domenica 29 agosto 2021

Rapporto sui prigionieri, parte 2

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

I CADUTI ED I DISPERSI.

La tabella della pagina precedente è intitolata "Caduti e Dispersi", ma occorre dare un significato più preciso alle cifre cui è stata attribuita tale intestazione: è necessario analizzarne le possibili componenti. A grandi linee, la sorte di chi non ha fatto ritorno nel 1943, può essere attribuita ai seguenti tre gruppi di cause: a) - Caduti in combattimento nella fase di rottura del fronte o in seguito, nella ritirata; b) - Morti nella ritirata per il logoramento fisico dovuto alla fatica, al freddo, alla mancanza di riposo notturno, ad alimentazione insufficiente. Morti per ferite non potute Curare. Morti per crollo psicologico; c) - Catturati dal nemico.

a) - Caduti in combattimento.

La relazione ufficiale dello Stato Maggiore indica come prima causa dell'elevato numero di perdite "... la resistenza sul posto che impose il sacrificio totale di capisaldi, di reparti, di intere Unità...". Questa considerazione può valere, semmai, solo per alcune Divisioni come la "Cosseria", la "Ravenna", la "Celere" e la "Julia", perché le altre non furono investite dall'offensiva russa, al massimo subirono azioni di alleggerimento e lasciarono il fronte pressoché a ranghi completi. Non si hanno dati certi sui Caduti in combattimento nella fase di resistenza della "Cosseria", della "Ravenna" e della "Celere". Per la "Julia". che tra il 17 dicembre 1942 ed il 17 gennaio 1943, sostenne asprissimi combattimenti per contenere la continua pressione dei russi, tanto da meritare la citazione sul bollettino di guerra tedesco, si hanno dati sicuri. Ebbe circa 500 Caduti, un centinaio di Dispersi e più di mille feriti. Anche ammettendo la diversa virulenza dell'offensiva russa contro le prime tre Divisioni, si deve convenire che le loro perdite per la breve resistenza in posto (circa 4 giorni) non devono esser state molto superiori a quelle subite dalla "Julia" durante un intero mese. Si deve concludere, dunque, che i combattimenti per arginare la rottura del fronte non furono la causa principale del grande numero di perdite.

I Caduti nei combattimenti che si sono svolti nel corso della ritirata sono, di sicuro, di gran lunga superiori a quelli di cui si è detto, ma anche in tal caso, vi sono differenze notevoli da reparto a reparto. L'entità dei Caduti nei reiterati scontri affrontati aprirsi la via della ritirata, a prescindere dal numero e dalla potenzialità del nemico che si può considerare identica per tutte le colonne, è dipesa da vari fattori:
- se la ritirata sia iniziata in buon ordine, cioè se si è trattato di sganciamento dal nemico o invece, di Unità la quale investita dall'offensiva ha dovuto abbandonare il fronte a ranghi ridotti, priva di molti ufficiali, per forza di cose disorganizzata e moralmente scossa.
- se l'Unità, aveva la disponibilità di carburante o di salmerie e, di conseguenza, poteva o meno portarsi al seguito artiglieria, munizioni e viveri.
- secondo la lunghezza del percorso che l'Unità ha dovuto coprire, prima di potersi ritenere in salvo.
- se la ritirata è stata fatta in compagnia di reparti tedeschi ancora efficienti e muniti di pezzi anticarro.
- in relazione all'energia ed intraprendenza dei comandanti ed alla loro presenza o meno alla guida dei reparti.

In definitiva, se l'Unità piccola o grande che fosse, aveva non solo la volontà, ma soprattutto la possibilità di combattere. La Divisione "Tridentina" lasciò la riva del Don in perfetto ordine e con le sue artiglierie someggiate fece la ritirata accompagnata dai resti del 29° Corpo Corazzato tedesco e, malgrado le durissime battaglie, poté conservare molti giorni la sua aggressività, ma questo le costò perdite enormi.

Anche le Divisioni "Torino", "Pasubio" e "Sforzesca" lasciarono la linea pressoché intatte, ma dopo qualche giorno furono costrette ad abbandonare le artiglierie e gli automezzi per mancanza di carburante. D'altra parte, anche i pochi automezzi che ancora camminavano furono il primo bersaglio dei carri e dell'artiglieria dei sovietici. Anche le armi di accompagnamento si rivelarono presto inutilizzabili: mortai e mitragliatrici divorano munizioni e dopo uno o due combattimenti queste si esauriscono se non vengono rinnovate, ma ogni rifornimento dai magazzini e dai depositi delle retrovie era cessato o sconvolto. La ritirata di queste Divisioni, pertanto, si era trasformata in colonne di soldati con le sole armi individuali che ben presto divennero inutili una volta esaurite le poche scorte delle giberne. La loro combattività era ridotta a zero, esse si trovarono completamente impotenti di fronte all'aggressione dei mezzi corazzati e delle fanterie russe che, giorno dopo giorno, tagliavano loro la strada.

Non è il caso di recriminare se, in queste condizioni, molti soldati, pur di sopravvivere, alzarono le mani e se i comandanti, considerando inutile il sacrificio dei loro uomini non si opposero alla resa. Naturalmente vi furono fulgidi esempi di eroismo e comportamenti di estremo coraggio sia individuali che di reparto, ma la sproporzione di forze tra noi ed i russi era enorme, la loro padronanza del terreno totale, la loro iniziativa continua, martellante. Cadere prigionieri non fu una scelta.

