mercoledì 19 maggio 2021

Commissione speciale dell'ONU, parte 9

Pubblico la nona parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

Al termine dei lavori il Presidente della Commissione in una dichiarazione alla stampa, dopo avere sommariamente parlato della opera svolta e dei risultati conseguiti, comunicò di avere inviato al Segretario Generale dell'O.N.U. un rapporto nel quale si faceva il punto della situazione dei prigionieri e dispersi nell'ultimo conflitto mondiale, sulla base delle informazioni fornite dai Governi interessati. Rapporto che probabilmente, comunicava, sarebbe stato messo all'ordine del giorno dell'imminente riunione dell'Assemblea Generale dell'O.N.U. Il Presidente dichiarò infine d'essere convinto che, da qualche anno, l'aspetto umanitario del problema e la volontà di collaborazione venissero meglio sentiti e compresi - con probabile riferimento all'avvenuto rimpatrio del gruppo dei 34 prigionieri italiani trattenuti quali presunti criminali di guerra e del rimpatrio di altri prigionieri germanici e nipponici - e nutriva fiducia di potere accelerare la sua completa definizione.

Al termine della conferenza stampa, alla quale intervennero i giornalisti di varie nazionalità, il Delegato Italiano convocò i giornalisti italiani per far loro delle raccomandazioni in merito a notizie apparse su quotidiani italiani nel corso dei lavori della V Sessione della Commissione. Il Delegato Italiano invitò i giornalisti ad essere obiettivi sul problema dei prigionieri e dei dispersi, di astenersi dall'annunciare cifre che potessero dare adito ad errate interpretazioni, di non eccedere in notizie sensazionali che potessero illudere numerose famiglie senza peraltro demolire in alcune di esse la speranza e di portare, in sostanza, a conoscenza dell'opinione pubblica, con tutta serenità, la reale situazione venuta a risultare dalle informazioni degli organi responsabili del paese.

Nel 1955 la Commissione Speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra chiese ai Governi interessati un rapporto sulla situazione dei propri prigionieri e dispersi e decise di non tenere la sessione annuale, che rimandò ad altra data. Peraltro sulla base delle informazioni ricevute compilò un rapporto per il Segretario Generale dell'O.N.U. nel quale indicava brevemente il progresso che era stato fatto verso la soluzione del problema dei prigionieri di guerra, dopo quanto riferito nell'ultimo rapporto della V Sessione tenuta l'anno precedente. La Commissione notava con soddisfazione che durante l'anno decorso maggiori progressi erano stati fatti sul rimpatrio dei prigionieri di guerra e detenuti civili, attraverso negoziazioni condotte direttamente fra i Governi interessati o indirettamente attraverso la cooperazione della Società della Croce Rossa, con riferimento ai numerosi rimpatri di giapponesi della Repubblica Popolare Cinese, dell'U.R.S.S., della Mongolia Esterna e della Corea del Nord; al rimpatrio di alcune centinaia di austriaci di un migliaio di germanici dall'U.R.S.S., dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia e col rimpatrio di qualche italiano dall'U.R.S.S. e dalla Polonia.

La Commissione concludeva il rapporto con un appello a tutti i Governi e a tutte le organizzazioni che partecipavano attivamente all'inchiesta di dare al problema dei prigionieri di guerra tutta la loro cooperazione al fine di conseguire i seguenti risultati: 1) rimpatrio di tutti i prigionieri di guerra che, secondo le convenzioni internazionali, dovevano essere restituiti; 2) conoscenza dei nomi, cause e condizioni di tutti i prigionieri di guerra ancora trattenuti; 3) utilizzazione di tutte le risorse per condurre le ricerche dei dispersi al fine di stabilire la sorte loro occorsa. Nel luglio dello stesso anno, in occasione della Conferenza di Ginevra dei "Quattro Grandi" l'osservatore italiano Ambasciatore Magistrati nel corso di un colloquio intrattenne il Ministro degli Esteri sovietico Sig. Molotov sul problema dei prigionieri e dei dispersi italiani nell'U.R.S.S., illustrandogli gli elementi umanitari e psicologici della questione e l'importanza di accertare, con ulteriori indagini, se e quali dispersi italiani si trovavano ancora in Russia.

Il Ministro Molotov, premesso di non essere al corrente della presenza nell'U.R.S.S. di prigionieri e dispersi italiani, assicurò l'Ambasciatore Magistrati che il Governo sovietico avrebbe esaminato con ogni cura la situazione dei prigionieri italiani di cui fosse da noi resa nota l'esistenza nell'U.R.S.S. Egli ricordò che in seguito agli avvenimenti bellici non fu possibile trovare alcuna traccia neppure per milioni di cittadini sovietici dati come dispersi. Nel 1956, dopo vari contatti diplomatici fra il nostro Ministro degli Affari e l'Ambasciata dell'URSS in Roma, ebbero inizio gli incontri fra il Delegato Italiano e l'ambasciatore sovietico Bogomolov, nel corso dei quali si esaminò ampiamente il problema dei prigionieri e dispersi italiani in Russia da un punto di vista il più obiettivo ed umanitario al fine di pervenire, attraverso amichevole e sincera collaborazione, ad una soddisfacente soluzione per ambedue le parti.

Il 7 febbraio l'ambasciatore sovietico Bogomolov ed il Delegato Italiano On. Meda ebbero il primo colloquio nella sede dell'Ambasciata dell'URSS. Dopo una sommaria esposizione del problema dei prigionieri e dispersi italiani in Russia fatta dal Delegato Italiano, l'ambasciatore russo dichiarò che la parte sovietica, ispirata dal desiderio di trovare le vie per regolarizzare le principali questioni concernenti le relazioni italo-sovietiche, aveva ripetutamente espresso la propria disposizione a discutere tali questioni ad alto livello per trovare soddisfacenti soluzioni comuni. Per quanto riguardava la possibilità di rintracciare sul territorio dell'URSS ex appartenenti alle truppe italiane, le autorità sovietiche competenti e l'Ambasciata dell'URSS in Italia, avevano sempre dimostrato la debita comprensione e attenzione verso le lettere e le richieste dei cittadini italiani che avevano perso i loro congiunti nell'Unione Sovietica durante il periodo della seconda guerra mondiale. L'Ambasciata riteneva che, benché nel territorio dell'URSS non vi fossero più prigionieri di guerra italiani, le questioni interessanti gli italiani che avevano perduto i loro congiunti nell'URSS avrebbero potuto ugualmente essere affrontate nel corso di più larghe trattative sul miglioramento delle relazioni sovietico-italiane. Però ciò non avrebbe escluso il contatto dell'Ambasciata con l'On. Meda sulle questioni che lo interessavano.

