martedì 28 settembre 2021

Il processo D'Onofrio, parte 17

Il processo D'Onofrio, diciassettesima ed ultima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA TRENTESIMA UDIENZA.

20 luglio 1949. - Avv. Mastino Del Rio: 'Questo non è il processo all'antifascismo, ma è soltanto il processo contro Edoardo D'Onofrio, perché - ed è necessario stabilire questo punto fermo - D'Onofrio non aveva nessun diritto di svolgere propaganda nei campi di concentramento di Russia, propaganda la più avvilente e la più bruta perché esercitata su degli uomini non liberi. Non doveva, nello stesso modo che non é consentito al carceriere far propaganda nei confronti dei carcerati'.

Questo ha detto l'avv. on. Mastino Del Rio, iniziando la sua arringa in difesa degli imputati, dopo aver rassicurato il Tribunale sulla brevità del suo discorso. Ed ha proseguito affermando che l'attuale querelante non aveva alcun diritto di umiliare dei vinti e che se lo ha fatto è stato solo per preparare i quadri che avrebbero dovuto diffondere il comunismo in Italia: uno scopo tutt'altro che nobile.

Avv. Mastino Del Rio: 'Le ragioni della difesa - che sono poi le stesse sostanziali ragioni della giustizia - sono state già ampiamente tratteggiate. Non devo fare proseliti, qui, e perciò non farò propaganda anche perché, non ho da riparare a nessuna sconfitta politica ed ho troppo rispetto per la maestà della Giustizia per abbandonarmi all’impressionismo, al colorismo o al terrorismo politico che è affiorato nell'arringa del secondo patrono di Parte Civile'.

La questione è semplice e lineare. È chiaro che qui non si tratta di fare il processo al fascismo o all'antifascismo, né all'ARMIR, né alla resistenza, né alla Russia. Ma si tratta di vedere se le accuse mosse a D'Onofrio dagli imputati sono esatte o no. Perché il sen. D'Onofrio a dato querela? Si è chiesto a questo punto l'oratore. E la risposta è venuta subito dopo quando egli ha detto che la data di presentazione dell’atto di querela è il 16 aprile 1948, cioè a dire due giorni prima delle elezioni politiche. Ma le querele sono armi pericolose e questa volta la bomba è scoppiata nelle mani di chi l'aveva preparata.

Avv. Mastino Del Rio: 'Nel numero unico incriminato si parlava anche di Palmiro Togliatti, ma Togliatti non si è unito alla querela, dimostrandosi così ben più furbo. E di tutti gli altri che nel numero unico furono nominati, e certo non per ricevere lodi e ringraziamenti dai reduci, nessuno s’è fatto vivo: né Roncato, né Fiammenghi, né la signora Torre, né Rizzoli, né Robotti. E nessuno di loro s’è mosso per dare una mano al querelante. Ed ora l’arma puntata verso gli altri si è ritorta sul D'Onofrio stesso il quale finisce per essere il vero imputato di questo processo. Il fatto è che tutti quegli altri hanno avuto paura di presentarsi perché temevano di dover rendere conto delle loro azioni'.

Rievocata la terribile odissea dei nostri prigionieri in terra di Russia, l'avv. Del Rio ha affermato che la verità non giova alla propaganda comunista. Per questo non sono più tornati il cap. Magnani, il ten. Ioli e gli altri: perché, se essi fossero tornati, avrebbero detto certamente la verità sulle loro tristi vicende. Per questo è necessario far credere che le molte decine di migliaia di soldati dell'ARMIR sono morti tutti nella sacca del Don e non di fame, di sete, di tubercolosi nell’orrendo carnaio dei campi di concentramento.

Avv. Mastino Del Rio: 'E poi ci si accusa di speculazione e ci dicono che noi abbiamo suscitato la polemica alla vigilia delle elezioni politiche. Vi ricordate cosa dicevano i 'falsi reduci' in quei giorni di lotta elettorale: 'Mamme d'Italia se volete che i vostri figli tornino dalla Russia votate per il Fronte Popolare?'.

L’avv. Mastino Del Rio ritornando alla situazione dei prigionieri italiani ha osservato che sì, è vero, che il trattamento venne migliorato, ma l'ordine, partito da Stalin, fu dato solo in omaggio all’arrivo nei campi di concentramento di una delegazione della Croce Rossa Internazionale che, come è stato detto qui in udienza, fuggì via inorridita per le impossibili condizioni in cui versavano gli internati.

Avv. Mastino Del Rio: 'L’arrivo degli emigrati politici distrusse la concordia e la fratellanza fra i prigionieri. È proprio in questo momento che sulla scena appare il D'Onofrio. Io mi inchino al passato politico di questo combattente dell’antifascismo, ma debbo aggiungere che vi è un profondo abisso fra il D'Onofrio esule dalla Patria e perseguitato e il D'Onofrio commissario politico, persecutore dei suoi fratelli prigionieri, accecato dall’odio di parte.

Come potevano i soldati italiani non pensare che si trovassero di fronte a dei veri e propri nemici? Cosa fecero gli emigrati perché i loro fratelli non pensassero questo? Nulla fecero: essi si presentarono ai prigionieri come giudici ansiosi di fare il processo alla guerra sui vinti, a coloro i quali si erano battuti per obbedire alle leggi dell’onor militare, essi tacciarono i prigionieri di ladri e di rapinatori, li umiliarono, li minacciarono, li derisero'.

Il difensore, polemizzando con l'avv. Sotgiu, ha quindi affermato, documenti alla mano, che in Russia la Chiesa Cattolica è considerata alla stregua di una organizzazione spionistica alle dipendenze del Vaticano e i preti, naturalmente, delle spie pagate dal Vaticano. Non è vero che in Russia ci sia libertà di culto.

