Danilo Dolcini e Stefano Olivieri sono gli ideatori di questo gruppo che ha quale finalità la realizzazione di un sistema informativo geografico (GIS) per la Campagna di Russia; attraverso lo studio di documenti e di diari storici, le testimonianze e i resoconti di reduci e parenti di reduci, l'analisi di cartine e sistemi cartografici, le esperienze dirette sul campo in Russia, vogliamo realizzare, su una piattaforma Web che un giorno potrà essere consultata gratuitamente da tutti, una ricostruzione dinamica ed interattiva della partecipazione italiana alla Campagna di Russia dall'invio dello C.S.I.R. alle tristemente famose ritirate che si svolsero nel dicembre 1942 e nel gennaio 1943 da parte dei reparti dell'ARM.I.R.
Obiettivo dunque di tale progetto è quello di rappresentare su un sistema virtuale la dislocazione dei reparti nei vari momenti della campagna; l'identificazione delle varie località con la traslitterazione in italiano, tedesco e russo; i movimenti e i percorsi seguiti durante le fasi di avanzata e di ritirata; la comparazione della cartografia attuale con quella militare dell'epoca attraverso la sovrapposizione di cartine storiche tedesche e sovietiche; la sequenza degli avvenimenti con appositi riferimenti geografici e storici, tratti da saggi attualmente o in passato in commercio; l'integrazione con immagini storiche ed attuali, queste ultime realizzate durante i viaggi in Russia sui campi di battaglia.
Per raggiungere quanto indicato avremo sicuramente bisogno del contributo di tutte quelle persone che come noi sono interessate a questa vicenda e che un giorno potranno anch'esse utilizzare liberamente il sistema informativo geografico (GIS); il gruppo ha quindi la finalità di raccogliere semplici ma precise testimonianze di episodi avvenuti in una data e in un luogo preciso, riferite a reparti ben identificabili, onde poter ricostruire con estrema accuratezza la storia dei battaglioni, dei reggimenti, delle divisioni impegnate in Russia. Sono altrettanto preziosi i contributi più consistenti quali studi e resoconti già effettuati di provata attendibilità.
Al completamento di questo studio andremo inoltre a realizzare, come autori e curatori, un saggio storico in cui i dati raccolti saranno utilizzati per la stesura di alcuni capitoli. Ogni singolo contributo sarà adeguatamente citato nella pubblicazione in oggetto.
Come contribuire? Iscrivendosi al gruppo innanzitutto. Con regolarità inseriremo dei post relativi a TEMI specifici che in quel momento stiamo trattando, opportunamente etichettati con un apposito tag che serve a contraddistinguere in modo univoco un argomento; per ognuno di questi TEMI potrete dunque aggiungere immagini, fonti, racconti, testimonianze, ecc. che verranno mappate sul sistema informativo geografico. Per esempio quando tratteremo della battaglia di Nikolajewka il tag sarà #nikolajewka ed eventuali vostri contributi potranno essere aggiunti direttamente sotto il nostro post oppure proposti da zero, meglio se contenenti il tag univoco che servirà a tutti per capire a quale TEMA fanno riferimento.
Oppure potrete voi direttamente attivare di un TEMA per il quale avete informazioni, immagini ed altri contenuti di particolare rilevanza, sempre identificandolo con il suo tag univoco... in tal modo sarete promotori di un argomento specifico e chiunque potrà collaborare fornendo ulteriore materiale.
Vi lasciamo immaginare quale potrà essere il risultato finale di questo lavoro... un risultato che già giorno per giorno vediamo crescere sotto i nostri occhi!
https://www.facebook.com/groups/campagnadirussiagis
Dal 2011 camminiamo in Russia e ci regaliamo emozioni
Trekking ed escursioni in Russia sui campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale
Danilo Dolcini - Phone 349.6472823 - Email danilo.dolcini@gmail.com - FB Un italiano in Russia
giovedì 14 ottobre 2021
mercoledì 13 ottobre 2021
Woroschilowa, parte 4
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - quarta parte.
Un tenue chiarore comincia a diffondersi all'orizzonte. Le tre compagnie di bersaglieri e CC.NN. continuavano a scalpicciare sulla neve gelata del sentierino. Il nemico non dovrebbe essere lontano. Il generale Marazzani è a Iwanowski. Non immagina che i suoi della Celere stanno per prender contatto coi Russi. Ma sa che dopo tutte quelle ore di marcia, nel gelo siberiano, i suoi uomini devono essere esausti; riusciranno a trovare ancora la forza per combattere?
Improvvisamente, nei pressi del villaggio di Woroschilowa, appaiono lungo la piana le caratteristiche lingue di fuoco dei colpi in partenza; tutti i bersaglieri che stanno ancora camminando in fila indiana e con loro i legionari della Tagliamento, quelli dei servizi che sono stati messi nel numero, i complementi appena arrivati al fronte, freschi freschi, ignari di Russia e di guerra, si sparpagliano a semicerchio per evitare di essere presi d'infilata. Ma al di fuori di quel maledetto sentiero a mala pena tracciato nella neve, si affonda fino al ginocchio; procedere è quasi impossibile, piazzare un'arma per rispondere al tiro avversario diventa assurdo. Nigra è li che cerca di imbastire un'azione qualunque; quel fuoco immediato dei Russi, segno indubbio che il nemico stava all'erta e ha reagito con prontezza fin eccessiva, lo ha sconcertato. Forse i Russi avevano nei dintorni di Iwanowski degli informatori locali che senza farsi scorgere sono arrivati la notte stessa per avvisare dell'imminente attacco. Chi lo sa.
