mercoledì 15 settembre 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 4

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I PRIGIONIERI.

Ufficialmente, fino al 1990, l'URSS non aveva mai comunicato il numero dei prigionieri italiani catturati, ne tanto meno i loro nomi. Esistevano, tuttavia, dati di fonte russa divulgati dalla radio e dalla stampa sovietiche. Palmiro Togliatti, che in quell'epoca curava una trasmissione in lingua italiana da Radio Mosca con lo pseudonimo di Ercole Ercoli, in tre successivi interventi diede notizie sul numero degli italiani catturati dall'esercito sovietico. II 5 marzo del 1943 annunciò che essi erano 40 mila, che divennero 73 mila in una trasmissione successiva del 14 marzo e poi salire a 115 mila il 19 dello stesso mese.

Altra fonte russa è il giornale "L'ALBA", stampato a Mosca per i nostri prigionieri. La redazione era curata da un gruppo di emigrati comunisti italiani coordinati da Robotti e D'Onofrio. Il primo numero del giornale, in data 10 febbraio 1943, informava: "... dal 16 al 30 dicembre 1942, le Divisioni "Cosseria", "Pasubio", "Torino", "Sforzesca" e "Celere" furono disfatte. Più di 50 mila ufficiali e soldati italiani vennero fatti prigionieri. Nel gennaio le Divisioni "Julia", "Tridentina" e "Cuneense", la 156a Divisione di Fanteria [la Divisione "Vicenza" - n.d.r.] sono stare a loro volta disfatte sul fronte di Voronez ed altri 33 mila soldati ed ufficiali sono stati fatti prigionieri.....". Nel secondo numero dello stesso giornale, in data 20 febbraio, si leggeva: "... circa 50 mila soldati italiani sono morti Russia e quasi 80 mila sono prigionieri dell'Unione Sovietica...".

Un capitano russo, nel luglio del 1945, dichiarò al generale Geloso, "liberato" dall'Armata Rossa da un lager tedesco, che il numero dei prigionieri italiani catturati durante la campagna ammontava a circa 60/80 mila, ma che al momento erano ridotti a 20 mila. In questo balletto di cifre era problematico sapere quale fosse veramente il numero dei nostri prigionieri. Probabilmente, un primo approssimativo conteggio venne fatto quando le colonne - di solito formate da mille prigionieri - attraversarono il Don, ma numerosi prigionieri vennero rastrellati e recuperati anche molto tempo dopo.

I russi, in un primo tempo, non si preoccuparono di redigere liste nominative: soldati ed ufficiali, italiani e tedeschi e ungheresi, tutti mescolati erano solo dei numeri, delle entità che venivano contate e basta. Solo in seguito, quando i prigionieri vennero introdotti nei campi, furono rilevati i dati personali di ogni singolo individuo; tuttavia ciò non si verificò in tutti i campi oppure non regolarmente tutti i trasporti che vi affluivano. Di conseguenza, moltissimi prigionieri che erano morti durante i trasferimenti a piedi e poi in ferrovia, non poterono essere censiti ed è impossibile conoscere il loro numero e, tanto meno, la loro identità se non per qualche caso, grazie alla testimonianza dei sopravvissuti.

Un primo debole squarcio nel buio fitto che circondava la sorte dei nostri soldati, si ebbe quando Radio Mosca, alla fine della trasmissione giornaliera curata da Togliatti, cominciò a dare un breve elenco di nomi di prigionieri che, secondo l'annunciatore, stavano bene e salutavano le famiglie. Queste trasmissioni erano captate dalla Radio Vaticana che si premurava di darne notizia alle famiglie. La quantità dei nominativi segnalati (circa un migliaio nel corso di un anno) era insignificante rispetto alla massa degli assenti e diede più preoccupazioni che speranze. Arrivarono un centinaio di cartoline, spedite nel marzo del 1943 dal campo 188 di Tambov, ma quasi tutti quelli che le avevano scritte erano morti nel frattempo ed i russi non ripeterono l'esperimento. Questi, fino al 1945, furono gli unici canali, oltre tutto non ufficiali, attraverso i quali, in Italia, si ebbero notizie sui nostri prigionieri.

Nell'autunno del 1945, l'URSS restituì i soldati italiani prigionieri sul suo territorio e nel luglio del 1946 fece rimpatriare gli ufficiali. In totale, rimandava a casa 21.122 militari e dichiarava che in Russia non rimaneva nessun altro prigioniero, salvo 28 casi per i quali erano in corso provvedimenti giudiziari. Tale perentoria dichiarazione produsse nell'opinione pubblica un comprensibile choc, ma lo sbalordimento fu completo quando fu appurato che la metà dei rimpatriati non era stata catturata dai russi sul Don, cioè non apparteneva all'ARMIR.

Si trattava, infatti, di militari italiani sorpresi dai tedeschi l'otto settembre in Italia, in Jugoslavia, in Grecia o nelle Isole dell'Egeo ed internati nei lager nazisti: l'esercito sovietico li aveva "liberati" tra la fine del 1944 ed i primi mesi del 1945. Anziché mandarli in Italia (che era diventata cobelligerante degli alleati e quindi anche dei russi) furono rinchiusi nei lager sovietici e rimpatriati assieme ai soldati dell'ARMIR dopo dodici mesi dalla loro "liberazione". Che ritornassero appena diecimila uomini dell'ARMIR rispetto agli 85 mila che ufficialmente mancavano (oggi si è riscontrato che erano 95.000), destò l'assoluta incredulità dell'affermazione russa che in Russia non vi fosse più nessun italiano. Per chi non sapeva come erano andate le cose, era qualcosa di inconcepibile: veniva restituito poco più del 10% degli italiani che gli stessi russi avevano dichiarato di aver catturato.

La cosa sembrava tanto più inverosimile se si faceva il confronto con i prigionieri restituiti dalle altre nazioni. Inglesi, americani e francesi avevano catturato 614 mila uomini ne restituirono 607 mila (99%). Dei settemila mancanti, tremila erano rimasti in loco di loro volontà e quattromila erano morti, ma le famiglie erano state immediatamente informate. In Germania dopo l'otto settembre, erano stati internati 642 mila militari italiani, ne sono rimpatriati 606 mila cioè il 94%. Dalla Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Grecia, Svizzera veniva restituito il 91% degli uomini nelle loro mani. Nelle famiglie degli assenti vi era la convinzione che moltissimi soldati si fossero creata una famiglia russa ed avessero rinunciato al rientro in patria. Tale ipotesi era abilmente sostenuta dagli ambienti filorussi, ma simile evenienza - che i reduci considerano estremamente remota per i motivi che saranno chiariti più avanti - non poteva certo spiegare il mancato ritorno di decine di migliaia di prigionieri. Un'ipotesi opposta era formulata dagli ambienti anticomunisti: migliaia di italiani, come del resto è avvenuto per i prigionieri tedeschi e giapponesi, erano trattenuti quali schiavi nei campi di lavoro dell' "Arcipelago Gulag". I prigionieri reduci respingono anche questa possibilità.

