giovedì 24 dicembre 2020

Natale 1942

Natale 1942, le parole di Peppino Prisco; il mio omaggio a tutti i caduti, i dispersi ed i reduci della Campagna di Russia.

La battaglia di Natale 1941, parte 1

Tutto il materiale proposto fa riferimento all'articolo 70 comma 1 della legge numero 633 del 22 Aprile 1941 che cita "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali".

Associare il periodo di Natale alla Russia porta inevitabilmente a pensare e ricordare l'anno 1942, quando tutto l'ARMIR era schierato sul Don e gran parte delle divisioni erano fortemente impegnate dalle forze sovietiche, ma... quello non fu l'unico Natale per le nostre truppe in Russia; nel 1941 parte dello CSIR, la Divisione Celere e la Legione Tagliamento, furono impegnate nella famosa Battaglia di Natale. Lasciamo che sia il cappellano della Tagliamento, Don Biasutti, a ricordare i tragici fatti di quei giorni.

La battaglia di Natale.

La vigilia del Natale, a Crestowka, dove aveva sede il Comando della Legione, ci si mise a fare un po' di pulizia in uno stanzone buio e pidocchioso, per la Messa di mezzanotte, mentre il cappellano in un angolo attendeva a quell'altra pulizia, confessando. Si preparò un modesto altarino, vennero confezionati sei lumi a nafta con sei scatolette da carne e si scovò persino un «harmonium» per accompagnare con qualche motivo musicale la cerimonia sacra. I nostri legionari, i nostri fanti mortaisti e cannonieri e gli artiglieri delle batterie aggregate affollammo, nell'ora sacra al mistero di Betlem, l'umile stanza che somigliava molto alla stalla in cui nacque Gesù.

Davanti all'altare, come Saul che di tutta la testa si ergeva sul suo esercito, circondato da tutti gli ufficiali, c'era l'alta figura del Comandante la Legione. La luce fumosa delle sei scatolette schiariva soltanto la bandiera tricolore, messa a fondo dell'altare, e, sul bianco di essa, la Croce ed uno di quei piccoli presepi-cartolina, che s'aprono ad armonica, arrivato dall'Italia con la posta del giorno prima. Distribuii la S. Comunione a quasi tutti i presenti e rivolsi alla fine del rito alcune parole d'augurio al Comandante ed a tutti i nostri combattenti. La Messa riuscì tanto altamente suggestiva che ne rimanemmo commossi. «É stata la Messa più bella a cui abbia mai assistito in vita mia - mi dissero molti - meglio che in una cattedrale!».

Noi ci aspettavamo che i russi avrebbero approfittato della notte del Natale, sacra alla nostra fede, per attaccarci. Ed infatti, alle 0,30 del 25 una formazione russa attaccò il caposaldo di Malo Orlowka, ma venne decisamente respinta. Nove prigionieri diranno che, per l'errore di un ufficiale, le truppe destinale alla grande offensiva non s'erano incontrate all'ora prevista, e cioè alla mezzanotte del 24. L'attacco in forze fu quindi rinviato alle prime luci del 23. M'ero gettato, vestito, sulla brandina da campo, quando alle 6 del 25 le artiglierie di Crestowka cominciarono a tuonare. Seppi che Malo era investita da un furioso assalto. Mi precipitai lassù ed assistetti all'ultima fase del combattimento.

Mentre correvo di postazione in postazione per controllare se ci fossero dei feriti e per dire una parola di fede, i legionari volgendo il capo per vedere chi passasse, mi lanciavano un gioioso «Buon Natale, signor Cappellano», e si riconcentravano subito sulle armi. Il ten. Pregelio, ardito e scanzonato, mi invitava a vedere come tirava con l'alzo a zero sul boschetto Tre Croci, coi suoi cannoni anticarro. Verso le 9 parve che dinanzi alle postazioni fosse ormai silenzio. Ed io ottenni dal cent. Mutti di uscire a raccogliere i feriti russi rimasti sul terreno. Ma dal boschetto una raffica di mitra mi costrinse a rientrare. Il fuoco riprese e cessò del tutto verso le 10. Il prigioniero Simeon Sacko dirà: «Ho visto cadere almeno una settantina di miei compagni, tra cui parecchi sottufficiali». Ed altri sei prigionieri dichiareranno che il 50 od il 60 per cento degli attaccanti era stato messo fuori combattimento. Noi a Malo avemmo solo alcuni feriti, di cui l'unico grave il caro Siro Cisilino, che morirà giorni dopo all'ospedale da campo 837. Verso la sera del 25 un russo, rimasto tutto il giorno nella neve, riuscì a trascinarsi presso ad una nostra postazione ed a lanciarvi una bomba a mano che ferì - non gravemente - una delle nostre più vecchie ghirbe, già pratico di guerra. Anche il russo ebbe una gamba spezzata da una raffica di mitragliatore. Mentre il medico gli curava la ferita, io gli mondavo la imboccatura delle maniche, che erano un blocco di ghiaccio, e sfregandogli con la neve le mani congelate, lo rimproveravo dolcemente perché non si fosse arreso prima: «Noi siamo italiani - gli dicevo - e gli italiani sono buoni. Vedi come ti trattiamo».

