mercoledì 18 agosto 2021

Ricompense - 8a Armata - Trasporti

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a ARMATA - TRASPORTI
MAVM Tenente ROSSI Guido
MAVM Sottotenente POZZO Piero
MAVM caporal maggiore BONOLLI G.Battista, alla memoria
MAVM caporale VILLA Carlo
MAVM soldato DAO Giuseppe
MAVM soldato GIRARDI Salvatore, alla memoria
MAVM soldato MORANDO Luigi
MBVM Tenente Colonnello UBERTI Girolamo
MBVM Capitano CASTELLUCCI Mario
MBVM Tenente PALMAS Giannetto
MBVM Sottotenente BUSSOLI Ettore
MBVM Sottotenente GRENZI Massimiliano
MBVM Sottotenente MESCHINI Emanuele
MBVM Sottotenente MESCHINI Emanuele
MBVM Sottotenente ROCCHETTI Osvaldo
MBVM Sottotenente ZIMAGLIA Mario
MBVM maresciallo D'ONOFRIO Luigi
MBVM sergente maggiore SCIACCALUGA Alfredo
MBVM caporal maggiore BERGAMASCHI Luigi, alla memoria
MBVM caporal maggiore SOLLA Lodovico
MBVM caporale CANTU' Augusto
MBVM soldato GRASSI Giorgio
MBVM soldato MONTANINI Giuseppe
MBVM soldato MORONCINI Nazzareno
CGVM Tenente Colonnello UBERTI Girolamo
CGVM Maggiore ALESSANDRIA Tommaso
CGVM Capitano NERVI Nicolò
CGVM Tenente BROGLIA Oscar
CGVM Tenente DE BEI Ubaldo
CGVM Tenente MAZZUCCA Vito
CGVM Tenente ROSSI Antonio
CGVM Sottotenente BIANCHINI Filippo
CGVM Sottotenente CLERICO Giorgio
CGVM Sottotenente CORRADI Giuseppe
CGVM Sottotenente NOBILI Ambrogio
CGVM Sottotenente PITTALUGA Paolo
CGVM Sottotenente REZZADORE Remo
CGVM Sottotenente SQUARCI Carlo Alberto
CGVM Sottotenente TORNAGHI Italo
CGVM Sottotenente ZACCHEI Oliviero
CGVM sergente maggiore CHIESA Antonio
CGVM sergente maggiore CORSO Angelo
CGVM sergente AMICO Michele
CGVM sergente DETELA Silvano
CGVM sergente PAGNUCCO Bruno
CGVM sergente PEDRINI Paolo
CGVM caporal maggiore BULGARELLI Laerte
CGVM caporal maggiore DI DONATO Antonio
CGVM caporal maggiore LABBRONI Ugo
CGVM caporal maggiore ROSSETTI Andrea
CGVM caporale BUSANI Gino
CGVM caporale CHIARATTI Arturo
CGVM caporale DI GIACOMO Carmelo
CGVM caporale PERINA Silvio
CGVM soldato ANTONELLI Immiru
CGVM soldato APA Giuseppe
CGVM soldato ARMANI Fulvio
CGVM soldato BENNATO Danilo, alla memoria
CGVM soldato BRUNO Vittorio
CGVM soldato CANNELLA Egidio
CGVM soldato CANTON Stefano, alla memoria
CGVM soldato CARBONIN Ottavio
CGVM soldato CARRETTI INCERTI Livio
CGVM soldato CIFERRI Giuseppe
CGVM soldato CORRADO Pasquale
CGVM soldato CRIVELLARO Marino
CGVM soldato DAVO' Bruno
CGVM soldato DI PEDE Francesco
CGVM soldato DI TOMMASO Angelo
CGVM soldato D'ONOFRIO Luigi
CGVM soldato D'OSNALDO Aurelio, alla memoria
CGVM soldato FARINA Ambrogio
CGVM soldato FINESSI Rodrigo
CGVM soldato FIPERTANI Luigi
CGVM soldato FONTANELLI Ivo
CGVM soldato GASPARINI Gaspare
CGVM soldato GIONCO Guerrino, alla memoria
CGVM soldato ILARDO Salvatore
CGVM soldato LOMBARDO Francesco
CGVM soldato LORO Emilio
CGVM soldato MAZZEI Manforte
CGVM soldato MOGAVERO Luigi
CGVM soldato PANIZZA Gabriele
CGVM soldato PIEROTTI Vincenzo
CGVM soldato POGGI Walter
CGVM soldato RENOSTO Emilio
CGVM soldato RISOLI Benvenuto
CGVM soldato SCUSSAT Giacinto
CGVM soldato SETTANNI Nicola
CGVM soldato SPARENI Aldio
CGVM soldato TRESOLDI Florindo
CGVM soldato ZERLOTTI Aldo
CGVM soldato ZOPPELLO Natale

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Il processo D'Onofrio, parte 14

Il processo D'Onofrio, quattordicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTIQUATTRESIMA UDIENZA.

12 luglio 1949. La parola è al primo avvocato della difesa dei reduci, l'avv. Rinaldo Taddei.

Avv. Taddei: 'Esattamente tre anni or sono, l'1l luglio 1946, una piccola tradotta si avvicinava al confine di Tarvisio portando alcuni uomini, ultimi resti dell'VIIIa Armata. Questi ragazzi tornavano a vedere dopo sei anni di lontananza, per la prima volta, il tricolore sventolare sul territorio della Patria. A distanza di tre anni precisi da quel giorno, un magistrato chiede l'assoluzione di un gruppo di quei reduci, la cui colpa era stata quella di aver sollevato un velo sui patimenti morali e materiali da loro sofferti e di aver fatto conoscere la verità agli italiani'.

Nella voce dell’avv. Taddei vibrava tutta la passione dell’uomo che ha vissuto quelle stesse sofferenze che hanno patito i suoi patrocinati, l’esposizione dei fatti, gli attacchi polemici erano illuminati dal ricordo delle tragiche giornate anche da lui trascorse sul fronte russo. Una arringa ampia, piena di slancio e di calore che ha commosso il pubblico di reduci che affollava l'aula ed ha destato gli unanimi consensi.

Il difensore ha iniziato con un ampio giro d’orizzonte retrospettivo, analizzando le condizioni storiche e geografiche delle terre che circondavano la Russia al principio della guerra, poi è passato con risolutezza ad esaminare le affermazioni del sen. D'Onofrio demolendole una ad una, ricercandone il lato falso, contestandole con abile dialettica. L'avv. Taddei polemizzando con il querelante il quale dichiarò di non sapere quale fosse il numero dei prigionieri italiani in Russia, ha rilevalo come l'accusatore, simulando questa sua ignoranza, continui in Italia l'opera di agente sovietico che svolgeva allora quando girava per i campi di concentramento.