L'avv. Sotgiu aveva letto, nel corso della interminabile arringa, brani tolti da un libro di un cappellano militare, padre Bonadeo, il quale descrive, con accenti di profondo misticismo, una messa che egli aveva celebrato nel campo di Oranki. Il patrono di Parte Civile ne aveva tratto motivo per esclamare, rivolto al Tribunale: 'Ecco l'asserita avversione dei sovietici alla religione' e ciò doveva dimostrare, secondo lui, la falsità dei reduci i quali avevano detto essere proibita laggiù ogni forma di culto esterno. Ma l'on. Mastino Del Rio ha ripreso quella lettura, e l'ha ripresa proprio dal punto dove il prof. Sotgiu l'aveva lasciata. Il sacerdote racconta nel libro che il giorno dopo aver celebrato la Messa fa chiamato a rapporto dal comandante del campo ed accusato di tradimento e di spionaggio e diffidato dal ricadere nello stesso reato.

Anzi nei due reati. I quali, come ebbe a spiegargli lo stesso comandante, consistevano nell’aver celebralo la Messa e nell’aver invitato i prigionieri, che avevano assistito al rito, a pregare. Don Bonadeo fu minacciato di gravi sanzioni se avesse celebrato ancora la Messa. L'on. Mastino Del Rio ha poi ribattuto a lungo le dichiarazioni fatte dai testi di Parte Civile. Di alcuni di essi ha voluto mettere in evidenza il loro passato di fascisti e di volontari di guerra.

Avv. Mastino Del Rio: 'Vorrei dire con Angelo Musco, a questi signori: amico, ogni uomo ha il diritto di essere un buffone, ma tu esageri. Anche questi uomini possono essere giustificati. Diciotto dei venticinque testi d'accusa, in Russia, erano tutti gravemente malati ed avevano urgente necessità di cure e di un miglior trattamento. Per questo essi si piegarono alla propaganda di D'Onofrio, perché erano costretti a mendicare i medicinali. Chi resisteva alla propaganda, infatti, anche se in condizioni di salute pietose, come Padre Turla, veniva scacciato dagli ospedali o dai convalescenziari'.

LA TRENTUNESIMA UDIENZA.

21 luglio 1949. - L’avv. Mastino Del Rio non è riuscito a mantenere la promessa fatta al Tribunale come premessa all’arringa. E del resto non è facile essere brevi quando gli argomenti da esaminare sono tanti e di tanta importanza. Così neppure all'ultimo difensore sono state sufficienti due udienze per concludere. L'on. Del Rio ha spiegato al Tribunale il programma, la struttura, l' essenza e soprattutto gli scopi che la propaganda di D'Onofrio nei campi di concentramento si prefiggeva di raggiungere, ha detto quale dovizia di mezzi fosse stata messa a sua disposizione per dimostrare come su quella propaganda fossero puntate molte grandi speranze.

Avv. Mastino Del Rio: 'D'Onofrio disponeva di un giornale, di una tipografia, di una attrezzata redazione, della energia elettrica e di molto denaro. L'obiettivo era chiaro: diffondere al massimo l'idea comunista fra i prigionieri per creare agenti specializzati da inviare in Italia. La maggior parte di coloro che aderivano lo facevano per porre un rimedio alle miserevoli condizioni di vita e non perché spinti dalla convinzione nella ideologia predicata. Le promesse di vitto, il miraggio di miglioramenti, le minacce, alternate, alle lusinghe erano un ottimo mezzo per attirare i prigionieri, stremati dalla fame. La parola d'ordine era: convertire al comunismo il maggior numero di internati italiani. I mezzi non contavano e chi si opponeva ne subiva le conseguenze come Magnani, Ioli, Don Brevi e tanti altri. Ricordate che Padre Turla ha detto in udienza che l’attuale querelante voleva costringerlo a firmare quello stesso ordine del giorno che il cap. Magnani si rifiutò di sottoscrivere'.

D'Onofrio: 'Non è vero. Io non ho mai costretto nessuno a firmare niente. E poi Padre Turla io non l'ho mai visto... Non stia a raccontar storie...'.

Presidente: 'Lei, egregio senatore, non può e non deve intervenire mentre un avvocato sta parlando. La prego di far silenzio e di non interrompere più la discussione'.

Avv. Mastino Del Rio: 'La ringrazio, signor Presidente, ma mi permetta di chiedere al sen. D'Onofrio che mi spieghi allora per quale ragione i nostri testimoni avrebbero mentito e perché non si debba dar credito alle loro deposizioni. Si tratta, lo sappiamo tutti, di oneste persone da Padre Turla a Don Franzoni, dai col. Russo e Zingales, via via fino agli imputati, tutti valorosi ufficiali.

Piuttosto perché non ci spiega D'Onofrio con maggiore chiarezza di quanto non ha fatto le ragioni per cui voleva sapere tante cose dai nostri prigionieri? La spiegazione posso darla io'.

E qui l'avvocato legge un brano del libro di Kravchenko: 'Tu sei comunista e devi portare a conoscenza della direzione del partito tutto ciò che può interessare la direzione del partito stesso, ti piaccia o no'. D'Onofrio non ha potuto sottrarsi a questo imperativo. Ha fatto il suo dovere di comunista.

Avv. Mastino Del Rio: 'D’altro canto lo stesso D'Onofrio ha dichiarato l’obiettivo preciso della propaganda da lui svolta quando, durante la polemica giornalistica, scrisse, nel compiacersi del fatto che molti ex prigionieri erano andati ad ingrossare le file del P.C.I., che tale fenomeno stava a significare che lui e i suoi compagni avevano seminato bene. Ma chi semina vento raccoglie tempesta. E l'attuale querelante la tempesta l'ha raccolta in questa aula di tribunale.

Ma poiché siete stati smascherati nel tentativo di dissimulare i vostri scopi, ora voi volete ripagarvi gettando il discredito su questi ragazzi e non solo su questi ma su tutti i reduci i quali non hanno voluto piegarsi alla vostra volontà e li tacciate di fascisti e di nostalgici, non si sa poi di che'.

E l'on. Mastino Del Rio, esibendo documenti, ha fornito le prove irrefutabili della attività partigiana degli imputati.

Avv. Mastino Del Rio: 'Il teste d'accusa Fidia Gambetti, prima fascista ora comunista, fece delle insinuazioni, in udienza, sulle decorazioni di questi reduci e su quella dell’avv. Taddei, disse che le decorazioni non contano. Ma forse non si ricordava che nel settimanale 'L'Alba', di cui pure egli era attivo collaboratore, campeggiava una grande fotografia di un Primo Maresciallo con il petto coperto di medaglie.