Sorte pressoché identica subì la "Cuneense" che, staccatasi dalla linea senza aver subito alcuna perdita, si trovò subito in grave crisi di trasporti perché la maggior parte delle sue salmerie era stata acquartierata nelle lontane retrovie. Dopo i primi due combattimenti, la sua potenzialità di offesa divenne nulla. Per quanto riguarda le Divisioni "Cosseria" e "Ravenna", esse ebbero effettivamente la maggior parte delle perdite durante la lunga fase di logoramento e di preparazione dell'offensiva russa. Ma la "Cosseria" - che in questa fase ebbe la perdita di 2.400 uomini - non ne ebbe poi praticamente nessun altra nella brevissima ritirata che la portò, in un paio di giorni, a ripararsi dietro il Corpo d'Armata Alpino.

Si devono considerare caduti in combattimento, anche se l'accezione combattimento è impropria, i soldati praticamente inermi, delle colonne in ritirata che venivano falciati dai cannoni e dalle mitragliatrici dei carri russi; i feriti a bordo delle slitte che venivano travolte e schiacciate quando i carri armati percorrevano le piste intasate, scompigliandole, rovesciando automezzi e carriaggi; i soldati che furono uccisi dai partigiani mentre dormivano nelle isbe; quelli che perirono nel rogo di qualche capannone stipato all'inverosimile; quelli spezzonati e mitragliati dagli aerei. Il Ministero della Difesa - Albo d'Oro ha la documentazione, rilasciata da testimoni oculari, della morte in combattimento nel periodo considerato (11 dicembre 1942 - 30 aprile 1943) di 3.865 uomini. E' l'unico dato certo disponibile, ma è evidente che la cifra è ben lontana dai 25 mila che risultano oggi dal bilancio delle perdite.

b) - Caduti per crollo fisico.

Il freddo, l'equipaggiamento inadatto, la fame, la spossatezza sono stati la causa di molte morti durante la ritirata. Sono fattori che hanno avuto peso, ma decisamente molto minore di quello che di solito viene loro attribuito da commentatori interessati o poco informati. Vediamo il freddo. Nel primo inverno (1941-42) lo CSIR era equipaggiato peggio di come lo fossero i soldati dell'ARMlR. Quell'inverno russo fu eccezionalmente rigido, tanto vero che i tedeschi istituirono una speciale medaglia per i combattenti del fronte di quel periodo (medaglia della quale poterono fregiarsi anche i soldati dello CSIR). Ebbene il nostro Corpo di Spedizione (62 mila uomini) ebbe in quell'inverno 3.400 congelati, dei quali solo 1.400 rimpatriati. Da tener conto che nessuna delle sue Divisioni erano a reclutamento alpino.

All'inizio del secondo inverno (ottobre 1942), l'equipaggiamento invernale non era ancora stato distribuito alla truppa ed a dicembre molti reparti ne erano ancora privi però a questa imperdonabile disorganizzazione della nostra Intendenza, i soldati avevano fatto fronte con eccellenti indumenti di lana casalinghi, mandati dalle famiglie nei pacchi. La carenza più importante era data dalle calzature, assolutamente inadatte alla neve ed al clima russo; dunque molti congelamenti ai piedi, ma in definitiva non generalizzati se circa 130 mila uomini hanno potuto percorrere centinaia di chilometri di ritirata ed uscire dall'accerchiamento.

In quanto ai cedimenti per fatica, si tenga presente che quegli stessi uomini, l'estate precedente - certo in condizioni fisiche, psicologiche e climatiche ben differenti - hanno percorso distanze tre o quattro volte superiori a quelle della ritirata. Per affaticamento soccombevano specialmente i soldati e gli ufficiali non preparati agli sforzi e non allenati alle temperature polari. Chi era stato rintanato e seduto al caldo nei comandi delle retrovie. nelle furerie, nei centralini, nei magazzini. negli ospedali oppure gli autisti, che non avevano mai fatto un passo a piedi, non furono certo in grado di marciare decine di ore al giorno nella neve e tormenta. Ma questa gente costituiva una esigua minoranza.

Ci sono stati anche cedimenti morali, psicologici: suicidi, forme di pazzia, di alienazione, abbandoni, non giustificati da crollo fisico, ma da disperazione. Tali episodi hanno colpito emotivamente chi ne fu testimone e riferendone ha ampliato la portata. La fame e la sete sono le più remote tra le cause che aver fatto morire i nostri soldati nella ritirata. Per convincersi di quale resistenza abbia l'organismo umano alla mancanza di alimentazione, si vedano più avanti i capitoli riguardanti la prigionia.

c) - Catturati dal nemico.

Con poche eccezioni (Divisione "Tridentina", aliquote della Divisione "Celere" e Divisione "Sforzesca") quasi tutti i reparti, dopo tre o quattro giorni di ritirata, si sono trovati nella condizione, a causa della perdita delle artiglierie ed alla mancanza di munizionamento delle altre armi, di affrontare i russi a mani nude. Non vi è combattimento se uno dei contendenti è disarmato. In molti casi i Comandanti - sia delle grandi che delle piccole Unità - non hanno saputo o potuto tenere in mano i propri reparti che rapidamente si sono sbandati, smembrati, mescolati con altri in una massa amorfa, priva di qualsiasi combattività.