Mi rispose: «Jesli ja ransce snall» (Se l'avessi saputo prima!). E poco dopo, al ten. Pappalepore, che si avvicinava a vedere come stava, diceva con calore: «Tovarish doctor, spassiba!» (Compagno dottore, grazie!). L'attacco russo del Natale, che investi tutto il settore della Celere, mirava a penetrare a cuneo per la vallata di Alexeievo Orlowo. Bisognava, perciò, scardinare soprattutto i capisaldi di prima linea di Novaja, tenuto dalla 2a Cp. del 79° Btg. con due plotoni di mortaisti e di cannonieri del 63° AA., e di Ivanovka, tenuto dal 18° Btg. del 3° Rgt. Bersaglieri. A Ivanovka i bersaglieri combatterono a lungo eroicamente, ripiegando poi su Michailowka. Lasciarono nelle isbe una trentina di feriti, che trovammo tutti uccisi il giorno 28, quando riconquistammo quel caposaldo. Ne benedirò io il Cimitero il (5 gennaio, sotto la neve; ed il col. Carretto chiamerà ad uno ad uno i nomi dei suoi Caduti con la voce rotta dalla commozione.

A Novaja Orlowka noi avevamo meno di 200 uomini, tra camicie nere e soldati delle Armi Accompagnamento. Li comandavano il cent. Mengoli, i Cm. Tonolini, Codeluppi, Monelli e Barale ed i sottoten. Micale e Zangrande. L'attacco cominciò alle 6 del mattino. I russi erano certi che ne avrebbero avuto ragione d'impeto, o con poca fatica. Il ten. russo Michael Ilia Semionovic, che catturammo il 28 a Woroscilova e che mi si affezionò nelle due notti che passammo assieme, confidava: «Sapevamo che a Novaia eravate pochi; ma ci accorgemmo subito che dovevate aver ricevuto rinforzi, perché la resistenza fu assai maggiore di quanto ci aspettassimo e spezzò l'impeto dei nostri, compromettendo tutti i nostri piani». Di rinforzi, invece, non ce n'erano stati affatto. Circa 900 uomini della 962a Divisione di Fanteria russa irruppero contro il nostro caposaldo e l'avvolsero anche alle spalle. Alle 8 le comunicazioni telefoniche erano già tagliate. Il cent. Mengoli aveva fatto appena a tempo a telefonare: «I russi sono moltissimi. Intensificare il tiro delle artiglierie. Noi ci difenderemo fino all'ultimo».

Poco dopo doveva gettarsi fuori dalla casa, dove aveva sede il Comando, per ricacciare a bombe a mano i russi, che in quel punto riuscivano già ad infiltrarsi. Poi corse, insieme col suo portaordini, ad ordinare lo spostamento di un'arma pesante per tamponare quella falla dello schieramento. Ma nel ritorno rimaneva colpito da una fucilata al petto e cadeva al suolo sui margini della strada. Il fedele portaordini si chinò subito su di lui per soccorrerlo, ma il centurione gli disse: «Non preoccupatevi di me. Per me è finita. Corri dal Cm. Tonolini e digli che si assuma il comando. E di agli ufficiali che resistano fino all'ultimo». Il portaordini andò a portare l'estrema comunicazione del comandante e poi si mosse per ritornare in suo soccorso. Ma intorno a lui che giaceva ferito al suolo c'era già un nucleo di russi. Allora i nostri, ritirandosi dalle case più avanzate, fecero quadrato verso est una prima ed una seconda volta, e continuarono a contendere il passo al nemico casa per casa. Fu una lotta terribile e tragica.

Quando, verso le 11, essendo esaurite le munizioni, venne dato l'ordine di dirigersi verso Michailowka o Ivanovka, ed i superstiti sotto il tiro dei mortai e delle mitragliatrici russe, nel freddo e nella bufera, iniziarono quella che doveva restare famosa come la «via crucis» del dì di Natale, nell'ultima casa rimase a proteggere il ripiegamento il capomanipolo Tonolini Vittorio con alcuni pochi. Il sottotenente Zangrande Girolamo, intanto, s'affannava a portare in salvo i suoi feriti, e per quel pietoso indugio restava preso nella morsa. Dalla casetta si scaricavano sul nemico le ultime cartucce. Poi si fece, d'improvviso, un eloquente silenzio. E qui cedo la parola ad una donna russa che affermò d'aver visto la scena di persona.