Più o meno in buona fede, i comunisti ed i simpatizzanti della Russia di Stalin, che allora erano quasi la metà degli italiani, non potevano ammettere che le cose raccapriccianti raccontate dai reduci, fossero accadute nel paese da loro ritenuto il modello della società futura. Le polemiche sulla stampa delle due opposte tendenze, in particolar modo quella locale, divenne infuocata e la questione dei prigionieri fu strumentalizzata a scopo elettorale. Il passare degli anni non ha mutato molto queste posizioni, le ha solo attenuate. Una larga fascia di nostri giornalisti, sedicenti storici, intellettuali e commentatori televisivi ha continuato fino a ieri a metter l'accento sul disastro della ritirata, unica responsabile della morte di tutti i nostri soldati, ignorando volutamente ciò che era avvenuto in prigionia.

A questa distorsione dell'informazione ha contribuito la mancanza, nella pur vasta memorialistica sulla prigionia di Russia, di un libro valido stilisticamente e di effetto, che avesse successo editoriale, cosa che invece avevano trovato le vicende della ritirala degli alpini. Ne è derivato che la maggior parte degli italiani hanno, della tragedia di Russia, il concetto di una ecatombe dovuta al freddo ed alle battaglie, piuttosto del fatto più realistico - anche se meno glorioso e meno retorico - di decine di migliaia di soldati costretti ad arrendersi per poi morire nel modo più incivile in mano a chi li aveva catturati.

Ora gli stessi russi ci hanno consegnato i nomi di 50 mila prigionieri italiani dell'ARMIR e ci dicono anche che 40 mila sono morti nei loro campi, il che vuol dire che su cento, solo venti sono sopravvissuti. E sono cifre parziali, perché - come si è detto sopra - migliaia di prigionieri dell'ARMIR sono morti prima di arrivare ai campi e prima di essere censiti. Migliaia, che vanno ad accrescere il numero dei catturati e quello dei morti in prigionia. Sono quelli che furono sbrigativamente passati per le armi al momento della cattura, quelli che sono crollati per sfinimento o sono stati uccisi durante le marce di trasferimento verso le retrovie. Innumerevoli poi sono morti negli inumani trasporti ferroviari protrattisi per settimane. Infine migliaia di prigionieri morirono d'inedia, di dissenteria, di setticemia per i congelamenti o le ferite non curate, nei primi centri di smistamento, nei quali non si effettuava, inizialmente, alcuna identificazione. Da quanto si è detto, risulta chiaro che il numero dei prigionieri fu altissimo ed altrettanto imponente il numero dei morti in prigionia.

Oggi, in base ai più recenti elementi a nostra disposizione, si può formulare il seguente consuntivo. Dei 95 mila uomini assenti alla fine della ritirata: 25 mila sono morti nel corso della medesima, 70 mila sono stati catturati. Di questi ultimi: 60 mila sono morti in prigionia, cosi ripartiti: 38 mila censiti dai russi nei lager, 22 mila durante le marce, i trasporti ferroviari e non censiti nei primi mesi; 10 mila sono sopravvissuti e sono stati rimpatriati. Preme ora l'interrogativo del perché e del come sia avvenuta tale immane ecatombe.

giovedì 2 settembre 2021

Il processo D'Onofrio, parte 16

Il processo D'Onofrio, sedicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTOTTESIMA UDIENZA.

18 luglio 1949. - In una elegante rilegatura è apparsa sul tavolo dell’avv. Sotgiu, per la prima volta, una collezione completa del settimanale 'L’Alba' e il patrono di Parte Civile se ne è abbondantemente servito per dimostrare false le asserzioni del Pubblico Ministero, secondo il quale su quel foglio non trovavano ospitalità che espressioni del pensiero marxista e comunista.

Avv. Sotgiu: 'È vero che il settimanale era compilato da comunisti, ma ciò non toglie che esso fosse lo stesso 'una tribuna aperta a tutte le idee'. Che il giornale non fosse un organo della propaganda comunista sta poi a dimostrarlo il fatto che nella parte politica di esso voi non troverete mai un attacco al fascismo (perché i redattori sapevano bene che la maggior parte di quanti avevano la tessera non erano fascisti nell'animo) ma molti contro il nazismo. In compenso a quel settimanale collaboravano scrittori di tutte le tendenze politiche, vi si scrivevano articoli in cui si discutevano programmi e direttive di tutti i partiti democratici malgrado l'Italia non fosse stata ancora liberata. Al partito comunista veniva riservato lo stesso spazio eguale a quello riservato agli altri partiti.

Quindi non visioni particolaristiche in senso classista o marxista, ma unico scopo quello di preparare, attraverso la riconciliazione degli animi, quella unità morale degli italiani, indispensabile per affrontare la ricostruzione del Paese alla fine della guerra'.

Ricostruzione, si intende, a base di scioperi, agitazioni, prelevamenti e colpi alla nuca.

Avv. Sotgiu: 'Si è parlato di vita orribile nei campi di concentramento, ma basta sfogliare la collezione de 'L'Alba', per accorgersi della falsità di queste asserzioni. Infatti vi si trovano articoli e fotografie da cui è possibile avere conferma di cerimonie e di feste avvenute nei campi di prigionia. Appare per lo meno strano, dunque, quello che in udienza è stato raccontato dagli imputati e dai loro testi. E voi (puntando un dito accusatore verso il banco degli imputati) avete osato paragonare i campi di Tamboff, Krinovaia ed altri a quelli tedeschi di Mathausen e di Buchenwald? Vergognatevene. E ricordatevi che qualunque potrà essere la sentenza voi dovrete sempre rendere conto delle vostre false accuse alla civiltà di tutto il mondo'.

Avv. Sotgiu: 'Legga, il Tribunale, in Camera di Consiglio la rubrica 'La vita dei campi' alla quale collaboravano gli stessi prigionieri. In questa rubrica, il Tribunale troverà descritti gli svaghi, le provvidenze spirituali e morali che nei campi furono attuate in favore dei nostri prigionieri. Tra l'altro, il Tribunale apprenderà da questa interessante lettura, come cinque ufficiali italiani ebbero addirittura una licenza premio che trascorsero a Mosca. Nella rubrica che indico, questi ufficiali hanno lasciato scritto una descrizione delle meraviglie che videro in quella metropoli'.

L’avv. Sotgiu non spiega perché in Russia si danno licenze per ammirare le meraviglie di Mosca e non quelle d'Italia.

