martedì 20 giugno 2023

Italiani brava gente, parte 4

PREMESSA.

Questo nuovo studio che ho voluto intraprendere e successivamente pubblicare, non vuole gettare discredito sui nostri soldati (e 7 anni di pubblicazioni a ricordo e in loro onore ne sono la prova), ma esclusivamente raccontare una pagina di storia che li riguarda e che, penso volutamente, è stata in parte accantonata. Se questa è la verità, qualsiasi essa sia deve essere raccontata. Erano uomini e come tali soggetti anche ad azioni che oggi riteniamo riprovevoli, ma che vissute direttamente e sulla propria pelle, hanno un senso diverso e come tali vanno prese e non giudicate senza minimamente avere vissuto analoghe e così drammatiche esperienze. Anche tutto questo è raccontare la loro storia e le sofferenze provate.

Estratti dal libro "Invasori, non vittime - La campagna italiana di Russia 1941-1943" di Thomas Schlemmer; libro che invito a leggere per intero per inquadrare al meglio il tema affrontato, anche considerando l'ampia referenza di archivi consultati e citati per intero nella trattazione.

Con la sua concentrazione sulle pene del soldato semplice e sul suo ruolo come vittima, la memoria collettiva della società italiana sulla distruzione dell'Armata italiana in Russia (d'ora in poi siglata corne ARMIR) mostra notevoli somiglianze con gli schemi predominanti della memoria sulla fine della 6a Armata tedesca a Stalingrado, a lungo prevalenti nella Repubblica Federale (fonte Cfr. Wegner, Stalingrad, qui pp. 191 sg.; la citazione susseguente si trova a pag.192). In entrambi i casi fu taciuto il fatto che i propri soldati combattevano una guerra offensiva e non difensiva, non furono prese in considerazione le condizioni politiche generali e la storia della catastrofe venne separata dalla storia della campagna militare che l'aveva preceduta. In questo modo si poterono evitare elegantemente temi spiacevoli come le colpe della guerra e le responsabilità di una politica d'occupazione criminale. In Italia, inoltre, si era sempre pronti a ribattere alle eventuali domande scomode scaricando tutta la responsabilità sulle spalle dei tedeschi. Questo approccio ebbe però due ulteriori conseguenze: da una parte portò a un "ampliamento e destoricizzazione del concetto di vittima" e favorì una visione semplificata degli eventi che non conosceva più né vincitori né vinti ("Stella rossa e penne nere: stessi dolori, stessi eroi", come ha scritto un giornalista italiano nell'aprile 2003 (fonte Paolo Di Stefano, "Corriere della Sera" del 26 aprile 2003, p.27); dall'altra, questa interpretazione non ha contribuito a una rielaborazione critica e scientifica del passato, cosicché si potrebbe fare il seguente bilancio: sulla campagna di Russia si è scritto molto ma, sorprendentemente, si è fatta poca ricerca.

E nel compendio delle direttive del Comando della "Ravenna", che regolavano il trattamento dei prigionieri di guerra e dei civili, si legge: "I comandanti di presidio faranno effettuare saltuarie perquisizioni nelle abitazioni private e adiacenze, nonché accurati rastrellamenti nei boschi vicini per ricuperare armi, munizioni e materiali militari. I civili trovati in possesso di armi siano senz'altro fucilati ed impiccati". (fonte AUSSME, DS II 787, DS Divisione "Ravenna", luglio-agosto 1942, allegato: Comando Divisione "Ravenna" (f.to Edoardo Nebbia) "Popolazione civile - Prigionieri di guerra" del 24/8/42).