«Poiché dalla casa degli italiani non tiravano più, un ufficiale sovietico si avanzò da quest'altra verso di essa, attraverso l'orto, e d'albero in albero. Nessuno sparò. Quando fu a pochi passi si apri la soglia e ne uscì il vostro ufficiale, un giovane alto, senza cappello e con le mani aperte, come per dire che non aveva più "patrone" (cartucce). Allora l'ufficiale russo gli si avvicinò, gli batté la destra sulla spalla in segno di ammirazione e, presolo a braccetto, se n'andò via con lui». Cosi si chiudeva, col riconoscimento dello stesso nemico, l'eroica resistenza di Novaia Orlowka, di cui la Legione «Tagliamento» si coprì di gloria come di un fatto d'armi sublime, anche se sfortunato. Quel giovane senza cappello, era il mio carissimo amico c.man. Tonolini, un «mugugnatore» di temperamento, con cui avevo stretto cordialissimi rapporti nelle sabbie del Dnieper.

I pochi superstiti di quella eroica avventura narrano di lui: «Egli era dappertutto; alle mitragliatrici e tra i feriti; dava ordini agli ufficiali, incoraggiava i combattenti, organizzava due volte il quadrato difensivo, faceva innalzare barricate, spostava le squadre secondo il bisogno, scagliava bombe a mano; aveva perduto l'elmetto e correva da un punto all'altro a capo scoperto, calmo, terribile, invulnerabile». Era suo attendente un vecchio combattente mantovano, di nome Ghiselli, che aveva fatto da ordinanza anche a me, dal 18 al 23, allorché ero stato a Novaia per l'anticipato Natale. Ferito anche lui, nella prima ora di combattimento, sarebbe voluto restare, ma il Tonolini volle che partisse verso Michailowka; tuttavia prima di lasciarlo lo baciò affettuosamente.

Quando più tardi il buon Ghiselli viene a sapere che il suo ufficiale non è rientrato, si leva dalla paglia e dice: « Voglio andar a morire col mio tenente». E brancola verso l'uscita. I camerati accorrono per fermarlo, ma lui è già caduto a terra. Lo portano di nuovo sul suo giaciglio di paglia. E li si mette a piangere come un bambino. «Chissà dov'è il mio tenente! Non lo dovevo lasciare. Dovevo morire con lui». Il Tonolini mori tre anni dopo, in prigionia; nel campo n° 74, colpito a sua volta dal tifo petecchiale, dopo essersi prodigato nell'assistenza dei prigionieri ammalati prima di lui. Cosi mi raccontò don Carlo Caneva, cappellano della «Julia» e fondatore del Tempio dei Caduti in Russia a Cargnacco. Ed una delle cose più dolci della mia povera vita è la testimonianza di don Caneva, che Tonolini mi ricordò a lui in quel triste luogo con memore, cordiale amicizia.

Due o tre chilometri alle spalle di Ivanowka e di Novaia Orlowka, nel fondo della valle, c'era - come ho detto - il caposaldo di seconda linea di Mikailowka, dove c'era il resto del 79° Btg. al comando del 1° sen. Patroncini, il gruppo d'artiglieria del maggiore Borghini ed il Comando di settore. I russi cominciarono a piovere da tutte le parti: dalla balka tra Scevcenko e Novaia, dalla balka di Ivanovka e dalle balze ad est. Mikailowka doveva essere espugnata ed espugnata subito, perché era la posizione chiave di tutta la valle. Ma non venne presa mai. Legionari, fanti ed artiglieri - i quali, quando non poterono più usare dei cannoni, si mescolarono agli altri nelle postazioni - formarono una barriera invalicabile.

Di quella gloriosa resistenza io ricorderò solamente l'episodio della morte del cent. Mario Gentile, comandante della Compagnia mitraglieri di Cuneo, cosi come me lo raccontò il nostro indimenticabile «Peder», cioè il medico del 79°, dott. Pietro Azzolini, trucidato poi a Vetto nel 1945. Il Gentile era corso a disinceppare personalmente una delle sue mitragliatrici e fu ferito mentre stava orientandone il tiro quasi allo scoperto, per poter meglio arrestare i russi che dilagavano giù dalle quote verso Mikailowka. Appena colpito, non si preoccupa di sé, ma ai suoi mitraglieri che accorrono sgomenti dice: - State tranquilli, ragazzi, e resistete sempre. È portato al posto di medicazione. E non ha un lamento. Sorride anzi. Dopo due mesi riesumandone la salma per una migliore sepoltura, ritroverò quel sorriso intatto come se fosse qualcosa d'incorruttibile ed eterno, e mi fermerò stupefatto a contemplarlo.