P.M.: 'Perché non ci dice pure che quei cinque ufficiali erano cinque attivisti?'.

L'interruzione, passata forse inosservata all’avv. Sotgiu nella foga oratoria, è stata raccolta a volo dall'avv. Paone il quale è scattato per protestare vivacemente e per rispondere al P. M. Al tentativo fatto dal Presidente di riportare la calma, l'avv. Paone ha replicato che ha creduto necessario intervenire perché il suo collega era stato interrotto.

P.M.: 'Egregio avvocato, io in quest’aula sono sempre presente, mentre lei, avendo già parlato, è scomparso'.

Ma non si è ancora spenta la eco di questo primo battibecco che subito ne sorge un secondo. Infatti l'avv. Sotgiu, proseguendo nell’esposizione della propria tesi, stava consigliando al Tribunale la lettura di una lettera del gen. Pasqualino, pubblicata da 'L'Alba', nella quale si elogia il servizio di assistenza sanitaria praticato nell’ospedale, assistenza di cui egli stesso ebbe occasione di fare esperienza, quando l'avv. Mastino Del Rio è intervenuto'.

Avv. Mastino del Rio: 'Perché non dite pure che il generale Pasqualino è tra i ventisette ufficiali che sono stati trattenuti in Russia?'.

Avv. Sotgiu: 'Vuol dire che il gen. Pasqualino non è stato trattenuto per ragioni politiche...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Diteci allora: perché la Russia non ce lo restituisce?'.

Ma quest’ultima domanda è rimasta senza risposta e l'avv. Sotgiu ha continuato illustrando l'attività degli emigrati politici nei campi di concentramento, e in particolare l'opera svolta dal D'Onofrio. Gli emigrati arrivarono nei campi dopo il periodo delle epidemie e loro prima cura fu quella di portare una parola di conforto a quei disgraziati fratelli. Gli imputati parlano di 'interrogatori', di 'vessazioni', di 'violazioni di coscienza'. Ma D'Onofrio come avrebbe potuto parlare ai prigionieri, dopo dieci anni di esilio, se non avesse prima guardato gli uomini in faccia? Se non avesse esaminato le loro idee?

Ecco, secondo la P. C. in che cosa consistevano gli 'interrogatori' e le 'vessazioni'. Ed una prova la troviamo ancora ne 'L’Alba' dove in uno dei primi numeri si legge un articolo di D'Onofrio dal titolo 'Chiacchierando con i prigionieri'. E quali le precise ragioni di queste conversazioni fra l'emigrato D'Onofrio e i prigionieri? Nient’altro che il desiderio di saggiare la loro coscienza, conoscere in qual guisa le vicissitudini avessero agito su di loro, riportarli alla piena realtà del momento. E del resto le conversazioni furono improntate alla più schietta italianità e patriottismo, alla più pura obiettività.

Avv. Sotgiu: 'Gli imputati e i loro testi hanno riferito che grande differenza c'era fra le conversazioni che il D'Onofrio teneva in pubbliche adunanze e quelle che aveva in privato con i singoli prigionieri. Ma se questo fosse vero noi ci troveremmo di fronte ad una tale illogicità, ad una tale incoscienza che davvero ne dovremmo rimanere sorpresi. C'è piuttosto da chiedersi: che bisogno aveva D'Onofrio di coartare le coscienze dei prigionieri? Tutti nei campi potevano liberamente esprimere le loro idee e il giornale murale era una palestra su cui ognuno poteva liberamente esercitare la propria critica. Del resto non è stato affatto dimostrato che coloro i quali volevano persistere nelle proprie convinzioni politiche subissero coercizioni morali o materiali'.

E qui l'avv. Sotgiu ha cominciato a parlare del caso del cap. Magnani e del ten. Ioli per dire che non è vero che essi si limitassero a fare dell’opposizione, ma continuarono tranquillamente a fare propaganda fascista senza che nessuno li disturbasse.

Avv. Sotgiu: 'E poi quale pericolo poteva mai rappresentare per la Russia o per il comunismo l'attività del cap. Magnani?'.

Assurda più che temeraria, è dunque da considerarsi l’accusa mossa contro D'Onofrio di aver costretto ufficiali prigionieri a rinnegare il loro credo politico anche con minacce. Ma di ciò si parlerà ancora perché all'avv. Sotgiu non sono state sufficienti neppure tre udienze per esaurire la sua arringa.

LA VENTINOVESIMA UDIENZA.

19 luglio 1949 - L'avv. Sotgiu non è tornato sul tema del cap. Magnani. Ha parlato invece ancora per tutta l'udienza per analizzare scrupolosamente il testimoniale della difesa e la circolare inviata dall’Unione Nazionale Reduci dalla Russia. Diciotto ore di una oratoria impetuosa - che ha reso quasi completamente afono il patrono di parte civile - per concludere che gli imputati non sono riusciti a provare le accuse mosse contro D'Onofrio.

Avv. Sotgiu: 'Pur non facendoci illusioni, attendiamo con tranquilla coscienza la vostra sentenza, signori del Tribunale, non per D'Onofrio, non per noi comunisti, ma per la vostra dignità stessa di cittadini e di magistrati. Io mi auguro, non per noi, ma per l'Italia, per la libertà e per la vostra grande funzione, che la vostra sentenza non sia di quelle che il domani cancella, ma la storia ricorda. La condanna dei diffamatori sarà 'l’orgoglio della magistratura italiana'.

L'avv. Sotgiu ha ripreso la sua arringa affermando che appare evidente dalla dimostrazione fatta, come la prova addotta dagli imputati è miseramente fallita nonostante tutto il testimoniale a discarico fosse stato in precedenza 'organizzato'.

Avv. Sotgiu: 'La posta di questo processo è ben altra che non una semplice campagna diffamatoria. Si tratta di un gioco molto più vasto. Non una delle accuse è stata provata.

Si è parlato di propaganda disfattista di D'Onofrio ed è risultato il contrario; si è parlato di persecuzioni contro coloro che manifestavano idee anticomuniste ed invece è stato dimostrato che nei campi di concentramento si poteva liberamente manifestare il proprio pensiero, si poteva ostentare la divisa fascista e salutare romanamente; non si sono raggiunte prove della verbalizzazione delle risposte date dai prigionieri in sede di conversazioni o di interrogatori come li hanno chiamati gli imputati; si è detto di un proclama invitante il popolo italiano alla ribellione, che è poi risultato essere un ordine del giorno di plauso al Re e a Badoglio; i vostri stessi testimoni che erano delle parti in causa, non hanno potuto confermare le accuse, quando non le hanno smentite, come hanno fatto quei dieci testi, i quali, chiamati a deporre sul fatto che il serg. Montalbano fu condannato a morte per colpa di D'Onofrio, non si sono presentati.