Avv. Taddei: 'D'Onofrio, il quale era direttore de 'L'Alba', ha detto di non credere al numero di 80 mila prigionieri italiani pubblicato dal 1° numero di quello stesso settimanale. Ha detto di non crederci perché quella cifra serviva a certa propaganda... Ma... a quale propaganda?... Alla tua Edoardo D'Onofrio! Fare la contabilità di questa nostra carne è la cosa più oscena che tu abbia fatto da quando ti sei seduto in quest’aula.

Il difensore dei reduci, ha poi tratteggiato quale fosse il dolore e la tragedia dei prigionieri. Ha dimostrato quali fossero le miserrime condizioni in cui essi vivevano. Ha narrato le crudeltà dei sovietici, l'impossibilità di avere o di far giungere notizie alle famiglie lontane.

Avv. Taddei: 'Tu non sai che cosa voglia dire essere depredati delle scarpe e essere costretti a camminare a piedi scalzi sulla neve con 40 gradi sotto zero. Avremmo voluto che le donne russe che ci portavano un po’ di acqua non fossero scacciate, che quei poveri ragazzi che riuscivano a fare un buco nel soffitto del carro bestiame per raccogliere una manciata di neve e dissetarsi non fossero freddati con un colpo alla schiena. E neanche dai morti ci liberavano perché i vagoni venivano aperti ogni tre giorni e la sentinella che si affacciava nell'interno si limitava a chiedere: 'Quanti morti, qui?'. Non è vero che il tifo petecchiale fosse portato dai prigionieri stessi nei campi. E lo dimostra il fatto che gli ultimi prigionieri furono catturati nel gennaio e l’epidemia scoppiò dopo tre mesi, mentre è noto a tutti che il periodo di incubazione del tifo non supera i quindici giorni'.

Avv. Taddei: 'Noi ci inchiniamo di fronte alla bandiera del popolo russo che si batté per la difesa della sua patria, ma questi episodi di inciviltà non fanno onore alla nazione che voi difendete'.

D'Onofrio, il quale ha assistito apparentemente impassibile, al torrente d’accuse che gli si rovescia addosso, ha cominciato a dar segni di impazienza e poi all'improvviso si è alzato di scatto ed ha abbandonato l'aula mentre l'avv. Taddei metteva in evidenza la contemporaneità della comparsa dei fuorusciti nei campi con la qualifica di commissari politici e dell’emanazione dell'ordine di Stalin di far sì che il numero dei morti fra i prigionieri non fosse più tanto alto. In alto loco, dice l'avv. Taddei, si doveva essere venuti alla conclusione che era più utile restituire all'Italia i miseri resti della sua Armata in veste di propagandisti comunisti.

Avv. Taddei: 'Ed ecco spiegata la propaganda, i corsi di antifascismo. Voi siete stati profeti, avete visto giusto, ma dal punto di vista giuridico il vostro è un reato e molto vi sarebbe ancora da dire su questo argomento se l’art. 16 del Trattato di pace, non vi avesse assolto dall’aver tramato contro la Patria prima della dichiarazione di guerra alla Germania. Certo, la Patria potrà risollevarsi dalle rovine materiali, ma non da quelle spirituali fintanto che esiste questo articolo.

D'Onofrio ha cercato di dimostrare che la sua attività in quel triste periodo ebbe a risolversi in un’opera umanitaria, di assistenza morale; ha voluto ricordare che, rientrato in Italia, si fece premura di correre ad informare le famiglie dei prigionieri della salute dei loro cari. Ma si è dimenticato qualche cosa. S’è dimenticato di dire al Tribunale che egli si limitò a portare tali notizie soltanto alle famiglie dei prigionieri che frequentavano i corsi di antifascismo. D'Onofrio ha detto che attraverso Radio Mosca tutti i prigionieri potevano inviare saluti e notizie ai propri familiari, ma non ha spiegato come mai, ad esempio, il signor Pietro De Francisci, di Palermo, poté apprendere il 19 febbraio 1944, appunto da un messaggio radio, che suo figlio era in ottima salute, suo figlio che era morto invece in un campo di concentramento nel marzo del 1943'.

Avv. Taddei: 'Ora noi non contestiamo al sen. D'Onofrio il diritto di fare la propaganda delle proprie idee. Quello che noi gli neghiamo è il diritto di turbare la coscienza di un ufficiale, di costringerlo a violare un giuramento al quale si sente legato. Noi non riusciamo a comprendere perché D'Onofrio neghi oggi di aver fatto propaganda comunista e si quereli contro chi glielo ricorda. Se ne vergogna forse il sen. D'Onofrio?'.

Il difensore proseguendo nelle accuse, insiste nel rilevare di aver fatto il suo dovere di italiano fino in fondo, ma di non aver mai detto che l'esercito del suo Paese è stato sonoramente battuto da 'un popolo di contadini e di operai', come ha detto D'Onofrio.

Avv. Taddei: 'E allora di che cosa si lamenta? Di che s'offende? Sappiamo tutti che il concetto comunista è che non si può essere antifascisti se non si è comunisti, sappiamo che il motto è: 'chi non è con noi è contro di noi'.

Avv. Paone: 'Ma questo lo diceva Mussolini... Il tuo è un fenomeno di daltonismo mnemonico...'.

Avv. Taddei: 'Lo diceva Mussolini, ma ora lo dite voi... (e poi rivolto all'avv. Mastino Del Rio) e perciò tu, caro Mastino, che hai sofferto in carcere, tu che hai sentito il bastone dei tedeschi, tu no, tu non sei un antifascista...'.

Il difensore dei reduci ha poi esaminate ad una ad una le deposizioni dei testi indotti dalla parte civile, osservando che di essi uno soltanto, il capomanipolo Danilo Ferretti, conobbe D'Onofrio. La maggior parte degli altri sono dei soldati e si sa che i soldati vennero internati in campi di concentramento separati da quelli degli ufficiali, mentre qui si fa il processo alle violenze morali che D'Onofrio commise sugli ufficiali. L'arringa dell’avv. Taddei ha vivamente commosso il pubblico che affolla l'aula soprattutto quando aveva detto all'inizio.

Avv. Taddei: 'Questi ragazzi che avevano superato i limiti della resistenza umana, tornando in Patria erano con il cuore di ghiaccio. Quando voi, Pubblico Ministero, avete chiesto la loro assoluzione, non il loro plauso, ma le loro lacrime, accolsero le vostre parole'.

LA VENTICINQUESIMA UDIENZA.