Accanto a Nigra c'è il tenente Devizi. All'improvviso questi - mentre la buriana dei colpi infuria adesso senza posa - vede il colonnello che si affloscia senza un gemito: una pallottola russa gli ha perforato l'elmetto fulminandolo. Ormai il combattimento è feroce, accanito; i bersaglieri gli altri son dunque rimasti senza comandante. Tutti si sono buttati in mezzo a quella neve alta, allontanandosi a semicerchio dal sentierino, cercando di avvolgere il paese da più lati, di premerlo in una morsa. Ma i mortai russi continuano a far danni. La neve bianca è letteralmente coperta di fagotti nerastri. Sono i corpi degli Italiani, intabarrati nei loro pastrani grigioverdi, rattrappiti in quelle pose grottesche degli ultimi spasimi dell'agonia. Non hanno nemmeno fatto a tempo a sparare, a imbracciare il ridicolo moschetto per truppe speciali, contro i mortai russi, contro le posizioni nemiche che hanno sparso, come ha scritto tempo addietro una persona oggi defunta, Luigi E. Gianturco, "morte e disordine fra gli indifesi".
Woroschilowa, infatti, dal punto di vista tattico, è un assurdo: si tratta a ben vedere di un attacco, condotto appunto secondo la prassi più ortodossa; ma nelle particolari circostanze in cui viene effettuato si tramuta da attacco in autodistruzione. Vogliamo dire che, da offensori, gli Italiani sono in breve tramutati in carne da cannone, in vittime. Impotenti, esposti a un fuoco a cui non sanno né possono reagire, privi come sono di strumenti adeguati, gli Italiani dapprima si fermano, poi cominciano a sbandarsi. Invano il sergente Olivo guida ancora una volta all'assalto la propria squadra; invano i caporalmaggiori Gandini e Trabattoni fanno miracoli, insieme con il mitragliere Chiapparini.
Giuseppe Vasi, un semplice bersagliere, si vede addirittura strappar l'arma di mano da uno scheggione di granata che gli sibila davanti, mentre un violento colpo di mortaio sfracella la gamba di Giulio Panepinto, un sergente, distruggendogli al contempo il prezioso mitragliatore. È ferito un altro caporalmaggiore, Pietro Mancini; si accascia al suolo, colpito, Carlo Panizza; poi è la volta di Aldo Napoli. Vampa... esplosione... uomini che cadono, altri che si rialzano poco dopo come inebetiti. Pietro Medetti, portaferiti, non sa più dove voltarsi. Laggiù un uomo si è abbattuto come un albero colpito dal fulmine. Medetti arranca nella neve; si avvicina. Raffiche sibilano intorno alla sua persona. Il gelo è terribile. Ma ogni soccorso è inutile. Quell'uomo è ormai cadavere.
Amedeo Rainaldi, giovanissimo sottotenente della 1a Compagnia, fa appena in tempo a gridare: "Portate le munizioni!". Poi si abbatte anche lui, falciato da una raffica. Ma quel grido è stato sentito da Pietro Cattaneo, che ha raccolto una cassettina di proiettili e che curvo sotto il peso e per non farsi colpire si avvicina. La sventagliata (non si capisce bene da dove provenga, dove sia il Russo che sta sparando) raggiunge anche lui, che si accascia, ferito, senza riuscire a portare il minimo soccorso al povero Rainaldi. Ma il sottotenente non ha più bisogno di soccorsi: ha già chiuso gli occhi per sempre. Eppure il tenente medico De Ponti, il giorno prima, glielo aveva detto: "Non andare... stai qui... con quei piedi non ce la farai...".
Infatti Rainaldi era stato colpito da un inizio di congelamento durante la celebre battaglia di Natale; era stato uno dei primi che erano saliti sui carri tedeschi per meglio inseguire le truppe russe. Poi, al rientro, s'era dovuto mettere a letto, con un febbrone da cavallo. I piedi, gonfi, purulenti, facevano un groppo sotto le coperte, come se si fosse coricato con degli enormi scarponi da montagna. Una ventina di giorni dopo aveva cominciato ad alzarsi, a camminare un po', ma non poteva più calzare gli scarponi. Allora s'era infilato i più comodi e caldi valenki, le calzature di feltro fabbricate dalle donne ucraine, ideali sulla neve gelata ma inservibili al momento del disgelo.