Voi avete aggiunto al danno lo scherno quando avete pensato di farvi forti della lettera che il cap. Magnani riuscì a far pervenire alla propria famiglia e avreste voluto inchiodarlo ad una frase di quella missiva: 'Non ho fatto nulla di cui debba vergognarmi davanti a te e ai miei figli'. Voi avete preso questa occasione per dire che, dunque, Magnani era stato trattenuto chissà per quali colpe misteriose e non per responsabilità di D'Onofrio. E ammesso che sia stato così, perché non ci dite la ragione per la quale il D'Onofrio si rifiutò di dire una sola parola per il Magnani come per tutti gli altri ufficiali trattenuti in Russia? Eppure avrebbe potuto farlo. Si è detto ancora, dalla parte civile, che il D'Onofrio fece pervenire alla famiglia del cap. Magnani un radio messaggio di saluto. Ma quando il messaggio di cui si dice fu radiotrasmesso D'Onofrio e Magnani ancora non si conoscevano, basta confrontare le date'.

Via via che l'arringa si addentra a sviscerare prove, motivi, accuse, episodi, essa si fa più serrata, più demolitrice. Ora l'avv. Mastino Del Rio è tornato a parlare degli interrogatori. La parie civile li ha giustificati adducendo la necessità di raccogliere dati anagrafici dei prigionieri e tutte le notizie, inerenti alla loro posizione sociale, all'educazione, al titolo di studio.

Avv. Mastino Del Rio: 'Sciocchezze! Ipocrisie! Menzogne! Non esistevano già tutti questi dati nei campi di concentramento? E quale necessità c’era che D'Onofrio fosse accompagnato da un ufficiale della polizia di Stato Sovietica per rilevare dei dati anagrafici? E poi perché quei dati seguivano i prigionieri nei vari trasferimenti da un campo all’altro? E che ciò fosse avvenuto è indiscutibile perché ad alcuni prigionieri furono contestate parole dette in sede di interrogatorio in un altro campo alcuni mesi prima. Come vorreste chiamarli questi se non interrogatori di polizia? Se non vere e proprie investigazioni? Non certo 'conversazioni' come sostiene la Parte Civile'.

LA TRENTADUESIMA UDIENZA.

22 luglio 1949. - L’aula non poteva assolutamente contenere più gente di quanta ne contenesse all’inizio dell’udienza, l'ultima di questo, si può ben dire, strepitoso processo, che ha polarizzato la attenzione dell’opinione pubblica di tutta la nazione. Decine e decine di persone sono state costrette a rimanere fuori nei corridoi nell'attesa che il Tribunale pronunciasse la sua sentenza: attesa silenziosa, tranquilla, sicura; la giustizia non poteva fallire. La verità sarebbe finalmente apparsa nella sua luce sfolgorante.

L'avv. Mastino Del Rio ha concluso rapidamente la propria arringa. Egli ha discusso con chiara oratoria la pura questione di diritto della causa prendendo in esame le asserzioni apparse nel numero unico incriminato ed ha sostenuto che è emersa, nel corso della istruttoria dibattimentale, la prova più completa dei fatti attribuiti al sen. D'Onofrio. E cosi ha proseguito polemizzando con l'avv. Sotgiu.

Avv. Mastino Del Rio: 'Non so se quello che ha affermato il mio illustre contraddittore risponda a verità. Non so se sia vero che, come lui ha detto, l’Unione Nazionale Reduci dalla Russia ha avuto la sovvenzione di un milione dal Ministero dell'Assistenza Post-bellica. Ma mi auguro che sia così perché quel denaro sarà servito ad alleviare le sofferenze di questi sventurati i quali sono rimpatriati nudi e ammalati, perché quel denaro avrà forse potuto sollevare quelle madri e quelle vedove lasciate nella più squallida miseria'.

L'accenno fatto dall’oratore al fatto che tali informazioni furono fornite dai numerosi agit-prop, che si annidano in tutti i ministeri violando i segreti d'ufficio, ha suscitato l'ennesimo e ultimo incidente di questo processo. L'avv. Paone è saltato su eccitatissimo gridando frasi sconclusionate e senza senso: deve aver perduto la testa nell’imminenza della sconfitta.

Avv. Paone: 'Anche i peculati sono segreti d'ufficio?'.

Ma il Presidente è intervenuto con energia e tutto è finito lì. La conclusione dell’on. Mastino Del Rio ha vivamente commosso i presenti.

Avv. Mastino Del Rio: 'Io sento nel mio spirito una calma divina. Sento di aver compiuto fino in fondo il mio dovere. Se nei miei ventisette anni di professione nulla avessi fatto, nessun’altra causa avessi discusso, sarei ugualmente soddisfatto per la mia opera. Oggi il mio sguardo va lontano, oltre i confini della Patria, in uno squallido campo dove vedo tremolare ventisette fiammelle di vita'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Signori, voi avete una delicata causa da risolvere, una causa grondante di sangue e di dolore. Se voi condannerete questi giovani, essi usciranno da quest'aula a fronte alta, da soldati quali sono stati e quali sono. Se voi condannerete questi giovani, condannerete a morte i ventisette ufficiali che non hanno fatto ritorno, spegnerete quelle ventisette fiammelle che ancora brillano e sperano. Se voi invece assolverete, non spezzerete quest’ultimo filo di speranza e Iddio e la Patria vi benediranno. Perché la vostra sentenza deve dire a quella Nazione che è preferibile, per gli stessi interessi della sua propaganda, che rimandi i figli alle madri, gli sposi alle mogli'.

In silenzio i giudici si sono alzati e si sono ritirati in camera di consiglio. Sono le 9,45. Il Tribunale rientra nell’aula alle 14,40. Nel più profondo silenzio il presidente dott. Carpanzano si alza e legge il dispositivo della sentenza.

Visti gli articoli 479 e 482 del C. P. P. il Tribunale assolve gli imputati Luigi Avalli, Domenico Dal Toso, Ivo Emett, Giorgio Pittaluga, Ugo Graioni dal reato di diffamazione loro ascritto in ordine ai fatti specificati nei numeri 1 e 2 dell’opuscolo 'Russia' essendo provata la verità dei fatti stessi, e dalle diffamazioni relative ai fatti specificati dai numeri 3 e 4 e dall'ultima pagina dell’opuscolo perché il fatto non costituisce reato. Condanna inoltre il querelante sen. Edoardo D'Onofrio al pagamento delle spese processuali.