La parola è sempre all'avv. Taddei il quale ha ancora molte cose da dire, molte precisazioni da fare, molte accuse da demolire. E prima d’ogni altra cosa vuol ricordare un fatto che desta vivissimo interesse in tutti i presenti. Egli ha dichiarato che fu offerta dalla parte avversa, ufficialmente, una transazione. Fu rifiutata. Ma non per spirito combattivo.

Avv. Taddei: 'Noi eravamo disposti a chiedere scusa a D'Onofrio, ma ad una sola condizione: che ci venissero restituiti i nostri fratelli che la Russia trattiene ancora come prigionieri. Ci si rispose che una cosa è il partito comunista e un’altra il governo sovietico. Qualunque condanna avremmo scontato pur di raggiungere questo nostro scopo. Non ci è stato possibile. E allora, perché accettare la transazione che i legali di D'Onofrio erano venuti ad offrirci? Perché avremmo dovuto impedire che il popolo italiano sapesse la verità intorno a quello che successe nei campi di concentramento di Russia? Perché impedire che il popolo si facesse una idea precisa di quello che fu il calvario dei nostri prigionieri?'.

Avv. Taddei: 'A noi sembra, lasciatemelo pur dire, che fin quando fra noi e la Russia rimarranno questi ostaggi, sia molto difficile vi possa essere una effettiva distensione psicologica. Non si cancella il fatto che a distanza di cinque anni dalla cessazione della guerra, alcuni ufficiali, colpevoli solo di essere rimasti sulle loro posizioni d'onore, vengano trattenuti ancora come prigionieri e se ne ignori la sorte. Ecco perché noi non accettammo la transazione propostaci'.

Il posto del sen. D'Onofrio, nel pretorio, è vuoto. Neanche oggi egli ha voluto assistere all'udienza: novello Catilina egli non ha retta alla irruenta oratoria del suo giovane ma implacabile accusatore: il cumulo dei suoi nefandi delitti lo inchioda al banco delle sue tremende responsabilità, lo respinge ai margini della società civile. L'avv. Taddei si è soffermato a lungo ad analizzare le deposizioni dei venticinque testi a discarico. Sette di essi, ha osservato, hanno affermato di essere stati minacciati dal propagandista comunista durante gli interrogatori subiti; dieci hanno raccolto le dichiarazioni del cap. Magnani di ritorno dal campo di punizione di Elabuga, dove (tutti sono stati concordi nell’affermarlo) era stato inviato insieme al ten. Ioli e ad altri ufficiali, per interessamento di D'Onofrio.

Avv. Taddei: 'È riuscita la parte civile a smantellare le accuse formulate dai reduci? Certamente no. Anzi dagli stessi testi d’accusa sono stati ammessi gli interrogatori estenuanti cui i prigionieri venivano sottoposti. E una volta provate le accuse, che cosa interessa se il magg. Orloff era o no ufficiale della polizia di Stato? Egli era un ufficiale dell’armata sovietica, e, in questa sua veste, doveva necessariamente riferire ai propri superiori intorno agli interrogatori cui presenziava'.

Dopo aver confutata ad una ad una le obiezioni mosse da D'Onofrio, l'avv. Taddei ha rievocato la tragica ritirata.

Avv. Taddei: 'Voi, emigrati politici, cercavate di imporre le vostre idee a questi giovani stremati dalle fatiche e dalla fame, minati dalla salute e affranti dal dolore. Voi, per creare l’antifascismo, avete ucciso gli italiani. Ma noi rimaniamo ostinatamente italiani, disperatamente italiani. Molti titoli si sono dati a questo processo: lo si è chiamato dei reduci, come se si potesse fare il processo ai nostri valorosi soldati; lo si è chiamato D'Onofrio. Ma se proprio un titolo gli si vuoi dare, ebbene questo è il processo dell’Italia contro gli antiitaliani'.

L'avv. Taddei si avvia ormai verso la conclusione della sua arringa, ma prima di chiudere il suo dire vuol ricordare ancora il tentativo di violazione di coscienza fatto dal D'Onofrio nei confronti di Don Enelio Franzoni, quando pretese che il cappellano gli rivelasse i più intimi pensieri dei prigionieri che si confidavano a lui nel segreto della confessione. Di questo e dell’aver spedito il cap. Magnani, il ten. Ioli e altri in un campo di punizione, il D'Onofrio si faceva vanto.

Avv. Taddei: 'Innumerevoli offerte giunsero da ogni parte d'Italia, quando si seppe che i reduci avevano necessità assoluta di fondi per poter sostenere il processo che contro di loro aveva intentato il senatore comunista e molte di queste offerte furono accompagnate da lettere di spose, di madri di caduti. Ve ne leggo una per tutte, signori del Tribunale: 'Cari ragazzi, vi manda 204 lire una madre che solo per voi può ancora parlare di Patria ai propri figli'.

Con queste parole il difensore dei reduci ha concluso la sua arringa.

Avv. Taddei: 'Signor Presidente, sotto questa toga lei deve vedere anche il grigioverde, come il grigioverde deve vedere sotto le giacche di civili dei miei ragazzi, i quali, stampando l’opuscolo da cui ha tratto le mosse la causa, non vollero diffamare, ma soltanto compiere il loro ultimo dovere di soldati verso la Patria. Il loro non era un opuscolo di propaganda di partito, era un grido che erompeva dai loro petti, che sgorgava dai loro cuori. Costoro sono i martiri che vengono qui con un dovere: raccontare quello che hanno visto, raccontare meno di quanto hanno sofferto. Non sono dei venduti, i miei ragazzi, sono dei giovani tornati in Patria dopo tanti patimenti col cuore in tumulto, ma riboccante d’amore per il loro Paese. Signori del Tribunale, è l’onore di questo glorioso grigioverde che io ho difeso'.

Alle ultime parole dell’avv. Taddei fa seguito uno straziante singhiozzo e un tonfo sordo nell’aula. Una signora, la madre di uno che non ha fatto ritorno dalla Russia e che dal giorno che ebbe inizio questo processo ne ha seguito pazientemente le fasi, nella speranza di avere una qualche notizia del figlio scomparso, non ha più retto alla tensione di spirito e con un lungo lamento è caduta a terra svenuta. Alcuni carabinieri accorsi immediatamente la sollevano e la portano fuori dall’aula. Soltanto i difensori comunisti possono assistere alla scena con freddo cinismo: gli uomini di Mosca non hanno ormai più nulla di umano nello sguardo e nel cuore.