Pertanto i russi ebbero buon gioco contro un nemico inerme, spesso abbandonato a se stesso, avvilito e sfiduciato. I loro mobilissimi reparti non trovarono difficoltà a sbocconcellare le colonne in ritirata; aggirandole, isolandole ed a catturarne tutti i componenti. Nella valutazione degli ufficiali ed a maggior ragione dei militari isolati e sbandati, la resa era la soluzione che avrebbe salvato migliaia di vite. Valutazione che, purtroppo, si rivelò del tutto sbagliata.

Quanto si è detto non permette certo, di quantificare le componenti della voce: "Caduti e Dispersi". Sono solo considerazioni che possono, tutt'al più, suggerire delle proporzioni. Si ha però la disponibilità di una ricerca, suffragata da documentazione nominativa, che conferma come il numero dei catturati sia stato superiore a quello dei morti in combattimento o per cedimento durante la ritirala. La ricerca è stata effettuata per tutti gli ufficiali che non risultavano tornati in Italia alla fine del marzo 1943. I risultati sono evidenziati nella tabella della pagina seguente. Dalla medesima si può rilevare, innanzitutto, che gli ufficiali assenti erano 3.541 ossia molti di più dei 3.010 comunicati dall'Ufficio Storico nel 1946. Erano così ripartiti: 541 - 15% morti nella ritirata; 1.193 - 34% catturati e morti in prigionia; 681 - 19% catturati e rimpatriati; 1.126 - 32% non si conosce la sorte (morti nella ritirata o in prigionia).

E' evidente che la percentuale dei morti nel corso della ritirata riguarda solo quelli accertati ed è di gran lunga inferiore alla realtà, però altrettanto si può dire per i morti in prigionia. I dati riguardano solo gli ufficiali, cioè, un aliquota ben modesta di soggetti, ma completa ed omogenea e non ci sono elementi per escludere che le stesse proporzioni valgano anche per la massa dei soldati.

martedì 24 agosto 2021

La Domenica del Corriere del 1963

La ritirata di Russia sulla Domenica del Corriere del febbraio 1963; un'altra testimonianza della storia dei nostri soldati durante la Seconda guerra mondiale che si aggiunge alle altre che ormai da anni raccolgo in ricordo di tutti quei ragazzi.





Alim Morovoz

Apprendo con dispiacere in questo momento dai nostri amici in Russia che proprio oggi è mancato il Professor Alim Morovoz; per chi non lo conoscesse era, fra le altre cose, il curatore del museo di Rossosch situato sotto l'asilo voluto e costruito dagli Alpini.

lunedì 23 agosto 2021

Il viaggio del 2011, Novo Dimitrowka

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... Novo Dimitrowka.



Il processo D'Onofrio, parte 15

Il processo D'Onofrio, quindicesima parte. Premetto un aspetto molto importante che ha sempre contraddistinto questa pagina: a volte si toccano argomenti scottanti ed ancora oggi delicati; quello che qui tratterò è forse uno dei più significativi da questo punto di vista. Ma detto questo sottolineo che quanto andrò a riportare NON ha alcun fine politico o di parte, ma esclusivamente storico. Sono fatti relativi alla Campagna di Russia ed alle sue conseguenze e come tali vengono riportati. Qualsiasi commento inopportuno da una parte e dall'altra verrà immediatamente cancellato. Chiedo a chi segue la pagina di esporre la propria idea con educazione e rispetto verso chi magari espone pensieri opposti: la storia e non solo la storia ha già condannato chi mandò quei sfortunati ragazzi in Russia e chi contribuì a tenerli più del dovuto.

LA VENTISEIESIMA UDIENZA.

14 luglio 1949. - L'avv. Giuseppe Sotgiu, il secondo patrono di Parte Civile, si è accinto al compito di difendere gli interessi del sen. D'Onofrio aprendo, sul tavolo, una grossa valigia di cuoio, piena zeppa di libri, opuscoli e fascicoli dai quali poi, nel corso del suo discorso, ha tratto citazioni, ricordi storici, esemplificazioni, tutto a suffragio della tesi che si era proposto di svolgere.

Avv. Sotgiu: 'Sarei tentato, signor Presidente, signori del Tribunale (e certo voi me ne sareste grati), di condensare la causa in una rapida sintesi, deflazionandola di tutti gli aspetti ed elementi che non siano essenziali. Potrei dire che il libello del quale gli imputati devono rispondere è indubbiamente diffamatorio. Perché nessuno più di voi (dice puntando il dito contro il banco dove siedono i reduci imputati) sa che quello che avete scritto contro Edoardo D'Onofrio, non risponde a verità ed è il frutto della deformazione di episodi, della esasperazione voluta di piccoli fatti.

Io potrei far mio il pensiero del P. M. per cui anche l'esasperazione di un fatto vero costituisce diffamazione.