Il 25 gennaio s'era così trovato in riga con gli altri... A battaglia finita, con il cuore gonfio, il caporalmaggiore Piero Mancini, che lo aveva visto morire, prenderà la penna per scrivere al padre, Riziero Rainaldi, per comunicargli la morte del figlio; lo farà umilmente, con un tono rispettoso, così: "... il 25 gennaio, anche se il signor tenente Rainaldi non stava bene, anzi i piedi gli doloravano, e in più il gonfiore gli era aumentato per le fatiche, e gli ostacolava il camminare, volle nuovamente partecipare alla conquista di Woroschilowa, malgrado il medico e i suoi colleghi e tutti noi bersaglieri lo pregassimo di rimanere a letto. Fu sempre alla testa del suo plotone e cadde per ultimo, ferito a morte; in quelle condizioni, a terra, continuava a incitarci: "Savoia... avanti... portate le munizioni"; ma un'altra raffica lo fece tacere; io fui ferito; e venne l'ordine di ripiegamento dentro le nostre linee".
Fotografia dell'archivio storico della Legione Tagliamento: isba a Woroschilowa.
Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - quarta parte.
Un tenue chiarore comincia a diffondersi all'orizzonte. Le tre compagnie di bersaglieri e CC.NN. continuavano a scalpicciare sulla neve gelata del sentierino. Il nemico non dovrebbe essere lontano. Il generale Marazzani è a Iwanowski. Non immagina che i suoi della Celere stanno per prender contatto coi Russi. Ma sa che dopo tutte quelle ore di marcia, nel gelo siberiano, i suoi uomini devono essere esausti; riusciranno a trovare ancora la forza per combattere?
Improvvisamente, nei pressi del villaggio di Woroschilowa, appaiono lungo la piana le caratteristiche lingue di fuoco dei colpi in partenza; tutti i bersaglieri che stanno ancora camminando in fila indiana e con loro i legionari della Tagliamento, quelli dei servizi che sono stati messi nel numero, i complementi appena arrivati al fronte, freschi freschi, ignari di Russia e di guerra, si sparpagliano a semicerchio per evitare di essere presi d'infilata. Ma al di fuori di quel maledetto sentiero a mala pena tracciato nella neve, si affonda fino al ginocchio; procedere è quasi impossibile, piazzare un'arma per rispondere al tiro avversario diventa assurdo. Nigra è li che cerca di imbastire un'azione qualunque; quel fuoco immediato dei Russi, segno indubbio che il nemico stava all'erta e ha reagito con prontezza fin eccessiva, lo ha sconcertato. Forse i Russi avevano nei dintorni di Iwanowski degli informatori locali che senza farsi scorgere sono arrivati la notte stessa per avvisare dell'imminente attacco. Chi lo sa.
Accanto a Nigra c'è il tenente Devizi. All'improvviso questi - mentre la buriana dei colpi infuria adesso senza posa - vede il colonnello che si affloscia senza un gemito: una pallottola russa gli ha perforato l'elmetto fulminandolo. Ormai il combattimento è feroce, accanito; i bersaglieri gli altri son dunque rimasti senza comandante. Tutti si sono buttati in mezzo a quella neve alta, allontanandosi a semicerchio dal sentierino, cercando di avvolgere il paese da più lati, di premerlo in una morsa. Ma i mortai russi continuano a far danni. La neve bianca è letteralmente coperta di fagotti nerastri. Sono i corpi degli Italiani, intabarrati nei loro pastrani grigioverdi, rattrappiti in quelle pose grottesche degli ultimi spasimi dell'agonia. Non hanno nemmeno fatto a tempo a sparare, a imbracciare il ridicolo moschetto per truppe speciali, contro i mortai russi, contro le posizioni nemiche che hanno sparso, come ha scritto tempo addietro una persona oggi defunta, Luigi E. Gianturco, "morte e disordine fra gli indifesi".
Woroschilowa, infatti, dal punto di vista tattico, è un assurdo: si tratta a ben vedere di un attacco, condotto appunto secondo la prassi più ortodossa; ma nelle particolari circostanze in cui viene effettuato si tramuta da attacco in autodistruzione. Vogliamo dire che, da offensori, gli Italiani sono in breve tramutati in carne da cannone, in vittime. Impotenti, esposti a un fuoco a cui non sanno né possono reagire, privi come sono di strumenti adeguati, gli Italiani dapprima si fermano, poi cominciano a sbandarsi. Invano il sergente Olivo guida ancora una volta all'assalto la propria squadra; invano i caporalmaggiori Gandini e Trabattoni fanno miracoli, insieme con il mitragliere Chiapparini.
Giuseppe Vasi, un semplice bersagliere, si vede addirittura strappar l'arma di mano da uno scheggione di granata che gli sibila davanti, mentre un violento colpo di mortaio sfracella la gamba di Giulio Panepinto, un sergente, distruggendogli al contempo il prezioso mitragliatore. È ferito un altro caporalmaggiore, Pietro Mancini; si accascia al suolo, colpito, Carlo Panizza; poi è la volta di Aldo Napoli. Vampa... esplosione... uomini che cadono, altri che si rialzano poco dopo come inebetiti. Pietro Medetti, portaferiti, non sa più dove voltarsi. Laggiù un uomo si è abbattuto come un albero colpito dal fulmine. Medetti arranca nella neve; si avvicina. Raffiche sibilano intorno alla sua persona. Il gelo è terribile. Ma ogni soccorso è inutile. Quell'uomo è ormai cadavere.
