venerdì 6 settembre 2019

Le fosse di Uciostoje

Come forse molti di voi hanno visto, sono state pubblicate delle fotografie delle fosse in oggetto; ora tale post è stato rimosso. Ho preso questa decisione per vari motivi, consapevole che, seppur mosso esclusivamente da buoni propositi di divulgazione, queste situazioni vanno trattate in modo opportuno e in maniera più delicata.

Pertanto ritengo corretto scusarmi con i parenti di quei nostri soldati che hanno visto immagini che li possono avere turbati; non era mia intenzione causarvi ulteriori dolori, ma solo denunciare questa situazione. Il mio obiettivo è e sarà sempre quello di poter aiutare le autorità preposte a riportarli a casa. Ma ritengo corretto anche scusarmi con tutte le persone che in Russia ci hanno aiutato e guidato in queste località; se non ci avessero offerto il loro contributo tutto questo non sarebbe possibile documentarlo. Per chi non conosce la situazione posso anche aggiungere che sono i russi stessi, i primi a chiedere una degna sepoltura per questi resti.

Nel mio piccolo e per quanto potrò fare, cercherò di sensibilizzare in Italia chi di competenza per provvedere opportunamente.

Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: in questa località si verificò uno degli episodi più famosi della battaglia: alle ore 7.00 del giorno 22 dicembre il flammiere Mario Iacovitti, preso uno dei cavalli presenti, si lanciò contro le linee sovietiche sventolando un tricolore, galvanizzando così alcuni reparti italiani che avrebbero poi sferrato un improvviso attacco contro alcuni reparti sovietici; catturato, rientrò in Italia alla fine della guerra e gli fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare; ho avuto l’onore e il piacere di scoprire la sua tomba al Cimitero del Verano di Roma, dove Mario oggi riposa.



Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: il pendio dove probabilmente si verificò questo episodio "... narra, sulla base di testimonianze dirette concordanti tranne per alcuni particolari, che alla ore 07.00 del 22 dicembre si sarebbe svolto l'episodio di valore del soldato italiano a cavallo che sventolando una bandiera si sarebbe lanciato da solo contro le linee sovietiche galvanizzando alcuni gruppi di combattenti che avrebbero sferrato un improvviso attacco respingendo alcuni reparti nemici e guadagnando terreno. Il coraggioso cavaliere - che dopo cinque cariche fu poi catturato ma sopravvisse alla prigionia rientrando in Italia nell'autunno del 1945 - è stato in seguito identificato nel flammiere Mario Iacovitti del 1° btg. chimico d'armata, cui fu conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare. Il primo a seguire Iacovitti nella carica fu il carabiniere Giuseppe Plado Mosca, appartenente al quartier generale della divisione "Torino", il quale rimase ucciso dal fuoco russo e alla cui memoria fu pure concessa la Medaglia d'Oro al Valor Militare".



Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: il monumento eretto per ricordare il commissario politico sovietico Emjlian Lisichkin. All'epoca dei fatti cercò di trattare la resa delle truppe italiane ma venne ucciso da dei tedeschi o da dei nostri soldati.

Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: quella che fu probabilmente Arbusowka alta all'epoca dei fatti.



Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: dal libro “L’aurora a occidente” di Mario Bellini si evinco particolari geografici che ci consentono di capire meglio cosa davvero si verificò ad Arbusovka: “Risalii le file stanche e disarticolate della colonna. I bagliori degli enormi falò che bruciavano nell'abitato di Arbusow, nel nero metallico della notte, coloravano di rosa e di arancione la neve compatta di un vasto pianoro, nel quale come un estuario, si immetteva la strada che stavamo percorrendo. Bruciavano le isbe di un agglomerato di case, mentre era in corso uno scontro fra reparti tedeschi che avevano preso posizione sulla sinistra e forze russe già appostate sulla destra. Dalle traiettorie delle traccianti e dalle parabole dei bengala che partivano dalle contrapposte posizioni riuscii a capire che ci trovavamo in una valletta stesa fra due linee di colline”.