Io vi potrei dire: la vostra prova è miseramente fallita perché se anche 80 mila italiani fossero morti in prigionia cosa c'entra D'Onofrio? D'Onofrio è stato in due soli campi di concentramento, e soltanto per una quindicina di giorni, ed ha parlato a poche centinaia di prigionieri. Né alcuna responsabilità può attribuirsi a D'Onofrio se in Russia vi sono ancora dei prigionieri italiani perché egli ha fatto ritorno in Patria fino dall'agosto del 1944. Questo io potrei dire in una rapida sintesi. Ma il campo della causa è diventato ben più vasto, e non per colpa nostra'.

Per l'avv. Sotgiu ormai la causa ha assunto un aspetto essenzialmente politico.

Avv. Sotgiu: 'Tutto un periodo della storia del nostro Paese è stato messo in discussione. A voi, signori del Tribunale, dimostrare che la causa non è che un problema giudiziario'.

Del resto, secondo la tesi dell'oratore, questa causa non si doveva fare affatto. Non si doveva fare perché non fossero additate al popolo italiano le responsabilità e la inettitudine di una classe dirigente e di una casta militare, ma per non farla e per giovare realmente alla causa di quei prigionieri, che devono ancora essere giudicati in terra straniera, non bisognava diffamare. In queste parole è contenuta una chiara minaccia in favore di D'Onofrio da parte del governo sovietico contro i prigionieri italiani ancora nelle sue mani. L'avv. Sotgiu invia poi un saluto a tutti ì soldati caduti sui campi di battaglia, saluto che 'soltanto noi possiamo mandare' perché 'noi lottiamo per un mondo senza guerre'.

Si sente nell’aula il battito d’ali... del 'piccione' del fronte della pace. E una esaltazione ha fatto della figura del sen. D'Onofrio la cui azione fu sempre improntata 'ad italianità e a nazionalismo' e del quale ha detto che per aver sofferto in carcere e fuori 'non può avere l'abito mentale dell’aguzzino'. Nel suo lungo sproloquio l'avv. Sotgiu ha creduto bene di non dire che la querela fu presentata dal sen. D'Onofrio nei giorni in cui questi credeva di avere, il 18 aprile 19i8, 'la vittoria in pugno' in sede elettorale, politica, per poter poi celebrare tranquillamente il primo grande processo politico davanti a un addomesticato 'Tribunale del Popolo' onde eliminare degli incomodi avversari personali.

Avv. Sotgiu: 'Vergognatevi. Voi che vi siete serviti dei fratelli morti per una speculazione elettorale. Se volevate tenere alto il loro nome dovevate mantenervi al di sopra delle competizioni politiche'.

L'avvocato di Parte Civile ha poi vivamente polemizzato con il P.M. definendolo uomo di parte, accennando al fatto che un altro magistrato era stato destinato a rappresentare il P.M., ma quello aveva declinato l'incarico.

Avv. Sotgiu: 'Non ci attendevamo la faziosità del P.M. il quale ha fatto rilevare attraverso le sue parole l’origine politica assolutamente in contrasto con la serenità di un magistrato. Egli ha cercato di suffragare l’affermazione che in Russia non esiste libertà di culto, citando articoli del codice sovietico. Ma non mi sarà difficile dimostrare il contrario e lo farò proprio attraverso la parola di coloro che sono venuti qui in udienza a difendere gli imputati. E vi dirò di più: i primi ad elogiare la libertà di religione in Russia sono stati proprio due democristiani: gli on. Morelli e Cuzzaniti, i quali pubblicarono articoli su quel settimanale 'L'Alba' che, secondo il P.M., sarebbe stato chiuso alle correnti non comuniste...'.

P.M.: 'Io ho dimostrato che in Russia sono proibite le manifestazioni di culto in luogo pubblico e non nelle chiese. E poi vorrei che lei mi trovasse un articolo anticomunista scritto nel settimanale 'L’Alba'. Evidentemente fu permesso agli on. Morelli e Cuzzaniti scrivere quegli articoli soltanto perché alla fin fine facevano giuoco alla propaganda comunista!'.

Ma il dott. Manca è scattato soprattutto alle insinuazioni che intendesse fare nient’altro che della politica. Comunque la circostanza sta a dimostrare il pericolo insito in qualsiasi forma, anche minima, di collaborazione dei cattolici coi comunisti sul piano politico, culturale e sindacale, in qualsiasi stretta della loro mano... minacciosamente tesa. I figli delle tenebre sono più accorti alle volte dei figli della luce e tutto può giovare domani alla diabolica propaganda marxista tra le masse dei gonzi. Non si può servire due padroni, dice il Vangelo, e lo ripeteva il Pontefice Pio XI v. m. nella sua mirabile enciclica contro il Comunismo ateo; 'Divini Redemptoris Promissio'.

P.M.: 'Lei però deve dimostrare che io ho fatto della politica!'.

Avv. Sotgiu: 'Lo dimostrerò e anzi aggiungerò che un altro magistrato era stato designato al posto che lei occupa, e siccome era uomo di parte...'.

P.M.: 'Non permetto che si dicano di queste cose. Chiedo al Presidente che tolga la parola all’avvocato su questo punto...'.

Avv. Paone: 'Fuori di qui si vocifera che ci sia stato un magistrato che non è voluto venire a far questa causa...'.

