Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.
I RAPPORTI DEI PRIGIONIERI CON LA POPOLAZIONE.
La popolazione russa, salvo rare eccezioni, ha avuto nei riguardi del prigioniero italiano comprensione e pietà, quando non addirittura solidarietà e premura. Si deve dare atto, che la popolazione con la quale convivevano i nostri soldati nella zona del fronte e immediatamente dietro, all'arrivo dei primi reparti russi, ha unanimemete testimoniato l'esemplare comportamento dei soldati italiani nei confronti dei civili, cosa che ha smorzato lo spirito di vendetta dei liberatori ed evitato, almeno in gran parte, gli eccidi di prigionieri di cui furono oggetto invece i tedeschi.
Anche in seguito, nelle zone percorse dalle colonne dei prigionieri, atti di generosità, da parte soprattutto delle donne, sono numerosi. Ci sono stati perfino casi di ospitalità data a feriti e congelati, talvolta protratti per mesi. Infine, quando i prigionieri dai campi di concentramento uscirono a lavorare a contatto o addirittura mescolati ai civili russi, nei kolkos, nei villaggi, nelle fabbriche, i rapporti furono sempre improntati a cordialità e vicendevole aiuto. C'è stato, infine, anche qualche episodio di solidarietà da parte dei soldati delle scorte o di vigilanza ai lager: è ricordato con maggior riconoscenza perché effettivamente raro ed inaspettato in un contesto dove autorità militare e polizia politica consideravano il prigioniero come un oggetto, ben raramente come una persona umana.
Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
mercoledì 12 gennaio 2022
domenica 9 gennaio 2022
Corazzati italiani in Russia, 1
Pubblico con il permesso dell'amico Massimiliano Afiero la prima parte del bell'articolo "Corazzati italiani in Russia 1941 – 1943" di Paolo Crippa; questo e altri interessanti articoli sulla Campagna di Russia sono disponibili sulla rivista "Fronti di guerra" distribuita gratuitamente ai soci dellʹAssociazione Ritterkreuz, fondata da Massimiliano Afiero, con il solo obiettivo di incentivare la ricerca storica sulla Seconda Guerra Mondiale ed in particolar modo sulle forze Armate dell'Asse (Italia, Germania, Giappone) e dei paesi alleati ad esso (Romania, Ungheria, Slovacchia, Croazia e Finlandia). Per aderire allʹAssociazione e ricevere la pubblicazione Fronti di Guerra (in formato PDF via email) basta semplicemente fare una donazione minima di 10,00 (dieci) euro, per l'anno solare in corso. Per coloro invece che desiderano ricevere la copia stampata della rivista (52 pagine, quattro pagine a colori), cadenza bimestrale, dovrebbero gentilmente inviare una donazione minima di 50,00 euro (cinquanta) a parziale copertura delle spese di stampa della stessa e della spedizione effettuata esclusivamente con posta prioritaria. Le donazioni vanno effettuate sul Conto corrente postale numero 93983450 o IBAN IT70 K076 0103 4000 0009 3983 450 intestato a Afiero Massimiliano – Via San Giorgio, 11 – 80021 Afragola (NA); nella causale indicare sempre ʺDonazione Associazione Culturale per...ʺ.
La disastrosa Campagna di Russia condotta dal Regio Esercito vide una partecipazione di unità corazzate italiane veramente marginale, le quali conseguirono risultati di scarso valore. Infatti, furono inviati in Unione Sovietica solo tre reparti corazzati, equipaggiati inoltre con carri e semoventi leggeri, che potevano competere solamente con altri corazzati leggeri o contro la fanteria e non contro i pesanti carri armati sovietici, ed inoltre in un numero assolutamente inadeguato per la portata del conflitto che si stava consumando su quel fronte. Quando il 10 luglio 1941 iniziò la partenza del Corpo Italiano di Spedizione in Russia (C.S.I.R.) verso gli immensi spazi russi, l'unica unità dotata di carri armati mobilitata per quel fronte era il III Gruppo Squadroni Corazzati ʺSan Giorgioʺ, inserito nella 3ª Divisione Celere ʺPrincipe Amedeo d'Aostaʺ (conosciuta anche con l’acronimo “PADA”); organizzato su 4 Squadroni. Il Gruppo era equipaggiato esclusivamente con 53 carri leggeri L3 delle diverse versioni 33, 35 e 38.
Il Gruppo era rientrato da poco in Italia, presso la propria caserma a Verona, dopo aver partecipato, seppur per un breve periodo, alla Campagna di Jugoslavia ed era articolato su: Squadrone Comando ʺSan Giorgioʺ, 1° Squadrone ʺDelle Armiʺ, 2° Squadrone ʺMedaglie dʹOroʺ, 3° Squadrone ʺSavoiaʺ, 4° Squadrone ʺNovaraʺ. I reparti raggiunsero in treno la località di Borsa in Ungheria, dopo 25 giorni di viaggio, e da lì si trasferirono nella Moldavia rumena a Botosani con mezzi propri, un tragitto di circa 200 chilometri. All'inizio di agosto, i carri armati del Gruppo ʺSan Giorgioʺ presero parte alla cosiddetta ʺBattaglia dei due fiumiʺ (10 agosto ‐ 26 settembre 1941), una grande manovra effettuata dalle forze armate tedesche per intrappolare i sovietici tra i fiumi Dniestr e Bug. Alla battaglia, che fu il primo scontro per le truppe italiane in terra di Russia, partecipò la Divisione ʺPasubioʺ; il Gruppo ʺSan Giorgioʺ sostenne un'azione di sfondamento nei pressi di Jwanovya il 23 settembre, mentre, dopo avere perso i suoi primi 5 carri armati in uno scontro a Saderokowka, il 26 novembre contribuì a respingere un tentativo di contrattacco sovietico a Zaritschanka.