Il col. Longo ha mentito, sotto il vincolo del giuramento, quando è venuto a dire che non faceva parte del gruppo 'Amici dell'Alba'; la prova è nel numero 34 del settimanale e se non ci penserà il pubblico ministero mi assumerò egli stesso il compito di denunciarlo per falsa testimonianza. Il col. Zingales non si è presentato a deporre e ha dichiarato il falso per lettera'.

P.M.: 'Ma il col. Zingales lo avete chiamato voi a deporre!...'.

Avv. Sotgiu: 'Avrei voluto vedere se l’atteggiamento di questi testi sarebbe stato lo stesso e se essi non avrebbero invece rivendicato quanto è scritto, anche da loro, su 'Alba' se l'esito elezioni del 18 aprile fosse stato diverso da quello che è stato'.

Ma forse, in caso di vittoria del Fronte Popolare, sarebbero stati rispediti in Siberia.

Avv. Sotgiu: 'Tutto prova che tutto il processo, come ce lo ha presentato il Pubblico Ministero, viene a crollare e della sua requisitoria non resta neppure la parte relativa alla circolare di Kalinin sui commissari politici'.

Ad un ennesimo appunto mosso dall’avv. Sotgiu al Pubblico Ministero, di non avere cioè approfondito l'indagine dei documenti inerenti al processo e di aver soprattutto accusato D'Onofrio di appartenere alla polizia di Stato sovietica, il dottor Manca è scattato protestando.

Avv. Sotgiu: 'Il Pubblico Ministero, ha parlato di una legge italiana secondo la quale il D'Onofrio avrebbe perduto la cittadinanza, ma ha dimenticato di aggiungere che la stessa legge prevede una intimazione da parte del governo italiano con cui si avverte il cittadino di desistere dalla sua attività all’estero. Del resto sarebbe stato più corretto se il P. M. avesse contestato al querelante l'U.K.S. di Kalinin prima e non proprio all’ultimo momento'.

P.M.: 'Il suo rilievo è ridicolo. Lei sa perfettamente che il numero della 'Pravda' recante quel documento io l'ho avuto dopo'.

Avv. Sotgiu: 'Lei doveva ugualmente contestarlo al D'Onofrio. Non solo non lo ha fatto, ma ha tirato fuori la legge sulla cittadinanza che non riguarda il D'Onofrio, non ricorrendo in ogni caso gli estremi. Per affermare cose tanto gravi occorrono delle prove granitiche e voi non avete portato che falsità'.

C'è stato un vivace scambio di parole fra i due avvocati, è intervenuto anche l'avv. Paone in difesa di Sotgiu, il tutto inframezzato dalle squillanti scampanellate del Presidente che a stento è riuscito a sedare l'incidente, non prima però che Sotgiu avesse tacciato il P. M. di 'antigiuridico'.

L'avv. Sotgiu, ripreso l'argomento, ha poi affermato che la legge italiana sulla cittadinanza non poteva riguardare il D'Onofrio anche per il fatto che essa è applicabile quando l'esule abbia in terra straniera una occupazione retribuita. Il che non riguarda D'Onofrio. Il quale evidentemente in Russia campava d’aria. Ma se anche oggi i gerarchi comunisti sono pagati con rubli sovietici!?! Avv. Sotgiu: 'A nessuno è lecito oltraggiare l'esule che ha voluto mantenere fede alle proprie idee; ciò facendo si offendono tutti gli italiani i quali subirono infami sentenze dei Tribunali Speciali del fascismo'.

E siamo finalmente alla conclusione dell’arringa, con un altro accenno di passaggio al caso del cap. Magnani il quale non sarebbe rimasto in terra di Russia per ragioni politiche e tanto meno per colpa di D'Onofrio.

Avv. Sotgiu: 'Nessuno ha portato prove a questa accusa e del resto come si potrebbe provare che il Magnani, lo Ioli e gli altri furono trattenuti perché accusati di fascismo quando generali dichiaratamente fascisti sono stati rimpatriati? Il contrario è confermato dalle dichiarazioni rese dal sottosegretario agli esteri on. Brusasca e dal ministro Gasparotto in base alle quali ventisette italiani sono ancora trattenuti in Russia perché sospetti di crimini di guerra. C'è solo da augurarsi che l'inchiesta cui sono sottoposti abbia un esito negativo.

Signori, la vostra coscienza non può aderire ad una tesi che, colpendo Edoardo D'Onofrio, colpisce l'Italia. Assolvere costoro significa condannare quanti oggi siedono ai banchi del governo'. Forse l'espressione 'banchi del governo' è frutto di un lapsus linguae, volendo l'avv. Sotgiu alludere al settore di estrema sinistra dei banchi del Parlamento e non ai banchi del governo italiano che è... 'nero e reazionario' per definizione, perché non partecipa al blocco filosovietico dei paesi satelliti. Di 'crimini di guerra' delle truppe rosse in Grecia e in Cina agli ordini del Cominform, nessuno parla: forse quei delitti sono... strumenti progressivi di pace e sono discriminati innanzi alla giustizia bolscevica.

Rapporto sui prigionieri, parte 3

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I PERCORSI.







mercoledì 1 settembre 2021

domenica 29 agosto 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 2

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I CADUTI ED I DISPERSI.

La tabella della pagina precedente è intitolata "Caduti e Dispersi", ma occorre dare un significato più preciso alle cifre cui è stata attribuita tale intestazione: è necessario analizzarne le possibili componenti. A grandi linee, la sorte di chi non ha fatto ritorno nel 1943, può essere attribuita ai seguenti tre gruppi di cause: a) - Caduti in combattimento nella fase di rottura del fronte o in seguito, nella ritirata; b) - Morti nella ritirata per il logoramento fisico dovuto alla fatica, al freddo, alla mancanza di riposo notturno, ad alimentazione insufficiente. Morti per ferite non potute Curare. Morti per crollo psicologico; c) - Catturati dal nemico.

a) - Caduti in combattimento.

La relazione ufficiale dello Stato Maggiore indica come prima causa dell'elevato numero di perdite "... la resistenza sul posto che impose il sacrificio totale di capisaldi, di reparti, di intere Unità...". Questa considerazione può valere, semmai, solo per alcune Divisioni come la "Cosseria", la "Ravenna", la "Celere" e la "Julia", perché le altre non furono investite dall'offensiva russa, al massimo subirono azioni di alleggerimento e lasciarono il fronte pressoché a ranghi completi. Non si hanno dati certi sui Caduti in combattimento nella fase di resistenza della "Cosseria", della "Ravenna" e della "Celere". Per la "Julia". che tra il 17 dicembre 1942 ed il 17 gennaio 1943, sostenne asprissimi combattimenti per contenere la continua pressione dei russi, tanto da meritare la citazione sul bollettino di guerra tedesco, si hanno dati sicuri. Ebbe circa 500 Caduti, un centinaio di Dispersi e più di mille feriti. Anche ammettendo la diversa virulenza dell'offensiva russa contro le prime tre Divisioni, si deve convenire che le loro perdite per la breve resistenza in posto (circa 4 giorni) non devono esser state molto superiori a quelle subite dalla "Julia" durante un intero mese. Si deve concludere, dunque, che i combattimenti per arginare la rottura del fronte non furono la causa principale del grande numero di perdite.