Amedeo Rainaldi, giovanissimo sottotenente della 1a Compagnia, fa appena in tempo a gridare: "Portate le munizioni!". Poi si abbatte anche lui, falciato da una raffica. Ma quel grido è stato sentito da Pietro Cattaneo, che ha raccolto una cassettina di proiettili e che curvo sotto il peso e per non farsi colpire si avvicina. La sventagliata (non si capisce bene da dove provenga, dove sia il Russo che sta sparando) raggiunge anche lui, che si accascia, ferito, senza riuscire a portare il minimo soccorso al povero Rainaldi. Ma il sottotenente non ha più bisogno di soccorsi: ha già chiuso gli occhi per sempre. Eppure il tenente medico De Ponti, il giorno prima, glielo aveva detto: "Non andare... stai qui... con quei piedi non ce la farai...".
Infatti Rainaldi era stato colpito da un inizio di congelamento durante la celebre battaglia di Natale; era stato uno dei primi che erano saliti sui carri tedeschi per meglio inseguire le truppe russe. Poi, al rientro, s'era dovuto mettere a letto, con un febbrone da cavallo. I piedi, gonfi, purulenti, facevano un groppo sotto le coperte, come se si fosse coricato con degli enormi scarponi da montagna. Una ventina di giorni dopo aveva cominciato ad alzarsi, a camminare un po', ma non poteva più calzare gli scarponi. Allora s'era infilato i più comodi e caldi valenki, le calzature di feltro fabbricate dalle donne ucraine, ideali sulla neve gelata ma inservibili al momento del disgelo.
Il 25 gennaio s'era così trovato in riga con gli altri... A battaglia finita, con il cuore gonfio, il caporalmaggiore Piero Mancini, che lo aveva visto morire, prenderà la penna per scrivere al padre, Riziero Rainaldi, per comunicargli la morte del figlio; lo farà umilmente, con un tono rispettoso, così: "... il 25 gennaio, anche se il signor tenente Rainaldi non stava bene, anzi i piedi gli doloravano, e in più il gonfiore gli era aumentato per le fatiche, e gli ostacolava il camminare, volle nuovamente partecipare alla conquista di Woroschilowa, malgrado il medico e i suoi colleghi e tutti noi bersaglieri lo pregassimo di rimanere a letto. Fu sempre alla testa del suo plotone e cadde per ultimo, ferito a morte; in quelle condizioni, a terra, continuava a incitarci: "Savoia... avanti... portate le munizioni"; ma un'altra raffica lo fece tacere; io fui ferito; e venne l'ordine di ripiegamento dentro le nostre linee".
Fotografia dell'archivio storico della Legione Tagliamento: isba a Woroschilowa.
Una serata con Giuseppe Bassi
Ricevo dal gentile Signor Carlo, figlio di Giuseppe Bassi, reduce di Russia.
Sabato 30 ottobre alle 20.30 all'auditorium di Galzignano Terme (PD) si terrà la presentazione del libro "Dal fronte del Don ai lager sovietici", presente il protagonista Giuseppe Bassi.
Sabato 30 ottobre alle 20.30 all'auditorium di Galzignano Terme (PD) si terrà la presentazione del libro "Dal fronte del Don ai lager sovietici", presente il protagonista Giuseppe Bassi.
martedì 5 ottobre 2021
Bassil'ora
Finalmente disponibile "Bassil'ora"... appena saputo dell'uscita ho voluto contattare Rebecca Basso di Emera Film, regista, per dare immediato e totale supporto a questa bellissima opera.
Bassil'ora è la storia del vivace centenario Giuseppe Bassi uno dei pochi sopravvissuti della Campagna italiana di Russia.
Catturato dai Sovietici nel ’42, Giuseppe Bassi viene imprigionato nei campi di concentramento e rientrerà in Italia un anno e mezzo dopo la fine della guerra.
I due personaggi di questa storia sono molto vicini emotivamente ma allo stesso tempo opposti: Giuseppe è un anziano che ha combattuto la seconda guerra mondiale sul fronte sovietico mentre Katerina invece è una donna che con la guerra ha avuto poco a che fare che ha un vissuto completamente diverso ma che proviene proprio da quel paese in cui Giuseppe ha vissuto tanta sofferenza.
Katerina ripercorre in modo non cronologico gli incontri e i dialoghi che ha avuto con Giuseppe così da ricostruirne la storia. Attraverso le riflessioni di Katerina entriamo in profondità del vissuto di Giuseppe nelle sue emozioni ma al tempo stesso passiamo dal microcosmo della sua storia personale al macrocosmo della guerra intesa in senso più ampio.
Vi chiedo sinceramente di acquistare questo DVD sia per rendere omaggio a uno dei pochi reduci di Russia ormai rimasti, scampato fra l'altro alla "valle della morte" (Arbusovka) sia per premiare chi come Rebecca Basso e tutta Emera Film si è dedicata ad una vicenda importante e poco "commerciale", come quella di raccontare nel 2020 la storia di un reduce di Russia.
Il DVD può essere acquistato su RUNshop a questo link: https://www.runshop.it/prodotti/Bassil_ora.
Bassil'ora è la storia del vivace centenario Giuseppe Bassi uno dei pochi sopravvissuti della Campagna italiana di Russia.
