martedì 6 luglio 2021

Palù, la Bigia e tutti gli altri, parte 2

Palù, la Bigia e tutti gli altri... seconda parte.

Ha nostalgia delle sue montagne, da quelle dell'Argentina dove ha formato le zampe, alle Alpi, dove l'aria era pura, i boschi di abete odoravano di resina, l'erba era fragrante, deliziosa da masticare, fresca. Da quanto tempo non gusta più erba fresca? Ne sente la voglia ma il suo amico conducente non ne ha trovata per lui ed egli rumina il fieno, sempre pieno, non sempre fresco, spesso bagnato, integrato dall'Energon che gli piace, ma l'erba fresca è tutta un'altra cosa! Poi è venuta la neve, e continua a nevicare, il cielo è plumbeo, il vento solleva turbini di fiocchi cristallini che lo pungono sulla pelle, sugli occhi, gli si appiccicano al pelame nero e gli danno brividi di freddo. Ma si deve andare, andare sempre, con la pioggia, col vento, con la neve e con la tormenta, perché il suo amico conducente va e lui, mulo degli alpini, deve seguirlo, docile. Se il suo conducente, che è un uomo, resiste a tutto questo travaglio, può ben resistere un mulo della sua taglia. Ma sono gli avvenimenti degli ultimi giorni che lo tengono in apprensione. I muli sono tutti allineati in scuderia, ma gli uomini, tanti uomini, sono andati via. Eppure non ha sentito il suono della tromba con le note dei congedanti. Anche il conducente della Bigia, che gli è vicina, è andato via e Scotto è triste, non canta più; la sera i conducenti non si radunano nel centro della scuderia, in cerchio, al calduccio della stalla, per cantare le loro canzoni in coro, come facevano fino a poche sere prima.

E Palù prova un po' di gelosia verso la Bigia. Prima il suo conducente era tutto per lui, tutte le attenzioni erano rivolte a lui. Non che lo trascuri, perché ogni mattina gli fa "governo", lustra il suo pelo, dà il grasso agli zoccoli, gli prepara la lettiera, gli dà il fieno e l'Energon. Ma poi si dedica anche alla Bigia, anche a lei fa governo, le lustre gli zoccoli, cosa che l'altro conducente non faceva quasi mai, la fa mangiare e, fatto che lo infastidisce, in passato le zollette di zucchero erano tutte per lui, mentre adesso, se Scotto ha quattro zollette, due le dà a lui e due alla Bigia. Quando va a fare la spesa e racimola qualche carota o dell'insalata nella cucina dell'ospedale, prima la dava tutta a lui, adesso ne mette un po' sulla carretta e la tiene per la Bigia, quando torna in scuderia.

Adesso non lo attaccano più alla carretta, c'è un nuovo mezzo, strano e mai visto prima, la slitta. Non gli viene più posto il basto sulla schiena ma un collare dal quale partono le tirelle che vengono attaccate al timone della slitta. Questa è meno pesante e ingombrante della carretta, è più facile da tirare perché scivola sulla neve e non fa il rumore che facevano le ruote della carretta sulla acciottolato delle vie di Rossosch. Gli piace, questo sistema di traino che lo lascia più libero nei movimenti perché non più costretto fra le stanghe; e poi quando la neve è farinosa oppure solida sulla strada, può trottare, invece di camminare. Il conducente siede sulla slitta, lo governa con le lunghe redini e ha imparato ad obbedire a quel comando, tanto diverso dal continuo tirare della briglia corta, infilata nel polso del conducente, che lo obbligava ad un passo lento, continuo, ma mai a trottare.

Decisamente le cose sono molto cambiate, colpa di quell'ambiente, del paesaggio, della neve e del vento di questa terra tanto diversa da tutte le altre dove è stato. Non che Palù sappia il nome di quelle terre, ma le rammenta tutte per alcuni particolari: la Pampa argentina, i serpenti, le fresche acque delle Ande, il primo incontro con il treno, che aveva scambiato per un serpentone nero e giallo; la calura feroce dell'Africa, le lunghe marce sotto un sole cocente, con una perenne sete che gli bruciava la gola e poteva dissetarsi solo in rare pozzanghere gialle, che sapevano di terra, ma che era meglio di niente. E poi quella tremenda frustata sulla coscia sinistra, che lo aveva atterrato dandogli un forte dolore, che anche ora, ogni tanto, gli fa fremere la pelle al solo pensarci.

Rivede le corvée in quell'altra terra che egli non sa come si chiama, ma è l'Albania, la salita su per le mulattiere viscide di fango e pioggia e rivede anche i suoi compagni muli nel burrone. E quel giorno che il suo amico conducente è scivolato rimanendo attaccato alla briglia, e lo guardava con occhi dilatati dallo spavento e diceva "tira Palù, va in drè" ed egli, con un tremendo mal alla bocca perché tutto il peso del conducente era attaccato al suo morso, punta le zampe anteriori per non scivolare nel fango, fino a trovare un punto solido contro una roccia e poi facendo forza sui garretti posteriori alza la testa, e il male che diventa sempre più lancinante, ma sa che deve salvare il suo amico e tira, tira fino a trascinarlo di nuovo sulla mulattiera.

Nelle lunghe ore, legato alla mangiatoia, mentre rumina il fieno un po' umido, nella sua testa tutti i ricordi affiorano e popolano i suoi sogni. Perché anche i muli sognano, non importa quello che dicono gli uomini. Essi hanno un'intelligenza che gli uomini vedono solo nel passo deciso e sicuro, nella forza che mettono per superare un ostacolo o evitare un pericolo; ma l'intelligenza del mulo è un'altra cosa ed è fatta di affetto per l'amico conducente, non perché lo fa mangiare e lo governa tenendolo pulito e col pelo lucido, bensì perché sa che lui e il conducente sono una cosa sola, accoppiata, ma con gli stessi intenti e con la stessa volontà. Sarà amico per sempre del suo conducente, non si lasceranno più, qualunque cosa accada, e questo è segno di intelligenza. È anche spirito di solidarietà, ma questa è una parola difficile che di certo il mulo non conosce, ma se il suo amico si troverà in pericolo lo aiuterà, fino a morire se necessario.

Palù tira gagliardo i quintali della sua slitta; è abituato ai grossi carichi della carretta è quel traino che scivola sulla piana ghiacciata gli suona più dolce del cigolio e dello sferragliare delle grosse ruote della carretta sulla acciottolato delle strade di montagna. Sente nostalgia di un bel prato verde; da quanto tempo non ha più gustato il sapore dell'erba fresca. Sempre fino ed Energon, buoni anche quelli, ma l'erba di un bel prato di montagna è sempre un'altra cosa.

"Palù, si torna a casa", ma Scotto non ha il tono allegro di chi sà di dirigere i propri passi verso la patria lontana. Cammina tenendo la briglia del suo mulo che, paziente e docile come sempre, pesta neve ghiacciata, sferzato dal vento gelido che gli scompigliava il pelame sulla fronte, gli congela la neve sulle ciglia, sulle froge; ma a tutto il mulo è abituato e osserva il suo conducente, avvolto nel pesante pastrano imbottito, con un colbacco in testa, sul quale, chissà come, è riuscita a cucire l'aquila del cappello alpino; calza pesanti guanti impermeabili e pesta la neve con i suoi valenki. Il quadrupede si rende conto che qualcosa è cambiato, non è la solita aria, lo sente; non marciano più verso il nord-est, ma verso il tramonto del sole, la pista è ingombra non più di carri armati sferraglianti e anche gli autocarri militari che transitano sono pochi, tutti diretti a nord-ovest.

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