I Caduti nei combattimenti che si sono svolti nel corso della ritirata sono, di sicuro, di gran lunga superiori a quelli di cui si è detto, ma anche in tal caso, vi sono differenze notevoli da reparto a reparto. L'entità dei Caduti nei reiterati scontri affrontati aprirsi la via della ritirata, a prescindere dal numero e dalla potenzialità del nemico che si può considerare identica per tutte le colonne, è dipesa da vari fattori:
- se la ritirata sia iniziata in buon ordine, cioè se si è trattato di sganciamento dal nemico o invece, di Unità la quale investita dall'offensiva ha dovuto abbandonare il fronte a ranghi ridotti, priva di molti ufficiali, per forza di cose disorganizzata e moralmente scossa.
- se l'Unità, aveva la disponibilità di carburante o di salmerie e, di conseguenza, poteva o meno portarsi al seguito artiglieria, munizioni e viveri.
- secondo la lunghezza del percorso che l'Unità ha dovuto coprire, prima di potersi ritenere in salvo.
- se la ritirata è stata fatta in compagnia di reparti tedeschi ancora efficienti e muniti di pezzi anticarro.
- in relazione all'energia ed intraprendenza dei comandanti ed alla loro presenza o meno alla guida dei reparti.

In definitiva, se l'Unità piccola o grande che fosse, aveva non solo la volontà, ma soprattutto la possibilità di combattere. La Divisione "Tridentina" lasciò la riva del Don in perfetto ordine e con le sue artiglierie someggiate fece la ritirata accompagnata dai resti del 29° Corpo Corazzato tedesco e, malgrado le durissime battaglie, poté conservare molti giorni la sua aggressività, ma questo le costò perdite enormi.

Anche le Divisioni "Torino", "Pasubio" e "Sforzesca" lasciarono la linea pressoché intatte, ma dopo qualche giorno furono costrette ad abbandonare le artiglierie e gli automezzi per mancanza di carburante. D'altra parte, anche i pochi automezzi che ancora camminavano furono il primo bersaglio dei carri e dell'artiglieria dei sovietici. Anche le armi di accompagnamento si rivelarono presto inutilizzabili: mortai e mitragliatrici divorano munizioni e dopo uno o due combattimenti queste si esauriscono se non vengono rinnovate, ma ogni rifornimento dai magazzini e dai depositi delle retrovie era cessato o sconvolto. La ritirata di queste Divisioni, pertanto, si era trasformata in colonne di soldati con le sole armi individuali che ben presto divennero inutili una volta esaurite le poche scorte delle giberne. La loro combattività era ridotta a zero, esse si trovarono completamente impotenti di fronte all'aggressione dei mezzi corazzati e delle fanterie russe che, giorno dopo giorno, tagliavano loro la strada.

Non è il caso di recriminare se, in queste condizioni, molti soldati, pur di sopravvivere, alzarono le mani e se i comandanti, considerando inutile il sacrificio dei loro uomini non si opposero alla resa. Naturalmente vi furono fulgidi esempi di eroismo e comportamenti di estremo coraggio sia individuali che di reparto, ma la sproporzione di forze tra noi ed i russi era enorme, la loro padronanza del terreno totale, la loro iniziativa continua, martellante. Cadere prigionieri non fu una scelta.

Sorte pressoché identica subì la "Cuneense" che, staccatasi dalla linea senza aver subito alcuna perdita, si trovò subito in grave crisi di trasporti perché la maggior parte delle sue salmerie era stata acquartierata nelle lontane retrovie. Dopo i primi due combattimenti, la sua potenzialità di offesa divenne nulla. Per quanto riguarda le Divisioni "Cosseria" e "Ravenna", esse ebbero effettivamente la maggior parte delle perdite durante la lunga fase di logoramento e di preparazione dell'offensiva russa. Ma la "Cosseria" - che in questa fase ebbe la perdita di 2.400 uomini - non ne ebbe poi praticamente nessun altra nella brevissima ritirata che la portò, in un paio di giorni, a ripararsi dietro il Corpo d'Armata Alpino.

Si devono considerare caduti in combattimento, anche se l'accezione combattimento è impropria, i soldati praticamente inermi, delle colonne in ritirata che venivano falciati dai cannoni e dalle mitragliatrici dei carri russi; i feriti a bordo delle slitte che venivano travolte e schiacciate quando i carri armati percorrevano le piste intasate, scompigliandole, rovesciando automezzi e carriaggi; i soldati che furono uccisi dai partigiani mentre dormivano nelle isbe; quelli che perirono nel rogo di qualche capannone stipato all'inverosimile; quelli spezzonati e mitragliati dagli aerei. Il Ministero della Difesa - Albo d'Oro ha la documentazione, rilasciata da testimoni oculari, della morte in combattimento nel periodo considerato (11 dicembre 1942 - 30 aprile 1943) di 3.865 uomini. E' l'unico dato certo disponibile, ma è evidente che la cifra è ben lontana dai 25 mila che risultano oggi dal bilancio delle perdite.

b) - Caduti per crollo fisico.

Il freddo, l'equipaggiamento inadatto, la fame, la spossatezza sono stati la causa di molte morti durante la ritirata. Sono fattori che hanno avuto peso, ma decisamente molto minore di quello che di solito viene loro attribuito da commentatori interessati o poco informati. Vediamo il freddo. Nel primo inverno (1941-42) lo CSIR era equipaggiato peggio di come lo fossero i soldati dell'ARMlR. Quell'inverno russo fu eccezionalmente rigido, tanto vero che i tedeschi istituirono una speciale medaglia per i combattenti del fronte di quel periodo (medaglia della quale poterono fregiarsi anche i soldati dello CSIR). Ebbene il nostro Corpo di Spedizione (62 mila uomini) ebbe in quell'inverno 3.400 congelati, dei quali solo 1.400 rimpatriati. Da tener conto che nessuna delle sue Divisioni erano a reclutamento alpino.

