domenica 12 dicembre 2021

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 16

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - La battaglia di Chazepetowka (Le operazioni dal 7 al 14 dicembre 1941).

Il viaggio del 2011, Nikitowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... arrivo a Nikitowka.



Rapporto sui prigionieri, parte 9

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

LA GRANDE FAME.

La causa prima, quella che in assoluto ha la maggior responsabilità nel grande genocidio dei prigionieri in mano ai russi è stata la totale assenza di alimentazione nella prima settimana della cattura, la distribuzione molto saltuaria del vitto esclusivamente freddo (pane e pesce crudo) durante le marce ed i trasporti in ferrovia, per continuare con risibili razioni di vitto a scarsissimo contenuto energetico per circa altri tre mesi. Questo in pieno inverno russo e per individui costretti a vivere e dormire pressoché all'aperto. E' stato il digiuno che ha fiaccato i più deboli impedendo loro di sostenere il ritmo e la lunghezza delle marce del davaj e di resistere alla morsa del gelo nelle notti all'addiaccio. E' stato il digiuno a diminuire le difese dell'organismo ed a facilitare congelamenti. Si devono imputare all'estremo stato di denutrizione, il propagarsi fulmineo delle epidemie di tifo e di dissenteria ed il loro immancabile esito letale. Fu la fame a condurre alcuni disgraziati a nutrirsi di carne umana.

Il pane che veniva distribuito era nero, mal cotto, acido ed in quantità tale - una fetta larga e spessa quanto il palmo di una mano - da non permettere certo la sopravvivenza in quelle condizioni. Durante le marce, tutti tentarono, con alterne fortune, di arrangiarsi: frugando nei rifiuti, mangiando carcasse di muli, rubando nei villaggi; la popolazione, se poteva, dava l'elemosina di qualche patata, ma questi bocconi clandestini non potevano bilanciare le energie e le calorie consumate nelle marce e nel gelo. Quando, nei campi di smistamento si iniziò a distribuire una zuppa calda - un mestolo al giorno! - essa consisteva in un liquido in cui erano immersi brandelli di cavolo o di patate o chicchi di grano, interi e cotti sufficientemente. Un liquido senza l'ombra di condimenti e senza sale.

In un registro dei decessi del lager 1773 - Bistriaghi nella regione di Kirov - potuto consultare da incaricati di ONORCADUTI negli Archivi di Stato di Mosca, accanto al nome ed alla data di morte del prigioniero vi è indicata la causa del decesso. Ebbene nei mesi di marzo e aprile 1943 per centinaia e centinaia di casi, monotona, vi è l'annotazione: distrofia di II° grado, che nella terminologia medica russa significa denutrizione. Tutti i prigionieri che riuscirono a sopravvivere ed a raggiungere campi più organizzati, erano ridotti a scheletri, avevano perso la metà del loro peso. Tutti i rimpatriati tuttora viventi potranno testimoniale che le raccapriccianti riprese televisive che mostrano lo stato di denutrizione di alcune popolazioni del terzo mondo, possono rappresentare lo stato dei loro corpi alla fine di quel tragico periodo. ln seguito il vitto migliorò e le razioni, integrate dai supplementi di pane o zuppa, guadagnati con il lavoro, divennero meno magre. Tuttavia il nutrimento rimase ancora al di sotto di un livello che consentisse il ricupero delle energie in tempi ragionevoli e la fame rimase una costante nella vita del prigioniero per altri due anni.

Le fotografie di Mario Bagnasco, 08

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Finalmente anche per noi la grande giornata".

sabato 11 dicembre 2021

11 dicembre 1942

Da "Le operazioni delle unità italiane al fronte russo (1941-1943)" - 11 DICEMBRE 1942.

Fronte del II Corpo d'Armata - Divisione Ravenna.

Alle prime luci del mattino, in una balka scendente al Don presso Krasno Orekovo (lato occidentale dell'ansa di Verhnij Mamon), veniva notato un rilevante movimento di forze nemiche, indicante la preparazione di un attacco. Alle 6.40 l'aviazione sovietica interveniva contro i caposaldi del 38° fanteria dislocati in quella zona, che venivano subito attaccati, si di un fronte di circa due chilometri, da due battaglioni del 604° fucilieri (195a Divisione). Altro contemporaneo attacco era condotto da un battaglione del 128° fucilieri (44a Divisione Guardie) contro la quota 218.0 (lato orientale dell'ansa), mentre un battaglione del 412° fucilieri (1a Divisione) passava il Don in corrispondenza della piana di Svinjuka.