A questo primo incontro ne seguirono altri durante l'anno, e nei colloqui svoltisi sempre in un clima di cordialità, si ebbe l'impressione che le autorità sovietiche fossero animate dal più vivo desiderio di aiutarci anche se ribadirono la dichiarazione del 28 dicembre 1953, secondo la quale cioè, non vi erano più prigionieri italiani nel territorio sovietico. Nei vari contatti si presentò un'ampia documentazione sui prigionieri italiani sicuramente rinchiusi in campi di concentramento dell'URSS e che non avevano fatto ritorno in patria e non si mancò di insistere sulla necessità di avere dalle autorità sovietiche gli elenchi dei prigionieri italiani catturati, quelli di essi deceduti in campi di prigionia e gli elenchi dei rimpatriati. Il rappresentante sovietico ebbe sempre a prendere atto delle nostre richieste e della documentazione, assicurando di passare il tutto all'esame degli Uffici competenti dell'URSS, riservandosi di far conoscere l'esito delle indagini svolte dalle autorità centrali.

Infatti seguirono, come in altra parte detto, le notizie, che dolorosamente furono per circa 300 ex prigionieri la comunicazione di morte, avvenuta per malattia nei campi di concentramento, per altrettanti le indagini non fruttarono alcun esito e per i rimanenti si ebbe la comunicazione di riserva di notizie ad ultimate ricerche. L'esito dell'azione intrapresa, se pure sotto un punto di vista poté considerarsi in parte positivo, fu molto limitato e deluse le nostre aspettative. La richiesta degli elenchi rimase inevasa ed ogni successiva insistenza non ebbe migliore risultato. La promessa collaborazione non trovò corrispondenza nei fatti e ci si trovò ancora una volta di fronte all'intransigenza nel chiarire il doloroso problema sul quale l'opinione pubblica si attendeva, a seguito di quest'altro tentativo, più tangibili risultati. Le speranze dei congiunti dei prigionieri e dei dispersi italiani furono ancora una volta fugate dall'atteggiamento delle autorità sovietiche.

Intanto la Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra decideva di non tenere anche per l'anno in corso la sessione annuale dei lavori di Ginevra con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi interessati e chiese quindi ai Governi le relazioni aggiornate sulla situazione dei rispettivi prigionieri e dispersi, dalle quali avrebbe tratto gli elementi per il rituale rapporto al Segretario Generale dell'ONU. Il Delegato Italiano prospettò alla nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite l'opportunità di un passo presso il Segretario Generale circa la necessità di una Sessione della Commissione a Ginevra e ciò in considerazione degli allora apparenti sintomi di distensione, che, per il mutato clima, lasciavano sperare nella partecipazione di una Delegazione russa. La nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite, che ebbe modo di avvicinare i componenti la Commissione e di accennare alla proposta avanzata, manifestò l'impressione che la detta Commissione non ravvisava più una importanza preminente alla continuazione dei suoi lavori ed anzi aveva in animo di esporre tale punto di vista al Segretario Generale col proponimento di redigere un rapporto finale sull'attività svolta, da presentare alla prossima Assemblea Generale, la quale, prendendone nota, avrebbe potuto sanzionare la cessazione della Commissione stessa.

In conseguenza non rimase che trasmettere la richiesta relazione per la Commissione e continuare nei contatti con l'Ambasciata dell'URSS in Roma, nel tentativo di chiarire l'annoso problema dei nostri prigionieri dispersi. Nel 1957 a seguito delle relazioni allacciate con l'ambasciatore sovietico Bogomolov al quale fu consegnata una ampia documentazione sui nostri prigionieri in Russia e che lo stesso Ambasciatore inoltrò al suo Governo con le note verbali del Delegato Italiano, cominciarono a giungere le notizie sui risultati delle ricerche svolte dalle organizzazioni competenti sovietiche e dalla Croce Rossa e Mezzaluna Rossa di Mosca. Notizie positive ma dolorose, riferite a prigionieri deceduti in campi di concentramento; qualche notizia di avvenuto rimpatrio di prigioniero che non giunse mai in Italia; per molti informazioni deludenti a seguito dell'esito negativo delle indagini, per altri nessuna risposta o riserva di comunicazione ad ultimate ricerche.

I risultati quindi della promessa collaborazione da parte della autorità diplomatica sovietica, in qualche modo dimostrato e mantenuta per un limitato periodo di tempo, furono considerati poco soddisfacenti e comunque delusero le aspettative di quanti ritenevano che si fosse trovata la via per giungere ad una completa chiarificazione del problema. Poi con l'avvenuto cambio dell'Ambasciatore dell'URSS in Roma, i contatti del Delegato Italiano si diradarono sino a cessare con l'assunzione della carica da parte del nuovo Ambasciatore Kozyrev, il quale si mostrò meno condiscendente sulla questione dei prigionieri italiani in Russia. A tal riguardo si mantenne rigidamente alle dichiarazioni del suo Governo della non esistenza del problema già risolto col rimpatrio di tutti gli italiani. Ciò indusse il Delegato Italiano ad avanzare tramite la nostra Rappresentanza Diplomatica alle Nazioni Unite nuovamente la proposta di una Sessione della Commissione a Ginevra con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi maggiormente interessati alla questione, argomentando la richiesta pressappoco nei seguenti termini.

La Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra, che dal 1951 sta svolgendo un'ammirevole azione umanitaria e che aveva già ottenuto dei lusinghieri risultati, non poteva abbandonare la sua attività anche se da qualche anno il problema dei prigionieri e dispersi veniva trattato dai paesi interessati direttamente con l'URSS. Trattative di tal genere avrebbero potuto dare indubbiamente dei risultati, ma in misura diversa da paese a paese in relazione a particolari riflessi di natura politico-economica che ognuno di essi manteneva con l'URSS. L'azione svolta invece dalla Commissione dell'ONU garantiva una unità di indirizzo, tendente alla soluzione del complesso problema comune a tutti i Paesi e sotto l'egida delle Nazioni Unite avrebbe potuto maggiormente pesare sull'atteggiamento sovietico; il fatto stesso poi dell'esistenza e della funzionalità di detta Commissione avrebbe esercitato una pressione psicologica sull'URSS. Si era inoltre indotti a ritenere che da parte sovietica per quelli che erano i più recenti atteggiamenti del Governo di Mosca in ordine alla soluzione dei più importanti problemi internazionali e della stabilizzazione di rapporti con paesi dell'Occidente Europeo e gli Stati Uniti d'America, si sarebbe considerato attentamente la inopportunità di un nuovo rifiuto a partecipare ad una seduta della Speciale commissione dell'ONU.