Catturato dai Sovietici nel ’42, Giuseppe Bassi viene imprigionato nei campi di concentramento e rientrerà in Italia un anno e mezzo dopo la fine della guerra.
I due personaggi di questa storia sono molto vicini emotivamente ma allo stesso tempo opposti: Giuseppe è un anziano che ha combattuto la seconda guerra mondiale sul fronte sovietico mentre Katerina invece è una donna che con la guerra ha avuto poco a che fare che ha un vissuto completamente diverso ma che proviene proprio da quel paese in cui Giuseppe ha vissuto tanta sofferenza.
Katerina ripercorre in modo non cronologico gli incontri e i dialoghi che ha avuto con Giuseppe così da ricostruirne la storia. Attraverso le riflessioni di Katerina entriamo in profondità del vissuto di Giuseppe nelle sue emozioni ma al tempo stesso passiamo dal microcosmo della sua storia personale al macrocosmo della guerra intesa in senso più ampio.
Vi chiedo sinceramente di acquistare questo DVD sia per rendere omaggio a uno dei pochi reduci di Russia ormai rimasti, scampato fra l'altro alla "valle della morte" (Arbusovka) sia per premiare chi come Rebecca Basso e tutta Emera Film si è dedicata ad una vicenda importante e poco "commerciale", come quella di raccontare nel 2020 la storia di un reduce di Russia.
Il DVD può essere acquistato su RUNshop a questo link: https://www.runshop.it/prodotti/Bassil_ora.
sabato 2 ottobre 2021
Berretto Frigio, caposaldo Olimpo
Berretto Frigio, caposaldo Olimpo, 18 dicembre 1942... fanti della Pasubio... a mio avviso una delle più drammatiche e "belle" fotografie della Campagna di Russia. Sullo sfondo i soldati sovietici che avanzano... guardate i visi di quei ragazzi; sono rivolti tutti verso una persona, non il fotografo... come se cercassero in quel momento così angoscioso il conforto o la rassicurazione di qualcuno, come se si chiedessero "cosa dobbiamo fare?". Mille volte mi sono chiesto, in quegli istanti, cosa hanno provato e soprattutto come mi sarei sentito io al loro posto.
Dopo oltre 70 anni da quella fotografia ho avuto la fortuna (la ritengo tale perché chissà quante persone avrebbero voluto anche solo per un istante trovarsi al mio posto) di essere esattamente nello stesso punto, al caposaldo Olimpo. Era estate e ovviamente non c'era la neve, non c'era il freddo, non c'era nessuno che mi sparava contro e soprattutto non c'era l'angoscia di quei ragazzi.
Avevo stampata nella testa questa fotografia; volevo essere lì, nello stesso punto loro e guardare verso nord, nella stessa direzione dalla quale arrivavano i soldati allora nemici. Non c'era nessuno, oltre a me e alle persone che erano con me; solo silenzio. Avrei voluto dirgli "Ok ragazzi ora torniamo tutti a casa...".
Dopo oltre 70 anni da quella fotografia ho avuto la fortuna (la ritengo tale perché chissà quante persone avrebbero voluto anche solo per un istante trovarsi al mio posto) di essere esattamente nello stesso punto, al caposaldo Olimpo. Era estate e ovviamente non c'era la neve, non c'era il freddo, non c'era nessuno che mi sparava contro e soprattutto non c'era l'angoscia di quei ragazzi.
Avevo stampata nella testa questa fotografia; volevo essere lì, nello stesso punto loro e guardare verso nord, nella stessa direzione dalla quale arrivavano i soldati allora nemici. Non c'era nessuno, oltre a me e alle persone che erano con me; solo silenzio. Avrei voluto dirgli "Ok ragazzi ora torniamo tutti a casa...".
giovedì 30 settembre 2021
Woroschilowa, parte 3
Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".
Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - terza parte.
"Giuseppe Nigra era appena venuto al reggimento; s’era subito interessato del 'suo' battaglione; era un sardo, un bell'uomo, magro, aitante e deciso, di pochissime parole. Non faceva molte considerazioni, non aveva insomma quell'esperienza di cose di guerra che si ha solo combattendo in fronti come quello russo dove, dopo qualche tempo, si impara a filtrare, per così dire, gli ordini che si ricevono. Ci sono dei comandanti intelligenti che sanno valutare la situazione, non prendono decisioni affrettate; obbediscono, ma sempre con una certa riserva; anzi, non è nemmeno una riserva, è come una piccola autonomia che si prendono rispetto al comando di reggimento o di divisione; così, pur portando lo stesso a termine i propri compiti non espongono inutilmente gli uomini. Nigra, invece, di Russia non sapeva niente e non certo per colpa sua. Nessuno gli aveva spiegato che razza di guerra si combatteva lì. Ricordo di aver letto, non so più dove, di quel colonnello che aveva combattuto in durissime circostanze nella prima guerra mondiale. Un Tedesco. T'incontra un collega italiano, questo in Russia, e gli dice pressappoco così: 'Vedrai; quello era niente; non mi sono mai trovato in vita mia a dover combattere in simili condizioni'".