Il Gruppo ʺSan Giorgioʺ rimase aggregato alla Divisione ʺPasubioʺ anche durante le operazioni a Petrikowka, tra il 28 ed il 30 settembre, durante la battaglia di Stalino e quella di Nikitowka. Qui il Gruppo perse numerosi carri armati durante l'assedio sovietico durato dal 6 al 12 novembre, che strinse un reparto dell’80° Reggimento della Divisione. Con solo una quarantina di carri superstiti e dopo essere penetrato in territorio nemico per quasi 1.400 km, il ʺSan Giorgioʺ prese parte anche alla tristemente celebre ʺBattaglia di Nataleʺ. I reparti del C.S.I.R. furono investiti da un poderoso attacco condotto da tre divisioni di Cavalleria e forti reparti di Fanteria nemici; le truppe italiane riuscirono a contenere l'impatto nemico, a prezzo di perdite gravissime.
Il rigido clima invernale contribuì a mettere fuori uso gli ultimi carri armati sopravvissuti ed i militari del Gruppo ʺSan Giorgioʺ, ormai appiedati, furono fatti confluire nel Raggruppamento “Musino”, formato da un Gruppo dei ʺLancieri di Montebelloʺ, una Batteria d'Artiglieria motorizzata dell’8° Reggimento Artiglieria, un Battaglione di Bersaglieri e due Battaglioni di Pontieri. Il Raggruppamento era un reparto di formazione, che assommava a poco più di 1.300 uomini, e combatté nel saliente di Izyum, con la 17.Armee tedesca, in seguito allo sfondamento del fronte operato dai sovietici (fine gennaio ‐ fine febbraio 1942).
Campagna del 1942.
A fine febbraio 1942, il ʺSan Giorgioʺ fu ritirato dalla prima linea e fu fatto disporre in posizione difensiva in attesa della bella stagione, ma, essendo ormai privo di potenziale offensivo, il 15 luglio 1942 iniziò a rientrare in Patria. Contemporaneamente dall'Italia giunse in Russia il LXVII Battaglione Bersaglieri Motocorazzato, equipaggiato con 58 carri leggeri L6/40. Costituito a Siena pochi mesi prima (ufficialmente il 25 febbraio) con i mezzi della 2ª e della 3ª Compagnia del LXVIII Battaglione (in addestramento) e con personale tratto dal 5° e dallʹ8° Reggimento Bersaglieri, il reparto arrivò sul fronte orientale il 12 luglio 1942. Il Battaglione, assegnato alla Divisione ʺPrincipe Amedeo d'Aostaʺ, era organizzato su: Plotone Comando, 1 Compagnia su 5 Plotoni con 5 carri ciascuno, 2 Compagnia su 5 Plotoni con 5 carri ciascuno.
L’insolita presenza di un quinto Plotone carri armati può essere spiegata con il fatto che, essendo il fronte molto lontano dall’Italia e quindi dai Depositi dei reparti, l’invio di carri armati per rimpiazzare le perdite era molto difficoltoso e questo quinto Plotone avrebbe dunque assolto il ruolo di riserva, da cui attingere mezzi corazzati sostitutivi. Il 27 agosto 1942, il reparto sostenne il primo combattimento in terra di Russia: due Plotoni con 9 carri armati contribuirono alla manovra difensiva operata dai Battaglioni “Valchiese” e “Vestone” del 3° Reggimento Alpini, respingendo un attacco russo nel settore di Jagodny. Soltanto pochi giorni dopo, però, una Compagnia del LXVII Battaglione, forte di 13 L6/40, durante uno scontro perse tutti i mezzi (tranne uno), messi fuori combattimento da colpi di fuciloni controcarro russi. Ad agosto il fronte russo era stato raggiunto anche dal XIII Gruppo Squadroni Semoventi “Cavalleggeri di Alessandria”, organizzato su: Comando, Squadrone Comando, 1° Squadrone Semoventi, 2° Squadrone Semoventi con una dotazione complessiva di 19 semoventi da 47/32 L40, destinati a fornire fuoco d’appoggio alla Fanteria ed ai carri L6/40 del LXVII Battaglione Bersaglieri.
Fotografia 1: i carri armati del Gruppo Squadroni Corazzati “San Giorgio” attraversano una cittadina della Romania, mentre si dirigono verso il fronte russo (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 2: un carro leggero L3/38 del “San Giorgio” tra un gruppo di isbe russe (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 3: attraversamento del fiume Dniepr su un ponte gettato da genieri tedeschi (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 4: L3/33 del “San Giorgio” in marcia durante le operazioni del novembre 1941 nel bacino del Donetz (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 5: carri del Gruppo “San Giorgio” in movimento nelle retrovie del fronte nell’autunno del 1941 (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 6: bersaglieri accanto ad un L6/40 centro radio del XLVII Battaglione Motocorazzato in Russia nel 1942. I militari indossano la tuta turchina, destinata agli equipaggi dei carri, e sul casco da carrista hanno apposto il piumetto che contraddistingue i Bersaglieri.