A titolo di curiosità ci piace qui ricordare che, durante la sospensione dell’udienza e mentre i giudici erano riuniti in Camera di Consiglio, D'Onofrio si è avvicinato all'avv. Taddei e gli ha detto con una certa vivacità: 'Avete, fatto male ad insistere sulla mia condanna. Se sarò condannato, non staranno meglio quelli che sono rimasti in Russia'. Chi ha riferito la breve ma significativa frase ha forse capito male? Ce lo auguriamo vivamente. Perché, tra l'altro, è buona regola che chi gioca deve essere pronto a perdere e soprattutto a saper perdere con dignità. Sono i serpi che mordono il piede che ha loro pestato la coda...

Il pubblico ha accolto la sentenza nella più grande compostezza e soltanto quando il Tribunale si è definitivamente ritirato e il sipario è finalmente calato su questa dolorosa vicenda, si sono avute le prime reazioni. I reduci sono completamente assediati da parenti e da amici. Fuori, nei corridoi, la folla si è moltiplicata e quando gli avv. Taddei e Mastino Del Rio escono insieme con i loro 'ragazzi' la folla li circonda, li benedice, vuole toccarli, vuole dir loro tutta la devozione, tutto il ringraziamento. Molte donne piangono di commozione e negli occhi dei giovani brillano le lacrime.

Ma nella gioia di tutti non sono stati dimenticati i compagni lontani, coloro che languono ancora nei campi di Russia. I 'ragazzi' hanno chiesto che il totale di lire 3.256.840 cui assommano le spese processuali venga devoluto al Ministero della Difesa perché lo destini a favore delle famiglie dei militari italiani, non criminali di guerra, tuttora trattenuti come prigionieri dal governo sovietico.

Appuntamento a Busto Arsizio

Finalmente una nuova serata per parlare di Russia... della Campagna di Russia e dei nostri soldati; lo faremo in un modo diverso, raccontando anche quello che abbiamo visto con i nostri occhi e provato nel nostro intimo nel camminare in quei luoghi così tanto lontani dalla vita di tutti i giorni.

Busto Arsizio, venerdì 15 ottobre alle ore 21, presso Comunità Giovanile!

lunedì 27 settembre 2021

Woroschilowa, parte 2

Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".

Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - seconda parte.

Il giorno 2 gennaio, dunque, un vento fortissimo investe tutto il settore del CSIR; la faccia più brutta del già duro inverno russo ha fatto la sua apparizione. "Avevamo tutti la barba, ma di ghiaccio", dice un testimone; "era sufficiente uscir fuori dell’isba e subito il fiato si rapprendeva al volto in minuti cristalli che si solidificavano aumentando il volume, fino a creare una vera e propria frangia che dalle nari scendeva oltre il mento; se muovere la bocca diveniva impossibile, perfino il respirare si faceva difficile". Il 6 dello stesso mese il generale Dupont, già comandante dell'artiglieria italiana, assume il comando della divisione Torino sostituendo così il generale Manzi che è stato colto da un improvviso crollo nervoso ed è stato quindi rimpatriato d'urgenza. C'è da osservare che i nervi non saltano solo a lui, ma anche a molti dei soldati.

Il 13 gennaio, in un maldestro tentativo di venire incontro alle richieste del generale Messe, parte da Aosta un battaglione sciatori, il Monte Cervino, per dare ai provati uomini del CSIR quell'aiuto che essi richiedono con voce angosciata. I Tedeschi, dal canto loro, e l'abbiamo già visto attraverso le parole del reduce, sembrano unicamente occupati del mantenimento delle posizioni conquistate; paiono in particolare preoccupati dalla cosiddetta quota 331; essa, infatti, può - grosso modo - venir considerata come una sorta di cerniera per l'intero schieramento difensivo delle truppe italiane. Ed è per questo che in pratica ordinano al CSIR la resistenza ad oltranza.

Abbiamo già parlato, in altre occasioni, delle diversissime concezioni strategiche che regnavano rispettivamente in campo tedesco e in quello italiano. Rammentiamo qui, di sfuggita, che i Tedeschi erano per una difesa mobile e disseminata su ampio fronte (il che era loro permesso dal numero di mezzi corazzati e di autotrasporti a loro disposizione), mentre gli Italiani combattevano in quei giorni con la medesima tecnica e gli stessi criteri operativi già esperimentati alla fine del secondo conflitto mondiale. Resistere ad oltranza significava per loro quindi solo una cosa: rimanere sul posto (con le poche, o nessuna, mitragliatrici pesanti, qualche mortaio, una protezione di artiglieria che era meglio non vi fosse, considerati gli effetti), e prendersi sul capo tutte le gragnuole di colpi che i Russi spedivano regolarmente con un impressionante dispendio di proiettili.

È proprio, dunque, su quota 331 e nel villaggio di Woroschilowa che il modo di combattere italiano vien messo duramente in crisi: "Woroschilowa è una delle cose più tristi e tragiche; perché era già nata sotto una cattiva stella, con il presagio indefinibile che dovesse andar male per forza, perché c'erano le condizioni - oggettivamente parlando - più contrarie possibili e perché il nostro morale era a terra ...". Questa Woroschilowa altro non è se non un gruppetto di isbe che solamente qualche mese prima nessuno avrebbe degnato di uno sguardo; c'è voluta tutta la cocciutaggine del LIX Corpo tedesco per farne un caposaldo di primaria importanza. Il villaggetto è annidato nel fondo della balka, come abbiamo detto; orbene, dato il tipico andamento di questi canaloni che tagliano all'improvviso la steppa e non risultano visibili se non a due passi di distanza (si fa per dire), di lontano non si scorge nulla: di Woroschilowa, delle sue isbe, pare non vi sia nemmeno traccia.