Il Pubblico Ministero a questo punto ha fatto l'atto di abbandonare l'aula e avrebbe certamente attuato il proposito senza lo intervento del Presidente che è riuscito a ristabilire l'equilibrio dicendo che il fatto è completamente estraneo al processo. Chiuso il breve incidente l'avv. Sotgiu ha mosso serrate critiche alla tesi sostenuta dal P.M. per quanto riguarda il problema religioso in Russia, dilungandosi in una disquisizione tendente a dimostrare che in quello stato l'esercizio del culto è pienamente ammesso ed esercitato da chi lo voglia. Dunque ha ragione o ha torto Don Franzoni quando viene a dire che nei campi di concentramento non era autorizzato il culto esterno e che non si poteva celebrare la messa?

Avv. Sotgiu: 'Qualunque sarà la soluzione che voi, giudici, darete al problema generale, giuridico e politico, voi non potrete dire che nei campi l'esercizio del culto non era permesso dalle autorità russe, anche se c'è stato qualche sacerdote che ha scritto o è venuto a dirci, in udienza, il contrario. Sacerdoti, i quali sono uomini che sotto il crocefisso portano una 'mentalità intossicata di odio'; che sono già propagandisti della 'crociata anticomunista'.

Quanto all'onore militare, l'oratore non può assolutamente pensare che il Tribunale seguirà nella sentenza la tesi secondo cui bisogna fare una distinzione fra i doveri derivanti dalla situazione esistente prima del 25 aprile 1943 e quelli che derivarono dall’abbattimento del regime fascista e dal successivo rovesciamento del fronte. Se ciò fosse, la stessa storia d'Italia ne risulterebbe scardinata perché l'antifascismo non ha aspettato il 25 luglio ma lo ha imposto, lo ha creato, così come non ha aspettato l'8 settembre per rivendicare il diritto del popolo a distruggere una alleanza che riteneva illegittima perché non aveva voluto. Ma l'argomento evidentemente non calza affatto. Nessuno discute sulla liceità in ogni tempo della lotta antifascista in patria o all'estero. Ma nessun pretesto giustifica D'Onofrio per la sua criminale complicità coi carnefici dei soldati italiani inviati contro la loro volontà al fronte da quello che, prima dell’8 settembre 1943, era l'unico governo italiano'.

Avv. Sotgiu: 'Aver cospirato contro il fascismo non fu certo un delitto, perché più che un diritto tale lotta era un dovere di ciascun cittadino. Quando voi censurate l'opera di D'Onofrio, negate tutta l'opera dell’antifascismo e fate il processo a tutti quelli che combatterono e morirono per una giusta causa. Chi afferma il contrario è fuori della legge e fuori della Nazione, da qualunque banco parli. Perché D'Onofrio ha sporto querela? Perché ha voluto porre un freno alla campagna diffamatoria che contro di lui era stata scatenata. Non c'è episodio della vita di lui che possa dipingerlo come un antinazionale, un rinnegato, un aguzzino. La storia degli ultimi anni ci dice quale sia il contributo fornito alla causa nazionale dal comunismo, ci dice come l’educazione comunista non tenda affatto alla negazione della Patria, ma anzi ad esaltarla e a difenderla nella libertà del lavoro'.

Con ciò siamo all'inizio della quarta ora. E l'avv. Sotgiu è appena entrato nel merito della causa.

LA VENTISETTESIMA UDIENZA.

15 luglio 1949. - L’avv. Sotgiu ha voluto davvero superare i colleghi che lo avevano preceduto. Non gli sono bastate neppure due udienze per esporre la sua tesi in sostegno del querelante e perciò avrà bisogno ancora dell’udienza di lunedì. L'inizio è in piena polemica con il P. M. e si ritorna sulla questione del numero dei caduti e dei prigionieri: 'tragica contabilità', ha ammesso l'avv. Sotgiu, di cui 'si sente tutto il peso sanguinoso'. Ciò che non gli ha impedito una lunga dissertazione di carattere militare per dimostrare in sostanza che l'ARMIR era impreparato, che il nostro Stato Maggiore era assolutamente incapace, che è per lo meno ingenuo credere alle cifre rese note dalla propaganda radiofonica. Morale; non bisogna credere neppure a Togliatti quando parla alla radio. Se lo dice un difensore comunista...

Avv. Sotgiu: 'Di qui non si scappa. Voi giudici per assolvere costoro, dovete affermare che essi hanno provato quello che hanno detto. Basta dimostrare che gli imputati hanno alterato le cifre dei morti, affermato circostanze almeno inesatte, indicati motivi e cause non vere, per concludere che essi, sì, hanno diffamato D'Onofrio'.

Secondo le deduzioni che si possono fare confrontando tutte le cifre conosciute, l'oratore afferma che le uniche alle quali è possibile affidarci sono quelle fornite dal Ministro della Difesa on. Pacciardi, il quale, al Senato, ebbe ad affermare che le perdite italiane dell’ARMIR, in morti, prigionieri, feriti e invalidi ascendono complessivamente a 84 mila uomini.

Avv. Sotgiu: 'Questo significa che la cifra su cui gli attuali imputati hanno voluto speculare non è stata affatto provata, che quindi essi hanno alterato tale cifra, e che, in definitiva, non c’è più dubbio che essi hanno diffamato. Altro che assoluzione per essere stati provati i fatti attribuiti al D'Onofrio! Ma, comunque, quale sia il numero dei morti in Russia, D'Onofrio non centra'.