Fotografia 7: lo stesso carro armato della foto precedente, ritratto mentre l’equipaggio consuma il rancio. Si notano chiaramente il colore giallo sabbia del mezzo ed i contrassegni tattici.
La disastrosa Campagna di Russia condotta dal Regio Esercito vide una partecipazione di unità corazzate italiane veramente marginale, le quali conseguirono risultati di scarso valore. Infatti, furono inviati in Unione Sovietica solo tre reparti corazzati, equipaggiati inoltre con carri e semoventi leggeri, che potevano competere solamente con altri corazzati leggeri o contro la fanteria e non contro i pesanti carri armati sovietici, ed inoltre in un numero assolutamente inadeguato per la portata del conflitto che si stava consumando su quel fronte. Quando il 10 luglio 1941 iniziò la partenza del Corpo Italiano di Spedizione in Russia (C.S.I.R.) verso gli immensi spazi russi, l'unica unità dotata di carri armati mobilitata per quel fronte era il III Gruppo Squadroni Corazzati ʺSan Giorgioʺ, inserito nella 3ª Divisione Celere ʺPrincipe Amedeo d'Aostaʺ (conosciuta anche con l’acronimo “PADA”); organizzato su 4 Squadroni. Il Gruppo era equipaggiato esclusivamente con 53 carri leggeri L3 delle diverse versioni 33, 35 e 38.
Il Gruppo era rientrato da poco in Italia, presso la propria caserma a Verona, dopo aver partecipato, seppur per un breve periodo, alla Campagna di Jugoslavia ed era articolato su: Squadrone Comando ʺSan Giorgioʺ, 1° Squadrone ʺDelle Armiʺ, 2° Squadrone ʺMedaglie dʹOroʺ, 3° Squadrone ʺSavoiaʺ, 4° Squadrone ʺNovaraʺ. I reparti raggiunsero in treno la località di Borsa in Ungheria, dopo 25 giorni di viaggio, e da lì si trasferirono nella Moldavia rumena a Botosani con mezzi propri, un tragitto di circa 200 chilometri. All'inizio di agosto, i carri armati del Gruppo ʺSan Giorgioʺ presero parte alla cosiddetta ʺBattaglia dei due fiumiʺ (10 agosto ‐ 26 settembre 1941), una grande manovra effettuata dalle forze armate tedesche per intrappolare i sovietici tra i fiumi Dniestr e Bug. Alla battaglia, che fu il primo scontro per le truppe italiane in terra di Russia, partecipò la Divisione ʺPasubioʺ; il Gruppo ʺSan Giorgioʺ sostenne un'azione di sfondamento nei pressi di Jwanovya il 23 settembre, mentre, dopo avere perso i suoi primi 5 carri armati in uno scontro a Saderokowka, il 26 novembre contribuì a respingere un tentativo di contrattacco sovietico a Zaritschanka.
Il Gruppo ʺSan Giorgioʺ rimase aggregato alla Divisione ʺPasubioʺ anche durante le operazioni a Petrikowka, tra il 28 ed il 30 settembre, durante la battaglia di Stalino e quella di Nikitowka. Qui il Gruppo perse numerosi carri armati durante l'assedio sovietico durato dal 6 al 12 novembre, che strinse un reparto dell’80° Reggimento della Divisione. Con solo una quarantina di carri superstiti e dopo essere penetrato in territorio nemico per quasi 1.400 km, il ʺSan Giorgioʺ prese parte anche alla tristemente celebre ʺBattaglia di Nataleʺ. I reparti del C.S.I.R. furono investiti da un poderoso attacco condotto da tre divisioni di Cavalleria e forti reparti di Fanteria nemici; le truppe italiane riuscirono a contenere l'impatto nemico, a prezzo di perdite gravissime.
Il rigido clima invernale contribuì a mettere fuori uso gli ultimi carri armati sopravvissuti ed i militari del Gruppo ʺSan Giorgioʺ, ormai appiedati, furono fatti confluire nel Raggruppamento “Musino”, formato da un Gruppo dei ʺLancieri di Montebelloʺ, una Batteria d'Artiglieria motorizzata dell’8° Reggimento Artiglieria, un Battaglione di Bersaglieri e due Battaglioni di Pontieri. Il Raggruppamento era un reparto di formazione, che assommava a poco più di 1.300 uomini, e combatté nel saliente di Izyum, con la 17.Armee tedesca, in seguito allo sfondamento del fronte operato dai sovietici (fine gennaio ‐ fine febbraio 1942).
Campagna del 1942.
A fine febbraio 1942, il ʺSan Giorgioʺ fu ritirato dalla prima linea e fu fatto disporre in posizione difensiva in attesa della bella stagione, ma, essendo ormai privo di potenziale offensivo, il 15 luglio 1942 iniziò a rientrare in Patria. Contemporaneamente dall'Italia giunse in Russia il LXVII Battaglione Bersaglieri Motocorazzato, equipaggiato con 58 carri leggeri L6/40. Costituito a Siena pochi mesi prima (ufficialmente il 25 febbraio) con i mezzi della 2ª e della 3ª Compagnia del LXVIII Battaglione (in addestramento) e con personale tratto dal 5° e dallʹ8° Reggimento Bersaglieri, il reparto arrivò sul fronte orientale il 12 luglio 1942. Il Battaglione, assegnato alla Divisione ʺPrincipe Amedeo d'Aostaʺ, era organizzato su: Plotone Comando, 1 Compagnia su 5 Plotoni con 5 carri ciascuno, 2 Compagnia su 5 Plotoni con 5 carri ciascuno.
