lunedì 13 marzo 2023

Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 8

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, ottava parte. P.S. oggi questa testimonianza ha ancora più valore perché, seppur ho conosciuto il Signor Gianluigi una sola volta al telefono, ho appreso qualche settimana fa che ha raggiunto il suo povero padre; ad entrambi va la mia più profonda stima e il mio ricordo.

Breve biografia.

Nella prosa del diario della 369a squadriglia, nella relazione giornaliera relativa al 29 dicembre, cosi è descritto lo scontro: "N° 8 velivoli della squadriglia si trovano a Stalino. Superando inaudite difficoltà, dalle prime ore del mattino fino a mezzogiorno, il personale specializzalo riesce a preparare due velivoli per un volo di guerra. Alle ore 11,50 decolla una pattuglia per effettuare, in collaborazione con altri velivoli della 359a squadriglia, già dislocala a Stalino, una crociera di protezione sulle nostre truppe sulla zona Timefojewskj-Teltaja. Durata del volo 80'. Nell'immediato pomeriggio n° 2 velivoli della squadriglia (capitano Iannicelli e tenente Benedetti) più un velivolo dell'altra squadriglia (capitano Minguzzi) decollano per effettuare una crociera di vigilanza sulla zona del mattino. Giunta sul fronte, dopo pochi minuti di crociera la formazione avvista una pattuglia di tre velivoli del tipo "Martin-Bomber". Avvantaggiata dalla superiorità della quota, si lancia all'inseguimento. Quasi contemporaneamente i nostri velivoli vengono attaccati alle spalle da una grossa formazione di apparecchi da caccia di tipo modernissimo, probabilmente del tipo "Spitz-Maus". Un velivolo dei nostri continua l'inseguimento abbattendo un bombardiere nemico. Gli altri due tentano di contrastare l'attacco della caccia avversaria. Date le condizioni nettamente inferiori in cui si vengono a trovare i nostri due velivoli, ogni tentativo di reazione da parte nostra risulta completamente vano. E' necessario sottrarsi al combattimento. Nell'impari duello, il Comandante la Squadriglia, capitano Iannicelli Giorgio, viene abbattuto in fiamme. Gli altri due velivoli, disimpegnatisi dopo sforzi accaniti dagli apparecchi avversari, raggiungono la base".

Il capitano Minguzzi, suo compagno anche quel giorno, partecipe e testimone diretto dello scontro, scrive: "Assiste al combattimento a bordo di un Ca.311 (bimotore Caproni usato per la ricognizione) il Tenente Lolli, osservatore dell'esercito, che rientra subito a Stalino riferendo che alcuni nostri apparecchi sono impegnati in combattimento contro un nugolo di nemici. E' un combattimento impari, assolutamente disperato. Non ci sono altri apparecchi pronti e comunque non arriverebbero in tempo; non resta che attendere e l'attesa diventa insostenibile con il passare del minuti".

Annota ancora il capitano Minguzzi, descrivendo quanto avviene fra le 14,45 e le 15,45, gli ultimi minuti di vita del capitano Iannicelli, di quel 29 dicembre 1941, nel cielo fra Rikowo, Balka e Tolstaje. "... Appena giunti sulle linee è avvistata la formazione di tre Martin Bomber in procinto di bombardare le linee; a distanza, sulla nostra stessa quota, avvisto una decina di piccoli punti, probabilmente la scorta. Iannicelli mi da segno di assenso battendo le ali, ma mi indica di attaccare: - uno per ciascuno, via! via! - . I suol gesti sono inequivocabili nella loro semplicità. Scelgo il mio bersaglio, mi butto in picchiata e attacco di coda da breve distanza, non lasciandogli scampo. Quando cabro per rifare quota sullo slancio, vedo davanti a me un Macchi circondato da un nugolo di caccia nemici; è l'apparecchio di Iannicelli che o ha già rifatto quota o è rimasto in quota per proteggere il nostro attacco affrontando la scorta che si avvicinava. Il Macchi sguscia come una anguilla, rintuzzando gli attacchi, poi, improvvisamente, punta dritto verso terra, senza tentare alcuna manovra: il pilota deve essere stato colpito. Assisto impotente alla caduta dell'aereo, un misto di incredulità, di dolore, di ira mi paralizza. Seguo con gli occhi il Macchi, sperando che si riprenda e finisco anch'io nella mischia... Improvvisamente rimango solo nel cielo: i caccia nemici si allontanano, forse sono paghi del risultato, forse temono l'arrivo di rinforzi. Non so nemmeno io come sia riuscito ad evitare tutti gli assalti: quale Mano Superiore mi ha protetto? E perché non è intervenuta per Iannicelli e per Benedetti, che non ho più visto? Mi porto sul punto di riunione e circuito in zona nella speranza che Benedetti mi raggiunga: ho la testa vuota e mi rimprovero di ogni incuria: dovevo... dovevo... dovevo.... Dopo un decina di minuti di inutile allesa, faccio rotta su Stalino. Portandomi all'atterraggio inclino l'apparecchio perché ne vedano il numero: un urlo, accompagnato dal lancio di berretti segnala che mi hanno riconosciuto. Benedetti è già rientrato, adesso rientra torna un po' di speranza che tocca a me deludere: si affollano intorno a me, quando scendo dalla cabina; la mia voce è roca, e non è il vento che fa appannare gli occhi.