"Alla situazione materiale, che più cattiva di così è difficile immaginare, vanno aggiunte considerazioni di carattere morale: quando si sta al gelo per due o tre ore di fila e anche più, cercando di sparare, quando c'è già stata una battaglia come quella di Natale che ha impegnato per quattro, cinque o sei giorni tutti, senza distinzione, spremendoli fino all'osso, e quando si è sempre sotto l'incubo di attacchi nemici, questo non permette certo di agire con chiarezza di spirito o con quella volontà che si ha quando si parte, pieni di entusiasmo, per un'azione ben diretta e sul cui esito si nutre completa fiducia".
Di fiducia sull'esito dell'azione nessuno ne aveva; meno che mai ne avevano i legionari della Tagliamento che al solo sentir parlare di Woroschilowa vedevano nero. In fondo era stato proprio a causa del loro pessimismo se quella generale incertezza aveva finito per contagiare un po' tutti. Ma era difficile dar loro torto. I Russi erano laggiù, oltre la cortina di neve, oltre le nuvole di pulviscolo ghiacciato sollevate dal vento. Ma da lì, da Iwanowski, dalle isbe in cui erano rintanati quelli della Celere, non si vedeva niente. Sembrava, anzi, che del nemico non vi fosse neppur l'ombra. Anche questo faceva parte del tradizionale quadro della guerra russa. Si annusava, si avvertiva la presenza dell'altro per una specie di sesto senso; ma quasi mai gli Italiani riuscivano a scorgere in faccia i loro avversari. L'attacco alle isbe di Woroschilowa era previsto per la primissima alba del 25 gennaio. Testimone di quella notte insonne, fra il 24 e il 25, fra gli altri, il sottotenente Ratti, uno dei pochi che riuscirà a tornare dall'inferno russo, insegnando poi per anni al Leone XII di Milano come professore di educazione fisica.
Fra quelli più indaffarati appariva il Nigra che sentiva il bisogno, si vede, di dimostrare di poter essere un valido sostituto del maggior Ercolani. Bisogna capire certe situazioni. Occorre sapersi conquistare subito la fiducia degli uomini, altrimenti è un disastro. E l'ufficiale che non ci riesce di primo acchito, dopo non ce la fa più; il giudizio iniziale, l'impressione, per quanto superficiale possa essere, dei primi momenti, non si cancella; se essa è stata favorevole, tutto bene, ma se è risultata negativa allora son dolori. Il Nigra, perfettamente consapevole di ciò, faceva il possibile per non... sfigurare, lui, novello di Russia, in mezzo a quei... veterani. Ma veniamo alla voce diretta, alla testimonianza: "Eravamo allora di stanza a Iwanowski, cioè in un posticino situato tra i sette e i dieci chilometri da Woroschilowa. Ci siamo messi in marcia di notte, alle tre, con un freddo siberiano. Si faceva sì e no un paio di chilometri l'ora in quelle condizioni. Sì perché bisogna tener presente che si doveva procedere in fila indiana lungo una sorta di sentierino battuto nella neve, appesantiti dalle armi, semiparalizzati da quelle temperature... saranno dunque stati, sette-otto chilometri a dire il vero. Abbiamo camminato fino alle sei del mattino circa... Io, quella mattina, non avevo nessun compito; non dovevo comandare nessuna compagnia; per cui mi sentivo un po' come uno che partecipi a un'azione essendone al di fuori. C'era, ricordo, appena arrivato anche lui dall'Italia coi complementi, come il Nigra, il capitano Tedeschi; c'era l'aiutante maggiore, tenente Supino, o forse era già diventato capitano... chissà, comunque c'era, appunto Supino, e c'era, lui sì, lo rammento benissimo, il tenente di complemento Guglielmo Taralli che era stato posto al comando di uno dei tre gruppi che erano stati imbastiti la sera prima proprio per partecipare a quell'azione...".
Taralli era un ragazzone grande e grosso, un bell'ufficiale dal viso franco; alla vigilia della battaglia di Natale comandava un plotone del XVIII battaglione. Nei primi giorni di dicembre si era "beccato" una brutta ferita alla gamba, ma non per questo aveva abbandonato il comando; lui voleva continuare a combattere, tant'è che quando un suo commilitone gli aveva consigliato di farsi operare al più presto - o per lo meno di farsi inviare all'ospedale - gli aveva risposto tranquillamente: “Qui, la guarigione è più rapida. Non conosci dunque l’ibernazione?”. Parole scherzose, ma che erano state dette con aria terribilmente seria. Nessuno tuttavia aveva supposto che sotto quell'aria tranquilla, Taralli nascondesse un coraggio da vendere. Quand'era stato addetto al servizio vettovagliamento, il capitano lntrozzi, ufficiale richiamato, dai molti capelli grigi, se l'era visto capitare davanti con un'aria un po' strana. Taralli gli aveva confidato che era venuto in Russia solo per potersi guadagnare la medaglia, ma che non ne voleva una qualunque; intendeva conquistarsi quella d'oro al valor militare.