L’insolita presenza di un quinto Plotone carri armati può essere spiegata con il fatto che, essendo il fronte molto lontano dall’Italia e quindi dai Depositi dei reparti, l’invio di carri armati per rimpiazzare le perdite era molto difficoltoso e questo quinto Plotone avrebbe dunque assolto il ruolo di riserva, da cui attingere mezzi corazzati sostitutivi. Il 27 agosto 1942, il reparto sostenne il primo combattimento in terra di Russia: due Plotoni con 9 carri armati contribuirono alla manovra difensiva operata dai Battaglioni “Valchiese” e “Vestone” del 3° Reggimento Alpini, respingendo un attacco russo nel settore di Jagodny. Soltanto pochi giorni dopo, però, una Compagnia del LXVII Battaglione, forte di 13 L6/40, durante uno scontro perse tutti i mezzi (tranne uno), messi fuori combattimento da colpi di fuciloni controcarro russi. Ad agosto il fronte russo era stato raggiunto anche dal XIII Gruppo Squadroni Semoventi “Cavalleggeri di Alessandria”, organizzato su: Comando, Squadrone Comando, 1° Squadrone Semoventi, 2° Squadrone Semoventi con una dotazione complessiva di 19 semoventi da 47/32 L40, destinati a fornire fuoco d’appoggio alla Fanteria ed ai carri L6/40 del LXVII Battaglione Bersaglieri.
Fotografia 1: i carri armati del Gruppo Squadroni Corazzati “San Giorgio” attraversano una cittadina della Romania, mentre si dirigono verso il fronte russo (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 2: un carro leggero L3/38 del “San Giorgio” tra un gruppo di isbe russe (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 3: attraversamento del fiume Dniepr su un ponte gettato da genieri tedeschi (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 4: L3/33 del “San Giorgio” in marcia durante le operazioni del novembre 1941 nel bacino del Donetz (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 5: carri del Gruppo “San Giorgio” in movimento nelle retrovie del fronte nell’autunno del 1941 (Benvenuti – Colonna).
Fotografia 6: bersaglieri accanto ad un L6/40 centro radio del XLVII Battaglione Motocorazzato in Russia nel 1942. I militari indossano la tuta turchina, destinata agli equipaggi dei carri, e sul casco da carrista hanno apposto il piumetto che contraddistingue i Bersaglieri.
Fotografia 7: lo stesso carro armato della foto precedente, ritratto mentre l’equipaggio consuma il rancio. Si notano chiaramente il colore giallo sabbia del mezzo ed i contrassegni tattici.
martedì 4 gennaio 2022
Le fotografie di Mario Bagnasco, 12
Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".
"Profughi".
"Profughi".
La mia Russia
Sono i giorni prima della partenza... ma anche quest'anno non potrò partire per la Russia. Ed ecco che a pochi giorni dall'inizio della seconda ritirata di Russia, a pochi giorni dal fare la valigia e lo zaino per tornare là ancora una volta, mi prende quello che io chiamo sempre il mal di Russia. L'ho scritto tante volte... per me non è importante andare in Russia, ma come ci si va. E' staccarsi per più di una settimana dalla propria vita di tutti i giorni ed entrare in un mondo antico, passato, simile a quello che loro hanno vissuto. Fatto di sensazioni e di emozioni che solo stare lì ti possono arrivare. La neve, il freddo, il ghiaccio, la solitudine a volte, la solitudine di staccarsi da tutto e da tutti per pensare e provare a capire meglio, il guardarsi intorno e non vedere nulla per chilometri, ma nel contempo essere in mezzo a chi non è tornato a casa. Ogni volta cerco in qualche modo di trasmettere alle persone che vengono con me queste sensazioni, e credo che tutti non possano che provarle, perché poi la Russia, questa Russia ti prende, ti stringe e ti "appiccica" addosso questi stati d'animo che vivi ogni momento e soprattutto che ti porti a casa. E quando sento i miei compagni di viaggio nei mesi o negli anni successivi, tutti quanti vogliono tornare, si sentono addosso queste sensazioni che ti accompagneranno per sempre. Questa è la Russia...
Libri: "ANCORA UN'ALBA PER SPERARE"
Segnalo questo nuovo romanzo sulla Campagna di Russia da poco uscito dal titolo "Ancora un'alba per sperare" di Michele Scaranello.
Non c’è coltre di neve che possa seppellire per sempre una promessa; non c’è gelo che possa estinguere il calore di una vera amicizia. Non c’è guerra, per terribile e ingiusta che sia, che possa strappare due cuori che si sono uniti nel sacrificio. In una piccola cittadina russa un grande chirurgo, Jakov Sernov, stimato da tutti per la sua capacità e la sua abnegazione, tiene celato nell’animo un segreto che risale alla terribile stagione della seconda guerra mondiale, quando l’immensa steppa è stata teatro di una delle più grandi tragedie della Storia. Più che un segreto, una ferita che non si è mai rimarginata, un’ombra che non è riuscita a trovare la pace che meritava. Ed è un’ombra pesante, capace di proiettare oscurità ancora a distanza di anni, condizionando le vite di tutte le persone che da essa sono sfiorate. Un’ombra che intesse e intreccia le vicende di persone a migliaia di chilometri di distanza, la cui memoria e le cui radici restano marchiate dal fuoco di quella terribile esperienza. E solo l’amicizia, l’affetto, il sacrificio potranno dissiparla per sempre. Un romanzo capace di riflettere, come il sole sul ghiaccio, le mille sfaccettature della grande Storia e i mille eroismi di ogni piccola scelta privata, sullo sfondo di una terra unica, la Russia, che non a caso viene definita “madre” da chi l’abita, perché capace di custodire e di restituire intatti i segreti di una vita e i segni di una speranza.