L'avv. Sotgiu si è poi addentrato nell’esame della polemica che a suo tempo il querelante ebbe con il 'Risorgimento Liberale'. Ed è tornato sulla frase scritta dal D'Onofrio: 'Voi siete entrati in terra di Russia come ladri e rapinatori', per sostenere che quello era soltanto un giudizio politico e non ingiuria.

Avv. Sotgiu: 'Non è vero forse che Mussolini aggredì la Russia senza alcuna ragione? Se quella frase del D'Onofrio vuol essere considerata una ingiuria, altrettanto dovremmo dire del Manzoni che chiamò 'strumenti ciechi di occhiuta rapina' i soldati austriaci. Questo perché non si venga a dire che gli imputati lanciarono le loro accuse contro il querelante per ritorsione. E in ogni caso non fu D'Onofrio il primo ad ingiuriare perché non da lui fu iniziata la polemica giornalistica, ma dagli stessi imputati'.

Mentre l'avv. Sotgiu svolgeva questa tesi un reduce dallo spazio riservato al pubblico ha gridato forte, suscitando lunghi mormoni degli altri e una sonora scampanellata del presidente. Un reduce: 'Noi siamo qui per credere a tutto quello che dice lei!'.

Ma l'invito al silenzio non ha impedito al reduce di aggiungere.

Un reduce: 'Allora anche i nostri morti in Africa, in Grecia e sugli altri fronti, anche loro furono dei predoni? Se la sentissero quelli che sono rimasti laggiù!!!...'.

Ma l'oratore ha tirato avanti senza raccogliere le interruzioni ed è passato a spiegare che cosa fossero le scuole antifasciste, quale ne fosse il programma, quali gli scopi. Egli ha detto che nessun contenuto politico e tanto meno marxista è possibile ravvisare in quei programmi e che unico scopo di quelle scuole era di restituire all’Italia prigionieri che non fossero analfabeti. Quanto al famoso giuramento che si prestava alla fine dei corsi di antifascismo l'avv. Sotgiu ha esibito una formula, trascritta sul diario del serg. magg. Pietro Brogini da Siena, che suona così: 'Io, figlio del popolo italiano, presto giuramento solenne alla mia Patria, al mio popolo, alla mia famiglia, di lottare fino all’ultimo respiro per la cacciata dei tedeschi dal sacro suolo dell’Italia; presto giuramento di essere implacabile contro tutti i traditori della Patria'.

Avv. Sotgiu: 'Quindi niente di truculento e di feroce, come qualcuno degli imputati e dei testi è venuto a dirci. Ma soltanto impegno solenne a lottare per una Patria libera'.

E per oggi il patrono di parte civile ha finito chiedendosi se dopo tutto quanto ha detto si può ancora affermare che gli imputati non abbiano falsato la verità. Allora è vero che la loro azione è stata mossa dal desiderio di far nascere un sentimento di avversione verso D'Onofrio.

Avv. Sotgiu: 'D'Onofrio non ha dimenticato, in Russia, il sentimento di italianità che lo ha sempre guidato. Forse che i regolamenti militari vietano la propaganda politica? O per caso essere militari significa dimenticare di essere un cittadino?'.

La guerra sul fronte orientale, parte 10

Senza altra finalità se non quella della condivisione storica e militare, pubblico questo decimo ed ultimo video sugli orrori della guerra in generale e sul fronte orientale in particolare.

Rapporto sui prigionieri, parte 1

Pubblico alcuni estratti del "Rapporto sui prigionieri di guerra italiani in Russia" a cura di Carlo Vicentini e Paolo Resta, fonte UNIRR, 2a edizione, anno 2005, a mio avviso la fonte più autorevole per fare chiarezza sulle perdite e sulle vicissitudini dei nostri soldati in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

LE PERDITE.

Perdere 95 mila uomini, praticamente in una sola battaglia è una cosa senza precedenti, almeno nella storia dell'Esercito italiano. Nella relazione dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore è detta "Seconda battaglia difensiva del Don", ma in effetti si tratta di due distinti periodi operativi di circa 15 giorni ciascuno.

Tra l'11 dicembre ed il 31 dicembre 1942, le Divisioni "Cosseria", "Ravenna", "Pasubio", "Celere" e "Sforzesca" perdevano circa 55 mila uomini. Tenuto conto della loro consistenza numerica totale (comprese le truppe ed i servizi di Corpo d'Armata) che si aggirava sui 130 mila uomini, si ha una percentuale di perdite del 42%. Il Corpo d'Armata Alpino, a sua volta, nella seconda metà di gennaio 1943, veniva circondato e nei combattimenti sostenuti per aprirsi la strada, perdeva circa 35 mila uomini. La sua consistenza con le tre Divisioni "Tridentina", "Julia" e "Cuneense", nonché la Divisione di Fanteria "Vicenza" (una Unità senza artiglieria, perché destinata a servizi di retrovia) era di circa 70 mila uomini, dunque ebbe una percentuale di perdite del 50%. Altri 5 mila soldati risultano persi tra le truppe alle dirette dipendenze del Comando d'Armata.