All'inizio del secondo inverno (ottobre 1942), l'equipaggiamento invernale non era ancora stato distribuito alla truppa ed a dicembre molti reparti ne erano ancora privi però a questa imperdonabile disorganizzazione della nostra Intendenza, i soldati avevano fatto fronte con eccellenti indumenti di lana casalinghi, mandati dalle famiglie nei pacchi. La carenza più importante era data dalle calzature, assolutamente inadatte alla neve ed al clima russo; dunque molti congelamenti ai piedi, ma in definitiva non generalizzati se circa 130 mila uomini hanno potuto percorrere centinaia di chilometri di ritirata ed uscire dall'accerchiamento.

In quanto ai cedimenti per fatica, si tenga presente che quegli stessi uomini, l'estate precedente - certo in condizioni fisiche, psicologiche e climatiche ben differenti - hanno percorso distanze tre o quattro volte superiori a quelle della ritirata. Per affaticamento soccombevano specialmente i soldati e gli ufficiali non preparati agli sforzi e non allenati alle temperature polari. Chi era stato rintanato e seduto al caldo nei comandi delle retrovie. nelle furerie, nei centralini, nei magazzini. negli ospedali oppure gli autisti, che non avevano mai fatto un passo a piedi, non furono certo in grado di marciare decine di ore al giorno nella neve e tormenta. Ma questa gente costituiva una esigua minoranza.

Ci sono stati anche cedimenti morali, psicologici: suicidi, forme di pazzia, di alienazione, abbandoni, non giustificati da crollo fisico, ma da disperazione. Tali episodi hanno colpito emotivamente chi ne fu testimone e riferendone ha ampliato la portata. La fame e la sete sono le più remote tra le cause che aver fatto morire i nostri soldati nella ritirata. Per convincersi di quale resistenza abbia l'organismo umano alla mancanza di alimentazione, si vedano più avanti i capitoli riguardanti la prigionia.

c) - Catturati dal nemico.

Con poche eccezioni (Divisione "Tridentina", aliquote della Divisione "Celere" e Divisione "Sforzesca") quasi tutti i reparti, dopo tre o quattro giorni di ritirata, si sono trovati nella condizione, a causa della perdita delle artiglierie ed alla mancanza di munizionamento delle altre armi, di affrontare i russi a mani nude. Non vi è combattimento se uno dei contendenti è disarmato. In molti casi i Comandanti - sia delle grandi che delle piccole Unità - non hanno saputo o potuto tenere in mano i propri reparti che rapidamente si sono sbandati, smembrati, mescolati con altri in una massa amorfa, priva di qualsiasi combattività.

Pertanto i russi ebbero buon gioco contro un nemico inerme, spesso abbandonato a se stesso, avvilito e sfiduciato. I loro mobilissimi reparti non trovarono difficoltà a sbocconcellare le colonne in ritirata; aggirandole, isolandole ed a catturarne tutti i componenti. Nella valutazione degli ufficiali ed a maggior ragione dei militari isolati e sbandati, la resa era la soluzione che avrebbe salvato migliaia di vite. Valutazione che, purtroppo, si rivelò del tutto sbagliata.

Quanto si è detto non permette certo, di quantificare le componenti della voce: "Caduti e Dispersi". Sono solo considerazioni che possono, tutt'al più, suggerire delle proporzioni. Si ha però la disponibilità di una ricerca, suffragata da documentazione nominativa, che conferma come il numero dei catturati sia stato superiore a quello dei morti in combattimento o per cedimento durante la ritirala. La ricerca è stata effettuata per tutti gli ufficiali che non risultavano tornati in Italia alla fine del marzo 1943. I risultati sono evidenziati nella tabella della pagina seguente. Dalla medesima si può rilevare, innanzitutto, che gli ufficiali assenti erano 3.541 ossia molti di più dei 3.010 comunicati dall'Ufficio Storico nel 1946. Erano così ripartiti: 541 - 15% morti nella ritirata; 1.193 - 34% catturati e morti in prigionia; 681 - 19% catturati e rimpatriati; 1.126 - 32% non si conosce la sorte (morti nella ritirata o in prigionia).

E' evidente che la percentuale dei morti nel corso della ritirata riguarda solo quelli accertati ed è di gran lunga inferiore alla realtà, però altrettanto si può dire per i morti in prigionia. I dati riguardano solo gli ufficiali, cioè, un aliquota ben modesta di soggetti, ma completa ed omogenea e non ci sono elementi per escludere che le stesse proporzioni valgano anche per la massa dei soldati.

martedì 24 agosto 2021

La Domenica del Corriere del 1963

La ritirata di Russia sulla Domenica del Corriere del febbraio 1963; un'altra testimonianza della storia dei nostri soldati durante la Seconda guerra mondiale che si aggiunge alle altre che ormai da anni raccolgo in ricordo di tutti quei ragazzi.





Alim Morovoz

Apprendo con dispiacere in questo momento dai nostri amici in Russia che proprio oggi è mancato il Professor Alim Morovoz; per chi non lo conoscesse era, fra le altre cose, il curatore del museo di Rossosch situato sotto l'asilo voluto e costruito dagli Alpini.

lunedì 23 agosto 2021

Il viaggio del 2011, Novo Dimitrowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... Novo Dimitrowka.



Il processo D'Onofrio, parte 15

Il processo D'Onofrio, quindicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTISEIESIMA UDIENZA.

14 luglio 1949. - L'avv. Giuseppe Sotgiu, il secondo patrono di Parte Civile, si è accinto al compito di difendere gli interessi del sen. D'Onofrio aprendo, sul tavolo, una grossa valigia di cuoio, piena zeppa di libri, opuscoli e fascicoli dai quali poi, nel corso del suo discorso, ha tratto citazioni, ricordi storici, esemplificazioni, tutto a suffragio della tesi che si era proposto di svolgere.

Avv. Sotgiu: 'Sarei tentato, signor Presidente, signori del Tribunale (e certo voi me ne sareste grati), di condensare la causa in una rapida sintesi, deflazionandola di tutti gli aspetti ed elementi che non siano essenziali. Potrei dire che il libello del quale gli imputati devono rispondere è indubbiamente diffamatorio. Perché nessuno più di voi (dice puntando il dito contro il banco dove siedono i reduci imputati) sa che quello che avete scritto contro Edoardo D'Onofrio, non risponde a verità ed è il frutto della deformazione di episodi, della esasperazione voluta di piccoli fatti.

Io potrei far mio il pensiero del P. M. per cui anche l'esasperazione di un fatto vero costituisce diffamazione.

Io vi potrei dire: la vostra prova è miseramente fallita perché se anche 80 mila italiani fossero morti in prigionia cosa c'entra D'Onofrio? D'Onofrio è stato in due soli campi di concentramento, e soltanto per una quindicina di giorni, ed ha parlato a poche centinaia di prigionieri. Né alcuna responsabilità può attribuirsi a D'Onofrio se in Russia vi sono ancora dei prigionieri italiani perché egli ha fatto ritorno in Patria fino dall'agosto del 1944. Questo io potrei dire in una rapida sintesi. Ma il campo della causa è diventato ben più vasto, e non per colpa nostra'.