Io non ero presente alla sua morte, poiché mi trovavo a Malo Orlowka. Fu il medico che, con grande senso cristiano, gli suggerì parole di fede. Ed il buon centurione, sollevando lentamente la mano, si fece un ampio segno di croce. (Cinque giorni prima me n'andavo a celebrare la S. Messa in una casa russa, ove erano di stanza alcuni legionari. - Dove vai, cappellano? - mi chiese. Gli dissi dove. E lui: - Aspettami. Vengo anch'io. Venne infatti. E li, fra le camicie nere, assistette devotamente a quella che doveva essere la sua ultima Messa). La ferita era gravissima, tanto che il centurione cadde presto in quello stato di assopimento che poco più morte. Ma se ne risvegliò due volte. La prima fu per invocare i suoi due bambini, e fare loro, da tanto lungi, l'ultima più soave esortazione: - Diddy!... Pucci!... - disse - Buoni'... Buoni!... E mentre parlava cosi, muoveva le mani a carezzare, come se fossero li, come se sentisse al contatto delle dita le due testine care. La seconda volta, si riscosse per dire: - Mitraglieri. Poi tacque per sempre. Il medico rievoca quell'istante con queste eloquenti parole: - Mi parve trasfigurato e luminoso come un santo d'altare!

Un racconto a parte meriterebbe l'azione compiuta il giorno del Natale della 2a Cp. del 63°, di stanza nel villaggio di Scevcenko Ftoroi, dedicato alla memoria del grande poeta ucraino. Quella Compagnia era comandata da una delle più tipiche figure della Legione, il cent. De Appollonia, «mugugnatore» ed antiretorico per eccellenza ed insieme di un singolare e freddo senso del dovere. Quel che fece coi suoi uomini è forse un po' lasciato in ombra, proprio per la sua natura, schiva di esibizionismi. Ma fu, a mio parere, un'azione intelligente ed efficacissima. Ricevuto l'ordine di accorrere in soccorso della 2a Cp. del 79° a Novaja, il De Appollonia vi si mosse con la sua Compagnia. Ma i russi riempivano la balca tra lui e Novaja. Egli allora andò controllando e disturbando i movimenti russi dall'alto, con una insistenza ed una audacia che costò delle sensibili perdite, anche per il mitragliamento e lo spezzonamento degli aeroplani russi. Infine, con una manovra perfetta arrivò nei pressi di Crestowka e protesse la ritirata del Comando della Legione.

Ma forse il più efficace rapporto di quella azione traspare dal diario del mitragliere caduto, che si trovava appunto con quella Compagnia. «25 Dicembre - Montato di guardia ore 21,30. Ore 1,30 alla mitraglia. Dormito un po' vestito. Ore 7 dobbiamo spostarci. Mitragliati e spezzonati due volte. Visto aggiramento 79° Btg.; 200 tra morti, feriti, dispersi, fra i quali Dormi e Gatti. Due Divisioni russe... Nevica e non si può stare riparati causa pericolo di accerchiamento. Seguitato tutto il giorno a fare spostamenti. Legione tutta ritirata. Noi invece ancora al paese (intende a Crestowka), a causa 4 camion. Dobbiamo proteggere ritirata. Siamo un 30 uomini. Venuti i russi fin davanti la mitraglia. Fatto prigioniero allungando la mano. Venuta pattuglia russa. Ripiegamento tutta fretta. Sono tutto sfinito e bagnato. Ho due dita nere... Ore 22: andati di nuovo in postazione. Attaccato».

A Crestowka tutto il presidio del comando - legionari, fanti ed artiglieri - combatterono fino al pomeriggio. Verso le 2 o 3 si ritirarono ordinatamente a nord, nel caposaldo di Malo, rimasto intatto. Ricordo che c'era una nebbia insidiosa. Io uscii da Malo e mi arrampicai su uno dei pali di controllo dei lavori agricoli per vedere se i nostri avevano la via libera. Grazie a Dio, tutto procedette bene. E la sera del Natale il Comando Legione era al riparo nell'indomato caposaldo di Malo Orlowka. In quell'azione morirono Pregnolato Luigi e Ronutti Giovanni e rimase ferito gravemente Mauro Vittorio che spirava giorni dopo a Rikowo.



mercoledì 23 dicembre 2020

Relazione del Tenente Boldoni, parte 2

Relazione sui Carabinieri della Divisione Torino del Generale Attilio Boldoni nel 1942 Sottotenente Comandante della 66a Sezione Carabinieri sul fronte russo, seconda parte.

Alle ore 9,20 il generale Lerici espone al comandante del XXIX C. d'A. - via filo - la grave situazione in cui si trova la divisione. Unità corazzate russe sono in procinto di accerchiare la divisione. La strada dell'«avvicendamento» Karascew-Kranzow-Mankowo è tagliata. Il comandante del Corpo d'Armata tedesco dal quale la divisione dipendeva, generale von Obstfelder, risponde «È chiaro che occorre resistere». Alle ore 11 la Pasubio comunica che i russi sparano su Getreide e si trovano a Nowa Bjt Nord. Alle ore 11,10 un ufficiale del comando, inviato in ricognizione, riferisce che vi sono forti infiltrazioni tra Meschoff e Kalmikow. Si ode distintamente il cannoneggiare, il cielo è rosso per gli incendi.