L’abbraccio fraterno dei suoi patrocinati è stato il miglior premio che Rinaldo Taddei abbia avuto della sua fatica. Gli imputati, appena il loro difensore ha finito di parlare, si sono alzati dal loro banco e sono corsi da lui con le lacrime agli occhi a ringraziarlo per aver saputo dare l'interpretazione più giusta e più vera dei loro pensieri, dei loro dolori. Madri, spose, sorelle, numerosi reduci che avevano assistito al processo fin dalle prime battute, hanno voluto unire il loro all'abbraccio degli imputati e così Taddei si è allontanato dall’aula stretto e circondato da una massa di amici che volevano esprimergli i loro sentimenti di gratitudine e di ammirazione.

giovedì 12 agosto 2021

La guerra sul fronte orientale, parte 9

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo nono video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

venerdì 6 agosto 2021

Il processo D'Onofrio, parte 13

Il processo D'Onofrio, tredicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTIDUESIMA UDIENZA.

9 luglio 1949. - L'avv. Paone non ha mantenuto la promessa. Aveva detto che per terminare la propria arringa aveva bisogno ancora di un paio di ore e invece la voce tonante del patrono del D'Onofrio è risuonata nell’aula per altre quattro ore, cioè tutta l'udienza.

L'oratore ha esordito rievocando i fatti che seguirono la caduta del fascismo e si è soffermato ad illustrare la figura del querelante 'portatore di una idea politica per la quale aveva combattuto tutta la vita', D'Onofrio non era al servizio della Polizia di Stato sovietica ma soltanto al servizio della propria coscienza e gli imputati non sono riusciti a provare le loro accuse. Ergo è chiara la loro malvagità, come è chiaro il grave oltraggio da loro usato contro il sen. D’Onofrio. Qui si tratta di diffamazione generica e di diffamazione specifica e giacché il magg. Orloff è ancora vivo sarebbe stato facile poter accertare bene i fatti. Con tutto ciò la privata accusa ha pensato bene di non farlo venire come teste dalla Russia.

Mentre si scaglia contro i cinque reduci che siedono sul banco degli imputati, l'avvocato sventola una copia del numero unico incriminato e grida al dolo per le asserzioni contenute in quell'opuscolo. Preparatissimo si è dimostrato l'avv. Paone su tutta la storia della campagna napoleonica in Russia e di quella famosa ritirata. Egli ne ha fatto la pietra di paragone indispensabile alla dimostrazione del fatto che, se tante migliaia di morti si ebbero in Russia da parte italiana, ciò non va imputato alle autorità sovietiche.

Avv. Paone: 'Il precedente napoleonico non aveva insegnato nulla al dittatore teutonico e al suo alleato fascista? La morte degli 80 mila soldati dell’ARMIR grava sulla coscienza di quelli che non si preoccuparono di inviare in terra sovietica dei soldati italiani ineducati e analfabeti, i quali giunsero al punto di definire con disprezzo i russi degli indigeni, come se fossero dei negri africani. Questo è troppo!'.

L’avv. Paone ha finalmente cominciato a parlare dell’attività di D'Onofrio nei campi di concentramento.

Avv. Paone: 'Si è parlato di verbalizzazione degli interrogatori cui venivano sottoposti i prigionieri italiani. Ma quella non era altro che curiosità e quelli che gli imputati chiamavano verbali non erano che appunti per poter scrivere poi degli articoli sul settimanale 'L'Alba'. I russi sono detti 'tremendi scocciatori', sono più curiosi delle femmine ma, signori, era pura curiosità e non lunghi verbali di estenuanti interrogatori.

Nessuno ha poi saputo spiegare con esattezza che Elabuga fosse un campo di punizione, dove in seguito agli interrogatori di D'Onofrio, sarebbero stati mandati il cap. Magnani, il ten. Ioli ed altri ufficiali italiani. Né sono state provate le ragioni per cui quegli ufficiali furono inviati ad Elabuga. Nei campi di prigionia si godeva di tanta libertà che spesso si accendevano dispute fra fascisti e antifascisti. Ma che c’entra D'Onofrio nelle beghe fra prigionieri? E che colpa possono avere D'Onofrio o gli altri emigrati italiani se i Russi qualche volta punivano i prigionieri più turbolenti?'.

Avv. Paone: 'Comunque gli atti del processo dimostrano abbondantemente che i russi hanno rispettato i prigionieri più di quanto non li abbiano rispettati gli altri Paesi. Nei campi di concentramento inglesi e americani esistevano speciali recinti per i criminali fascisti 'perseguitati nel fisico e nel morale'. Avete mai sentito dire cose del genere dei campi di Russia?'.

L’avv. Paone ha chiesto scusa ai giudici per la lunghezza della arringa, ma si è giustificato dicendo che la perorazione 'non viene dal cervello ma dal cuore' ed ha concluso.

Avv. Paone: 'Noi siamo qui per chiedere la condanna dei libellisti, dei diffamatori. Il fango che essi hanno lanciato contro D'Onofrio non ha potuto e non potrà offuscare l'intangibile sua veste morale. Voi, imputati, avete voluto colpire D'Onofrio che era il capo della nostra lotta in questa Roma, in mezzo al popolo nostro. E pertanto io chiedo la vostra condanna'.

LA VENTITREESIMA UDIENZA.

11 luglio 1949. - Senza retorica, con oratoria stringata, con efficace dialettica il sostituto procuratore Dott. Manca, ha dimostrato, in tre ore, al Tribunale la infondatezza delle accuse di diffamazione mosse dal sen. Edoardo D'Onofrio agli imputati. Il P. M. ha tratto gli argomenti principali e maggiormente persuasivi della propria requisitoria, dalle disposizioni contenute nel Codice Penale Sovietico, dalle istruzioni dettate da un U.K.S. del Praesidium del Soviet Supremo, firmato dal Presidente Kalinin, pubblicato nel numero della 'Pravda' del 17 luglio 1942.

P.M.: 'Illustre signor Presidente e signori del Tribunale, le due parti: il sen. D'Onofrio e gli imputati, i testimoni d'accusa e di difesa non si sono mantenuti nei binari del processo ma hanno spesso sconfinato in altri campi che possono avere il loro interesse dal punto di vista storico, politico e militare, ma che ne hanno poco dal punto di vista della causa. L’esame che voi dovete fare è un esame, in definitiva, ristretto.

Le accuse che i reduci dalla Russia hanno rivolto a D'Onofrio prendono le mosse da uno scritto in cui si definisce quello che è oggi il senatore comunista: 'rinnegato ed aguzzino degli ottantamila prigionieri italiani'. D'Onofrio respinge tale accusa affermando fra l’altro che non di ottantamila prigionieri si doveva parlare ma solo di quindicimila. Questa affermazione, però, gli viene contestata non solo dagli imputati, ma dagli stessi suoi testimoni e dalla raccolta di quel settimanale 'L’Alba' che si pubblicava nei campi di concentramento. Infatti si è potuto stabilire, in tal modo, che i prigionieri italiani ammontavano ad una cifra oscillante fra gli ottanta e gli ottantatremila. Ed è lo stesso Togliatti che conforta tale affermazione quando asserisce - come si può leggere nei discorsi da lui tenuti ai microfoni di Radio Mosca dal 1941 al 1944 - che nel solo mese di gennaio del 1943 quarantamila furono i soldati dell'ARMIR che caddero in mano russa.