Il capitano Giorgio Iannicelli rimane là nelle lande sconfinate della Russia, testimone di una guerra assurda come tutte le guerre, una guerra senza odio, una guerra combattuta più contro il clima che contro la gente, una guerra che continua a pretendere le sue vittime. E' caduto da quel gran Comandante che era, più attento alla sorte dei suoi uomini che alla gloria del colpo fortunato. La Sua Salma è recuperata dal s.tenente medico Angelo Mazzoleni e tumulata, ai primi del mese di gennaio, nel cimitero di Juzowo. Non abbiamo nulla da offrire, se non la mestizia del cuore, il cordoglio per la morte di un collega, la pena per la perdita di un amico. Nella tasca della sua combinazione troviamo un paio di scarpine da neonato, quelle del figlio Luigi nato da pochi mesi, che portava con sé come portafortuna. Bovio ricorda che, mentre lo aiutava a preparare il suo bagaglio, Iannicelli gli aveva detto: "se non ritorno, te lo trovi già pronto per spedirlo a casa" .

Entrambi avevamo scherzato di quello che oggi sembra un presagio. Cervellin poi è il più colpito: per due nella stessa giornata ha dovuto rinunciare al volo per "favorire" Iannicelli. La sera, a mensa, non abbiamo il coraggio di guardarci in faccia. Poi qualcuno se ne esce con una battuta ad alta voce, di quelle ovvie, ma che ti fanno alzare la testa dal piatto. Si fa sempre cosi per dimostrare che non ci si lascia prendere dall'avvilimento: basta rompere il silenzio e si nasconde la mestizia in fondo al cuore. Il combattimento - continua Minguzzi nel suo racconto - trova un eco sulla stampa nell'articolo di Arturo profili per il "Lavoro di Genova" del 19 marzo 1942 "Una Squadriglia di Saette sgomina uno Stormo di Rata nei cieli dell'oriente russo".

"Fu il ricognitore che vide tutto, da molto lontano, il ricognitore che se ne era uscito nella tarda mattinata per raccogliere rilevamenti sulle linee e se ne scodinzolava piuttosto a bassa quota sulle siepi cosparse di bianco, sulla linea ferroviaria irriconoscibile per la neve, su di un mucchietto di case. Anzi appena apparvero i Super Rata e i Rata l'osservatore si rivolse al primo pilota e disse: "guarda, toh, quante cornacchie laggiù". Il ricognitore girò, si raddrizzò quasi in direzione di quel nugolo di cornacchie nere, poi vide quei punti neri scindersi, fare la "bomba", capi che erano aerei, molti aerei. Vide il duello: era lontano, ma vide il duello che avvampava in ad una corona di nuvole basse, sulla verticale delle linee, un duello che sembrava un carosello tanto vorticoso s'era fatto. Il ricognitore fece quota per scorgere meglio le fasi che assumevano proporzioni più vaste. L'osservatore ormai aveva deciso di restare a qualunque costo sulla verticale delle linee e tornarsene a battaglia finita con una documentazione diretta dello scontro: anche perché doveva trattarsi di un combattimento di eccezionale violenza, a giostrare potevano essere almeno trenta apparecchi. Il duello durò oltre dieci minuti, e dieci minuti di caccia acrobatica non sono pochi, c'è da svolgere tutta la gamma degli ardimenti tecnici, delle bravure della scuola italiana, e il ricognitore vide bene che di quel gruppo di cornacchie, in mezzo al quale dovevano essersi lanciati i nostri, a prendere il largo dopo la bomba erano diversi.