Il testo è acquistabile a questi link: https://www.amazon.it/Ancora-unalba-sperare-Michele-Scaranello/dp/8867201611/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=1640281502&sr=8-1, https://www.lafeltrinelli.it/ancora-alba-per-sperare-libro-michele-scaranello/e/9788867201617, https://www.mondadoristore.it/Ancora-un-alba-per-sperare-Michele-Scaranello/eai978886720161/
Non c’è coltre di neve che possa seppellire per sempre una promessa; non c’è gelo che possa estinguere il calore di una vera amicizia. Non c’è guerra, per terribile e ingiusta che sia, che possa strappare due cuori che si sono uniti nel sacrificio. In una piccola cittadina russa un grande chirurgo, Jakov Sernov, stimato da tutti per la sua capacità e la sua abnegazione, tiene celato nell’animo un segreto che risale alla terribile stagione della seconda guerra mondiale, quando l’immensa steppa è stata teatro di una delle più grandi tragedie della Storia. Più che un segreto, una ferita che non si è mai rimarginata, un’ombra che non è riuscita a trovare la pace che meritava. Ed è un’ombra pesante, capace di proiettare oscurità ancora a distanza di anni, condizionando le vite di tutte le persone che da essa sono sfiorate. Un’ombra che intesse e intreccia le vicende di persone a migliaia di chilometri di distanza, la cui memoria e le cui radici restano marchiate dal fuoco di quella terribile esperienza. E solo l’amicizia, l’affetto, il sacrificio potranno dissiparla per sempre. Un romanzo capace di riflettere, come il sole sul ghiaccio, le mille sfaccettature della grande Storia e i mille eroismi di ogni piccola scelta privata, sullo sfondo di una terra unica, la Russia, che non a caso viene definita “madre” da chi l’abita, perché capace di custodire e di restituire intatti i segreti di una vita e i segni di una speranza.
Il testo è acquistabile a questi link: https://www.amazon.it/Ancora-unalba-sperare-Michele-Scaranello/dp/8867201611/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=1640281502&sr=8-1, https://www.lafeltrinelli.it/ancora-alba-per-sperare-libro-michele-scaranello/e/9788867201617, https://www.mondadoristore.it/Ancora-un-alba-per-sperare-Michele-Scaranello/eai978886720161/
giovedì 30 dicembre 2021
Rapporto sui prigionieri, parte 11
Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.
LA VITA NEI CAMPI.
Con il passare dei mesi, la vita nei campi divenne più vivibile, il vitto aumentò in quantità e fu distribuito regolarmente. Tuttavia il trattamento risultò molto diverso da campo a campo, in relazione alle ruberie che, ad iniziare dal Comandante russo con i suoi ufficiali e soldati, per finire ai prigionieri addetti ai magazzini ed alle cucine, venivano perpetrate sulla pelle di tutti gli altri. Anche la disorganizzazione e gli intoppi della distribuzione esterna, determinarono periodi di vitto scarsissimo o pessimo. Vi sono esempi di campi alimentati in pieno inverno e durante più mesi, esclusivamente con zuppa di ortiche o con patate gelate. Ciascuna nazionalità, nello stesso lager, era riunita sotto il Comando di un ufficiale o di un sottufficiale del proprio esercito, che era responsabile nei confronti dei russi dell'ordine, della disciplina e dell'attività dei suoi uomini. Le trasgressioni venivano punite con il carcere a pane ed acqua ed in ambienti che, specialmente in inverno, erano micidiali. Molti decessi successivi alle grandi morie iniziali, sono da imputarsi alle conseguenze di una permanenza un po' più lunga in prigione.
Immancabile cerimonia di tutti i campi di concentramento del mondo è l'appello. Questo avveniva due volte al giorno all'aperto, a ranghi inquadrati, con qualsiasi tempo e qualsiasi temperatura. L'incombenza era affidata, di solito, a soldati russi che non sapevano contare e pertanto si protraeva per ore anche se c'era tormenta o c'erano -20°. Il lavoro era obbligatorio per i soldati: gli ufficiali erano obbligati a provvedere a tutti i servizi interni. Il lavoro era regolato da cottimi (norma) e solo il raggiungimento della misura stabilita, dava diritto ad un supplemento di vitto. Tale sistema, imposto del tutto in modo personale dai vari comandanti ed affidalo per il controllo a soldati o a civili russi, ed in ultimo anche a prigionieri armati, divenuti carcerieri dei loro connazionali, dava luogo ad ogni specie di soprusi, angherie ed ingiustizie.