Per l'avv. Sotgiu ormai la causa ha assunto un aspetto essenzialmente politico.

Avv. Sotgiu: 'Tutto un periodo della storia del nostro Paese è stato messo in discussione. A voi, signori del Tribunale, dimostrare che la causa non è che un problema giudiziario'.

Del resto, secondo la tesi dell'oratore, questa causa non si doveva fare affatto. Non si doveva fare perché non fossero additate al popolo italiano le responsabilità e la inettitudine di una classe dirigente e di una casta militare, ma per non farla e per giovare realmente alla causa di quei prigionieri, che devono ancora essere giudicati in terra straniera, non bisognava diffamare. In queste parole è contenuta una chiara minaccia in favore di D'Onofrio da parte del governo sovietico contro i prigionieri italiani ancora nelle sue mani. L'avv. Sotgiu invia poi un saluto a tutti ì soldati caduti sui campi di battaglia, saluto che 'soltanto noi possiamo mandare' perché 'noi lottiamo per un mondo senza guerre'.

Si sente nell’aula il battito d’ali... del 'piccione' del fronte della pace. E una esaltazione ha fatto della figura del sen. D'Onofrio la cui azione fu sempre improntata 'ad italianità e a nazionalismo' e del quale ha detto che per aver sofferto in carcere e fuori 'non può avere l'abito mentale dell’aguzzino'. Nel suo lungo sproloquio l'avv. Sotgiu ha creduto bene di non dire che la querela fu presentata dal sen. D'Onofrio nei giorni in cui questi credeva di avere, il 18 aprile 19i8, 'la vittoria in pugno' in sede elettorale, politica, per poter poi celebrare tranquillamente il primo grande processo politico davanti a un addomesticato 'Tribunale del Popolo' onde eliminare degli incomodi avversari personali.

Avv. Sotgiu: 'Vergognatevi. Voi che vi siete serviti dei fratelli morti per una speculazione elettorale. Se volevate tenere alto il loro nome dovevate mantenervi al di sopra delle competizioni politiche'.

L'avvocato di Parte Civile ha poi vivamente polemizzato con il P.M. definendolo uomo di parte, accennando al fatto che un altro magistrato era stato destinato a rappresentare il P.M., ma quello aveva declinato l'incarico.

Avv. Sotgiu: 'Non ci attendevamo la faziosità del P.M. il quale ha fatto rilevare attraverso le sue parole l’origine politica assolutamente in contrasto con la serenità di un magistrato. Egli ha cercato di suffragare l’affermazione che in Russia non esiste libertà di culto, citando articoli del codice sovietico. Ma non mi sarà difficile dimostrare il contrario e lo farò proprio attraverso la parola di coloro che sono venuti qui in udienza a difendere gli imputati. E vi dirò di più: i primi ad elogiare la libertà di religione in Russia sono stati proprio due democristiani: gli on. Morelli e Cuzzaniti, i quali pubblicarono articoli su quel settimanale 'L'Alba' che, secondo il P.M., sarebbe stato chiuso alle correnti non comuniste...'.

P.M.: 'Io ho dimostrato che in Russia sono proibite le manifestazioni di culto in luogo pubblico e non nelle chiese. E poi vorrei che lei mi trovasse un articolo anticomunista scritto nel settimanale 'L’Alba'. Evidentemente fu permesso agli on. Morelli e Cuzzaniti scrivere quegli articoli soltanto perché alla fin fine facevano giuoco alla propaganda comunista!'.

Ma il dott. Manca è scattato soprattutto alle insinuazioni che intendesse fare nient’altro che della politica. Comunque la circostanza sta a dimostrare il pericolo insito in qualsiasi forma, anche minima, di collaborazione dei cattolici coi comunisti sul piano politico, culturale e sindacale, in qualsiasi stretta della loro mano... minacciosamente tesa. I figli delle tenebre sono più accorti alle volte dei figli della luce e tutto può giovare domani alla diabolica propaganda marxista tra le masse dei gonzi. Non si può servire due padroni, dice il Vangelo, e lo ripeteva il Pontefice Pio XI v. m. nella sua mirabile enciclica contro il Comunismo ateo; 'Divini Redemptoris Promissio'.

P.M.: 'Lei però deve dimostrare che io ho fatto della politica!'.

Avv. Sotgiu: 'Lo dimostrerò e anzi aggiungerò che un altro magistrato era stato designato al posto che lei occupa, e siccome era uomo di parte...'.

P.M.: 'Non permetto che si dicano di queste cose. Chiedo al Presidente che tolga la parola all’avvocato su questo punto...'.

Avv. Paone: 'Fuori di qui si vocifera che ci sia stato un magistrato che non è voluto venire a far questa causa...'.

Il Pubblico Ministero a questo punto ha fatto l'atto di abbandonare l'aula e avrebbe certamente attuato il proposito senza lo intervento del Presidente che è riuscito a ristabilire l'equilibrio dicendo che il fatto è completamente estraneo al processo. Chiuso il breve incidente l'avv. Sotgiu ha mosso serrate critiche alla tesi sostenuta dal P.M. per quanto riguarda il problema religioso in Russia, dilungandosi in una disquisizione tendente a dimostrare che in quello stato l'esercizio del culto è pienamente ammesso ed esercitato da chi lo voglia. Dunque ha ragione o ha torto Don Franzoni quando viene a dire che nei campi di concentramento non era autorizzato il culto esterno e che non si poteva celebrare la messa?

Avv. Sotgiu: 'Qualunque sarà la soluzione che voi, giudici, darete al problema generale, giuridico e politico, voi non potrete dire che nei campi l'esercizio del culto non era permesso dalle autorità russe, anche se c'è stato qualche sacerdote che ha scritto o è venuto a dirci, in udienza, il contrario. Sacerdoti, i quali sono uomini che sotto il crocefisso portano una 'mentalità intossicata di odio'; che sono già propagandisti della 'crociata anticomunista'.

Quanto all'onore militare, l'oratore non può assolutamente pensare che il Tribunale seguirà nella sentenza la tesi secondo cui bisogna fare una distinzione fra i doveri derivanti dalla situazione esistente prima del 25 aprile 1943 e quelli che derivarono dall’abbattimento del regime fascista e dal successivo rovesciamento del fronte. Se ciò fosse, la stessa storia d'Italia ne risulterebbe scardinata perché l'antifascismo non ha aspettato il 25 luglio ma lo ha imposto, lo ha creato, così come non ha aspettato l'8 settembre per rivendicare il diritto del popolo a distruggere una alleanza che riteneva illegittima perché non aveva voluto. Ma l'argomento evidentemente non calza affatto. Nessuno discute sulla liceità in ogni tempo della lotta antifascista in patria o all'estero. Ma nessun pretesto giustifica D'Onofrio per la sua criminale complicità coi carnefici dei soldati italiani inviati contro la loro volontà al fronte da quello che, prima dell’8 settembre 1943, era l'unico governo italiano'.