Alle ore 13,30 dopo una telefonata drammatica con il comando del XXIX C. d'A. vengono diramati gli ordini di ripiegamento lungo la linea Kalmikow-Meschoff. Alle ore 16,00 giunge il Comandante del XXXV C.A. Gen. Zingales. Sorge la speranza che si fermi. Invece prosegue. Vuol raggiungere i suoi reparti. Alle ore 21,30 il XXIX C. d'A., modifica la direzione di marcia: sud-ovest, per un possibile ripiegamento. Alle ore 24,00 si interrompe l'ultimo collegamento telefonico. Alle insistenze di un ultimo definitivo ordine di ripiegamento il Gen. Von Obstfelder non risponde... È chiaro che il comando tedesco mira a protrarre la resistenza della Torino per completare il ripiegamento dei suoi reparti.

Da questo momento la Torino perde il collegamento con il proprio C. d'A. anche perché l'unica radio in grado di collegarsi con esso era stata distrutta dal Ten. Bômm, capo nucleo collegamento. Tale atto produrrà gravi ripercussioni sullo svolgimento delle successive operazioni. Alle ore 1,00 del 20, d'accordo con il gruppo Panzer, maggiore Hoffman, la Torino assume il gravoso compito di retroguardia di tutta la colonna. Viene subito disposta la riduzione del numero degli automezzi per dare maggiore autonomia a quelli che rimangono. In colonna, nel massimo ordine, i reparti si muovono. I reggimenti con le loro bandiere, con accanto i carabinieri. Sembra una normale esercitazione...

Già nella ritirata napoleonica le truppe italiane furono le sole Che riportarono le loro insegne in patria. Il Generale Lulli nel 1848, ancora con il cuore fremente per quei ricordi, consegnava, con nobile lettera, quelle insegne a Carlo Alberto. Ma questa volta verranno distrutte col fuoco... Sulla piana di Popowka giungono reparti della 298a tedesca, della Pasubio, della Ravenna e della Celere e servizi di C. d'A. Numerosi gli sbandati. File interminabili di automezzi e di carriaggi. L'81° fanteria, al comando del Col. Santini, giunge contemporaneamente a numerosi soldati di altri reparti. Il primo contatto è agghiacciante. Su una piana sterminata, interrotta da qualche piccola collina, i reparti sostano. Si deve proseguire a sud-est. Un colonnello d'artiglieria, quasi maestoso, in quadrato, dà l'ordine di rendere inservibili i 149/40 di cui l'esercito italiano disponeva solo due gruppi: uno in Russia e l'altro in Africa.

La sua voce trema, i suoi ordini sono precisi. Poi improvvisamente, sbucati dal nulla, carri armati russi T 34 attaccano. Contemporaneamente, piovono colpi di artiglieria e di mortai da 120. Sorpresa, seguita dalla ferma decisione di reagire come si può. Il comandante della 66a sezione con il Capo di S.M., maggiore Turrini, si porta verso l'inizio della colonna, superando difficoltà di ogni genere. Qualcuno si disorienta, piovono colpi di mortaio e granate... Si muore dappertutto. Viva l'Italia!!! si sente gridare. Un brigadiere agita una bandiera tricolore, grida, incita e anche lui muore. È un momento paradossale. Tutti sono decisi a combattere ed a proseguire, ma gli ordini non arrivano. Il generale non si trova perché è con la retroguardia. Finalmente l'incontro, un abbraccio, una lacrima e quindi ordini precisi e di nuovo si passa. La batteria del 52° artiglieria era comandata dal capitano Giorgio Bacchelli, fratello del famoso scrittore.

A Popowka è solo, spara sul nemico; un colonnello gli chiede: «Bacchelli? Siete quello de Il mulino del Po?» «No - risponde - Sono quello del mulo del Don!». Per mancanza di carburante non aveva più alcun trattore... Alzo zero, ordina Bacchelli. Già scorge le facce dei desantij (truppe d'assalto sovietiche) che tra le filacce di nebbia scompaiono sfracellate dalle sue granate. Spara fino all'ultimo pezzo che ricarica e spara. Nel guardare la colonna che sfila, si piega. La sua fronte si è spaccata. Poi da Popowka verso Posnjakow. Tutti gli ufficiali del comando si prodigano, con la pistola in pugno, a superare ogni ostacolo.

Alle ore 7 del 21, violento scontro a Posnjakow per superare uno sbarramento. Carri armati fanno carosello intorno alla colonna, ma vengono tenuti a debita distanza dal gruppo controcarro germanico e dai pezzi anticarro della divisione. Alla balza di Ssmirnowsky nuovo e violento scontro durato un'ora e mezza. Mentre si combatte alla testa, la coda della colonna è nuovamente assalita da fanteria e carri russi. Finalmente alle ore 20 si giunge ad Arbusow. Ma la strada verso sud-ovest è sbarrata. Miriadi di traccianti, come gran festa, coprono il cielo facendo sentire più vicina la presenza di Dio. Si fa il censimento delle artiglierie: solo 3 pezzi da 75/27. Tutto il resto è rimasto sulla strada...