Anche gli ufficiali furono costretti eccezionalmente a lavorare all'esterno del lager, per sgomberare le strade dalla neve, raccogliere d'urgenza patate minacciate da precoci gelate, trasportare legna per gli innumerevoli bisogni del campo e tutto questo sotto il ricatto di sospensione o di crisi nell'approvvigionamento dei viveri o la limitazione o sospensione del riscaldamento. Va detto però che a prescindere da queste chiamate generali, un buon numero di ufficiali è sempre andato a lavorare volontariamente per arrotondare il sempre magro pasto di spettanza e per molti, anche per spezzare l'infinita noia della vita di recluso. I lavori più comuni, nei quali furono impiegati i prigionieri, erano il taglio dei boschi, i lavori agricoli nei "Kolkos", la raccolta del cotone, la fabbricazione dei mattoni, i lavori di edilizia sia in legno che in muratura, in qualche caso anche il lavoro in miniera. All'interno dei campi, a seconda dei loro mestieri da borghesi, svolgevano attività di sarti, calzolai, falegnami, muratori, elettricisti. Di loro si avvaleva il personale del campo e non di rado anche la popolazione civile esterna ai lager.
Terminata l'epoca delle grandi morie (febbraio-maggio 1943) nei campi fu organizzata dai russi una rudimentale assistenza medica, alla quale partecipavano anche ufficiali medici prigionieri. Purtroppo la carenza cronica di medicine, medicamenti ed attrezzature limitava qualsiasi intervento efficace. Le periodiche visite effettuate da commissioni esterne avevano solo lo scopo di classificare i prigionieri ai fini della loro capacità lavorativa. Molti nostri ufficiali medici furono trasferiti, sin dal 1944 nei lager dei soldati o lager-ospedale - non necessariamente in quelli con i soldati italiani - per provvedere alla assistenza medica.
Nel lager di Suzdal, dove erano stati concentrati quasi tutti i nostri ufficiali, la presenza di numerosi cappellani, diede la possibilità di un'assistenza religiosa e spirituale di grande aiuto. Ostacolata e clandestina nei primi tempi, fu poi permessa dai russi tanto da consentire la celebrazione della Messa tutte le domeniche. Ogni tentativo dei cappellani di ottenere il trasferimento, come i medici, nei campi, a maggior concentrazione di nostri soldati, si infranse contro un ostinato, quanto comprensibile - dal loro punto di vista - "niet" dei russi. Nei campi fu permessa l'organizzazione di recite, spettacoli, cori e concerti eseguiti con strumenti forniti dal comando russo. A Suzdal, nell'ultimo anno, furono anche proiettati film russi di smaccato argomento propagandistico. Tra i prigionieri più in gamba si svolsero anche gare e tornei, chiamiamoli pseudo-sportivi, tenuto conto della mancanza assoluta di attrezzature e della prestanza fisica dei concorrenti.
Una restrizione che influì in modo pesante sul morale dei prigionieri, fu la totale mancanza di notizie dalla propria famiglia. I russi non distribuirono mai la corrispondenza che pur doveva arrivare copiosa dall'Italia. Solo alla fine del 1945 e solo agli ufficiali, sono state consegnate alcune lettere che erano state spedite un anno prima. Egualmente in senso contrario. Se si fa eccezione al centinaio di cartoline distribuite dai russi a Tambov, ancora nel febbraio 1943, perché dessero notizia a casa della loro cattura, non fu possibile scrivere se non dopo la fine della guerra. Anche questa tardiva concessione fu in pratica annullala da qualche comandante di lager, che non inoltrò a chi di dovere le cartoline scritte con tanta speranza e le lasciò marcire in qualche scantinato.
Ammesso che questo disinteresse sia dipeso dal fatto che presso i russi non esisteva nemmeno la posta militare e che sarebbe stato troppo pretenderla da un'amministrazione carceraria che faceva morire di fame i prigionieri, è evidente che la distribuzione di Tambov era stata fatta con chiari scopi propagandistici e che l'annullamento successivo fu dovuto all'imbarazzo di far conoscere che gli italiani superstiti erano solo diecimila. L'unica via per la quale i prigionieri poterono far sapere a casa d'essere ancora vivi fu la firma degli appelli al popolo italiano, che i commissari politici sollecitavano con interessata frequenza, appelli che venivano trasmessi da Radio Mosca. Anche in questo caso, ben pochi nomi di firmatari ebbero il privilegio di essere citati, era un privilegio che bisognava meritarsi.
LA VITA NEI CAMPI.
Con il passare dei mesi, la vita nei campi divenne più vivibile, il vitto aumentò in quantità e fu distribuito regolarmente. Tuttavia il trattamento risultò molto diverso da campo a campo, in relazione alle ruberie che, ad iniziare dal Comandante russo con i suoi ufficiali e soldati, per finire ai prigionieri addetti ai magazzini ed alle cucine, venivano perpetrate sulla pelle di tutti gli altri. Anche la disorganizzazione e gli intoppi della distribuzione esterna, determinarono periodi di vitto scarsissimo o pessimo. Vi sono esempi di campi alimentati in pieno inverno e durante più mesi, esclusivamente con zuppa di ortiche o con patate gelate. Ciascuna nazionalità, nello stesso lager, era riunita sotto il Comando di un ufficiale o di un sottufficiale del proprio esercito, che era responsabile nei confronti dei russi dell'ordine, della disciplina e dell'attività dei suoi uomini. Le trasgressioni venivano punite con il carcere a pane ed acqua ed in ambienti che, specialmente in inverno, erano micidiali. Molti decessi successivi alle grandi morie iniziali, sono da imputarsi alle conseguenze di una permanenza un po' più lunga in prigione.