Non andava infine dimenticato come dal febbraio dello scorso anno si fossero stabiliti rapporti fra l'Ambasciata Sovietica presso il Governo Italiano ed il Delegato Italiano presso la predetta Commissione e che quindi praticamente l'autorità diplomatica russa aveva riconosciuto l'esistenza della Commissione e la validità giuridica dei suoi rappresentanti. Le raccomandazioni del Delegato Italiano fatte proprie dalla nostra Rappresentanza Diplomatica presso le Nazioni Unite e prospettate al Segretario Generale, venivano accolte con la maggiore considerazione. Infatti nel mese di luglio pervenne la comunicazione che la Commissione avrebbe tenuto la sua VII Sessione a Ginevra, nella prima decade di settembre, nel corso della quale avrebbe deciso di tenere delle riunioni pubbliche con la partecipazione delle Delegazioni dei Paesi interessati.

Decisione che la Commissione prese nella sua prima seduta diramando telegraficamente gli inviti ai Rappresentanti dei Governi e il 5 settembre 1957 iniziò i suoi lavori con la partecipazione: dell'Italia - Germania - Giappone - Gran Bretagna - Belgio - Olanda - Austria - Francia e Stati Uniti d'America; mancava, per causa di forza maggiore, la rappresentanza del Lussemburgo il cui Governo aveva fatto pervenire la propria adesione e la dichiarazione. L'URSS come per gli anni precedenti non aveva accolto l'invito. Nelle sedute private il Delegato Italiano riferì alla Commissione sui contatti avuti con l'autorità diplomatica sovietica a Roma, e sui risultati potuti conseguire con tali trattive dirette, riepilogò ed illustrò la situazione aggiornata dei prigionieri e dispersi italiani e presento la seguente altra documentazione suppletiva: - quattro volumi nei quali veniva riportata la «Cronistoria individuale» di circa quattrocento militari italiani catturati prigionieri dalle truppe sovietiche internati in campi di concentramento dell'URSS, non rimpatriati e per i quali non si conosceva la sorte loro toccata; - un volume riepilogativo dei prigionieri italiani in Russia - numerico e nominativo - con le notizie potute avere dalle autorità sovietiche.

E mise in risalto le difficoltà che ancora si incontravano per una completa chiarificazione del problema. Nella seduta pubblica il Delegato Italiano, in tono non aggressivo per evitare eventuali reazioni sfavorevoli da parte sovietica, dopo aver ringraziato la Commissione per l'opera svolta, pronunciò la seguente dichiarazione: "Signor Presidente, allorché nel febbraio 1952 noi ci siamo riuniti per la prima volta a Ginevra, voi avete dichiarato che l'iniziativa delle Nazioni Unite e il compito della Commissione dovevano ispirarsi profondamente ed unicamente a principii e a uno spirito di umanità. Ed è rispettando queste direttive che si è svolta la nostra azione in questi cinque anni, nella speranza che le nostre domande fossero state accolte e di conseguenza si potessero attendere i fini che l'ONU ha fissato alla nostra Commissione: dirimere il dramma che costituisce la sorte dei prigionieri, far ritornare alle loro famiglie i prigionieri che risultano ancora trattenuti dal nemico di ieri.

In questa azione noi abbiamo sempre agito con la massima lealtà e la più profonda comprensione della delicatezza e delle difficoltà delle situazioni che ci si presentavano. Io stesso, a nome del mio Governo, in occasione della sessione del 1953, ho dichiarato - quando facevo appello al senso di solidarietà del Governo dell'Unione delle Repubbliche Sovietiche - che noi eravamo disposti a dimenticare tutti i disaccordi, tutta l'incomprensione esistente nel passato e che eravamo disposti a collaborare su un piano di perfetta uguaglianza, escludendo il carattere di speculazione politica con chiunque sarebbe venuto verso di noi con la stessa cordialità e con la stessa nobiltà di intenzioni. Noi non possiamo, oggi, che rinnovare questa dichiarazione, sottolineando che il problema dei dispersi, invece che diminuire di importanza, con gli anni, si fa, al contrario, urgente e doloroso. Fino a ieri le spose e le madri facevano appello a noi per avere notizie, assicurandoci nello stesso tempo che esse erano pronte ad apprendere qualsiasi risposta, anche negativa.

Oggi, al contrario, le madri, divenute vecchie e le spose, che hanno visto i loro figli diventare grandi, esigono, dalle autorità responsabili, che sia loro detto quale sia la sorte dei militari fatti prigionieri e non più tornati. E ciò perché se oggi si ammettesse una difficoltà di ricerca dovuta all'incompleta normalità di rapporti, tra Italia e URSS, oggi questa normalità è perfetta e non si può comprendere come, dopo la ripresa dei rapporti commerciali, culturali, sportivi, turistici, non ci si decida, una volta, per tutte, a risolvere il problema dei prigionieri e dei dispersi. Se noi insistiamo in questa domanda di ricerche e continuiamo ad agitare il problema è perché noi siamo convinti che i motivi di tale ricerca hanno una base sicura, come lo dimostra il fatto del rimpatrio di prigionieri, rimpatrio che si è verificato dopo le dichiarazioni ufficiali del Governo di Mosca sull'inesistenza di altri cittadini italiani prigionieri di guerra in territorio sovietico.