Ad essi si devono aggiungere quelli fatti prigionieri in precedenza, per cui in totale risulta appunto una cifra che si aggira sugli ottantamila uomini'.

P.M.: 'Occorre ora vedere se gli articoli pubblicati nel numero unico 'Russia' costituiscono reato di diffamazione. L’altro corpo del dilemma è: in caso affermativo, ha D’Onofrio commesso i fatti addebitatigli? Tutti i fatti che costituiscono materia delle accuse mosse dagli imputati debbono essere provati perché se un solo dubbio rimanesse, questo andrebbe a tutto favore del querelante. Comunque, per quanto riguarda il primo dei due quesiti, non c'è dubbio nella risposta: gli articoli incriminati sono diffamatori, non solo, ma tali da imprimere 'un marchio di fuoco e di sangue' su qualunque cittadino li abbia commessi.

Non voglio indagare sulle ragioni del 'tragico calvario' dei nostri prigionieri perché ciò esorbita dai limiti della causa. A noi interessa sapere che essi furono oppressi da un complesso tanto grave di circostanze che per molto tempo la loro stessa costituzione fisica ebbe a soffrirne. Tanto che lo stesso Stalin, preoccupato dall'indice di mortalità raggiunto nei campi di concentramento dove erano raccolti i prigionieri italiani, sarebbe intervenuto perché fosse usato un trattamento migliore agli internati. Su questo argomento a me sembra che tutti si siano trovati d’accordo e lo stesso querelante ha ammesso che i morti raggiungevano delle cifre enormi.

Proprio in questo periodo D'Onofrio compare per la prima volta nei campi di concentramento. Ed eccoci alle accuse. Il dott. Manca ricorda che il querelante ha recisamente negato di aver mai usato violenze o pronunciato o messo in atto minacce che avrebbero avuto un effetto assolutamente contrario a quello che la sua propaganda si riproponeva. Ma attraverso innumerevoli testimonianze, che sono venute a confermare le accuse degli imputati, attraverso la descrizione di circostanze specifiche, che lo stesso D'Onofrio non ha potuto smentire, attraverso l'indicazione di nomi, di luoghi, di date, di episodi, attraverso le documentazioni presentate, è stato raggiunto un complesso di elementi che non si può esitare a definire 'poderoso'.

P.M.: 'Ora c’è da chiedersi: dicono la verità i reduci dalla Russia oppure ci troviamo di fronte ad una montatura organizzata da un regista pieno di fervida immaginazione, di fronte ad un complotto spettacoloso? Questo dubbio voi lo dovete sciogliere, come attraverso un travaglio spirituale io l'ho già sciolto. Io credo a D'Onofrio quando afferma di aver comprato in Russia, al mercato nero, medicine per un prigioniero malato. Ma non posso credergli quando afferma che i gruppi antifascisti avevano un carattere democratico e che le cariche erano elettive. Non gli credo perché le sue affermazioni sono smentite dallo stesso settimanale 'L’Alba' nel quale sta la prova che i gruppi antifascisti non erano affatto democratici, nel senso da noi dato alla parola. Essi facevano soltanto 'del marxismo e del comunismo'. Quindi non è vera neppure l'affermazione che 'L'Alba' fosse 'una palestra aperta a tutte le idee'.

Vi abbondavano invece scritti di intonazione antidemocristiana, contro il Vaticano e contro il Pontefice. Non troviamo in tutta la collezione del settimanale un articolo di ispirazione liberale, mentre al contrario vi si legge uno scritto di Togliatti dal titolo 'Le merci avariate di Benedetto Croce'.

P.M.: 'Come era possibile allora che ufficiali, uomini di una certa cultura, con un loro patrimonio di idee, potessero liberamente esporre i loro convincimenti? C'è invece da immaginare il dramma psicologico di questi prigionieri i quali dovevano guardarsi intorno, nei campi di concentramento, per evitare che qualcuno andasse a riferire i discorsi che facevano agli istruttori politici. Un fatto è certo: con l’arrivo dei commissari politici finì la concordia e l’affratellamento, cominciarono le delazioni.

Ma la loro opera non fu soddisfacente e non raggiunse gli scopi se, come avvenne nel campo di Oranki, il commissario Fiammenghi, riuscì a convincere non più di venticinque ufficiali a firmare il famoso appello con cui si incitava il popolo italiano a non proseguire la guerra. Ecco allora arrivare D'Onofrio, il quale poté infrangere la resistenza dei prigionieri soltanto ricorrendo alle minacce. E a farne fede sta la tragica odissea del cap. Magnani di cui troppi testi hanno parlato, e tutti negli stessi termini, per poter pensare che sia da mettere in dubbio'.

P.M.: 'Che le minacce vi siano state s’è potuto ormai stabilire attraverso tutte le testimonianze. D'Onofrio oppone che egli si limitò solo ad avvertire gli interrogati che con le loro idee si sarebbero trovati male al rientro in Patria. Ma la sua obbiezione è giustificata solo nel caso che il prigioniero avesse espresso le proprie idee. Che cosa risponde D'Onofrio quando gli si fa osservare che il ten. Sandali si sentì rivolgere delle minacce perché non aveva mai risposto alle domande che gli venivano fatte? E che cosa dice quando gli si contesta che il ten. Santoro si sentì gridare nelle orecchie: 'la differenza che c è tra lei e i suoi bersaglieri è che lei è un criminale di guerra vivo mentre i suoi bersaglieri sono dei criminali di guerra morti'? La risposta potrebbe essere una sola e cioè che sembra compiacersi, il sen. D'Onofrio, di queste affermazioni se in polemica con il 'Risorgimento Liberale' definì i bersaglieri 'fascisti, ladri e rapinatori'.

Codice sovietico alla mano, il P. M. ha poi confutato l'affermazione fatta da D'Onofrio che in Russia esiste libertà di coscienza (art. 124 del codice stesso) dimenticando però di aggiungere, in materia di tolleranza religiosa, che l'art. 126 del codice penale sovietico punisce con lavori correttivi fino a tre mesi e 300 rubli di multa chiunque celebri riti religiosi in pubblico. Quindi se in qualche campo fa celebrata, qualche volta la messa fu in deroga alle disposizioni del codice sovietico.