Alle ore 8.30, su richiesta del Comando del II Corpo, una formazione di otto aerei tedeschi mitragliava e bombardava gli attaccanti, ripetendo l'azione alle 10.30. Non appena di era delineato l'attacco sul fronte della Ravenna, fatto con un prudente calcolo delle forze che si presumeva il nemico potesse impiegare nello sviluppo dell'azione, il Comandante del II Corpo d'Armata aveva valutato la pesantezza del compito da assolvere. Egli proponeva, perciò, al Comando dell'Armata che dal fronte del Corpo d'Armata Alpino fosse effettuata una puntata di alleggerimento, avente come base di partenza la zona tra Staro Kalitva e Novo Kalitva, per tendere al rovescio di Gorohovka. L'artiglieria della Cosseria, schierata a fronte nord, avrebbe potuto prestare efficace concorso.

Il Comandante dell'Armata, pure valutando la proposta atta a conferire carattere di manovra alla difesa, non l'accoglieva in considerazione anche della consistenza delle forze nemiche contrapposte (dotate di riserve pronte ad ostacolare ogni iniziativa avversaria), dell'indisponibilità di reparti italiani e dell'insufficienza di tempo per organizzare l'operazione. Nelle ore pomeridiane il nemico tentava l'aggiramento del paese di Krasno Orekovo e continuava ad attaccare il caposaldo di quota 218.0, mantenendo la minaccia sulla piana di Svinjuka. La riserva divisionale di due battaglioni, non completi, era stata interamente impiegata. Il Comandante del Corpo d'Armata assegnava alla Ravenna, in temporanea rinforzo, i due gruppi tattici Valle Scrivia, perché fossero impiegati il I in zona di Krasno Orekovo, il II in zona di quota 217.6 ed il Leonessa II su Svinjuka, raccomandandone il pronto ricupero dopo l'azione.

Il Comando d'Armata non poteva accedere alla richiesta di spostamento in avanti della 27a Divisione corazzata, mentre accoglieva quella di spostare ad est elementi della 385a Divisione nelle retrovie della Cosseria, per sostituirvi il gruppo Leonessa II. Le perdite della Divisione erano state di 50 morti (6 ufficiali), 175 feriti (11 ufficiali), 126 dispersi (4 ufficiali). I dispersi erano da considerare per la maggior parte caduti. Le perdite del nemico erano state ingenti. Prigionieri russi catturati dalla contigua 298a Divisione tedesca avevano rivelato che alcune compagnie della 1a Divisione erano ridotte ad una decina d'uomini. La Divisione Cosseria non era stata direttamente attaccata, ma le sue artiglierie ed i mortai avevano prestato il loro concorso alle azioni della Ravenna.

FRONTE del XXXV Corpo d'Armata CSIR - Divisione Pasubio.

Gli attacchi della 38a Divisione Guardie venivano ripresi con due battaglioni presso Ogalev, contro il I/79°, subito estesi a tutto il fronte dell'ansa, tenuto dallo stesso reggimento. L'impiego del gruppo CC.NN. Tagliamento e del XXX battaglione del gruppo Montebello determinava entro la giornata il ristabilimento della situazione. La Divisione aveva ricevuto in rinforzo 10 cannoni controcarro tedeschi da 75 mm, 1 pezzo controaereo da 88 mm e 2 pezzi da 20 mm pure tedeschi.

Questa la cruda cronaca... esattamente 79 anni fa nello stesso momento in cui scrivo questo post i nostri soldati probabilmente tiravano il fiato dopo una giornata di combattimenti, senza sapere esattamente cosa ancora avrebbero dovuto sopportare nei giorni a venire, fra morte, fame e freddo. Era l'inizio della fine per l'Armata Italiana in Russia. Nei miei precedenti sei viaggi in Russia, con umiltà, ho voluto vedere per cercare di capire. Volevo vedere quei posti e volevo vederli d'inverno quando le condizioni climatiche erano le più possibili simili a quelle in cui si trovarono i nostri soldati durante le fasi più critiche dalla Campagna di Russia. Non sono ancora stato nella zona dell'ansa di Verhnij Mamon (se questa estate sarà possibile viaggiare andrò sicuramente a visitarla insieme a chi vorrà venire con me), ma sono stato due volte dov'era schierata la Pasubio, la Tagliamento e la Montebello presso l'ansa del "cappello frigio"; ho visto i resti di Ogalev, ormai sparita totalmente e ho visitato le nostre postazioni dalle quali partivano gli attacchi per riconquistare una posizione persa in precedenza. Ho visto tutto questo d'estate dove tutto sembra essere più sopportabile... ma in quei viaggi ho compreso meglio le sensazioni che devono avere vissuto i nostri soldati, in particolare quella che definisco l'angoscia del nulla, il nulla intorno a te.