Introzzi l'aveva guardato un po' di sotto in su, poi aveva sorriso: "Va bene, va bene", gli aveva risposto bonario, soggiungendo subito dopo con aria un po' cattiva e maligna: "Ma pensa per ora a far la spesa". Una risposta logica; mentre tutti, chi più chi meno, creavano di sottrarsi ai combattimenti di prima linea in cui, date le note condizioni di inferiorità, non c'era da augurarsi nulla di buono, un uomo come Taralli, con le sue idee e le sue proposte fuori dell'ordinario, dava l'impressione di essere una testa calda o, nel migliore dei casi, un... eccentrico.
Per cui, da quel giorno, Taralli aveva pensato che sarebbe stato meglio non parlare dei suoi progetti e delle sue aspirazioni con nessuno. Sarebbe così rimasto "a far la spesa" per tutto il tempo della campagna di Russia, se gli avvenimenti del fronte non avessero obbligato i comandi a richiamare in linea anche quelli dei servizi, fra i quali c'era lui, il nostro Taralli. Al comando di un plotone, il giovane s'era subito distinto nell'occupazione di Mikailowka e nella presa di Iwanowski, il villaggetto da cui sarebbe partito poi quel mattino per il viaggio senza ritorno in direzione di Woroschilowa, e s'era guadagnato una bella medaglia d'argento, seguita poi da una seconda proprio nel giorno di Natale. Appunto nell'azione per la conquista di Mikailowka, Taralli era stato ferito alla gamba, mentre, insieme ad altri uomini del maggiore Scarponi, faceva irruzione fra le isbe.
"Taralli" racconta un teste, "aveva in sé una carica di entusiasmo davvero invidiabile. Quella mattina dell’attacco contro le isbe di Woroschilowa s’era porto dietro un tizio, mi pare fosse un sergente, uno che ne aveva combinate di cotte e di crude, un tipo da compagnia di disciplina, e che avevano spedito lì per per punizione: ebbene Taralli, con il suo entusiasmo, l’aveva saputo galvanizzare, facendone un’altra persona…".
Fotografia dell'archivio storico della Legione Tagliamento: Woroschilowa - Quota 331.
Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - terza parte.
"Giuseppe Nigra era appena venuto al reggimento; s’era subito interessato del 'suo' battaglione; era un sardo, un bell'uomo, magro, aitante e deciso, di pochissime parole. Non faceva molte considerazioni, non aveva insomma quell'esperienza di cose di guerra che si ha solo combattendo in fronti come quello russo dove, dopo qualche tempo, si impara a filtrare, per così dire, gli ordini che si ricevono. Ci sono dei comandanti intelligenti che sanno valutare la situazione, non prendono decisioni affrettate; obbediscono, ma sempre con una certa riserva; anzi, non è nemmeno una riserva, è come una piccola autonomia che si prendono rispetto al comando di reggimento o di divisione; così, pur portando lo stesso a termine i propri compiti non espongono inutilmente gli uomini. Nigra, invece, di Russia non sapeva niente e non certo per colpa sua. Nessuno gli aveva spiegato che razza di guerra si combatteva lì. Ricordo di aver letto, non so più dove, di quel colonnello che aveva combattuto in durissime circostanze nella prima guerra mondiale. Un Tedesco. T'incontra un collega italiano, questo in Russia, e gli dice pressappoco così: 'Vedrai; quello era niente; non mi sono mai trovato in vita mia a dover combattere in simili condizioni'".
"Alla situazione materiale, che più cattiva di così è difficile immaginare, vanno aggiunte considerazioni di carattere morale: quando si sta al gelo per due o tre ore di fila e anche più, cercando di sparare, quando c'è già stata una battaglia come quella di Natale che ha impegnato per quattro, cinque o sei giorni tutti, senza distinzione, spremendoli fino all'osso, e quando si è sempre sotto l'incubo di attacchi nemici, questo non permette certo di agire con chiarezza di spirito o con quella volontà che si ha quando si parte, pieni di entusiasmo, per un'azione ben diretta e sul cui esito si nutre completa fiducia".
Di fiducia sull'esito dell'azione nessuno ne aveva; meno che mai ne avevano i legionari della Tagliamento che al solo sentir parlare di Woroschilowa vedevano nero. In fondo era stato proprio a causa del loro pessimismo se quella generale incertezza aveva finito per contagiare un po' tutti. Ma era difficile dar loro torto. I Russi erano laggiù, oltre la cortina di neve, oltre le nuvole di pulviscolo ghiacciato sollevate dal vento. Ma da lì, da Iwanowski, dalle isbe in cui erano rintanati quelli della Celere, non si vedeva niente. Sembrava, anzi, che del nemico non vi fosse neppur l'ombra. Anche questo faceva parte del tradizionale quadro della guerra russa. Si annusava, si avvertiva la presenza dell'altro per una specie di sesto senso; ma quasi mai gli Italiani riuscivano a scorgere in faccia i loro avversari. L'attacco alle isbe di Woroschilowa era previsto per la primissima alba del 25 gennaio. Testimone di quella notte insonne, fra il 24 e il 25, fra gli altri, il sottotenente Ratti, uno dei pochi che riuscirà a tornare dall'inferno russo, insegnando poi per anni al Leone XII di Milano come professore di educazione fisica.