“Mentre il fuoco incrociato delle mitragliatrici continuava, piovvero tra le isbe i proiettili dei mortai. Il fragore delle esplosioni si accompagnava al bagliore accecante delle vampe seguito dalle nuvole di fumo acre color antracite. Cominciò la grande mattanza che andò avanti per due giorni. Ogni volta quelle esplosioni facevano volare come stracci i corpi dei colpiti, uccidendoli o martirizzandoli”. “I feriti, con le membra spezzate e mutilate, venivano trascinati via e affidati ai medici che, senza attrezzatura e con scarsissimi materiali, iniziarono, su questa banchina glaciale, un prodigioso impegno che sarebbe andato avanti fino alla notte del 24 dicembre e che alcuni di loro avrebbero proseguito in prigionia, restando a fianco dei loro sventurati pazienti. Tutti i feriti, da quella sera, iniziarono un vero calvario. I più fortunati furono stivati in fredde isbe. La maggior parte rimase all'addiaccio. Venivano addossati alle pareti esterne delle case o ai pagliai, avvolti in coperte. Molti sarebbero morti assiderati”.

“Il mio cervello lavorava febbrilmente mentre osservavo gli elmetti a campana dei russi che dalla collina alla mia destra stavano scendendo verso di noi. Tutta la valle era piena di vampe, di scoppi e di fumo; ciò rendeva difficile scambiare qualche parola. Molti erano già stati afferrati dal panico che, purtroppo, si stava diffondendo”. “In quel momento, soffocato da una massa di gente terrorizzata e pronta a essere macellata, conobbi la paura. Fui afferrato da una specie di ipnosi. Mi spoglia interiormente di ogni cosa, orgoglio, ideali. Mi sentii incapace di ogni scelta, perfino della libertà di movimento. Ero inerte, più che rassegnato; pronto a essere catturato”. “Senza badare al pericolo, percorremmo lo scenario degli innumerevoli scontri di quel giorno. Ci avviammo lentamente lungo il pendio in leggera salita che da Arbusow bassa porta ad Arbusow alta, l’ultima propaggine della quale era in mano al nemico che da qualche centinaio di metri ci osservava senza difficoltà”.

“Arrivammo alle ultime case del primo agglomerato di Arbusow alta. Cominciava a quel punto il tratto di strada che era terra di nessuno. Più avanti si notavano le chiazze bianche delle isbe occupate dai russi. Là era piazzata la mitragliatrice che continuava a lanciare traccianti le cui traiettorie dividevano a metà la vallata”. “Mano a mano che quella notte terribile aveva scandito il suo tempo malvagio, si erano affievoliti i lamenti dei feriti e dei congelati che, non avendo trovato posto al coperto, erano stati collocati in giacigli di paglia addossati alle pareti esterne delle isbe. Quasi tutti erano morti”. “Ero certo che i tedeschi si erano già concentrati nella direzione sud - sud ovest a immediato contatto con il nemico. Non ne vedevo più nessuno sulle strade del paese. Noi italiani avevamo ancora dei reparti della Torino e di camicie nere efficienti a presidio di qualche caposaldo”.

“Verso le 9 si diffuse l’ordine del comando italiano di concentrarsi nella balca Mensinchina, una valletta defilata che si apriva nel pianoro all'inizio del paese di Arbusow. Ci avviammo in quella direzione con la speranza di sfuggire al massacro. Ci allontanavamo, però, dalla linea di contatto con il nemico, dove la colonna sarebbe dovuta penetrare se si fosse aperto un varco”. “Mi ero avviato lungo una balca parallela: era una fenditura incassata con pareti profonde circa 2-3 metri. Vi erano gruppi di soldati seduti in terra, immobili e silenziosi. Chiesi loro se più avanti vi fossero reparti italiani. Mi risposero che c’erano i tedeschi. Avanzai ancora per qualche centinaio di metri e raggiunsi un incrocio nel quale confluiva una fenditura trasversale che proveniva dall’abitato di Arbusow. La balca da me percorsa proseguiva oltre l’incrocio”.