AD ARBUSOW «LA VALLE DELLA MORTE».

Il vero calvario della Torino è iniziato bruscamente col trasferimento da Popowka ad Arbusow, durante il quale anche le sezioni 66a e 56a dei carabinieri devono impegnarsi a fondo, e assai duramente per contenere il nemico, sempre più imbaldanzito e dilagante. L'aspro combattimento di retroguardia, sostenuto da reparti scelti della divisione, si svolge sulle alture della riva sinistra del Tichaja ed impone ai difensori gravissime perdite ma consente al grosso della colonna di sfilare protetto. La disparità delle forze è spaventosa, schiacciante. I carabinieri sono fermamente decisi ad affrontare qualsiasi pericolo, ed accettare in silenzio qualunque sacrificio, con imperturbato e disciplinato fervore. Cadono cosi, nel vortice della battaglia e della tormenta i più puri e silenziosi eroi del dovere e anche molti di quelli che sopravvivono all'offesa delle armi nemiche sono ben presto ghermiti dalla stretta graduale, ma inesorabile, dell'assideramento e della fame. Il gelido candore d'una sterminata coltre di neve ricopre rapidamente numero imprecisabile di corpi umani abbattuti, di carogne di quadrupedi, di armi e di materiali d'ogni genere, sommergendo e cancellando ogni traccia di guerra, di movimento, di vita...

Intanto, alla sera dello stesso giorno 21 dicembre, la colonna principale - anch'essa ormai decimata e stremata - di quella che già fu l'invitta Divisione Torino riesce a trascinarsi fino alla conca di Arbusow, «la valle della morte». Quivi già stazionavano alcuni elementi germanici dello stesso XXIX Corpo d'Armata i quali, sebbene in perfette condizioni di efficienza - perché regolarmente vettovagliati con rancio caldo avevano avuto il compito, assai meno gravoso, di aprire la marcia alla colonna. Mentre sopraggiungono gli ultimi superstiti delle durissime azioni ritardatrici affidate al fior fiore della Torino, la posizione viene ad un tratto investita dal nemico e serrata, in breve evolvere di tempo, in una micidiale morsa di ferro e di fuoco. A far fronte alla tremenda minaccia essenzialmente devono provvedere, ancora una volta, i nostri combattenti, i quali, benché già spossati dalle vicende della giornata affamati e ormai sprovvisti di munizioni, ritrovano ancora la forza di resistere agli attacchi, ora più vigorosi e soverchianti, dei russi che sembrano proprio decisi a fare di quella sciagurata conca la tomba di quanti osino continuare ad opporsi ai travolgenti sviluppi della loro marcia inesorabile.

Per due intere giornate la colonna rimane assediata nella conca di Arbusow, subendo sempre più dappresso l'attacco di agguerrite unità nemiche, le quali, senza posa, tentano d'annientarla. Fin dal mattino del 22 dicembre, la situazione si fa tanto insostenibile che il comando della Torino, d'intesa col comando tedesco, decide di tentare un ultimo disperato sforzo per allargare il cerchio, cosi da ridare un po' di respiro alla difesa. Dovrebbe essere un contrattacco generale delle truppe italo-germaniche, irradiantesi nelle varie direzioni più redditizie, dal centro, dove saranno riunite per l'accompagnamento dell'azione, le armi pesanti ancora utilizzabili (cannoni, mortai e mitragliatrici).

Per questa prova suprema, i superstiti della Torino vengono suddivisi in piccoli gruppi al comando dei pochi ufficiali, sottufficiali e graduati più validi, cosi da poter tentare l'estremo assalto in diverse direzioni convergendo, subito dopo, verso quella dove si fosse, verificato un principio di cedimento avversario, onde sfruttarlo senza perdere tempo. Ma i reparti germanici sembrano tutt'altro che disposti ad impegnarsi a fondo, ed è tale lo sfinimento di quasi tutti gli italiani e la disparità delle forze che il tentativo appare agli stessi suoi organizzatori e comandanti, ineluttabilmente condannato all'insuccesso. Arbusow è una località situata al centro di alture che erano dominate dai russi. Questa località, verrà indicata come «Alcazar degli italiani» per i loro atti di eroismo.

domenica 20 dicembre 2020

Andare...

Cos'è il "mal di Russia"? Nostalgia, uno stato dell'anima prima ancora che mentale, il respiro che manca all'improvviso e quella struggente malinconia che ti coglie...