Avv. Sotgiu: 'Aver cospirato contro il fascismo non fu certo un delitto, perché più che un diritto tale lotta era un dovere di ciascun cittadino. Quando voi censurate l'opera di D'Onofrio, negate tutta l'opera dell’antifascismo e fate il processo a tutti quelli che combatterono e morirono per una giusta causa. Chi afferma il contrario è fuori della legge e fuori della Nazione, da qualunque banco parli. Perché D'Onofrio ha sporto querela? Perché ha voluto porre un freno alla campagna diffamatoria che contro di lui era stata scatenata. Non c'è episodio della vita di lui che possa dipingerlo come un antinazionale, un rinnegato, un aguzzino. La storia degli ultimi anni ci dice quale sia il contributo fornito alla causa nazionale dal comunismo, ci dice come l’educazione comunista non tenda affatto alla negazione della Patria, ma anzi ad esaltarla e a difenderla nella libertà del lavoro'.

Con ciò siamo all'inizio della quarta ora. E l'avv. Sotgiu è appena entrato nel merito della causa.

LA VENTISETTESIMA UDIENZA.

15 luglio 1949. - L’avv. Sotgiu ha voluto davvero superare i colleghi che lo avevano preceduto. Non gli sono bastate neppure due udienze per esporre la sua tesi in sostegno del querelante e perciò avrà bisogno ancora dell’udienza di lunedì. L'inizio è in piena polemica con il P. M. e si ritorna sulla questione del numero dei caduti e dei prigionieri: 'tragica contabilità', ha ammesso l'avv. Sotgiu, di cui 'si sente tutto il peso sanguinoso'. Ciò che non gli ha impedito una lunga dissertazione di carattere militare per dimostrare in sostanza che l'ARMIR era impreparato, che il nostro Stato Maggiore era assolutamente incapace, che è per lo meno ingenuo credere alle cifre rese note dalla propaganda radiofonica. Morale; non bisogna credere neppure a Togliatti quando parla alla radio. Se lo dice un difensore comunista...

Avv. Sotgiu: 'Di qui non si scappa. Voi giudici per assolvere costoro, dovete affermare che essi hanno provato quello che hanno detto. Basta dimostrare che gli imputati hanno alterato le cifre dei morti, affermato circostanze almeno inesatte, indicati motivi e cause non vere, per concludere che essi, sì, hanno diffamato D'Onofrio'.

Secondo le deduzioni che si possono fare confrontando tutte le cifre conosciute, l'oratore afferma che le uniche alle quali è possibile affidarci sono quelle fornite dal Ministro della Difesa on. Pacciardi, il quale, al Senato, ebbe ad affermare che le perdite italiane dell’ARMIR, in morti, prigionieri, feriti e invalidi ascendono complessivamente a 84 mila uomini.

Avv. Sotgiu: 'Questo significa che la cifra su cui gli attuali imputati hanno voluto speculare non è stata affatto provata, che quindi essi hanno alterato tale cifra, e che, in definitiva, non c’è più dubbio che essi hanno diffamato. Altro che assoluzione per essere stati provati i fatti attribuiti al D'Onofrio! Ma, comunque, quale sia il numero dei morti in Russia, D'Onofrio non centra'.

L'avv. Sotgiu si è poi addentrato nell’esame della polemica che a suo tempo il querelante ebbe con il 'Risorgimento Liberale'. Ed è tornato sulla frase scritta dal D'Onofrio: 'Voi siete entrati in terra di Russia come ladri e rapinatori', per sostenere che quello era soltanto un giudizio politico e non ingiuria.

Avv. Sotgiu: 'Non è vero forse che Mussolini aggredì la Russia senza alcuna ragione? Se quella frase del D'Onofrio vuol essere considerata una ingiuria, altrettanto dovremmo dire del Manzoni che chiamò 'strumenti ciechi di occhiuta rapina' i soldati austriaci. Questo perché non si venga a dire che gli imputati lanciarono le loro accuse contro il querelante per ritorsione. E in ogni caso non fu D'Onofrio il primo ad ingiuriare perché non da lui fu iniziata la polemica giornalistica, ma dagli stessi imputati'.

Mentre l'avv. Sotgiu svolgeva questa tesi un reduce dallo spazio riservato al pubblico ha gridato forte, suscitando lunghi mormoni degli altri e una sonora scampanellata del presidente. Un reduce: 'Noi siamo qui per credere a tutto quello che dice lei!'.

Ma l'invito al silenzio non ha impedito al reduce di aggiungere.

Un reduce: 'Allora anche i nostri morti in Africa, in Grecia e sugli altri fronti, anche loro furono dei predoni? Se la sentissero quelli che sono rimasti laggiù!!!...'.

Ma l'oratore ha tirato avanti senza raccogliere le interruzioni ed è passato a spiegare che cosa fossero le scuole antifasciste, quale ne fosse il programma, quali gli scopi. Egli ha detto che nessun contenuto politico e tanto meno marxista è possibile ravvisare in quei programmi e che unico scopo di quelle scuole era di restituire all’Italia prigionieri che non fossero analfabeti. Quanto al famoso giuramento che si prestava alla fine dei corsi di antifascismo l'avv. Sotgiu ha esibito una formula, trascritta sul diario del serg. magg. Pietro Brogini da Siena, che suona così: 'Io, figlio del popolo italiano, presto giuramento solenne alla mia Patria, al mio popolo, alla mia famiglia, di lottare fino all’ultimo respiro per la cacciata dei tedeschi dal sacro suolo dell’Italia; presto giuramento di essere implacabile contro tutti i traditori della Patria'.

Avv. Sotgiu: 'Quindi niente di truculento e di feroce, come qualcuno degli imputati e dei testi è venuto a dirci. Ma soltanto impegno solenne a lottare per una Patria libera'.

E per oggi il patrono di parte civile ha finito chiedendosi se dopo tutto quanto ha detto si può ancora affermare che gli imputati non abbiano falsato la verità. Allora è vero che la loro azione è stata mossa dal desiderio di far nascere un sentimento di avversione verso D'Onofrio.

Avv. Sotgiu: 'D'Onofrio non ha dimenticato, in Russia, il sentimento di italianità che lo ha sempre guidato. Forse che i regolamenti militari vietano la propaganda politica? O per caso essere militari significa dimenticare di essere un cittadino?'.

La guerra sul fronte orientale, parte 10

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo decimo ed ultimo video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.