Poi quando l'occhio si era già abituato a distinguere le sagome e le manovre, l'osservatore comprese che i nostri caccia erano tre. Erano tre che si erano battuti contro uno stormo di Spitzmaus e di Rata e se li stavano scrollando di dosso alla maniera della Cucaracha, disse l'osservatore più tardi, e io capii subito che in testa a quei tre doveva esserci Iannicelli (disse anche l'osservatore, Comandante, e aveva ragione: chi aveva sostenuto il precedente scontro, sulle linee, cinque contro venti, quel combattimento per il quale venne sul campo l'Eccellenza il Comandante del C.S.I.R. ad appuntare sul tuo petto la medaglia d'argento al valor militare? Come tutti i piloti che hanno fatto Africa e Spagna, tu amavi questi scontri impari: non so per quale ragione, sebbene tante volte io te l'abbia domandata, specie dopo quel giorno li: forse per quella padronanza che avete raggiunto sulle vostre macchine e che con esse vi aveva fuso facendo luna una forza da scagliare, o forse per quel disprezzo con il quale eravate abituati a gratificare i piloti rossi non capaci di sostenere un combattimento uno contro uno e lontani dall'avventurarsi se non in cospicua formazione in una crociera di esplorazione sulle linee. Non so per quale ragione: potrebbe anche essere per quella meravigliosa spavalderia con la quale nascondevate l'eroismo più puro, quasi l'eroismo fosse per voi indice di debolezza: questo perché, come diceva Z., il vero eroismo è quello che ognuno si sente dentro, molto dentro di se, dopo il momento pericoloso. Io potrei scrivere colonne sui tuoi fatti d'arme, parlare dei tuoi combattimenti di Spagna nei quali hai giocalo definitivamente la pelle e l'hai vinta Dio sa come, di tutti gli altri che a quelli seguirono, e in Grecia, e di quell'indiavolato mitragliamento sul campo di Mostar, dove non uno, dico non un aeroplano nemico rimase intatto e arsero tutti allegramente, tanto che il secondo scaglione che doveva buttarsi appresso a te, nella nuova ondata, non ci vedeva d'una spanna per il fumo: eppure tu per me sei rimasto sempre il capo formazione di quei cinque contro venti, cacciatore legionario che incrocia la spada contro una corona di lame!).

Ad un tratto, l'osservatore, su quel ricognitore, distinse una Saetta che si dirigeva verso di esso. Vedrai, pensò, che ci buttano dentro anche noi: e del resto le armi erano state preparate da un pezzo, e i piloti e specialisti si tenevano pronti. Poi dietro quella Saetta sfilarono altre sagome di monoplani: furono dapprima due che stavano aprendo un movimento a forbice per agguantare quel fulmine che guizzava; poi se ne aggiunsero altri tre, poi divennero nove: in quel rapido passaggio sembravano punti e linee di un gigantesco alfabeto. Distinse l'osservatore, nettamente, la scia fumosa ed ignea delle traccianti, vide l'inseguito per due volle girarsi arditamente di fronte e scompigliare quella masnada e rivide questa rimettersi in coda senza più mollarlo. A stroncare quella lama ci si mettevano in nove; poi tutto avvenne come un fulmine. Io stavo sulla linea di volo quando i due tuoi compagni atterrarono, ed il ricognitore. E Minguzzi raccontò di te, e l'osservatore raccontò di te: ora io dovrei parlare di te, Comandante, cosi come parlavamo insieme di tanti altri in quelle passeggiate mattutine che incrociavamo sulla interminabile pista del campo dei tuoi caccia: parlare di te e dire ancora una volta che è vero, in guerra muoiono i migliori, e tutto ciò senza che io ti senta morto, senza che i tuoi ti sentano lontano, proprio come se fossi ancora in volo, decollo senza atterraggio, e noi sui margini della linea di volo a scrutare l'orizzonte e dire, con la mano innanzi agli occhi: eccolo! No, non è lui, ma che accidenti fa, ma quando si decide a tornare? Quando torna gliela faremo pagare per questa apprensione...".

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