Ho scelto per questo post, che vuole solo ricordarli tutti in modo particolare da oggi fino agli ultimi giorni di gennaio, una fotografia scattata si d'inverno ma nella zona della ritirata degli Alpini; è una fotografia che "racconta" di serenità, scattata in uno dei più bei giorni che ho trascorso in Russia. Ho scelto questa fotografia perché voglio ricordare tutti i nostri soldati nel modo migliore possibile e vorrei che voi che leggerete queste righe e avete perso un padre, un nonno, uno zio in Russia potete pensare a lui con queste parole di Mario Rigoni Stern: "... ma ora so che laggiù, quello tra il Donetz e il Don, è diventato il posto più tranquillo del mondo. C’è una grande pace, un grande silenzio, un’infinita dolcezza. La finestra della mia stanza inquadra boschi e montagne, ma lontano, oltre le Alpi, le pianure, i grandi fiumi, vedo sempre quei villaggi e quelle pianure dove dormono nella loro pace i nostri compagni che non sono tornati a baita".

mercoledì 8 dicembre 2021

Il viaggio del 2011, Garbusowo

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... Garbusowo e la steppa circostante.





Rapporto sui prigionieri, parte 8

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I CAMPI DI SMISTAMENTO.

Finiti i trasporti in treno, i sopravvissuti si illusero che il peggio fosse passato. Nella mente dei prigionieri, campo di concentramento voleva dire baracche, dormire finalmente al caldo, mangiare regolarmente, potersi finalmente lavare e sbarbare. Li attendeva una tremenda, tragica realtà. I dieci, quindici giorni di treno non li avevano portati molto lontano: furono scaricati nella provincia di Voronesc - non più di 200 km a nord di quello che era stato il fronte dell'ARMIR - in lager che rimarranno nella storia della prigionia in Russia, una ignominia incancellabile. Erano quelli di Khrinovoje, di Tambov e di Miciurinsk.

Khrinovoje o Krinovaja come è stata ricordata da tutti quelli che vi sono stati, era una vecchia, cadente caserma della cavalleria cosacca zarista. I prigionieri vennero ammassati nelle scuderie, senza porte né vetri alle finestre, costretti a dormire sul nudo pavimento. Il lager di Tambov si trovava in un bosco diviso in più sezioni; i prigionieri erano sistemati in rudimentali ricoveri interrati che avevano all'interno delle incastellature per dormire fatte di radi rami contorti, naturalmente non esistevano pagliericci e coperte. A Miciurinsk - veramente il campo si trovava a Uciostoje, una trentina di km a nord di detta città - il campo era ugualmente situato in un bosco, con ricoveri interrati che all'interno non avevano assolutamente nulla; i prigionieri dormivano sulla terra gelata. Nei suddetti campi non esisteva nessuna organizzazione materiale, anche la più logica ed indispensabile. La distribuzione del vitto era fatta a casaccio ogni tre o quattro giorni ed in misura assolutamente insufficiente.

Le rare distribuzioni consistevano in una fetta di pessimo pane ed un mestolo di brodaglia senza nessuna sostanza. Moltissimi che erano riusciti a sopportare i disagi ed i digiuni delle marce e dei trasporti in treno, erano arrivati al limite della loro resistenza fisica ed il cedimento avvenne improvviso: a centinaia ogni giorno si spegnevano per inedia. Inoltre, l'inesistenza di qualsiasi assistenza medica, rendeva letali congelamenti di primo grado, ferite non gravi, enteriti ricuperabili. Infine, l'assoluta mancanza d'igiene - in quei campi non esistevano latrine, non c'era acqua per potersi lavare, si dissetavano con neve sporca, gli uomini indossavano indumenti luridi, pieni di pidocchi - fu il naturale focolaio dell'epidemia di tipo petecchiale che sarebbe esplosa qualche settimana più tardi e che, su individui indeboliti e denutriti, avrebbe avuto effetti devastanti.

La vita in quei campi fu resa ancora più difficile dalla mancanza di solidarietà, anzi, dal manifestarsi sempre più violento dell'egoismo e della lotta per la sopravvivenza. Procurarsi da mangiare era diventato un imperativo e tutti i mezzi erano buoni: la frode, l'astuzia, la violenza, financo il delitto. Per molti si aggiunse la pazzia, perché solo lo smarrimento totale può portare l'individuo a cibarsi della carne di cadavere. Qualsiasi altra nota su questi campi non riuscirebbe a descrivere quello che vi avvenne...

Le fotografie di Mario Bagnasco, 07

Le fotografie di Mario Bagnasco, Primo Capo Squadra o Capo Squadra della Legione CC.NN. "Valle Scrivia".

"Nostre salmerie in attesa del passaggio del Donetz".

Racconti di Russia, nella piana di Opyt

Un'altra testimonianza tratta dal libro "Nikolajewka: c'ero anche io" a cura di Giulio Bedeschi. Capitano Luigi Collo, II Battaglione Misto Genio, 6° Reggimento Alpini.

