi, e camminare dall'uno all'altro. In silenzio, sulla neve. Fino a primavera, fino al disgelo, e dopo riprendere il treno per casa. [...]
E' per questo che prima, guardando in cielo, non vedevo più le stelle. Le foglie di betulla che il vento strappa dai rami vengono ad illuminarsi davanti ai fari della macchina come balenanti farfalle: «Se venisse ora a nevicare, - penso, - forse saremmo costretti a fermarci, a cercare un'isba per chiedere ospitalità e ripartire domani». Ora desidero questa neve che ho tanto maledetto, che mi ha ossessionato per anni; la desidero per passare una notte sopra la stufa di un'isba, perché troverei ad aspettarmi tutti gli amici e i compagni che non sono arrivati a baita.
Cronaca di una sconfitta annunciata, 03.01.43
Cronaca di una sconfitta annunciata; dall'11 dicembre 1942 al 31 gennaio 1943, giorno per giorno, la cronistoria dell'ARMIR durante l'offensiva sovietica "Piccolo Saturno". Tratto da "Le operazioni delle unità italiane al Fronte Russo (1941-1943), edito dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
3 GENNAIO.
Nulla di rilevante viene riportato nel testo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
3 GENNAIO.
Nulla di rilevante viene riportato nel testo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.
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