P.M.: 'D'Onofrio ha sostenuto ancora che gli sarebbe stato impossibile minacciare l'invio in Siberia perché il piano quinquennale sovietico è riuscito a trasformare quella desolata regione in una specie di Eden, però ha tralasciato di dire che secondo l'art. 58 del codice penale sovietico chiunque favorisca l’espatrio clandestino di un proprio congiunto viene deportato ancora oggi per cinque anni nelle 'lontane isolate regioni della Siberia'. Dal che è facile dedurre che se la Siberia è terra di deportazione non può essere una sorta di luogo di villeggiatura.

Quale era la posizione in cui si trovava D'Onofrio in Russia? Il dott. Manca ha profondamente esaminato questo punto arrivando alla conclusione che era logico e, in un certo senso, necessario che il querelante agisse come agì'.

P.M.: 'Infatti studiando la causa feci delle ricerche sulle attribuzioni dei commissari politici e scoprii nel numero del 17 luglio 1941 della 'Pravda' un Ukase firmato da Kalinin con il quale venivano precisate le mansioni dei commissari politici, qualificati come 'diretti rappresentanti del partito e del governo', obbligati a denunciare 'comandanti o lavoratori politici che si fossero resi indegni del loro posto'. La disposizione emanata dal consiglio del Soviet Supremo diceva poi che i commissari politici coordinavano la loro attività con quella della polizia, e che i commissari politici erano funzionari russi. D'Onofrio, dunque, come commissario politico era funzionario sovietico e di conseguenza non avrebbe potuto comportarsi in modo diverso da come si è comportato a meno di incorrere nelle sanzioni penali previste.

Egli inoltre per la levatura intellettuale, aveva delle funzioni ispettive ed era considerato come un capo. Gli italiani non si rendevano conto di trovarsi di fronte non ad un loro compatriota ma ad un 'cittadino sovietico'.

P.M.: 'E cittadino sovietico era da considerare il querelante anche per l’art. 8 della legge italiana sulla cittadinanza per cui colui che, cittadino italiano, abbia ottenuto e mantenga un ufficio presso uno Stato estero, perde la cittadinanza'.

Avv. Paone: 'E quelli che parlavano dai microfoni delle radio estere ed ora sono al governo?'.

P.M.: 'Io sto facendo il processo dal punto di vista giuridico e non politico!'.

Avv. Paone: 'Si ricordi che lei è un Procuratore della Repubblica!'.

P.M.: 'Non raccolgo questo insulto. Io faccio, qui, il mio dovere. Quanto alle parole 'rinnegato e aguzzino' esse, che potrebbero far pensare ad una ingiuria, non rappresentano altro che una forma di ritorsione legittima dopo che il D'Onofrio, l’8 aprile del 1948, aveva scritto su 'Risorgimento Liberale' che i soldati italiani erano dei 'fascisti entrati in terra di Russia come dei ladri e dei rapinatori'.

P.M.: 'In sostanza le accuse che i reduci hanno mosso contro D'Onofrio non riguardano la sua attività di antifascista in genere, ma specificamente il suo comportamento nei riguardi dei prigionieri, comportamento che 'riveste gli estremi di reato'. Noi non facciamo il processo all'antifascismo. Noi non neghiamo che tra gli antifascisti vi siano delle figure che sono dei simboli come Giuseppe Donati, i fratelli Rosselli, Giovanni Amendola, morti in terra francese per una idea. Antifascisti siedono onoratamente sui banchi del parlamento e al governo'.

P.M.: 'Noi, voi signori giudici, dobbiamo giudicare solo una cosa: se sono veri i fatti attribuiti a D'Onofrio. E, giacché mi si costringe a dirlo dichiaro: i fatti attribuiti al sen. D'Onofrio sono contrari alla morale e alla politica di qualunque tempo e di qualunque partito. Poiché essi sono stati pienamente provati, in perfetta coscienza e con piena convinzione, io vi chiedo l’assoluzione degli imputati per aver raggiunto la prova dei fatti motivo della querela'.

Immagini, CC.NN. all'attacco

Un altro piccolo pezzo della nostra storia arriva a me... fotografia originale dell'Istituto Luce: 31/10/42/XXI Fronte orientale: reparti di CC.NN. dell'Armir all'attacco di un caposaldo nemico nella zona del Don.

mercoledì 4 agosto 2021

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.



Seconda lettera di Hitler a Mussolini

Sempre a scopo divulgativo e storico riporto la seconda lettera scritta da Hitler a Mussolini a pochi giorni dall'inizio dell'Operazione Barbarossa.

LE PRIME IMPRESSIONI DELLA GUERRA CONTRO LA RUSSIA - Seconda lettera di Hitler a Mussolini.

Quartier Generale del Fuhrer, 30 giugno 1941.

Duce, consentitemi anzitutto di ringraziarVi per la Vostra ultima lettera. Mi allegro infinitamente che i nostri due punti di vista nelle grandi questioni concernenti il destino dei nostri popoli si identifichino così perfettamente. Credo che la settimana trascorsa, considerata sotto l'aspetto politico, abbia confermato in maniera clamorosa le nostre vedute. E' accaduto ciò che io stesso nel primo momento non osavo affatto sperare. L'Europa è stata strappata in gran parte ad un disinteresse veramente letargico. Molti Paesi si vedono obbligati a prendere ormai in questa nostra lotta contro il bolscevismo una posizione che sarà il principio di una più larga comprensione della nostra comune politica che in fondo è veramente europea.

La lotta, Duce. che ora si svolge da otto giorni, mi dà la possibilità di comunicarVi già ora, in poche linee, un quadro generale ed informarVi delle esperienze fatte. La più importante constatazione che io ed i miei generali abbiamo fatto è stata una cosa che veramente ci ha sorpresi nonostante tutte le previsioni. Duce, se questa lotta non fosse avvenuta ora, ma anche soltanto pochi mesi o un anno più tardi, noi avremmo - per quanto possa essere terribile questo pensiero - perduta la guerra.

L'Esercito russo stava approntando uno schieramento di forze con mezzi che andavano molto al di là di quanto noi sapevamo o anche solo ritenevamo possibile. Sono otto giorni che una brigata corazzata dopo l'altra viene attaccata, battuta o distrutta, e nonostante ciò non si è osservata alcuna diminuzione del loro numero e della loro aggressività. E' soltanto dal 27 giugno che noi abbiamo la sensazione che sopravvenga un alleggerimento, che l'avversario si abbatta lentamente e che appaiano localmente manifestazioni di dissolvimento. Come gli inglesi con il carro armato di fanteria Mark II, i russi han tirato fuori una sorpresa di cui noi purtroppo non avevamo alcuna idea. Un gigantesco carro armato del peso di circa 52 tonnellate, con una corazzatura di 75 mm., con un cannone da 7,6 cm. e tre mitragliatrici. Senza il nostro nuovo cannone da 5 cm., il cannone anti-aereo da 8,8 e le nuove granate anticarro della nostra artiglieria da campo noi saremmo impotenti di fronte a questi mezzi corazzati che attualmente sono i più forti.