Libri: "MEDAGLIE ORIGINALI"

In questo libro ogni medaglia è fotografata a colori al dritto ed al rovescio e numerosi ingrandimenti permettono al collezionista di distinguere la medaglia “originale” da un “riconio o imitazione”. Per ogni medaglia vengono specificati il peso, il diametro, l’autore del conio e la ditta produttrice. Viene proposta inoltre una descrizione sintetica di quanto raffigurato nella medaglia: sul dritto viene rappresentato uno o più elementi significativi degli Alpini e della città ospitante e sul rovescio il logo dell’ANA, lo stemma della città e la data dell’evento. E’ inoltre specificato il metallo impiegato per il conio. Per quanto possibile sono state catalogate anche le medaglie argentate o in argento degli anni Venti; dal 1983 (Adunata di Udine) fino all’Adunata Nazionale di Milano 2019 sono state catalogate le medaglie in argento numerate. Sono state pubblicate anche le foto relative alle medaglie degli anniversari del Corpo degli Alpini e dell’Associazione Nazionale Alpini.

Il testo è acquistabile al seguente link https://www.editorialedelfino.it/medaglie-originali-delle-adunate-nazionali-degli-alpini.html.

La Campagna di Russia, parte 3

La terza parte del documentario trasmesso su Rai Tre per la serie "La storia siamo noi" dedicato alla Campagna di Russia.

sabato 19 dicembre 2020

Relazione del Tenente Boldoni, parte 1

Relazione sui Carabinieri della Divisione Torino del Generale Attilio Boldoni nel 1942 Sottotenente Comandante della 66a Sezione Carabinieri sul fronte russo, prima parte.

Quarant'anni fa iniziava, dal "placido" e ghiacciato Don, il calvario di una delle più prestigiose unità dell'esercito italiano: la divisione di fanteria A.T. Torino. Prestigiosa per la preparazione tecnica dei suoi reparti, a disposizione per l'addestramento della Scuola Centrale di fanteria, per il brillante comportamento in Jugoslavia e nel primo inverno in terra di Russia. Formata da personale sceltissimo, ebbe comandanti di prima grandezza come il: Colonnello Enrico Di Gennaro, comandante dell'82° fanteria, caduto ad Arbusow; Colonnello Ulisse Rosati, comandante del 52° artiglieria, caduto ad Arbusow; Maggiore Umberto Turrini, Capo di S.M., sarà poi comandante generale della Guardia di Finanza; Generale di Divisione Roberto Lerici, comandante della stessa divisione, valoroso ed umano come nessuno, fu sempre vicino ai suoi soldati nella buona e cattiva sorte.

Ed ai loro ordini: ufficiali, sottufficiali e soldati espertissimi delle armi che, da anni, manovravano con indiscussa perizia. I russi conobbero il loro valore, la loro tenacia e le loro capacità militari e non disdegnarono di riconoscere di avere di fronte una grande unità pienamente efficiente. Essi tentarono con ogni mezzo, dall'inizio dell'offensiva, di sbarrare la strada a reggimenti che, pur avendo ricevuto, nell'ottobre-novembre 1942, nuove notevoli aliquote dall'Italia, talvolta prive di un sufficiente grado di addestramento, immesse in una fase operativa critica e soprattutto non temprate ai rigori del freddo, brillarono invece per capacità manovriera e per attaccamento alle bandiere.

In questo clima da poema epico, si innestarono anche le vicende dei reparti dei carabinieri che divisero le sorti della gloriosa divisione alla quale legarono anch'essi, ed in modo rilevante, le gesta stupefacendo chi li vide operare. Avemmo l'onore e la ventura di vivere quei giorni e conserviamo davanti agli occhi il perfetto ricordo dei fatti ed avvenimenti. Oggi - a distanza di 40 anni - li rievochiamo in rapida sintesi, affinché nel ricordo di una pagina di guerra si possa onorare con orgoglio i nostri carabinieri i quali, lontani migliaia di chilometri dalla patria, compirono sino all'ultimo il loro dovere. Altre armi ed altri corpi ebbero, nei loro magnifici reparti, poeti e scrittori. La Divisione Torino non ebbe questa fortuna. Se li aveva caddero nella mischia. La bibliografia è modesta: i pochi resoconti sono scarni di particolari e rinunciano ad esaltare anche i dati del suo martirio.

Dei suoi 11.OOO uomini, 900 circa ritornarono e tutti feriti, malati o congelati. Caddero: - 2 dei 3 comandanti di reggimento, tutti i comandanti di battaglione o di gruppo, - 2 ufficiali medici superstiti su 60 partiti dal Don; - solo 3 0 4 comandanti di compagnia superstiti; - 7 ufficiali del comando su 40 si salvarono. Gravissime le perdite delle due sezioni carabinieri, la 56a e la 66a motorizzate, mobilitate dalla legione di Livorno. Pochissimi i superstiti tutti feriti, congelati o malati.