Immancabile cerimonia di tutti i campi di concentramento del mondo è l'appello. Questo avveniva due volte al giorno all'aperto, a ranghi inquadrati, con qualsiasi tempo e qualsiasi temperatura. L'incombenza era affidata, di solito, a soldati russi che non sapevano contare e pertanto si protraeva per ore anche se c'era tormenta o c'erano -20°. Il lavoro era obbligatorio per i soldati: gli ufficiali erano obbligati a provvedere a tutti i servizi interni. Il lavoro era regolato da cottimi (norma) e solo il raggiungimento della misura stabilita, dava diritto ad un supplemento di vitto. Tale sistema, imposto del tutto in modo personale dai vari comandanti ed affidalo per il controllo a soldati o a civili russi, ed in ultimo anche a prigionieri armati, divenuti carcerieri dei loro connazionali, dava luogo ad ogni specie di soprusi, angherie ed ingiustizie.
Anche gli ufficiali furono costretti eccezionalmente a lavorare all'esterno del lager, per sgomberare le strade dalla neve, raccogliere d'urgenza patate minacciate da precoci gelate, trasportare legna per gli innumerevoli bisogni del campo e tutto questo sotto il ricatto di sospensione o di crisi nell'approvvigionamento dei viveri o la limitazione o sospensione del riscaldamento. Va detto però che a prescindere da queste chiamate generali, un buon numero di ufficiali è sempre andato a lavorare volontariamente per arrotondare il sempre magro pasto di spettanza e per molti, anche per spezzare l'infinita noia della vita di recluso. I lavori più comuni, nei quali furono impiegati i prigionieri, erano il taglio dei boschi, i lavori agricoli nei "Kolkos", la raccolta del cotone, la fabbricazione dei mattoni, i lavori di edilizia sia in legno che in muratura, in qualche caso anche il lavoro in miniera. All'interno dei campi, a seconda dei loro mestieri da borghesi, svolgevano attività di sarti, calzolai, falegnami, muratori, elettricisti. Di loro si avvaleva il personale del campo e non di rado anche la popolazione civile esterna ai lager.
Terminata l'epoca delle grandi morie (febbraio-maggio 1943) nei campi fu organizzata dai russi una rudimentale assistenza medica, alla quale partecipavano anche ufficiali medici prigionieri. Purtroppo la carenza cronica di medicine, medicamenti ed attrezzature limitava qualsiasi intervento efficace. Le periodiche visite effettuate da commissioni esterne avevano solo lo scopo di classificare i prigionieri ai fini della loro capacità lavorativa. Molti nostri ufficiali medici furono trasferiti, sin dal 1944 nei lager dei soldati o lager-ospedale - non necessariamente in quelli con i soldati italiani - per provvedere alla assistenza medica.
Nel lager di Suzdal, dove erano stati concentrati quasi tutti i nostri ufficiali, la presenza di numerosi cappellani, diede la possibilità di un'assistenza religiosa e spirituale di grande aiuto. Ostacolata e clandestina nei primi tempi, fu poi permessa dai russi tanto da consentire la celebrazione della Messa tutte le domeniche. Ogni tentativo dei cappellani di ottenere il trasferimento, come i medici, nei campi, a maggior concentrazione di nostri soldati, si infranse contro un ostinato, quanto comprensibile - dal loro punto di vista - "niet" dei russi. Nei campi fu permessa l'organizzazione di recite, spettacoli, cori e concerti eseguiti con strumenti forniti dal comando russo. A Suzdal, nell'ultimo anno, furono anche proiettati film russi di smaccato argomento propagandistico. Tra i prigionieri più in gamba si svolsero anche gare e tornei, chiamiamoli pseudo-sportivi, tenuto conto della mancanza assoluta di attrezzature e della prestanza fisica dei concorrenti.
Una restrizione che influì in modo pesante sul morale dei prigionieri, fu la totale mancanza di notizie dalla propria famiglia. I russi non distribuirono mai la corrispondenza che pur doveva arrivare copiosa dall'Italia. Solo alla fine del 1945 e solo agli ufficiali, sono state consegnate alcune lettere che erano state spedite un anno prima. Egualmente in senso contrario. Se si fa eccezione al centinaio di cartoline distribuite dai russi a Tambov, ancora nel febbraio 1943, perché dessero notizia a casa della loro cattura, non fu possibile scrivere se non dopo la fine della guerra. Anche questa tardiva concessione fu in pratica annullala da qualche comandante di lager, che non inoltrò a chi di dovere le cartoline scritte con tanta speranza e le lasciò marcire in qualche scantinato.
Ammesso che questo disinteresse sia dipeso dal fatto che presso i russi non esisteva nemmeno la posta militare e che sarebbe stato troppo pretenderla da un'amministrazione carceraria che faceva morire di fame i prigionieri, è evidente che la distribuzione di Tambov era stata fatta con chiari scopi propagandistici e che l'annullamento successivo fu dovuto all'imbarazzo di far conoscere che gli italiani superstiti erano solo diecimila. L'unica via per la quale i prigionieri poterono far sapere a casa d'essere ancora vivi fu la firma degli appelli al popolo italiano, che i commissari politici sollecitavano con interessata frequenza, appelli che venivano trasmessi da Radio Mosca. Anche in questo caso, ben pochi nomi di firmatari ebbero il privilegio di essere citati, era un privilegio che bisognava meritarsi.