Proprio in mezzo a queste case i legionari della Tagliamento, al comando del console Nicchiarelli, hanno imbastito delle fragili difese, talmente fragili che vanno in pezzi alla prima scarica di obici e granate che piove da parte russa; non è colpa loro, beninteso; è che il villaggio - proprio a causa della sua posizione - è facilmente convertito in una trappola per topi: sono sufficienti delle artiglierie e dei mortai ben piazzati e il gioco è fatto; per gli Italiani non vi è via di scampo. Le Camicie Nere della 63a Legione, già messe a dura prova, logorate, tragicamente ridotte dai combattimenti precedenti trovano qui un ben mesto e triste epilogo.

Il 18 gennaio, infatti, i Russi premono in forze contro quelle case; intendono spazzar via l'improvvisata resistenza italiana. Nicchiarelli e i suoi riescono però a tener duro, anche se la balka è piuttosto stretta, offre ben scarso campo di tiro ed è soggetta - come intuibile - alle offese provenienti dai costoni dominanti. Le considerazioni strategiche che hanno fatto di quel villaggio il cardine della difesa Nowo Orlowo-Timofiewski non banno preso in considerazione un piccolo particolare: con uomini mal ridotti come quelli di Nicchiarelli e in quelle particolari circostanze resistere non è la cosa più agevole. Ma torniamo alla testimonianza diretta, al ricordo di chi può dire "io c’ero": "La difesa, rammento, era appoggiata proprio al gruppetto di case, in quella sorta di canalone che si snodava a circa cinque o forse sei chilometri dalla quota. Le case di Woroschilowa, insomma, avevano almeno il vantaggio di dare una parvenza se non altro di ricovero, di sicurezza; ma, intendiamoci, era un fatto puramente psicologico. Quei poveri diavoli della Tagliamento, come vivevano? È una cosa impossibile a dirsi: stavano sotto un muricciolo, vicino a uno spuntone di isba rimasto ancora in piedi, all'addiaccio, senza un riparo. Nicchiarelli viveva in una sorta di buca in cemento, uno di quei pozzi in cui i Russi cacciano il materiale, le provviste invernali (dev'essere in cemento o qualcosa di simile, altrimenti i topi fan fuori tutto).

Mi ricordo che quando sono andato a trovarlo - quattro o cinque giorni prima del 25 (eravamo andati a stabilire una sorta di contatto per sapere come avremmo dovuto sistemarci noi, in previsione di un loro rientro; essi erano, infatti, allo stremo) - quando, dunque, mi sono recato da lui, se ne stava tutto chino dentro quel buchetto di due o tre metri quadrati. Si doveva scendere qualche gradino, si andava sotto: là, almeno, c'era un certo qual effettivo riparo; e lui, curvo sulla carta a studiare la situazione. Ma i colpi di artiglieria russa arrivavano fin lì; un vero inferno. In quelle poche ore che son stato lì, devo aver fumato due o tre sigarette; non per altro, ma perché era appena stato scatenato dai Russi uno di quei bombardamenti da far paura; non c'era niente da fare; solo si doveva aspettare di crepare; la cosa poteva avvenire da un momento all'altro. Io, dunque, mi ero messo a fumare, cosa che non era nelle mie abitudini; e fuma una sigaretta, poi accendine un'altra, mentre quegli scoppi facevano tremare ogni cosa; sembrava che il suolo dovesse sollevarsi, ondeggiare, spaccarsi in due. Era come un modo di far testamento, di riflettere attraverso il fumo azzurrognolo sulla propria situazione; allora non avevo ancora moglie; ero un tenente giovane, come si diceva allora, 'di belle speranze': ma mi chiedevo come avessero fatto a starsene lì, quelli della Tagliamento, tutti quei giorni, in quell'anticamera della morte".

Nicchiarelli, dal canto suo, sfinito anche lui come tutti i suoi uomini, fa pietà a vedersi: "Poveretto: si grattava la testa in continuazione: aveva il collo pieno di pidocchi; il suo volto era tirato, gli occhi arrossati, segnati dalla fatica, dalla veglia". Non ci si lava, non si può dormire, è già molto se si ha il modo di mettere una frolla galletta immersa un attimo nell’acqua calda (un po’ di neve fatta sciogliere nella scatoletta vuota della carne della sera prima) e di cacciarsi quella in bocca masticando meccanicamente senza badare al sapore nauseabondo. Davanti al villaggio, sulla steppa gelata, insepolte, giacciono molte Camicie Nere. Accanto a quel gruppo di macerie, c'è un numero impressionante di morti. E le perdite aumentavano di giorno in giorno senza che si potesse arrestare in una maniera o nell'altra quella continua emorragia. Nicchiarelli decide infine di abbandonare quel buco senza speranza. È una soluzione perfettamente accettabile, anche da un punto di vista puramente tecnico; è vero che su Woroschilowa si basa tutta la difesa di quota 331 - altrimenti intenibile, come si è già detto - ma è altresì vero che non ha senso resistere in quel modo; tanto vale uccidersi con la propria arma.

Così il 23, a sostituire quelli della Tagliamento che abbandonano il posto, si muovono i bersaglieri del XVIII Battaglione; ma non fanno in tempo ad andare avanti che un concerto d'artiglieria russo seguito da un violentissimo attacco li arresta e li obbliga, in seguito, a ripiegare. I Tedeschi sono furibondi: impongono agli Italiani di "lavar subito l'onta", di rioccupare al più presto quel buco dissanguatore. E Nigra, il tenente colonnello Nigra che è arrivato fresco fresco dall'Italia per sostituire temporaneamente il maggiore Ercolani (ammalato) e che adesso comanda il XVIII, dice di sì e si mette sull'attenti. Agli ordini si obbedisce senza giudicare.

Fotografia dell'archivio storico della Legione Tagliamento: Camicie Nere nella steppa intorno a Woroschilowa.

mercoledì 22 settembre 2021

Con la morte sul berretto

Artigliere alpino Bruno Rizzi, Reparto Munizioni e Viveri, Gruppo Vicenza, 2° Reggimento Artiglieria Alpina

[...] Il giorno il 30 gennaio si camminava su una pista in lunga salita, avevo i piedi gravemente congelati, la stanchezza mortale fece sì che a un dato momento io cadessi sulla neve, l'ufficiale di coda tenente Michele Milesi mi invita a rialzarmi, è pericoloso fermarsi qui mi dice, ma io non mi mossi, e il reparto proseguì la sua strada.