Fra quelli più indaffarati appariva il Nigra che sentiva il bisogno, si vede, di dimostrare di poter essere un valido sostituto del maggior Ercolani. Bisogna capire certe situazioni. Occorre sapersi conquistare subito la fiducia degli uomini, altrimenti è un disastro. E l'ufficiale che non ci riesce di primo acchito, dopo non ce la fa più; il giudizio iniziale, l'impressione, per quanto superficiale possa essere, dei primi momenti, non si cancella; se essa è stata favorevole, tutto bene, ma se è risultata negativa allora son dolori. Il Nigra, perfettamente consapevole di ciò, faceva il possibile per non... sfigurare, lui, novello di Russia, in mezzo a quei... veterani. Ma veniamo alla voce diretta, alla testimonianza: "Eravamo allora di stanza a Iwanowski, cioè in un posticino situato tra i sette e i dieci chilometri da Woroschilowa. Ci siamo messi in marcia di notte, alle tre, con un freddo siberiano. Si faceva sì e no un paio di chilometri l'ora in quelle condizioni. Sì perché bisogna tener presente che si doveva procedere in fila indiana lungo una sorta di sentierino battuto nella neve, appesantiti dalle armi, semiparalizzati da quelle temperature... saranno dunque stati, sette-otto chilometri a dire il vero. Abbiamo camminato fino alle sei del mattino circa... Io, quella mattina, non avevo nessun compito; non dovevo comandare nessuna compagnia; per cui mi sentivo un po' come uno che partecipi a un'azione essendone al di fuori. C'era, ricordo, appena arrivato anche lui dall'Italia coi complementi, come il Nigra, il capitano Tedeschi; c'era l'aiutante maggiore, tenente Supino, o forse era già diventato capitano... chissà, comunque c'era, appunto Supino, e c'era, lui sì, lo rammento benissimo, il tenente di complemento Guglielmo Taralli che era stato posto al comando di uno dei tre gruppi che erano stati imbastiti la sera prima proprio per partecipare a quell'azione...".
Taralli era un ragazzone grande e grosso, un bell'ufficiale dal viso franco; alla vigilia della battaglia di Natale comandava un plotone del XVIII battaglione. Nei primi giorni di dicembre si era "beccato" una brutta ferita alla gamba, ma non per questo aveva abbandonato il comando; lui voleva continuare a combattere, tant'è che quando un suo commilitone gli aveva consigliato di farsi operare al più presto - o per lo meno di farsi inviare all'ospedale - gli aveva risposto tranquillamente: “Qui, la guarigione è più rapida. Non conosci dunque l’ibernazione?”. Parole scherzose, ma che erano state dette con aria terribilmente seria. Nessuno tuttavia aveva supposto che sotto quell'aria tranquilla, Taralli nascondesse un coraggio da vendere. Quand'era stato addetto al servizio vettovagliamento, il capitano lntrozzi, ufficiale richiamato, dai molti capelli grigi, se l'era visto capitare davanti con un'aria un po' strana. Taralli gli aveva confidato che era venuto in Russia solo per potersi guadagnare la medaglia, ma che non ne voleva una qualunque; intendeva conquistarsi quella d'oro al valor militare.
Introzzi l'aveva guardato un po' di sotto in su, poi aveva sorriso: "Va bene, va bene", gli aveva risposto bonario, soggiungendo subito dopo con aria un po' cattiva e maligna: "Ma pensa per ora a far la spesa". Una risposta logica; mentre tutti, chi più chi meno, creavano di sottrarsi ai combattimenti di prima linea in cui, date le note condizioni di inferiorità, non c'era da augurarsi nulla di buono, un uomo come Taralli, con le sue idee e le sue proposte fuori dell'ordinario, dava l'impressione di essere una testa calda o, nel migliore dei casi, un... eccentrico.
Per cui, da quel giorno, Taralli aveva pensato che sarebbe stato meglio non parlare dei suoi progetti e delle sue aspirazioni con nessuno. Sarebbe così rimasto "a far la spesa" per tutto il tempo della campagna di Russia, se gli avvenimenti del fronte non avessero obbligato i comandi a richiamare in linea anche quelli dei servizi, fra i quali c'era lui, il nostro Taralli. Al comando di un plotone, il giovane s'era subito distinto nell'occupazione di Mikailowka e nella presa di Iwanowski, il villaggetto da cui sarebbe partito poi quel mattino per il viaggio senza ritorno in direzione di Woroschilowa, e s'era guadagnato una bella medaglia d'argento, seguita poi da una seconda proprio nel giorno di Natale. Appunto nell'azione per la conquista di Mikailowka, Taralli era stato ferito alla gamba, mentre, insieme ad altri uomini del maggiore Scarponi, faceva irruzione fra le isbe.
"Taralli" racconta un teste, "aveva in sé una carica di entusiasmo davvero invidiabile. Quella mattina dell’attacco contro le isbe di Woroschilowa s’era porto dietro un tizio, mi pare fosse un sergente, uno che ne aveva combinate di cotte e di crude, un tipo da compagnia di disciplina, e che avevano spedito lì per per punizione: ebbene Taralli, con il suo entusiasmo, l’aveva saputo galvanizzare, facendone un’altra persona…".
Fotografia dell'archivio storico della Legione Tagliamento: Woroschilowa - Quota 331.
mercoledì 29 settembre 2021
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