Con ciò noi non vogliamo formulare un'accusa o una lagnanza al Governo di Mosca, ma solo constatare come, grazie a delle circostanze e a degli elementi che forse il Governo sovietico stesso non è in grado di controllare, sono rientrati in Italia dei militari che Mosca affermava che non esistevano. In questa Commissione, che è l'espressione della solidarietà di tutti i popoli civili, noi domandiamo ancora una volta al Governo sovietico e a quello degli altri paesi verso i quali è agitato in minore misura, il problema della ricerca dei prigionieri di guerra, che essi facciano un ulteriore sforzo per soddisfare le nostre richieste. Che essi sappiano che un atto di tale livello, procurerebbe loro la riconoscenza e la gratitudine di più di 60.000 famiglie che sono interessate al problema della ricerca dei dispersi. Senza alcun dubbio molto cammino è stato fatto dopo il 1952, ma il fine è ancora lontano. D'altra parte io credo che si tratti di una questione di umanità e per questa ragione la questione stessa è sempre di attualità, nella sua ampiezza, il suo valore, il suo aspetto drammatico.

Signor Presidente, come ho già avuto occasione di affermare, il mio Governo è dell'avviso che la Commissione debba continuare ed anche - nella misura del possibile - intensificare la sua attività. Da parte nostra io vi posso assicurare che noi non avremo un momento di respiro, nel compito che si effettua da tanti anni. Noi abbiamo presentato a suo tempo una serie di documentazioni per appoggiare le richieste che abbiamo formulato; oggi le completiamo con altri documenti, con altre prove che non possono essere contestate. Sulla base di questa documentazione noi speriamo che la Commissione Speciale dirigerà la sua attività futura, ma nello stesso tempo pensiamo che altri documenti, altre prove, potranno pervenire prossimamente dalle autorità sovietiche, grazie alla consultazione e alla coordinazione dei loro archivi. Abbiamo fiducia, lo ripeto ancora una volta, in questa manifestazione di solidarietà umana di un popolo verso un altro che formula questa domanda in nome di una sofferenza terribile che dura da più di 10 anni.

Il mio Governo ha preso impegno solenne verso il popolo italiano ed in particolare verso le famiglie dei prigionieri di guerra e dispersi, di fare tutto ciò che sarà necessario, di sopportare qualsiasi sacrificio, per arrivare ad una conclusione degna e soddisfacente. Non intendiamo cambiare la realtà, ne creare l'illusione di risultati impossibili, vogliamo solo che ciò che è possibile sia realizzato. E noi non pensiamo che questo fine sia difficile a raggiungere. E' in questo spirito e ringraziandovi, Signor Presidente, con i vostri collaboratori diretti, per l'opera fin qui effettuata, che noi formuliamo il voto di incontrarvi in una prossima sessione nel corso della quale noi saremo in grado di dire che i nostri appelli sono stati ascoltati là dove sono particolarmente diretti e che noi abbiamo avuto la prova che la solidarietà vive tuttora, che lo spirito di umanità anima ancora il cuore di tutti i popoli. Speriamo di potervi comunicare che il mistero che ancora oggi circonda la sorte dei nostri militari dispersi, è stato finalmente chiarito, che il dubbio, la incertezza sono state sostituite dalla gioia o dalla rassegnazione nei cuori che soffrono nell'attesa di una notizia alla quale essi hanno umanamente diritto. Ginevra 9 settembre 1957".

Tutti i Delegati degli altri paesi intervenuti si espressero in termini analoghi appoggiando la nostra richiesta sull'utilità della continuazione dei lavori della Commissione, che, al termine della Sessione, assicurò di pronunciarsi in tal senso nel suo rapporto al Segretario Generale dell'ONU. Dall'ultimo rapporto della Commissione Speciale dell'ONU per i prigionieri di guerra fatto al Segretario Generale delle Nazioni Unite al termine della VII Sessione di Ginevra si sono tratti alcuni dati, che possono dare la sensazione dei risultati conseguiti e quanto ancora rimane da conoscere sui prigionieri e dispersi dei tre paesi maggiormente interessati. I dati si riferiscono al periodo 1950-1957 e cioè dalla istituzione della Commissione fino alla VII Sessione della stessa - secondo le segnalazioni fatte dai Governi: - Militari e civili della Germania Occidentale rimpatriati dall'URSS, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, ed altri paesi N. 30.000 (circa). - Militari e civili del Giappone, rimpatriati dalla URSS, Cina, Australia, Filippine ed altri paesi N. 34.000 (circa). - Militari e civili dell'Italia, rimpatriati dalla URSS, Polonia, Albania, Jugoslavia ed altri paesi N. 101.

Prigionieri detenuti in URSS: Germania 68, Giappone 1.300, Italia n.d. Prigionieri dei quali è stata provata la cattività in URSS, non rimpatriati e dei quali si ignora la sorte: Germania 100.000 (circa), Giappone 8.000, Italia 1.396. Dispersi in URSS: Germania 1.200.000 (circa), Giappone 370.000, Italia 63.654. Dopo le segnalazioni di tali dati e a conclusione del suo rapporto, la Commissione fa rilevare ancora una volta il rifiuto del Governo dell'URSS di cooperare con la Commissione, la quale provvide a precisare sempre nei rapporti all'Assemblea Generale dell'ONU i termini della questione dei prigionieri di guerra fatti durante la seconda guerra mondiale e cioè che essa fosse risolta d'accordo in uno spirito di pura umanità ed in termini accettabili da tutti i Governi interessati. Rinnovava infine l'appello a questi Governi ed alle varie Organizzazioni di continuare i loro sforzi perché il problema dei prigionieri di guerra non era stato ancora completamente risolto.

lunedì 17 maggio 2021

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 11

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - Le operazioni per la conquista del bacino industriale del Donez e l'occupazione della stazione di Stalino (13-29 ottobre 1941).

domenica 16 maggio 2021

I prigionieri del Don

Un altro interessante documentario di Rai Storia sulla Campagna di Russia.

Immagini, Italo Gariboldi

Il generale Italo Gariboldi, comandante dell'ARMIR, a colloquio con ufficiali e soldati italiani.



sabato 15 maggio 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Il processo D'Onofrio, parte 7

Il processo D'Onofrio, settima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA DECIMA UDIENZA.

6 giugno 1949. - Ancora quattro testi d’accusa, tra oggi e domani, e poi sarà la volta del secondo gruppo di quelli a discarico e le accuse cominceranno a piovere nuovamente sul capo del querelante. La tempesta, dopo una settimana di bel tempo, commentava il pubblico in attesa che il tribunale facesse il suo ingresso nell’aula. Il primo a deporre è un ex sergente maggiore di fanteria, Orlando Galli, catturato nel 1942 e portato nel campo di Tamboff. La prima persona che sentisse parlare, in quei luoghi, in lingua italiana fu la signora Torre la quale rivolse parole di incoraggiamento e si adoperò, in seguito, a che il rancio venisse distribuito regolarmente e con la massima puntualità. Il teste narra poi dell'epidemia di tifo petecchiale scoppiata nel campo a causa del traffico di pane organizzalo da alcuni prigionieri con i malati ricoverati nel lazzaretto. L’epidemia mieté molte vittime e lo stesso teste ne fu contagiato. Appena guarito chiese di essere iscritto alla scuola di antifascismo di Juge.