Rimasi sulla neve lungo disteso, come morto, tutta la colonna mi sorpassò senza che nessuno si degnasse di uno sguardo tanto erano frequenti questi ritardi sulla direzione di marcia, io non pensavo altro che a riposare, ero rassegnato a tutto, del resto non potevo più camminare, e così piano piano la morsa del gelo mi pervase, sentivo uno strano torpore di benessere invadere tutto il corpo, e nel frattempo sopraggiunse la notte, quasi per istinto tenevo a fatica gli occhi aperti, le ore passavano, rimasi completamente solo sulla immensa distesa nevosa...

Si avvicinava la morte bianca! Poi due alpini isolati, vestiti di bianco, ed essi pure congelati passarono lentamente accanto a me. "Paisà, guarda come si fa a morire...". Io devo la vita a questi sconosciuti alpini bresciani, perché quella frase che sapeva di morte mi risvegliò alla vita.

Quella notte stessa tra il 30 e il 31 gennaio una sezione di carristi tedeschi della divisione corazzata Das Reich operante nella zona, mi raggiunse nella notte fonda in un'isba dove mi ero rifugiato assolutamente immobilizzato; cercavano un luogo adatto per stabilire il comando di sezione e lo trovarono proprio alla maniera tedesca; con un calcio si spalancò la porta della mia isba. Ma devo anche riconoscere di essere stato fortunato, perché evidentemente per questo lavoro avevano incaricato l'ufficiale medico del reparto; appena mi vide mi illuminò con la potente lampada, e nel medesimo istante mi puntò la rivoltella, forse nel timore di trovare un soldato russo armato, poi cautamente si avvicinò a me, e disse: "Da... italiano...".

Volle sapere le mie generalità, e a quale reparto io appartenevo. In quel momento, confesso, mi batteva il cuore, cosa avrebbe fatto il tedesco vedendomi immobilizzato? Era risaputa da tutti noi la crudeltà del SS tedesche... Invece, con grande mia meraviglia, il tono della sua voce si fece più tranquillo, forse per il rispetto che avevano nella zona per gli appartenenti alle truppe alpine. Come era possibile che un ufficiale tedesco si interessasse a fondo per un soldato italiano in una zona dove scorrazzavano ancora i carri armati T 34?

Quando ero solo nella mia isba non sentivo forse il cannone tuonare continuamente come un avvertimento alla estrema pericolosità della situazione? O forse una madre pregava per me da molto lontano? Io devo la vita anche a questo ufficiale tedesco vestito di nero, con la morte sul berretto, allo stesso modo come qualche tempo prima la voce stanca del due alpini bresciani risvegliò in me il senso della conservazione. Questo ufficiale ebbe per me parole di conforto, mi medicò in modo energico, ed infine mi fece caricare su un treno che, appena carico, parti immediatamente.

Si concludeva così in modo miracoloso la mia personale avventura, non senza però aver lasciato sul mio corpo i segni indelebili delle basse temperature, a perenne ricordo della campagna di Russia.

RICCARDO

Ricerca dei cimiteri italiani in Russia

Pubblico un interessantissimo documentario relativo alle sepolture dei nostri caduti in Russia. Grazie Stefano Olivieri per il contributo graditissimo; sono convinto che molti lo apprezzeranno.

sabato 18 settembre 2021

Onori a Dorligo Albisetti

Domani non sarò a Cargnacco come tante altre volte gli anni scorsi... ho quindi deciso di "andare a trovare" uno dei tanti caduti di Russia.

Ho trovato anni fa per caso la tomba del Capitano Albisetti quando mi recai a visitare il Sacrario dei Paracadutisti di Tradate; non conoscevo nulla di questo caduto, ma mi aveva colpito il fatto che fosse uno dei purtroppo pochi "rientrati" tanti anni dopo la fine della guerra.

Dorligo Albisetti (8/12/1912 - 11/12/1942), comandante della 112ª Compagnia del battaglione “Val Chiese” (6º Reggimento Alpini - Divisione “Tridentina”) cadde in Russia nel dicembre del 1942 dopo aver meritato la medaglia d’argento al Valor Militare durante la battaglia di Kotowsky (settembre 1942), a cui partecipò, nei ranghi del Battaglione “Vestone” (lo stesso di Mario Rigoni Stern), anche un giovane sottotenente, Raffaele Pansini, destinato a divenire un illustre clinico nonché preside dalla Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università ferrarese. Pansini avrebbe poi descritto in maniera particolareggiata il combattimento nel suo libro “Martino e le stelle- Storie di uomini e di penne d’aquila” (Grafiche Zanini, Bologna, 2002).

Come dice la motivazione della medaglia, Albisetti “caduto il comandante di una compagnia fucilieri con la quale si trovava a cooperare, ne assunse il comando, riuscendo a raggiungere le ultime difese nemiche, dopo aver espugnato numerose posizioni”. E il capitano Biagio Festini, suo commilitone, nel secondo volume di “Fronte russo: c’ero anch’io” (Mursia, 1983), curato da Giulio Bedeschi - indimenticato autore di “Centomila gavette di ghiaccio”- lo definisce «valido ufficiale, solidamente tempratosi nella campagna d’Albania».





Aggiornamenti 2021

Quasi certamente anche quest'anno il previsto trekking invernale lungo il percorso della ritirata della Divisione Tridentina dal Don a Nikolajewka non verrà effettuato; l'attuale situazione internazionale legata alla diffusione del virus Covid impedisce al momento di potersi recare nella Federazione Russa per motivi di turismo.

Attualmente la Farnesina ha inserito la Federazione Russa nei paesi dell'elenco "E" per i quali vige la seguente normativa:

SPOSTAMENTI VERSO PAESI DELL’ELENCO E – FINO AL 25 OTTOBRE 2021

In base all’Ordinanza 29 luglio 2021, prorogata fino al 25 ottobre con Ordinanza 28 agosto 2021, gli spostamenti dall’Italia verso tutti i Paesi dell’elenco E sono consentiti solo in presenza di precise motivazioni: lavoro; motivi di salute; motivi di studio; assoluta urgenza; rientro presso il domicilio, l’abitazione o la residenza propri o di persona, anche non convivente, con cui vi sia una relazione affettiva stabile e comprovata. Non sono quindi consentiti spostamenti per turismo verso Paesi dell’elenco E.