Il 20 Gennaio 1943 la Divisione Tridentina ha lasciato da tre giorni le sue postazioni sul Don per tentare di aprirsi una strada attraverso i paesi già occupati alle sue spalle dai russi, e il II Battaglione Genio Alpino è arrivato la sera precedente nella piana di Opyt con la colonna del 6° Alpini. Ordini e contrordini si sono susseguiti nella notte per assegnare un compito operativo a questo reparto che si è trasformato in reparto di prima linea. Me ne è stato assegnato il comando e con me sono venti tenenti e sottotenenti che hanno fede in questi ragazzi che non hanno avuto alcuna esitazione ad abbandonare i propri attrezzi tecnici per impugnare il moschetto.

Il nemico non è riuscito a mantenere il contatto con la nostra retroguardia ma la situazione è molto incerta. [..] Alle sette del mattino la colonna che procede in silenzio è in fondo alla piana di Opyt e sta filtrando tra una massa di slittoni ungheresi in sosta. Le armi pesanti sono state caricate su slitte e avvolte in coperte per proteggerle dal gelo e consentirne l'impiego quando il reparto avrà raggiunto il 6° Alpini.

All'improvviso, quando i primi uomini sono usciti dal groviglio delle slitte ungheresi, si scatena sul reparto un fuoco d'inferno. Cannoni e mortai hanno aggiustato il tiro sulla nostra colonna e non è subito chiaro da dove provenga il fuoco; un attimo di incertezza coglie il reparto che è scaglionato su notevole profondità e non ha possibilità di schierarsi perché invischiato in mezzo ai reparti ungheresi. Ma la situazione si chiarisce subito; alle spalle dei genieri, dalle posizioni appena lasciate, escono dalla bruma che riduce il campo visivo 12 carri T34 scortati da ingenti forze di fanteria sovietica.

Il fuoco che si scatena sul reparto è micidiale e gli ungheresi che sono attorno a noi, buttando le armi e arrendendosi al nemico, ritardano il nostro movimento e la nostra reazione, e le perdite sono gravissime da parte nostra. Ma non è dell'insieme di questa azione, condotta in modo brillante da tutti i genieri del II battaglione che riuscirono a fermare a Opyt le avanguardie russe, che voglio parlare; ma del comportamento di alcuni valorosi genieri dal cui sacrificio è dipeso il risultato del combattimento. Siamo ancora al momento della sorpresa iniziale. Le armi pesanti del reparto sono caricate sulle slitte e non è facile raggiungerle in mezzo al caos creato dalle slitte ungheresi. La loro utilizzazione è però indispensabile per contrapporre alle armi del nemico la loro massa di fuoco, e i due mitraglieri della compagnia trasmissioni, caporale Caregnato e geniere Ragazzoni non hanno un attimo di esitazione.

Mentre il tenente Fabiani con il suo plotone che dispone di pochi mitragliatori, si schiera a ridosso delle slitte ungheresi, in un'impresa che non ha alcuna possibilità di scampo Ragazzoni e Caregnato buttano il pesante cappotto e si slanciano di corsa verso le salmerie che più indietro arrancano faticosamente tra le slitte ungheresi. In pochi istanti le loro armi sono scaricate e vengono piazzate in un punto dominante; i conducenti stessi animati dal loro esempio li aiutano a portare le cassette di munizioni.

Mentre il grosso del reparto pur subendo gravi perdite riesce a sottrarsi all'incalzare dei russi e a schierarsi a difesa in posizione favorevole, i due mitraglieri rimangono al loro posto e con il tiro rabbioso delle loro armi seminano la morte tra le file dei russi che avanzano. Nessuno potrà fermare questi due magnifici soldati; solo il destino che, purtroppo, per loro è già segnato. Caregnato è il primo a cadere, colpito da una scheggia di mortaio e si accascia sull'arma rovente mentre Ragazzoni spara ancora. Intorno a lui molti russi cadono e pare che il loro fuoco non possa nulla contro questo magnifico soldato. Infine è un T34 che si profila davanti alla sua arma; ma Ragazzoni non desiste e non cerca scampo; sul carro numerosi tiratori russi sparano su di lui e sul reparto ancora in movimento ma Ragazzoni impavido li abbatte; poi cerca ancora di opporsi al carro e rabbiosamente spara contro i cingoli e contro la massa d'acciaio che incombe su di lui. Non può far nulla contro il mezzo corazzato, ma il geniere non si arrende. Fino a quando il carro non lo travolge, Angelo Ragazzoni non cessa di sparare; la sua forza, il suo coraggio e il suo eroismo nulla hanno potuto contro la massa d'acciaio.

RICCARDO

La fotografia è stata scattata nel 2013 in quella che fu la piana di Opyt dove si verificarono gli episodi descritti nel testo.

Bassil'ora per Natale

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