Presidente: 'Da chi era diretta quella scuola?'.

Galli: 'Da un ufficiale russo. Come istruttori però c'erano alcuni fuorusciti italiani, ad esempio, il Robotti. Il corso durò tre mesi durante i quali fu illustrata agli allievi la costituzione russa e abbondantemente spiegato il perché il fascismo non avrebbe mai potuto vincere la guerra. I licenziati dal corso dovevano, per gli altri prigionieri, costituire un esempio e pertanto furono destinati a svolgere la loro attività nei vari campi. Dovevano anche spiegare ai russi che popolo italiano e fascismo erano due cose completamente diverse.

Io fui destinato al campo 165 dove incontrai spesso il Fiammenghi. Un giorno Fiammenghi, riuniti i prigionieri, fece un discorso e, parlando contro Mussolini ebbe a definirlo un 'traditore venduto ai tedeschi'. A queste parole la camicia nera Salvatore Fichera, gridò rivolto al Fiammenghi: 'Ma voi siete i traditori, siete voi, gli emigrati, i fuorusciti!'. Il Fichera fu immediatamente allontanato dalla riunione ma non mi risulta che contro di lui sia stato preso alcun provvedimento. D'Onofrio, che conobbi nel marzo 1944, si interessò moltissimo alle nostre condizioni, non ci parlò solo di politica ma anche dei nostri bisogni. D'Onofrio era stimato e benvoluto da tutti noi, tanto che quando partì fu organizzata in suo onore una grande festa alla quale presero parte tutti i prigionieri'.

Il sottotenente di fanteria Vincenzo Vitello, altro teste ascoltato, fu ben lieto di aderire alle idee che venivano propagandate nei campi di concentramento. Fu tra i primi collaboratori de 'L'Alba' e al campo 27 discusse con gli altri scrittori l'indirizzo da dare al settimanale a carattere informativo e democratico.

Vitello: 'Fu una tribuna democratica dalla quale espressero le loro opinioni anche alcuni democristiani'.

Avv. Taddei: 'Ma se quel partito ancora doveva nascere...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Allora su quel foglio si potevano scrivere articoli anche di intonazione antimarxista...'.

Vitello: 'Sì. Certamente'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Bene. Allora si metta a verbale. Voglio leggerli, io, quegli articoli...'.

A questo punto il Presidente ha voluto sapere se il teste avesse mai scritto a casa.

Vitello: 'Sì. Quattro o cinque volte in tutto'.

Presidente: 'E quante di queste lettere sono giunte alla sua famiglia?'.

Vitello: 'Una sola. Ma quando tornai in Patria seppi che i miei avevano ricevuto notizie direttamente da D'Onofrio'.

Avv. Mastino Del Rio: 'E dai suoi ha mai ricevuto posta?'.

Vitello: 'Mai'.

Avv. Taddei: 'È vero che il maggiore russo Terescenko elogiò il contegno delle truppe italiane sul fronte russo dicendo che era stato quello più umano?'.

Vitello: 'No. Non mi risulta'.

D'Onofrio: 'Sì. La circostanza è esatta. Il maggiore Terescenko parlando del comportamento degli italiani che combattevano al fronte russo disse appunto che la condotta di quelle truppe era stata la più umana'.

Ripresa la sua deposizione, il teste anch’egli allievo della scuola di antifascismo, parla a lungo dell’indirizzo che a quei corsi veniva dato, niente affatto 'marxista'. Il programma comprendeva: storia d'Italia, storia del movimento democratico mondiale, elementi di economia politica, politica sovietica, notizie sui danni che il fascismo aveva provocato in Italia. Il teste fu 'assistente' al corso e si dice ora 'lieto' di aver dato la sua opera allo scopo di contribuire 'a sviluppare nei prigionieri i concetti e le idee antifasciste'..

Avv. Taddei: 'Vuol dirci quali erano i libri di testo usati in questa scuola?'.

Vitello: 'Pochi testi italiani' risponde deciso, dopo un momentaneo imbarazzo.

Avv. Taddei: 'Per esempio?'.

Vitello: 'Per esempio 'I Promessi Sposi'...'.

Avv. Taddei: 'Già, 'I Promessi Sposi» visti da un marxista!'...'.

Vitello: 'Ringrazio ancora il fuoruscito Robotti perché mi aiutò ad acquistare coscienza antifascista'.

Avv. Taddei: 'Lei vuoi ringraziare troppa gente. Lasci andare...'.

Ultimo teste Giovanni Melchionda, sottotenente di fanteria. Al momento della cattura i sovietici gli trovarono nelle tasche alcune cartoline di propaganda antisovietica nelle quali il soldato russo veniva raffigurato come un orso dai lunghi artigli. Un ufficiale russo si impadronì delle cartoline e gli chiese se avesse notato qualche differenza fisica fra loro russi e gli italiani. Il teste rispose negativamente.

Melchionda: 'Espressi a quell'ufficiale la mia paura di essere fucilato, ma quello mi rassicurò dicendo che i russi non odiavano i soldati italiani perché sapevano bene che erano venuti a combattere soltanto per ordine di Mussolini. Chiesi allora se saremmo stati mandati in Siberia e l’ufficiale mi rispose che in fondo la Siberia non era poi quell'inferno che si diceva e che la propaganda ci dipingeva...'.

Avv. Taddei: 'È una questione di punti di vista'.

Melchionda: 'Al campo di Oranki, trovammo le baracche riscaldate...'.

Avv. Taddei: 'Ma davvero?...'.

Melchionda: 'Sì. Riscaldate. Eravamo vicino alle cucine'.

La deposizione si chiude con l'arrivo qualche giorno prima del 25 luglio del solito D'Onofrio e del famigerato Fiammenghi.

L'UNDICESIMA UDIENZA.