Immagini, Arbusowka
Un pezzo da 76 mm M1942, o ZiS-3, sovietico mimetizzato con delle canne nel villaggio di Arbusowka nel dicembre 1942.
mercoledì 22 dicembre 2021
Arbusowka, la valle della morte
Sono i giorni di Arbusowka, sono le ore di Arbusowka, la "valle della morte". Come forse molti di voi, all'inizio delle mie letture sulla Campagna di Russia non ne sapevo praticamente nulla; tutto focalizzato sugli Alpini, sulle loro gesta eroiche e sulla ritirata per uscire dalla sacca sovietica. Poi poco a poco scoprii questa vicenda, scoprii quello che accadde in quella località e ne rimasi talmente suggestionato da sentire proprio il bisogno di andare là un giorno, a vedere con i miei occhi. E finalmente nel 2016 durante il mio primo viaggio estivo in Russia organizzai con i corrispondenti russi in modo da poter dedicare almeno una mezza giornata alla visita di quei luoghi; ci tornai ancora nel 2019 ed ebbi modo di scoprire ulteriori dettagli che mi permisero di comprendere meglio quale tragedia si fosse consumata in questa località; Arbusowka, poche isbe che nessuno di noi avrebbe mai conosciuto se lì non si fosse verificata quella che a mio avviso fu la più tragica battaglia, avvenuta durante i ripiegamenti dei nostri soldati dal Don verso la salvezza.
I resti del XXXV Corpo d'Armata nelle Divisioni di Fanteria Pasubio e Torino, del Raggruppamento CC.NN. III gennaio composta dalla Legione Tagliamento e Montebello, della 298a Divisione di Fanteria germanica arrivarono nella conca di Arbusowka tra il 21 e il 22 dicembre e solo pochi, pochissimi di questi riuscirono a rompere l'assedio nella notte di Natale, appunto fra il 24 e il 25 e a sfuggire alla morsa sovietica, almeno momentaneamente. I numeri parlano di circa 5.000 fra italiani e tedeschi che riuscirono a sfuggire, e l'impressionante numero di circa 20.000 uomini che furono uccisi o feriti durante i combattimenti o presi prigionieri alla fine della battaglia.
Negli anni a furia di parlarne e di scriverne da parte di tanti, finalmente questo triste episodio divenne noto alla pari di tanti altri accaduti in Russia. Sul Web si trovano ormai diverse fonti in merito. Ma di quello che avvenne nella "valle della morte" io ve ne voglio parlare attraverso alcune fotografie scattate durante i miei due viaggi.
Fotografia 1: nei pressi della conca e prima di arrivare ad Arbusowka ci viene indicato questo avvallamento; sono i resti di una fossa comune nella quale furono sepolti i nostri caduti e negli anni recuperati e rientrati in Italia.
Fotografia 2: quello che resta delle isbe poste a nord dell'abitato; qui trovarono rifugio i nostri soldati durante i giorni dell'accerchiamento.
Fotografia 3: i resti di un elmetto italiano nei pressi delle isbe occupate dai nostri soldati.
Fotografia 4: vista della conca di Arbusowka; sulle alture circostanti erano posizionati i sovietici che bombardarono ripetutamente le nostre truppe accerchiate.
Fotografia 5: Arbusowka oggi; le isbe sono posizionate più a sud di quelle precedenti occupate dai nostri soldati.
Fotografia 6: la piana dove il Carabiniere Plado Mosca Giuseppe e il flammiere Mario Iacovitti guadagnarono la Medaglia d'Oro al Valor Militare.
I resti del XXXV Corpo d'Armata nelle Divisioni di Fanteria Pasubio e Torino, del Raggruppamento CC.NN. III gennaio composta dalla Legione Tagliamento e Montebello, della 298a Divisione di Fanteria germanica arrivarono nella conca di Arbusowka tra il 21 e il 22 dicembre e solo pochi, pochissimi di questi riuscirono a rompere l'assedio nella notte di Natale, appunto fra il 24 e il 25 e a sfuggire alla morsa sovietica, almeno momentaneamente. I numeri parlano di circa 5.000 fra italiani e tedeschi che riuscirono a sfuggire, e l'impressionante numero di circa 20.000 uomini che furono uccisi o feriti durante i combattimenti o presi prigionieri alla fine della battaglia.
Negli anni a furia di parlarne e di scriverne da parte di tanti, finalmente questo triste episodio divenne noto alla pari di tanti altri accaduti in Russia. Sul Web si trovano ormai diverse fonti in merito. Ma di quello che avvenne nella "valle della morte" io ve ne voglio parlare attraverso alcune fotografie scattate durante i miei due viaggi.
Fotografia 1: nei pressi della conca e prima di arrivare ad Arbusowka ci viene indicato questo avvallamento; sono i resti di una fossa comune nella quale furono sepolti i nostri caduti e negli anni recuperati e rientrati in Italia.
Fotografia 2: quello che resta delle isbe poste a nord dell'abitato; qui trovarono rifugio i nostri soldati durante i giorni dell'accerchiamento.
Fotografia 3: i resti di un elmetto italiano nei pressi delle isbe occupate dai nostri soldati.
Fotografia 4: vista della conca di Arbusowka; sulle alture circostanti erano posizionati i sovietici che bombardarono ripetutamente le nostre truppe accerchiate.
Fotografia 5: Arbusowka oggi; le isbe sono posizionate più a sud di quelle precedenti occupate dai nostri soldati.
Fotografia 6: la piana dove il Carabiniere Plado Mosca Giuseppe e il flammiere Mario Iacovitti guadagnarono la Medaglia d'Oro al Valor Militare.
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