Dubito che con l'approssimarsi dell'inverno la situazione possa migliorare, anzi... se mai dovesse cambiare in tempo utile ne darò notizia. Al momento in ogni caso i posti a disposizione sarebbero pochissimi, in quanto diverse persone si sono già prenotate.

Se questo trekking invernale non si farà, sarò costretto a rimandare tutto ancora di un anno, esattamente a gennaio 2023, 80° anniversario della ritirata di Russia, quella più famosa ma non l'unica considerando che esattamente un mese prima, furono le divisioni di fanteria a sganciarsi dal Don direzione ovest o sud-ovest in cerca della salvezza.

Anche se a tale data, oggi, manca oltre un anno, e considerando il particolare anniversario, consiglio di opzionare senza impegno un posto, in modo da avere la possibilità di partecipare. Per poterlo fare è sufficiente scrivermi e fare presente il desiderio di essere inclusi nella lista in definizione. I miei riferimenti sono tutti presenti su questa pagina.

Ricordo che questa iniziativa, come altre in fase di definizione, è possibile grazie all'Associazione Culturale "Sulle orme della Storia".

venerdì 17 settembre 2021

Woroschilowa, parte 1

Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".

Woroschilowa: un buco senza speranza, di Giulio Ricchezza - prima parte.

"Son passati tanti anni da allora, ed entrar adesso nei particolari è abbastanza difficile: comunque la sostanza dei fatti è grosso modo questa: dopo la famosa battaglia di Natale, la Celere, e in particolare il 3° Reggimento bersaglieri, era davvero ridotta a quattro gatti...". È il racconto di un reduce, una lunga narrazione che abbiamo registrato su nastro e poi trascritta sintetizzandola; è la cronaca minuta di un'amara sconfitta, di una battaglia che ha nome Woroschilowa, combattuta e persa il 25 gennaio 1942...

"Davanti a noi" si ode dal magnetofono - il nastro continua a girare, la voce del reduce racconta piana, pacata, come se quei ricordi si fossero, nel frattempo, decantati "... davanti a noi c’era quota 331, quota Trucchi, così chiamata dal nome di un valoroso che vi si era imolato; essa si elevava, a circa tre o quattro chilometri di distanza, in linea d'aria intendo; ma era una quota per modo di dire; era insomma un semplice rilievo del terreno che faceva contrasto con il piatto del paesaggio circostante: una cosa ridicola, in altre parole: eppure serviva ai reparti tedeschi per dominare la zona antistante, per poter controllare ciò che avveniva nella piana. Starvi sopra era praticamente impossibile, però; infatti, era sottoposta a un fuoco continuo da parte avversaria e non offriva nessun appiglio: non c'era un ricovero, un rudere, che so, una pianta: niente di niente.

Eppure i Tedeschi, cocciuti come sempre, volevano tenerla ad ogni costo; da lì avevano intenzione di dilagare ai lati creando insomma una specie di baluardo che proteggesse il retro del fronte. Ma questo fronte non era un fronte: voglio dire che si combatteva dappertutto e che dovunque, in qualunque settore dello schieramento, o anche nelle sue retrovie, poteva sorgere, all'improvviso, il combattimento: potevano essere dei partigiani, o degli irregolari, potevano essere perfino gli stessi contadini, o le milizie locali inquadrate dai Tedeschi, che mostravano ad un tratto il loro vero volto, che brandivano le armi contro di noi o contro i nostri alleati del momento. Ecco, io quello che ricordo soprattutto della Russia è questo: il senso di panico, l'incertezza quotidiana che prendeva noi che si era in linea...".

Non erano solo loro, i bersaglieri, ad essere in linea, evidentemente; tutti quei luoghi all'intorno avevano visto impegnati a turno l'uno o l'altro dei reparti del CSIR e proprio lì, nella zona, c'erano i legionari della Tagliamento. Adesso, tanto per avere un quadro della situazione, provate a immaginare questa piana brulla di cui parla il reduce; laggiù, alle spalle, il villaggio di Michailowka con le case disposte lungo una sorta di tratturo che si diparte, al centro del paese, in tre tronconi: uno di questi, poco più di un sentierino, corre dritto verso nord salendo fino a quota 331 e scendendo poi, mantenendosi più o meno in linea retta, verso una balka. Al fondo di questa le case di Woroschilowa. Sulla sinistra, a ovest insomma, il villaggio di Nowo Orlowo; sulla destra, invece, un secondo villaggio, un poco più grosso del precedente, che ha nome Orlowo lwanowka; lontano, una quindicina e più di chilometri, Petropawlowka, e la linea ferroviaria serpeggiante, sempre verso nord, in direzione di Nikitino.

Gli avvallamenti del terreno non superano mai i trecento metri sul livello del mare; è quindi una vera e propria pianura appena appena ondulata, con qualche lieve depressione (le cosiddette balke). Ecco, qui, il paesaggio. Adesso, però, prima di affrontare la compiuta narrazione dei fatti, vediamo un po' il panorama degli avvenimenti; ma così, in generale, per sommi capi. Con l'arrivo del nuovo anno si era cercato di pompare linfa nuova nel CSIR; quest'ultimo era fortemente ridotto a causa delle perdite subite nei lunghi mesi del 1941.

Era stato perciò deciso di dare maggiore mobilità ai reparti e agli uomini, costituendo dei gruppi tattici più agili e manovrieri. Rimaneva naturalmente il solito problema di fondo, e cioè la cronica mancanza di armi e di equipaggiamenti sufficienti, aggravato per di più da tre grossi nodi rimasti ancora insoluti. Il primo era quello della sistemazione invernale, ancora da completare. Il secondo era l'impossibilità di ricostituire le dotazioni delle unità maggiormente provate; il terzo, infine, quello dell'avvicendamento dei reparti che erano in linea da troppo tempo.