7 giugno 1949 - A metà dell’udienza, quando già era stato ascoltato l'ultimo teste d’accusa, e prima che si presentasse ai giudici il primo della seconda serie di quelli a discarico, si è scatenato un grosso ennesimo incidente. L'avv. Taddei ha annunciato al Tribunale che, allo scopo di vagliare l'attendibilità di certi testimoni, aveva intenzione di esibire una lettera pervenutagli. La parte civile, sempre in preallarme per le uscite improvvise della difesa, si è opposta alla lettura invocando la irregolarità della procedura, ma il P. M. ha dato lo stesso lettura dello scritto che ci piace riprodurre integralmente.

P.M.: 'Avendo appreso dai giornali la deposizione fatta nel processo D'Onofrio dal sergente maggiore Giovanni Troia, dichiaro che il Troia nel periodo delle elezioni del 2 giugno fece una offerta di L. 10.000 a mia madre se gli cedeva il certificato elettorale di mio fratello Vito Buccellato, disperso in Russia, come era a conoscenza del Troia. La lettera è firmata da Nicoletta Buccellato abitante in Roma, viale delle Provinole, 2'.

C'è mancato poco che la baruffa verbale si trasformasse in un pugilato. L'avv. Paone, rosso di collera, è scattato in piedi e ha fatto atto di lanciarsi contro l'avv. Taddei, gridando che questa non era altro che una mossa politica per tentare di ristabilire l'equilibrio spezzato dalla presentazione, da parte dell’accusa, di una circolare che l’Unione dei Reduci dalla Russia inviò, a suo tempo, ai suoi iscritti per raccogliere deposizioni. L’avv. Taddei ha gridato qualche cosa che, nella confusione sfugge alle orecchie degli ascoltatori, ma deve essere bene inteso dal suo avversario che prontamente lo ha rimbeccato.

Avv. Paone: 'Sei un fascista. Tu cerchi così di rifarti una verginità. Tu fai il gioco dei democristiani...'.

Avv. Taddei: 'Ma stai zitto! Voialtri avete fatto votare anche i morti!...'.

Avv. Paone: 'Smettetela. Questo non è un giuoco leale...'.

P.M.: 'Ora basta, avv. Paone'.

Avv. Paone: 'Ma io sono stato provocato'.

Il Presidente tronca l'incidente sospendendo la seduta. Paone e Taddei si allontanano insieme dall'aula per rifare la pace davanti ad una tazzina di caffè. Quale ultimo teste d’accusa, depone il sottotenente di fanteria Esterino Montanari.

Montanari: 'La marcia dal luogo della cattura al campo di concentramento fu estenuante, ma arrivati a destinazione le condizioni di vita migliorarono. Il vitto sarebbe stato sufficiente se la salute dei prigionieri fosse stata buona. Scoppiò una epidemia di tifo petecchiale e l'assistenza medica non fu delle migliori tanto che quasi tutti i malati morirono'.

A domanda dell’avv. Mastino del Rio circa l'assistenza medica, il Presidente chiede se nel campo c'erano ufficiali medici italiani.

Montanari: 'Nei primi tempi dell’epidemia non fu dato ai malati alcun medicinale, poi, in seguito, vennero distribuite delle pasticche di permanganato. Quanto ai medici italiani, nel campo ce ne erano sei ma erano tutti contagiati. Funzionava una infermeria dove prestavano servizio un infermiere croato e una infermiera russa.

Fui poi trasferito in un campo degli Urali dove trovai condizioni di vita ancora migliori. I prigionieri erano trattati così bene che non appena giunsero fecero fare loro un bagno di disinfezione. Trasferito nel campo di Susdal, conobbi il fuoruscito Roncato e seppi da lui che era stata costituita una scuola di antifascismo nel vicino campo n. 2; chiesi di frequentarla e fui ammesso ai corsi. Istruttori erano due italiani: Robotti e Carato. Qui feci la conoscenza con il D'Onofrio, il quale venne per l'inaugurazione del corso e lasciò in tutti una favorevole impressione: era riuscito a guadagnarsi le simpatie di tutti.

D'Onofrio tornò poi al campo-scuola e prima di partire per l'Italia, ci chiese l'indirizzo delle nostre famiglie per poter far loro giungere nostre notizie. Noi continuammo il corso al quale potevano partecipare tutti coloro che professassero idee antifasciste. È assolutamente falso che dalla scuola si uscisse comunisti; tanto è vero che la frequentavano anche antifascisti cattolici...'.

Avv. Mastino Del Rio: 'Infatti, si trattava di un seminario dove si insegnava il dogma cattolico...'.

Montanari: 'Io, ad esempio, sono uscito dalla scuola con idee socialiste'.

Ma il teste non specifica se si tratti di idee socialdemocratiche o socialfusioniste. Una nuova battuta dell’avv. Mastino del Rio provoca il primo violento battibecco fra i patroni delle due parti.

Avv. Mastino Del Rio: 'Ieri ci avete detto che si studiavano 'I Promessi Sposi', oggi ci dite quasi che si studiava il dogma cattolico. Ma insomma tutto ciò è perlomeno umoristico: cercate di salvare il pudore'.

È stata questa la frase che ha fatto andare su tutte le furie l'avv. Paone il quale, rivoltosi eccitatissimo al collegio di difesa, ha pronunciato violenti parole dalle quali è nato il tumulto.

Avv. Mastino Del Rio: 'Voi vi vergognate di dire che era tutta propaganda comunista; nient'altro che propaganda comunista!'.

Ristabilita la calma, il teste ha voluto ribadire al Tribunale come D'Onofrio si fosse vivamente interessato perché ai suoi familiari giungessero notizie del congiunto prigioniero.

Montanari: 'I miei, infatti, ricevettero una lettera, credo del D'Onofrio, in cui si davano notizie della mia salute'.

Avv. Taddei: 'La conosco. Era una circolare ciclostilata. Anche i miei la ricevettero'.

È evidente che anche i testi a carico non riescono a celare la tremenda tragedia dei prigionieri italiani, malgrado gli sperticati elogi e i non richiesti ringraziamenti per D'Onofrio. Salvatore Pontieri, tenente dei bersaglieri in servizio permanente, ha aperto la seconda sfilata dei testi a discarico.