Il "fanatismo" del soldato russo.

I russi avevano posto nella grande sacca di Bjalistock come in quella di Leopoli due enormi armate offensive. Numerose formazioni motorizzate e corazzate erano assegnate alle divisioni di fanteria, che a loro volta posseggono quasi tutte propri reparti corazzati. Entrambe queste armate sono state attaccate di fianco da noi dopo la rottura di dispositivi di difesa straordinariamente profondi che in certi luoghi sono di poco di inferiori alla linea Sigfrido. I combattimenti che ora hanno luogo qui da otto giorni appartengono ai più gravi che le truppe tedesche hanno dovuto sostenere sinora.

II russo combatte con un fanatismo veramente stolto; nei primi giorni non si avevano quasi prigionieri. Era una lotta di vita e di morte, nella quale molti ufficiali e Commissari russi si sono sottratti alla minaccia della prigionia con il suicidio. Le guarnigioni di fortificazioni ormai perdute si sono fatte saltare in aria da sole prima della resa. I contrattacchi russi non si sono effettuati per un qualsiasi elevato pensiero ma con la brutalità primitiva di un animale che si vede rinchiuso e si slancia con feroce rabbia contro le pareti della sua gabbia. Questo soldato, di per sè già molto duro, è stato inoltre follemente eccitato. I suoi Commissari gli raccontano che dopo l'imprigionamento egli sarà torturato e poi anche ucciso. Perciò egli lotta fino alle sue ultime possibilità e preferisce nel peggiore dei casi la propria morte alle torture annunziategli. Per la prima volta negli ultimi giorni di lotta, questo morale comincia ad oscillare, ed il numero dei prigionieri e dei disertori aumenta ormai di ora in ora.

Quasi tutti i contrattacchi russi si sono effettuati solamente con forze corazzate. Singole divisioni che spesso avevano già colpito cento e duecento mezzi corazzati in un solo giorno vengono il mattino seguente attaccate da nuovi mezzi corazzati. Credo, Duce, che incombeva sull'Europa un pericolo della cui misura purtroppo nessuno aveva una giusta idea.

L'arma aerea russa è cattiva. Tanto è fanatico il soldato russo quando combatte in terra, altrettanto è stato sempre maldestro come marinaio ed ora sembra lo sia anche come aviatore. Già nei primi sette giorni gli aviatori tedeschi hanno fatto vuoti spaventosi fra le forze aeree russe. Qui la supremazia non è soltanto chiara, ma addirittura assoluta. Ormai solo saltuariamente singoli apparecchi russi tentano di mostrarsi al fronte. In generale ogni volo del genere è anche l'ultimo.

Otto giorni di campagna.

La fanteria russa viene gettata nel combattimento in grandi masse, senza guardare al sacrificio. Mitragliatrici, lanciagranate, cannoni di fanteria e granate a mano causano loro perdite terribili. Nondimeno gli attacchi si rinnovano a brevissimi intervalli. II Comando russo è in genere cattivo. Una eccezione ha fatto, per lo meno nei primi giorni, l'Armata russa del Sud. Il Comando delle singole Divisioni o dei reggimenti è privo di qualsiasi attitudine militare. Il grado di cultura dei cosiddetti ufficiali non corrisponde in alcun modo alle esigenze che si richiedono nelle Nazioni europee. Tuttavia non è da nascondere che con l'andare degli anni anche in ciò vi sarebbe stato probabilmente un miglioramento. Senonché, data la brutalità di tale sistema di guerra, non è tanto determinante il valore del singolo quando la pericolosità dell'istrumento in se stesso. Tale pericolo sta nel numero stragrande di formazioni, nell'enorme sviluppo delle armi come pure nella completa indifferenza con cui il Comando sacrifica uomini e materiale.

Nel riferirVi, Duce, del tutto brevemente i risultati della lotta, prendo naturalmente in considerazione, per il momento, soltanto i successi visibili mentre per ora Ci resta ancora precluso l'esame della intima costituzione delle già battute formazioni russe. Ecco quanto risulta dopo otto giorni di campagna: A nord delle Paludi del Pripet - le quali dividono il teatro delle operazioni nella metà settentrionale del Baltico e della Russia Bianca ed in quella meridionale della Galizia e della Bessarabia - le Armate nemiche ammassate vicino alla frontiera sono state già completamente battute. Nella sacca formatasi dal rapido avanzare delle formazioni corazzate a cuneo nel settore mediano fra Bialystock e Minsk si trovano circondate due armate mentre forze celeri si sono già spinte oltre la Beresina.

Nel settore nord il nemico cerca, dopo aver sofferto gravi perdite fra la frontiera e la Dvina, di salvare i resti del proprio esercito settentrionale a mezzo di una ritirata verso nord-est. Dunaburg e Riga sono in mano delle forze corazzate tedesche. Nella Finlandia meridionale si trova il Feldmaresciallo Mannerheim - al quale sto inviando attraverso la Svezia anche una divisione tedesca - pronto fin dal 2 luglio all'assalto dalle due parti del Lago di Ladoga. Nella Finlandia mediana e settentrionale le forze finno-tedesche hanno il compito di tagliar fuori per un assalto verso est la città di Murmansk, che ha importanza come punto di riferimento per una eventuale azione di soccorso da parte inglese o americana.

Al sud delle Paludi del Pripet il gruppo corazzato dell'Armata del Sud avanza nella direzione generale di Shitomir mentre l'avversario da entrambe le parti di Leopoli cerca di sottrarsi, con una ritirata verso l'est, ad una minaccia di accerchiamento. La mira dei sovietici potrebbe essere di raggiungere la loro vecchia linea di fortificazioni e di stabilirvisi per la resistenza. Io progetto, quindi - per alleggerire l'urto frontale dall'ovest - di far attaccare nei primi giorni di luglio l'XI armata avanzatasi in Romania, unitamente alle forze romene che le sono assegnate sul Pruth a tergo della linea di fortificazione russa. Sul fronte dei Carpazi l'Ungheria si prepara ad avanzare con un corpo celere contro Kolomea e Stanislavow. I primi reparti hanno già attraversato la frontiera.

Le formazioni aeree nemiche hanno subito tali perdite che la padronanza dell'aria è completamente conquistata. L'Arma aerea tedesca può quindi essere sottratta in massa ed essere impiegata per l'appoggio dell'esercito. Io accetto la Vostra generosa offerta, Duce, di mandare un corpo italiano ed aerei da caccia italiani sul teatro bellico orientale. Che le nostre armate alleate marcino fianco a fianco proprio contro il nemico mondiale bolscevico mi sembra un simbolo della lotta di liberazione condotta da Voi, Duce, e da me.