Alla fine di dicembre del 1942, quando la catastrofe si era ormai abbattuta sull'8a Armata, il generale Nasci aveva trasmesso alla Divisione "Cosseria" un ordine riguardante la sicurezza delle truppe nel territorio a sud di Rossos. Questo documento ricalcava più il linguaggio tipico di tante direttive tedesche, con minacce di impiccagione e fucilazione, che lo spirito umanitario della grande civiltà romana: "1) Sicurezza sempre in atto sia nei movimenti di trasferimento sia nelle soste, sia nell'azione di pattugliamento e di difesa. 2) Massima diffidenza verso l'elemento civile sia pure trattandolo umanamente. In caso di atti ostili agire con la massima energia dando severi esempi di repressione. 3) Prendere immediati contatti con gli starosta per impegnarli, pena la vita, a cooperare alla sicurezza e tranquillità della zona. Se ritenuto opportuno e su indicazione dello starosta stesso, prendere ostaggi da fucilare qualora si provocassero casi gravi di ostilità a sfondo di tradimento o di mancata parola". (fonte AUSSME, DS II 1094, DS Divisione "Cosseria", novembre-dicembre 1942, allegato 510: Comando Corpo d'Armata Alpino (n° 6830 di prot.op. - f.to Gabriele Nasci) al Comandante della Divisione "Cosseria", Enrico Gazzale, del 28/12/42).

Ad esempio il 3 novembre 1941 il 3° Reggimento Bersaglieri comunicava l'esecuzione di undici spie (fonte AUSSME, DS II 578, DS 3a Divisione celere, ottobre-novembre 1941, allegato 406; Messaggio radio 3° Reggimento Bersaglieri, f.to Aminto Caretto, del 3/11/1941), mentre tre giorni più tardi il cappellano militare Lionello Del Fabbro annotava nel proprio diario che gli italiani avevano fucilato due prigionieri sospettati di appartenere alla polizia segreta sovietica (fonte Cfr. Del Fabbro, Odissea nella steppa russa, p.66).

Una sorte simile toccò nel dicembre del 1941 a due uomini catturati da un Bersagliere e in seguito fucilati come spie (fonte Cfr. Onorino Mascheroni, Un lungo anno, in Fronte russo, vol.I, pp.170-174, qui p.172). Anche se alcuni soldati italiani si rifiutavano di eseguire ordini di questo genere, si trovavano sempre dei commilitoni disposti a fare il lavoro sporco. Un caporale di una compagnia cannoni controcarro, appartenente alla 3a Celere, racconta nelle sue memorie: "In una casa, vicino alle scuole, trovano un borghese che comunica via radio con le truppe russe. Bisogna fucilarlo. Subito. È anche un esempio, si dice. Mi rifiuto, mi ripugna, mi allontano. I soliti volontari con una scarica breve, vicino alla porta della scuola, sopra dei gradini già uguagliati dalla neve praticano la giustizia" (fonte Hermes Stringo, Dopo Gorlowka, novembre 1941, ivi, pp.255 sgg., qui p.256).

Agli inizi di settembre del 1941 Giovanni Messe ordinava infatti senza mezza termini: "Le autorità tedesche segnalano la presenza di nuclei di franchi tiratori sui rovesci delle posizioni presidiate dalle Divisioni. Disporre per il loro rastrellamento ed eliminazione" (fonte AUSSME, DS II 575, DS CSIR, settembre-ottobre 1941, allegato 63: Comando CSIR (n° 5121/op. di prot. - F.to Giovanni Messe) ai reparti sottoposti del 8/9/1941). Dodici giorni dopo il generale comandante del CSIR diede alcune direttive sul trattamento della popolazione civile nella propria zona di competenza. Da una parte sottolineava che i rapporti tra gli abitanti dei territori occupati e i soldati italiani erano complessivamente buoni e vietava rappresaglie contro interi villaggi, dall'altra pero riteneva gli ebrei e i comunisti responsabili delle azioni di sabotaggio e delle imboscate, allineandosi così ai tedeschi: "Nei casi di sabotaggio, abbastanza rari e che sono dovuti a elementi comunisti singoli, soprattutto ebrei, non debbono essere fatte rappresaglie contro tutta la popolazione. Anche nei luoghi ove si sono presentate franchi tiratori si è potuto stabilire che si trattava di elementi comunisti o soldati in abito civile. Quindi in tali eventualità occorre che si indaghi con molto rigore per identificare i colpevoli che, se scoperti, debbono essere raggiunti da un adeguato, inflessibile e tempestivo castigo" (fonte AUSSME, DS II 628, DS Divisione "Pasubio", settembre-ottobre 1941, allegato 224: Comando CSIR (n° 3377 di prot. ris. - f.to Giovanni Messe) del 18/8/1941 a tutti i reparti).

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