Pontieri: 'Al campo di Tamboff, dove trascorsi i primi tempi della prigionia, conobbi la signora Torre. Molti internati si rivolgevano a lei per avere qualche indumento pesante che li riparasse dal freddo intensissimo di quella zona. Ma la fuoruscita ad ogni richiesta del genere rispondeva invariabilmente: 'Avete battuto tanto le mani fino a ieri, ora abituatevi a battere i piedi'.

Questo lo spirito satanico delle donne italiane in Russia, se pur il nome di donne e di italiane si conviene a queste male femmine comuniste. Nel luglio 1943 il querelante tenne due conferenze al campo di Skit.

Presidente: 'Venne mai interrogato, lei, dal D'Onofrio?'.

Pontieri: 'Sì. Fu la sera stessa della seconda conferenza. Appena entrato nel suo ufficio, mi chiese per quale ragione non mi fossi iscritto alla scuola antifascista e aggiunse, senza aspettare risposta, che era stata proprio la mentalità come la mia a spingere i soldati italiani a venire a far la guerra contro la Russia. Io risposi che avevo fatto soltanto il mio dovere di ufficiale, al che D'Onofrio replicò: 'Altro che dovere. Voi siete venuti in Russia per rubare e per commettere delle atrocità e state attenti perché il vostro atteggiamento può portare a gravi conseguenze'. Le stesse minacce il querelante rivolse al cap. Magnani e al ten. Ioli, i quali due giorni dopo furono trasferiti in un campo di punizione'.

A proposito del Magnani il teste, su richiesta del tribunale, ha detto che era una bella figura di ufficiale, di cui tutti avevano la massima stima. Dopo l'interrogatorio del capitano, il teste ha poi dichiarato di aver inteso il D'Onofrio che diceva: 'A Magnani ci penso io'.

Presidente: 'Ma lei è sicuro che fosse proprio D'Onofrio?'.

Pontieri: 'Sicurissimo: ne riconobbi la voce. E del resto quando lo rividi, Magnani mi disse che la responsabilità del suo trasferimento era tutta di D'Onofrio'.

Commissione speciale dell'ONU, parte 8

Pubblico l'ottava parte di un documento storico di alto interesse, recuperato qualche mese fa dopo svariate ricerche. "Note e documenti riguardanti i militari italiani prigionieri e dispersi i Russia" realizzato dell'Ufficio del delegato italiano presso la Commissione speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra, edito nel 1958.

In definitiva, purtroppo, i risultati della IVa Sessione non conseguirono lo scopo cui tendevano gli sforzi e la volontà dei componenti le singole Delegazioni. Un passo chiarificatore e conclusivo nella risoluzione del delicato problema, avrebbe potuto raggiungersi solo con la presenza di una delegazione russa, che animata da eguale spirito di umana comprensione avesse dimostrato di accedere, nei limiti del possibile, alle richieste da tempo ed inutilmente formulate. Durante i lavori della Commissione, la Delegazione Italiana sollecitò ed ottenne dal Comitato Internazionale della Croce Rossa assistenza in favore dei connazionali trattenuti in Russia mediante invio mensile di pacchi viveri e vestiario. Inoltre, durante un viaggio effettuato in Germania, stipulò un accordo con la Croce Rossa tedesca per effetto del quale si venne a stabilire una reciproca collaborazione nel campo della ricerca dei dispersi dei due Paesi.

Nel 1954, il 6 settembre al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra la Commissione Speciale dell'O.N.U. per i prigionieri di guerra apri la Va Sessione con la partecipazione delle Delegazioni dei paesi maggiormente interessati al problema: Germania, Giappone, Italia. La Commissione, volendo dare un carattere di riservatezza e di limitazione ai lavori, intesi particolarmente all'aggiornamento della documentazione ricevuta dai Governi dei tre paesi predetti, non ritenne di estendere gli inviti agli altri Governi e in special modo a quello dell'U.R.S.S. convinta di ottenere da questo ultimo, come per gli anni precedenti, un ennesimo rifiuto motivato dal mancato riconosciuto dell'U.R.S.S. della legalità della Commissione, la cui funzionalità fu sempre ritenuta strumento di propaganda degli Stati Uniti.

Le Delegazioni dei tre paesi intervenuti furono ricevute separatamente dalla Commissione in sedute private, durante le quali ciascun Delegato presentò documenti suppletivi e illustrativi per l'aggiornamento della situazione dei propri prigionieri e dispersi. Tutte e tre le Delegazioni furono concordi nel domandare alla Commissione di tenere una seduta pubblica allo scopo di dare ai lavori un valore che meglio potesse soddisfare l'aspettativa dell'opinione pubblica dei rispettivi Paesi, ma la Commissione non ritenne di accogliere la richiesta per dare, come detto alla apertura della Sessione, un carattere di riservatezza ai lavori.

In una delle successive sedute private il Delegato Italiano consegnò alla Commissione per l'aggiornamento della situazione sui prigionieri e dispersi italiani: a) cinque volumi sulla Cronistoria individuale relativa a 528 militari per ognuno dei quali era riprodotta l'immagine del prigioniero e la prova della sua cattura e internamento in campi di prigionia dell'U.R.S.S., costituita o dalla cartolina per prigionieri di guerra della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa Sovietica scritta dal militare durante la prigionia o dalla testimonianza della sua presenza nei campi della Russia rilasciata dai reduci dalla prigionia; b) due elenchi nominativi per l'aggiornamento della situazione dei 63 mila dispersi; c) un elenco degli atti di morte relativi ai militari deceduti in prigionia e rimessi dalle autorità sovietiche; d) un prospetto numero riepilogativo, aggiornato al 30 giugno 1954, dei prigionieri e dispersi italiani nell'U.R.S.S. Quindi il Delegato Italiano pronunciò la dichiarazione del suo Governo con la quale, in sostanza ribadì il concetto che il problema dei prigionieri e dei dispersi italiani in Russia non poteva considerarsi chiuso fino a che il Governo sovietico non avesse precisato la sorte loro occorsa e invitò la Commissione a proseguire nell'opera umanitaria intrapresa fino a far luce nell'oscuro dramma vissuto per tanti anni.