Ad uno ad uno, sfilano, nel ricordo di chi vive, i loro visi espressivi, le loro giovanili sembianze; nei giorni tristi, nei giorni di tempesta risuona la loro spigliata favella toscana con discorsi scherzosi... Non dimentichiamoli perché se arrendersi e sperare nella salvezza era possibile e facile, essi scelsero la via più difficile combattere e camminare, non mangiare e morire, pur bramando di rivedere il paese natio, la madre, la sposa, un figlio o un amico. Nel desiderio di ricordarli sono stilate queste pagine e se esse potranno, talvolta, contrastare con tutto ciò che è ufficiale, è perché provengono dalla testimonianza diretta della perenne visione dell'episodio eroico, dalla percezione della tragedia, nel silenzio profondo e allucinante delle pianure ghiacciate e dello squassare delle katiusce infuocanti.

LA MARCIA VERSO ARBUSOW. I COMBATTIMENTI DI ROTTURA.

La divisione di fanteria A.T. Torino disponeva di: 1 comando carabinieri, retto da un capitano ed elementi addetti per il suo funzionamento; 2 sezioni motorizzate: la 56a retta da un subalterno e con forza di 8 sottufficiali e 57 militari di truppa; la 66a retta da un subalterno e con forza di 7 sottufficiali e 60 militari di truppa, entrambe dotate di autovetture, motocicli Benelli 250 e Spa 38; 1 nucleo postale per le scorte e i controlli; 3 nuclei reggimentali (l sottufficiale più 4 carabinieri la cui forza era tratta da quella delle sezioni). In Russia, analoga linea ordinativa, con qualche variante, dovuta ai vari tipi di G.U. era rispettata anche presso le altre divisioni.

In totale operarono 45 sezioni e 1 battaglione, il XXVI, che venne impegnato tra il 26-12-1942 e il 17-1-1943 nella zona di Belowodsk e nel ripiegamento su Gomel. Compiti: quelli previsti dalla normativa dell'epoca. Da rilevare che, nel settore della Torino, l'Arma godeva di alto prestigio ed il personale era molto stimato dalle popolazioni con le quali aveva instaurato amichevoli rapporti. Mai e sino all'ultimo giorno di campagna si verificò il benché minimo incidente. Basti pensare che al momento del ripiegamento vennero liberati 50 prigionieri che erano dislocati presso i nostri comandi per lavori di poco conto; ebbene, essi non si diressero verso le linee dei loro commilitoni ma, la quasi totalità, prese la via dell'occidente.

Già all'inizio della campagna e durante il duro inverno 1941-1942, i carabinieri di qualsiasi grado furono all'altezza dei loro compiti dividendo la sorte dei reparti con i quali operavano. Alla vigilia degli avvenimenti che verranno ricordati, la dislocazione delle due sezioni della Torino era: la 56a sezione con il comando logistico a Radtschenskoje; la 66a sezione con il comando tattico a Makaroff sede del comando della divisione e con essa il comando carabinieri. Ai primi di novembre 1942 il comando della divisione ordina l'istituzione di 6 stazioni, composte da un sottufficiale e due carabinieri per concorrere al controllo della vastissima zona. A Medowa inoltre viene istituito un nucleo carabinieri per il campo prigionieri. A metà dicembre i servizi di vigilanza vengono intensificati e dal 18 diverranno continui, sotto un'intensa nevicata.

La temperatura comincia a raggiungere livelli proibitivi: meno di 20, meno di 30. Verso il settore della Torino, da alcuni giorni ripiegano reparti della 298a Divisione germanica, della Pasubio, della Celere e della Ravenna. Per tale motivo, l'unica strada possibile per il ripiegamento Makaroff-Nikajlow non permette il passaggio di altri reparti. Risulta paurosamente intasata. Situazione alle ore 0 del 19 dicembre 1942. La Divisione Torino compatta tiene la linea del Don. Settore di destra: 82° reggimento fanteria (meno il III battaglione); settore di sinistra 81° reggimento (più il III/82°). La divisione è rinforzata da reparti di mortai e dalla 52a controcarro e 171a compagnia mitraglieri. Artiglieria: 52° reggimento artiglieria con 3 gruppi da 100/17 e 2 da 75/27; 1 gruppo da 105/28: 1 gruppo da 149/40; 9° gruppo artiglieria d'armata.

Campi di prigionia e fosse comuni, parte 5

Grazie al permesso ottenuto dai vertici di U.N.I.R.R. Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia, di cui faccio orgogliosamente parte, pubblico la quinta parte di questo interessantissimo documento relativo ai "campi di prigionia e fosse comuni dello CSIR e dell'ARMIR": la scheda dei campi di Akbulak, Aleksin e Asbest.











Un salto nel mio passato

Un salto nel mio passato... ho ritrovato oggi casualmente questa breve lettera di Peppino Prisco che mi fu indirizzata in risposta ad una mia nel lontano 1997. Avevo 28 anni allora e gli scrissi che avrei voluto, con il suo aiuto, cercare di fare qualche cosa per ricordare tutti i caduti in Russia. Purtroppo non ci siamo mai incontrati di persona...

venerdì 18 dicembre 2020

La Campagna di Russia, parte 2

La seconda parte del documentario trasmesso su Rai Tre per la serie "La storia siamo noi" dedicato alla Campagna di Russia.