Queste le testimonianze di alcuni dei protagonisti; ma la tragedia che vissero i nostri soldati nella “valle della morte” la si evince in tutta la sua drammaticità dalle cifre: durante gli scontri che si verificarono nella località dal 21 al 25 dicembre 1942 su circa 25.000 italiani, ben 20.500 furono i morti, i prigionieri ed i feriti; solo 4.500 uomini, oltre ad un certo numero di tedeschi della 298° Divisione di Fanteria germanica, riuscirono a sfondare verso la successiva località di Tscherkowo.

Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: quel che resta di un campo di battaglia.







Diario di viaggio, giorno 5, Arbusowka

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: giro di orizzonte con le alture tenute dai russi.

Diario di viaggio, giorno 5, Arbusowka

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: fra i resti delle isbe di Arbusowka bassa; qui vennero improvvisati dei piccoli ospedaletti dove i nostri soldati morirono a centinaia per il freddo e per le ferite.

Diario di viaggio, giorno 5

5 SETTEMBRE - Giornata dedicata ad Arbusowka, la "valle della morte: dal libro “Da i più non ritornano” di Eugenio Corti: “Arbusov si trova in una grande vallata ovale, poco profonda. È costituita essenzialmente da un agglomerato di isbe, poco sopra la base di uno dei due pendii maggiori: se ricordo bene, quello nord. Da tale agglomerato si staccano verso est - mantenendosi sul pendio - numerose casupole sparse, dapprima abbastanza vicine, poi sempre più lontane tra loro e come disperse. Dalla parte opposta, dunque a ovest, esce invece dall'agglomerato una lunghissima fila di isbe che - fiancheggiata da una strada - risale obliquamente il pendio fino ad allargarsi, in alto, in un agglomerato minore. Da questa lunghissima fila si dirama in direzione sud un’altra file di abitazioni piuttosto distanziate fra loro, la quale - tornando per così dire indietro, con un’ampia parabola, attraverso la conca e lungo il piede dell’opposto pendio - tende a riunirsi all'agglomerato maggiore. Non lo si può raggiungere, perché nel fondo valle c’è una palude.

Allora questi acquitrini formavano una caotica distesa di ghiacci impolverati di neve, con grandi banchi di canne palustri secche e incessantemente agitate dal vento, che suggerivano uno straordinario senso di desolazione. Orbene: l’agglomerato maggiore e parte della fila principale di isbe, col pendio soprastante, erano in mano nostra; tutto il resto era del nemico che si annidava specialmente tra le canne del fondo valle, mentre le sue armi pesanti stavano dietro di lui, piazzate oltre la sommità del suo pendio”. “Attacchi alla baionetta! Quel giorno fu memorabile. Non tutti partecipammo agli attacchi. I più, anzi, rimasero in paese, asse scure continuamente in moto e sbandatisi continuamente sotto i colpi di mortaio e di cannone russi. Ciononostante quel giorno il fronte nemico venne dovunque travolto, e le nostre postazioni coronarono nel pomeriggio tutta la vallata in cui era Arbusov. Fu l’ultima grande visione di eroismo italiano.

In quegli attacchi quasi tutti i migliori caddero (non parlo retoricamente, riferisco un dato obiettivo)”. “Dall'alto del costone ero calato nell'appendice est di Arbusov, formata di isbe sparse. Le quali - tutte piccole e molto rustiche - seguivano, irregolarmente distanziate tra loro, i due lati di una strada, o meglio pista, che con qualche curva si prolungava fino a perdersi lontano. C’erano morti, e morti, e morti dappertutto: italiani, russi, poi ancora italiani e italiani. Qua e là, accasciato o seduto nella neve, qualche ferito agli estremi invocava sua madre, oppure urlava per il dolore. Altri feriti venivano accompagnati frettolosamente indietro da uno o due commilitoni: avevano il viso segnato più che dalla sofferenza fisica, dall'ansia per ciò che adesso sarebbe accaduto di loro.