Questa la dichiarazione del Delegato Italiano: "Noi speriamo che questo lavoro continui perché la Commissione Speciale rappresenta l'ultima speranza di coloro che sono interessati in questo dramma che ogni giorno si fa più doloroso e più tragico. Se la Commissione concludesse i suoi lavori rimettendo al Segretario Generale dell'O.N.U. un rapporto finale, questa estrema speranza svanirebbe definitivamente. Noi non dobbiamo dimenticare che i lavori della Commissione sono seguiti con la più grande attenzione da migliaia di famiglie ma anche, almeno io lo credo, dall'interesse angoscioso di coloro che sono ancora prigionieri. I prigionieri italiani che sono rientrati in Patria nel corrente anno erano perfettamente a conoscenza del nostro e vostro lavoro. Possiamo dunque fare delle azioni che possano essere di estremo conforto a queste povere creature obbligate dall'ingiustizia e dalla violenza a restare lontani dalle loro famiglie e dalla loro Patria?

La Russia ha dimostrato, durante questi ultimi mesi di riavvicinarsi ai popoli democratici d'Europa e perciò il Governo di Mosca ha inviato i suoi atleti ai campionati europei. Noi pensiamo che potrebbe essere degno del Governo cimentarsi con popoli civili dovendo prima di tutto rispettare la civiltà e in primo luogo i diritti dell'umanità. Sig. Presidente, noi abbiamo avuto occasione di constatare che alla Sessione attuale della Commissione, il Governo russo non è stato invitato. E' vero, che come nelle precedenti sessioni il Governo di Mosca non avrebbe risposto all'invito, tuttavia noi avremmo preferito che, come l'altra volta, la Russia avesse rifiutato la sua collaborazione all'opera umanitaria della Commissione Speciale. In questa maniera l'opinione pubblica avrebbe potuto, una volta di più, avere le prove dell'atteggiamento negativo del Governo di Mosca. Ora noi attendiamo che la Commissione durante il lavoro di questa Sessione inviti l'U.R.S.S, a presentarsi a Ginevra. Se, è necessario una nuova argomentazione che meriti di essere presa in considerazione noi la presentiamo rimettendo alla Commissione una lista di 528 prigionieri di guerra italiani per i quali si ha la certezza della presenza in campi di concentramento sovietici.

Ciò perché essi hanno inviato dopo la loro cattura della posta alle loro famiglie impiegando cartoline ufficiali dello Stato russo o perché la loro esistenza nei campi è stata testimoniata da dichiarazioni di compagni di prigionia. Tutti costoro non sono rimpatriati ne il Governo sovietico inviato una documentazione attestante la loro morte. Se il Governo sovietico esaminasse questa lista dimostrerebbe di voler fare il suo dovere in favore dell'attesa e del dolore di tutti coloro che sono interessati in questa ricerca. Perché la Russia non dovrebbe rispondere se vuole considerarsi fra le Nazioni Unite? Si deve ricordare ciò che le altre Nazioni hanno fatto in merito al rimpatrio dei prigionieri di guerra. Ascoltate: l'Inghilterra ha catturato 420.116 italiani dei quali 413.064 sono rimpatriati. Per quelli che sono morti in prigionia l'Inghilterra ha inviato una regolare documentazione delle cause per le quali essi sono deceduti.

La Francia ne ha catturati 68.267 dei quali 68.024 sono rimpatriati. Il governo francese ha inviato al nostro la regolare documentazione dei 243 morti. Gli Stati Uniti d'America hanno catturato 125.583 prigionieri dei quali 125.471 sono rimpatriati; per il centinaio di morti gli Stati Uniti hanno inviato in Italia una documentazione con i più piccoli dettagli. Come può, il confronto di questa realtà, giustificare il silenzio del Governo di Mosca? Se i russi non possono o non vogliono fare le ricerche, se non possono e non vogliono fare il loro dovere a proposito di questo problema, il giudizio della storia sarà severissimo. Gli anni passati noi siamo venuti qui per domandare di essere aiutati nella nostra opera, disposti a dimenticare molte cose, a perdonare tutti gli affronti, oggi ancora noi vogliamo essere soltanto compresi, essere aiutati da coloro che debbono comprenderci e che possono aiutarci. La documentazione che noi presentiamo alla Commissione è un ultimo mezzo per mettere l'URSS in condizioni di fare il suo dovere. Noi vi preghiamo vivamente Sig. Presidente di comprenderci e di accogliere favorevolmente la nostra richiesta.

Noi domandiamo ciò in nome del dolore che voi conoscete, per il dramma che voi stessi avete vissuto e vivete ancora. Sig. Presidente voi avete avuto l'onore di ricevere e di alzare la bandiera dell'O.N.U. per una delle migliori e delle più umane opere affidate all'O.N.U. stesso. Io invidio questo onore perché sono sicuro che la battaglia sarà alla fine una vittoria per voi, una vittoria per la giustizia, per la libertà, per la solidarietà che deve esistere fra tutti i popoli e tutti gli uomini se non si vuole uccidere l'umanità. Sig. Presidente voi dovete, voi potete dimostrare che la giustizia non è una parola ma una realtà".

giovedì 13 maggio 2021

La guerra sul fronte orientale, parte 6

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo sesto video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Racconti di Russia, una lotta impari

Questa testimonianza tratta dal libro "NIKOLAJEWKA: C'ERO ANCH'IO" di Giulio Bedeschi descrive in poche righe l'inadeguatezza di alcuni armamenti in dotazione all'ARMIR durante la campagna di Russia. Inadeguatezza che diede origine ad atti di eroismo e talvolta di estremo sacrificio.

Sergente Luciano Papinutto, Battaglione Gemona, 8° Reggimento Alpini.

[...] All'orizzonte si profilano le sagome mastodontiche di due carri armati russi, i quali cannoneggiavano e mitragliavano in forma impressionante seminando morte ovunque, ed a completamento di questo triste spettacolo seguiva una seconda carneficina operata dai cingoli di un carro armato, il quale presa d'infilata la colonna, macinava sotto i suoi cingoli muli, slitte, equipaggiamenti, e ciò che era più triste, alpini. [...]

Il sergente Vari coadiuvato dal caporale Venturini e dagli alpini Tea, Molinaro, Calligaro, con altri serventi, quando il colosso corazzato russo, rullando sulla colonna indifesa giunse a circa 100 metri, aprì il fuoco centrandolo per ben 13 volte consecutive senza arrecargli il minimo danno, e senza neppure impressionare l'equipaggio, il quale diresse velocemente il carro verso il cannone tenuto dall'ardito sergente Vari, schiacciandolo. Il caporale Venturini e gli altri serventi rimasero fortunatamente feriti di striscio e non gravemente.[...]

RICCARDO