martedì 15 febbraio 2022

Rapporto sui prigionieri, parte 15

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

IL PROCESSO D'ONOFRIO.

Nell'aprile 1948. alla vigilia di una difficile campagna elettorale, i reduci dalla prigionia russa pubblicarono un opuscoletto per informare gli italiani di cosa era successo ai soldati italiani catturati dai sovietici e denunciare come i comunisti italiani in Unione Sovietica si fossero comportati nei confronti dei loro connazionali rinchiusi nei lager. L'opuscolo, chiamato con un po' di presunzione "Numero Unico', conteneva. tra l'altro, un breve intervento sull'attività di D'Onofrio quale attivista comunista nei campi di Oranki e Skit e la parte da lui avuta, con minacce ed interventi concreti, sui provvedimenti in seguito adottati dai russi nei confronti di un gruppo di prigionieri. L'opuscolo concludeva con una specie di manifesto nel quale si accusavano i comunisti italiani in Russia, con in testa D'Onofrio, di aver fatto nei campi di concentramento, i commissari politici al servizio della polizia politica sovietica, qualificandoli di rinnegali ed aguzzini.

Il clima era molto infuocato e nei manifesti, nei giornali e nei discorsi si usavano parole grosse e non si andava per il sottile pur di controbattere e demolire l'avversario. E' rimasta famosa la frase di Togliatti che disse di voler calzare un robusto paio di scarponi chiodati per poter dare, a elezioni avvenute, un bel calcio nel sedere di De Gasperi. D'Onofrio denunciò per calunnia ed offese i firmatari dell'articolo che erano una ventina, ma in fase di stampa ne erano stati citati solo tre, seguiti da un "ecc.." . II processo fece epoca e si concluse con l'assoluzione degli imputati perché i fatti riportati nell'articolo erano veri e provati.

Oggi a cinquant'anni di distanza, un esame spassionato di quel manifesto suggerisce qualche considerazione. A parte le cifre un tantino forzate, la qualifica di aguzzino andava benissimo per D'Onofrio e Robotti, molto meno per gli altri. D'Onofrio era un individuo pericoloso. Già durante la guerra di Spagna stilava rapporti sui compagni che combattevano nelle Brigate Internazionali. Nei confronti dei prigionieri italiani si atteggiò ad emulo di Viscinski, l'accusatore nei grandi processi staliniani, usandone i metodi brutali di inquisitore. Che i suoi metodi non fossero adatti, lo capì immediatamente Togliatti che, dopo l'esperienza di Oranki, non gli fece mettere più piede in un lager di italiani e lo sostituì con Robotti, uomo molto intelligente, perciò forse più insidioso.

Gli altri comunisti italiani erano uomini che in cuor loro. dopo aver conosciuto cos'era l'URSS, avrebbero preferito cento volte il Tribunale Speciale Fascista dal quale erano sfuggiti. Anche loro erano prigionieri, vittime di un meccanismo che li avrebbe stritolati senza pietà, come era avvenuto a molti altri loro compagni di fede, scomparsi nei lager siberiani con il beneplacito di Togliatti. Sapevano che la loro pagella e la loro sorte dipendeva dal numero di prigionieri che riuscivano a portare dalla parte dei russi, e si sforzavano di farlo alla loro maniera, in modo goffo, maldestro ed, in definitiva, controproducente. Non dimentichiamoci che molti prigionieri italiani diventati comunisti, si sono comportati nei confronti dei loro colleghi di prigionia in maniera analoga, se non peggiore e la loro citazione tra gli aguzzini ed i rinnegati non sarebbe stata fuori luogo.

Che il contenuto dell'opuscolo difficilmente potesse essere smentito, lo dimostra il fatto che degli altri fuoriusciti, citati dal manifesto, né tantomeno Togliatti, anche lui chiamato in causa come loro capo, si associarono alla denuncia né alzarono un dito in segno di solidarietà.

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