Erano infatti rimasti menomati combattendo per tutti, ma nessuno ora li avrebbe potuti aiutare. Avanti. Le pallottole fischiavano dappertutto”. “L’intera vallata - insisto - appariva disseminata di morti. Anche i feriti erano numerosissimi. Sentivamo con angoscia che non li avremmo potuti curare: erano tutti, o quasi, destinati a morire nel giro di poche ore. Si erano formati alcuni ‘posti di medicazione’: ricordo soprattutto quello dentro Arbusov, intorno alla casetta infermeria. Adesso i due locali di cui la casa si componeva e la stalla erano talmente gremiti, da non potervisi in alcun modo camminare. I feriti stavano addirittura uno sull'altro. Anche fuori si udivano i loro lamenti e le loro grida, così piccole nel gelo tremendo. Quando uno dei pochi soldati che s’erano dedicati alla loro cura, entrava per portare soccorso di un po' d’acqua, ai lamenti si mescolavano le urla e le imprecazioni di quelli che egli involontariamente calpestava. Lo spettacolo più miserando non era dato però dalla casa, ma dal terreno ad essa circostante.

Qui sulla neve era stata allargata un po' di paglia, e sopra la paglia giaceva qualche centinaio di feriti. Erano stati lasciati in tutte le posizioni da coloro che ve li avevano frettolosamente portati. Non tuttavia a contatto uno dell’altro, di modo ch'era possibile camminare tra loro. Questi si mantenevano in genere silenziosi. La temperatura doveva essere di 15-20 gradi sotto zero. Stavano per lo più raggomitolati sotto una misera coperta da campo incrostata di neve, e rigida, al solito, come una lamiera; certuni erano senza coperta, e non avevano altro riparo che il cappotto. Mescolati ai feriti c’erano già dei morti: le loro lacerazioni - alcune mostruose - erano state a malapena fasciate, ed essi non avevano potuto resistere nella lotta tremenda contro la perdita di sangue, il digiuno, e il freddo assommati.

In questo golfo di dolore si aggirava un unico medico il quale, stremato dalla fatica, cercava di prestare le cure che poteva. Sentii confusamente dire che - non so se quel giorno, o nei successivi - egli sarebbe stato ferito ben due volte da schegge nemiche, mentre eseguiva delle amputazioni mediante lamette da barba”. “In tal modo lasciammo la Valle della Morte: il paese era semidistrutto, molte isbe bruciate, e molti civili, vecchi, donne, bambini, uccisi dalla battaglia o dall'odio dei tedeschi. Ci lasciavamo indietro una vallata disseminata dovunque di morti: con i morti tedeschi, apatici, e i russi, in qualche punto fucilati in file regolari di dieci, i nostri morti. I nostri, di gran lunga i più numerosi: uccisi dal bombardamento nemico, o caduti a ondate negli assalti alla baionetta, morti per gli stenti, morti di freddo.

Pensiero forse ancora più angosciante delle migliaia di morti, le centinaia e centinaia di feriti abbandonati sopra la neve, su poca paglia”. “Sottovoce cercammo di ricostruire le fasi dell’azione che aveva rotto il ferreo cerchio stretto dal nemico intorno alla vale di Arbusov. L’ordine di incolonnamento era stato trasmesso dal comando tedesco a quello italiano verso le 21.30. La colonna italiana doveva essere pronta per le 23.30. Gli italiani che, come me, Corti e Candela, giacevano all'addiaccio nelle buche, nei fossati, nei canneti della valle, non erano stati informati dell’ordine di incolonnamento. Alle 23.30 i pochi mezzi corazzati tedeschi e i reparti d’assalto della 298a divisione, con azione fulminea, avevano travolto il munitissimo caposaldo nemico di Arbusov alta e avevano aperto il varco attraverso il quale erano passati gli assediati. La retroguardia, costituita da reparti della divisione Torino, aveva respinto i rabbiosi attacchi dei russi, riorganizzatisi dopo lo sfondamento, e aveva consentito al grosso della colonna italiana di evitare la cattura. Centinaia di nostri feriti, per la mancanza di mezzi di trasporto, erano stati abbandonati nelle isbe, affidati ad alcuni ufficiali medici che si erano offerti volontariamente di assisterli in prigionia”.