Se si fa il confronto con altre battaglie infauste, ritenute tra le più cruente, c'è da trasecolare. Nella famosa battaglia dell'Ortigara del 1916 sull'altipiano di Asiago, la 6a Armata (300.000 effettivi) ebbe 8.000 morti e dispersi, cioè meno del 3%. Se si limita l'esame ai soli ventidue Battaglioni di alpini (25.000 uomini) che furono quelli maggiormente impegnati, i Caduti e Dispersi furono il 16%. La battaglia durò 19 giorni, cioè più o meno come ciascuna delle due fasi della battaglia del Don. In Albania, nei sei mesi che vanno dal novembre 1940 all'aprile del 1941, si ebbero 18 mila Caduti e 25 mila dispersi su un totale di 270 mila uomini impiegati; dunque di nuovo il 16%.

Nella tabella in calce a questo capitolo, sono riportate le cifre delle perdite per Caduti e Dispersi, ripartite per Grandi Unità, che l'Ufficio Storico delle Stato Maggiore pubblicò nel 1946. Secondo la medesima mancavano all'appello 85 mila uomini. II conteggio fu fatto nel marzo del 1943, ancora in Russia, nelle località di raccolta degli uomini dell'ARMIR che erano riusciti a sfuggire alla morsa dei russi. Fu un calcolo per differenza, tra gli organici dei singoli reparti prima della battaglia ed il numero dei superstiti. Calcolo necessariamente approssimativo, in certi casi ben poco affidabile; oggi si sa che erano 95 mila. Tuttavia il difetto maggiore dei dati pubblicati era quello di indicare con un'unica cifra tutti gli assenti, vale a dire mescolando quelli che erano morti in combattimento, quelli che erano stati catturati, quelli morti durante il ripiegamento.

Se si pensa che ancora oggi, non è stato possibile scindere quel dato spurio, i compilatori di quel prospetto non possono essere biasimati. Che fosse impossibile separare il numero dei Caduti da quelli che risultavano semplicemente assenti, lo si può comprendere se si considera quello che successe nella ritirata. Nei primi giorni, i comandi, gli ufficiali subalterni, i furieri potevano tener nota dei morti in combattimento, effettivamente constatati ma non sapevano che fine avessero fatto quelli che mancavano all'appello, se, cioè erano caduti, se erano rimasti indietro, se si erano aggregati ad altri reparti. Dopo una battaglia o una notte passata in un grosso villaggio, insieme ad altri reparti, le Unità sovente si frantumavano: c'era sempre una squadra, un plotone, un nucleo di slitte che alla mattina non partiva insieme agli altri o che rimaneva imbottigliata nella fiumana, o che imboccava un'altra pista. I furieri, i Comandanti a loro volta cadevano o venivano catturati e quello che avevano visto o annotato si perdeva. Infine, i Reggimenti, i Battaglioni ed i Gruppi di Artiglieria avevano nelle immediate retrovie distaccamenti, magazzini, depositi di munizioni, salmerie, autoreparti: iniziata la ritirata, ogni contatto con questi nuclei separati si è interrotto e, di conseguenza, anche ogni informazione sulla loro sorte.

Il governo fascista, all'indomani del disastro, si guardò bene dal pubblicare le cifre delle perdite che rimasero ignote agli italiani fino al 1946. In seguito, le Autorità militari, cui spettava dare un nome agli assenti e, possibilmente, conoscerne la fine, erano in piena crisi. Screditate, soggette ai processi di epurazione, drasticamente ridotte e demotivate, non si occuparono della cosa ed anni dopo, quando finalmente il problema fu affrontato, si accorsero che non esisteva più alcuna documentazione. I diari storici delle Unità si erano persi nella ritirata, i depositi dei Reggimenti interessati, tutti nell'Italia settentrionale, erano stati saccheggiati dai tedeschi e documenti e fogli matricolari non si sono più trovati. I reduci che potevano dare utili testimonianze si dispersero nel caos che segui l'otto settembre.

Nei primi due decenni del dopoguerra, il governo tentò in tutti i modi di sottrarsi ad un chiarimento onesto, anche se doloroso, con le famiglie di coloro che erano dichiarati "Dispersi". Lo bloccavano la preoccupazione di non indispettire le sinistre, denunciando apertamente quanto era avvenuto in Russia ed il fatto che non disponeva di elementi certi, non aveva dati o cifre da comunicare, anche se Togliatti e compagni ne erano informati direttamente dal governo dell'URSS. Sorsero, pertanto, delle iniziative private come l'Alleanza delle Famiglie dei Dispersi in Russia e l'Unione Nazionale Reduci di Russia (UNIRR) che avviarono ricerche, raccolta di testimonianze ed un primo rudimentale censimento degli assenti. In seguito il cappellano militare don Caneva, reduce dalla prigionia e promotore del Tempio di Cargnacco, raccolse le istanze dei familiari dei dispersi, che tradusse in un repertorio di circa 70 mila nominativi. Fu uno sforzo notevolissimo anche se il risultato si rivelò pieno di errori e di omissioni, ma in quegli anni, di più non si poteva fare.