Si tenta di affrontare i rigori dell'inverno trasformando le isbe superstiti dei villaggi in minuscoli ricoveri, sorta di microscopiche e sparpagliate caserme; i comunicati "ufficiali" definiscono questo provvedimento "appoggio di tutti i nuclei operativi e dei raggruppamenti tattici a villaggi"; frase alquanto tortuosa come si vede; non certo chiara. La sostanza è molto più modesta: non esiste niente in Russia, in quella piatta Ucraina, se non il villaggio, l'agglomerato di case lungo il sentiero o lo stradone in terra battuta coperto ora di neve ghiacciata. Qui è l'unico punto in cui si possa stare; lontani di lì si muore: di freddo, di stenti, di fame perfino; perché il gelo rende il pane duro come sasso, e anche la carne in gelatina, dell'immancabile scatoletta, è come pietrificata.

Per il secondo punto, quello delle dotazioni, Messe, il comandante del CSIR, ha già parlato con i Tedeschi: ha detto loro chiaro e tondo che il coraggio individuale non serve a niente, anzi a meno di niente quando mancano i viveri e le munizioni. Pensare di sostituire gli uomini rimasti per sempre in terra ucraina, falciati dal nemico, è un'impresa ardua se si considera che ci vuole un mese per far giungere dall'Italia altri soldati. Il viaggio dalla madrepatria, per di più, a causa dell’intasamento delle scarse linee ferroviarie e della mancanza di trasporti, si svolge in condizioni così precarie che il 90% degli uomini arriva al fronte russo stanco e segnato dalle fatiche.

Neppure sette giorni dopo, congedatosi bruscamente dai Tedeschi, Messe scrive al Comando Supremo queste parole secche secche: "... mancata sostituzione 3a Celere, veramente logora, stremata energie, condizioni igieniche et menomazione efficienza materiale, rende precaria capacità resistenza ulteriori attacchi in forze". La Celere rimane uno dei principali cardini del CSIR, la cui costituzione, all'inizio del 1942, è la seguente: il comando si trova sempre a Jassinowataja; la divisione Pasubio è schierata in un settore alquanto ampio, che arriva sino al fiume Bulawin (è sufficiente dare un'occhiata anche di sfuggita a una qualunque carta della zona per sincerarsene); la divisione Torino (quella rimasta celebre per aver percorso millecinquecento chilometri a piedi da Falticeni al Don, quella che in altre parole passerà alla storia per aver attraversato tutta l'Ucraina sul cavallo di San Francesco - Falticeni è in Romania) la divisione Torino, dicevamo, se ne sta dalle parti di Rikowo; la nostra divisione Celere - i cui uomini sono i protagonisti dell'episodio che dobbiamo narrarvi - si trova come punto base in quel di Rassipnaja. Rimane la Tagliamento: i legionari si trovano a Woroschilowa.

Potremmo anche far punto qui e passare alla cronaca dei fatti, ma vogliamo aggiungere due piccole precisazioni; le parole di Messe che abbiamo testé citato acquistano un significato di monito e, vorremmo dire, anche di presagio se si pensa alla dispersione delle forze italiane su un fronte troppo ampio. La seconda è questa: lo stato maggiore tedesco ha insegnato al mondo in guerra che tutto quello che è stato fino a quel momento detto nelle scuole di applicazione d'arma va, più o meno, gettato nella spazzatura; la seconda guerra mondiale non si combatte con l'ausilio delle carte illustranti le battaglie della prima. Le puntate offensive - dice la nuova scuola di guerra tedesca - vanno effettuale coi corazzati appoggiati dall'aviazione.

Dietro i carri deve però venire la fanteria con il compito di demolire le ultime resistenze e ripulire le sacche create dalla penetrazione delle colonne corazzate. I Russi hanno subito imparato la lezione; hanno creato i cosiddetti desantji cioè unità composte da carri armati che trasportano, appollaiati dietro le torrette, soldati armati di parabellum. Al momento dell'impatto con il nemico i fanti balzano dai carri e impegnano i difensori in un serrato combattimento individuale, mentre i carri provvedono a demolire le postazioni d'artiglieria e i nidi di mitragliatrice. Proprio i desantji avranno ragione del fronte creato dagli Italiani in Russia, sfondandolo sulla linea del Don; questo avverrà beninteso più tardi, circa un anno dopo il fatto che adesso è giunto, davvero, il momento di raccontare.

Cargnacco 2021

Domenica 19 Settembre 2021 - GIORNATA NAZIONALE DEL CADUTO E DISPERSO IN RUSSIA.

Come ogni terza domenica di settembre anche quest'anno si svolgerà la Tempio-Sacrario di Cargnacco (Udine) la cerimonia in ricordo di tutti i caduti e dispersi della Campagna di Russia.

Leggo che Mattarella è stato formalmente invitato a partecipare; sarebbe il primo presidente a farlo in forma ufficiale; solo Cossiga lo fece anni fa ma in forma privata. Mi chiedo... in tutti questi anni non un presidente ha sentito il bisogno di esserci, di presenziare, non solo per i caduti e i dispersi di quella tragica campagna, ma anche e soprattutto per i parenti di quei sfortunati ragazzi. Per dare un segnale, per dire che almeno un giorno all'anno, anche solo per qualche ora, il più importante rappresentante di questo stato si è ricordato del loro sacrificio.

Mattarella sarà a Rivolto per il 60° anniversario delle nostre Frecce Tricolori; senza dubbio un evento importante, ma... più importante del ricordare migliaia di ragazzi mai tornati? Solo 20 km separano la base di Rivolto al Tempio-Sacrario di Cargnacco...

Di seguito il programma della cerimonia:
h 09:30 Raduno partecipanti
h 10:00 Afflusso autorità e invitati
h 10:30 Schieramento reparti - A seguire: ingresso gonfaloni, Medagliere Nazionale U.N.I.R.R., labaro Famiglie Caduti e Dispersi in Guerra e bandiere
h 10:45 Alzabandiera - A seguire: onori ai Caduti - Deposizione corona di alloro Trasferimento all'interno del Tempio-Sacrario
h 10:55 Allocuzioni Presidente Nazionale U.N.I.R.R. e autorità
h 11:00 S. Messa in memoria dei Caduti e dei Dispersi
h 12:30 Onori ad un Soldato Ignoto di Russia e omaggio floreale al sacello di Mons. Carlo Caneva

mercoledì 15 settembre 2021