Un invito al fronte.

Come apprendo circa le intese tra i nostri rispettivi servizi competenti, i trasporti dovranno effettuarsi sulla linea Brennero - Innsbruck - Salisburg - Linz - Vienna - Bratislava - Budapest e sboccare nell'Ungheria orientale. Bisognerebbe quindi comunicare con un anticipo di almeno tre giorni l'inizio dei movimenti di trasporto a causa dei necessari preparativi in Germania. Dove poi avrà luogo l'impiego - prevedibilmente nell'ambito dell'XI Armata tedesca - lo dirà lo sviluppo della situazione. Mi permetterò, Duce, di comunicarvi tempestivamente più precise proposte a tale scopo.

Di speciale importanza mi sembra quanto segue: le vie di comunicazione della Romania sono attualmente molto gravate dall'avanzata romena ed ungherese. Ad entrambi questi Stati ho fatto sapere che ciò nonostante debbono essere ulteriormente e regolarmente proseguite le forniture di oli minerali romeni di vitale importanza per le Potenze dell'Asse. I dirigenti dei servizi di trasporto hanno già tenuto calcolo di questo punto di vista nella comune preparazione dei trasporti delle truppe italiane. Anche durante la campagna orientale la lotto contro l'Inghilterra verrà proseguita con sufficiente impiego di forze. La Marina da guerra germanica non sarà quasi impegnata contro la Russia Sovietica nel Mar Baltico da noi sbarrato. Però l'assedio dell'Inghilterra deve essere soprattutto rinforzato, anche durante le operazioni orientali, un adeguato impiego dell'Arma aerea.

Ed ora, Duce, lasciatemi esprimere alla fine ancora il pensiero. Ho riflettuto se non sarebbe forse psicologicamente giusto che noi due proprio nel corso di questa lotta ci potessimo incontrare in qualche luogo al fronte orientale. Il luogo più appropriato sarebbe naturalmente il mio stesso Quartiere oppure un'altra delle località all'uopo previste poiché si trovano colà le condizioni necessarie per gli impianti dai quali io - almeno per un periodo di tempo piuttosto lungo - non potrei allontanarmi che con molta difficoltà. Nei riguardi del sistema delle comunicazioni e delle notizie io sono purtroppo uno schiavo della tecnica. Ma io credo che se ciò potrà una volta realizzarsi - anche prescindendo del tutto dallo scambio personale di idee - gli effetti psicologici per entrambi i nostri popoli sarebbero certamente utili.

Credo inoltre che ciò sarebbe adeguatamente apprezzato anche dal resto del mondo. Chiudo questa lunga lettera, Duce, salutandoVi con vecchia amicizia e nel più cordiale.

Adolf Hitler

martedì 3 agosto 2021

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 14

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - La battaglia di Chazepetowka (5-14 Dicembre 1941).

Ricordi di un alpino

Alpino Alessandro Carpanè, 58a Compagnia, Battaglione Verona, 6° Reggimento Alpini.

Sono anch'io uno di Nikolajewka e come per tutti ci sarebbero tanti episodi da raccontare, è quasi difficile cominciare. Io appartenevo al Battaglione Verona, 58a Compagnia comandata dall'allora capitano Bernardo Venier. Ero portaferiti fino al giorno 19 gennaio, giorno memorabile per il nostro battaglione: una parte di esso fu distrutto in quel grande combattimento di Postojalyi.

Quanti morti e feriti quel giorno! Difficile saperlo. Avemmo molto lavoro a portare i feriti nelle isbe per essere in qualche modo medicati. Alla sera nell'isba quasi nell'oscurità giacevano due alpini senza alcun segno di vita. Un ufficiale per fare un po' di posto perché altri alpini potessero ripararsi dal freddo, vedendo quei due alpini morti ci ordinò di portarli fuori coprendoli con un po' di paglia.

Io per mia iniziativa gli levai ad uno e precisamente a Massimo Ceschi il piastrino di riconoscimento e me lo misi in tasca. Dopo qualche giorno anch'io fui ferito e ricordo che più volte, frugando nelle tasche se c'era qualche briciola di pane, mi veniva in mano il piastrino del Ceschi; ma in seguito lo perdetti come tante altre cose.

La guerra finisce e vicino al mio paese in una festa d'alpini presenziava il simpatico, vecchio Colonnello Marchiori e non so come fu che gli raccontai il fatto. E qui con grande stupore mi disse che l'alpino Ceschi era a casa, anzi, per assicurarmi, mi disse che era un suo dipendente. Era si tornato ferito, ma stava bene. Io non sapevo più come spiegarmi del fatto.

Ed ecco che un giorno il Ceschi mi venne a trovare, ma al primo incontro nessuno di noi due era capace a parlare, solamente le lacrime correvano dagli occhi. Tornando al tempo della sacca, Il giorno 21 gennaio '43, al mattino presto, ancora buio, rimasi ferito da schegge ad una gamba e qualcuna di queste rimase conficcata nella carne e così non potei più camminare. Da quel momento fino al giorno 31 quel che io passai Dio solo lo sa. La fame completa, non potendo cercare tra le isbe qualcosa da mangiare, le mille difficoltà di trovare qualche mulo o slitta per salirci sopra, ma non voglio allungarmi perché tutti là hanno visto con i loro occhi e lo sanno molto bene.

Finché arriva il 31 e cioè il mio più grande episodio. Quel mattino era ormai a condizioni quasi disperate, credo aver avuto la febbre e non avevo neanche fiato di parlare, mi reggeva più che altro il pensiero della famiglia e le cose care. L'ora della partenza si rese ancor più triste perché non ero capace di trovare qualche posto sulle slitte e i muli perché questi erano ormai ridotti molto pochi. Ma ecco passarmi vicino un alpino con il mulo senza alcun carico sul basto, gli chiesi di salirci sopra e lui mi fece cenno di sì, cosicché con il suo aiuto mi arrampicai sopra.

Dopo circa un'ora, lui dovette fermarsi per un suo bisogno, se non che dopo poco mi accorsi che da quella posizione non si muoveva e nemmeno chiedeva qualcosa, mi sforzai e andai per alzarlo quando mi accorsi che le sue mani non si muovevano più, erano bianche e si erano congelate (i guanti li aveva perduti).

Che cosa fare allora? Intanto lui si metteva a piangere vedendo che non era capace di muoversi. Ma con l'aiuto di qualcuno potemmo caricarlo sul mulo. Ed io, allora? Cosa mi restava? Mi aggrappai al mulo camminando quasi con una gamba sola, ma per poco, perché ecco il miracolo: una colonna di camion con i nostri soldati ci aspettava per caricarci sopra e portarci all'ospedale di Karkov, era venuto quel giorno.

RICCARDO