E' emblematica la scritta sulla parete della cripta di Cargnacco: «CI RESTA SOLO IL NOME» e purtroppo molti non si sapeva nemmeno quello. Bisognò attendere gli anni settanta, perché l'ufficio dell'Albo d'Oro, istituito presso il Ministero della Difesa, fosse in grado di redigere e pubblicare un elenco dei militari che non avevano fatto ritorno dal fronte russo, distinguendoli in: 1) - Caduti in combattimento; 2) - Dispersi; 3) - Deceduti in prigionia; 4) - Dispersi in prigionia, cioè quelli la cui presenza in prigionia era certa, ma la cui morte non era documentata. Dall'archivio computerizzato sono stati ricavati i tabulati esposti al pubblico nella cripta di Cargnacco.

La cifra di 85 mila comunicata dall'Ufficio Storico nel 1946, è quella che in tutti questi anni è stata presa a base degli studi, degli articoli, delle polemiche sull'argomento. Ormai è sorpassata, ma la lunga schiera di storici, di commentatori e di politici si è avvalsa di questo dato per cercare di dare una risposta all'angosciosa domanda: «Quanti Caduti?... Quanti prigionieri?...». Tulle le risposte sono state finora deludenti. Il nuovo corso dei rapporti con il governo russo ha consentito una chiarificazione, che però non crediamo possa essere quella definitiva. Nell'attesa, con i dati in nostro possesso, tenteremo di correggere per lo meno, certe diffuse convinzioni.

venerdì 20 agosto 2021

Il sergente nella neve, il film

Finalmente è ufficiale! Groenlandia Group e il regista Matteo Rovere si apprestano a girare il film "Il sergente nella neve" dedicato alla figura di Mario Rigoni Stern. Spero a breve di potervi fornire ulteriori informazioni in merito a questa pellicola che servirà a ricordare ed onorare tutti i nostri caduti in terra di Russia.

Link al film https://www.mymovies.it/film/2022/il-sergente-nella-neve/

mercoledì 18 agosto 2021

Ricompense - 8a Armata - Trasporti

Ricompense al Valor Militare attribuite per le operazioni sul Fronte Russo, a cura di Carlo Vicentini, fonte UNIRR.

MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, MAVM - Medaglia d'Argento al Valor Militare, MBVM - Medaglia di Bronzo al Valor Militare, MOVM - Medaglia d'Oro al Valor Militare, CGVM - Croce di Guerra al Valor Militare.

8a ARMATA - TRASPORTI
MAVM Tenente ROSSI Guido
MAVM Sottotenente POZZO Piero
MAVM caporal maggiore BONOLLI G.Battista, alla memoria
MAVM caporale VILLA Carlo
MAVM soldato DAO Giuseppe
MAVM soldato GIRARDI Salvatore, alla memoria
MAVM soldato MORANDO Luigi
MBVM Tenente Colonnello UBERTI Girolamo
MBVM Capitano CASTELLUCCI Mario
MBVM Tenente PALMAS Giannetto
MBVM Sottotenente BUSSOLI Ettore
MBVM Sottotenente GRENZI Massimiliano
MBVM Sottotenente MESCHINI Emanuele
MBVM Sottotenente MESCHINI Emanuele
MBVM Sottotenente ROCCHETTI Osvaldo
MBVM Sottotenente ZIMAGLIA Mario
MBVM maresciallo D'ONOFRIO Luigi
MBVM sergente maggiore SCIACCALUGA Alfredo
MBVM caporal maggiore BERGAMASCHI Luigi, alla memoria
MBVM caporal maggiore SOLLA Lodovico
MBVM caporale CANTU' Augusto
MBVM soldato GRASSI Giorgio
MBVM soldato MONTANINI Giuseppe
MBVM soldato MORONCINI Nazzareno
CGVM Tenente Colonnello UBERTI Girolamo
CGVM Maggiore ALESSANDRIA Tommaso
CGVM Capitano NERVI Nicolò
CGVM Tenente BROGLIA Oscar
CGVM Tenente DE BEI Ubaldo
CGVM Tenente MAZZUCCA Vito
CGVM Tenente ROSSI Antonio
CGVM Sottotenente BIANCHINI Filippo
CGVM Sottotenente CLERICO Giorgio
CGVM Sottotenente CORRADI Giuseppe
CGVM Sottotenente NOBILI Ambrogio
CGVM Sottotenente PITTALUGA Paolo
CGVM Sottotenente REZZADORE Remo
CGVM Sottotenente SQUARCI Carlo Alberto
CGVM Sottotenente TORNAGHI Italo
CGVM Sottotenente ZACCHEI Oliviero
CGVM sergente maggiore CHIESA Antonio
CGVM sergente maggiore CORSO Angelo
CGVM sergente AMICO Michele
CGVM sergente DETELA Silvano
CGVM sergente PAGNUCCO Bruno
CGVM sergente PEDRINI Paolo
CGVM caporal maggiore BULGARELLI Laerte
CGVM caporal maggiore DI DONATO Antonio
CGVM caporal maggiore LABBRONI Ugo
CGVM caporal maggiore ROSSETTI Andrea
CGVM caporale BUSANI Gino
CGVM caporale CHIARATTI Arturo
CGVM caporale DI GIACOMO Carmelo
CGVM caporale PERINA Silvio
CGVM soldato ANTONELLI Immiru
CGVM soldato APA Giuseppe
CGVM soldato ARMANI Fulvio
CGVM soldato BENNATO Danilo, alla memoria
CGVM soldato BRUNO Vittorio
CGVM soldato CANNELLA Egidio
CGVM soldato CANTON Stefano, alla memoria
CGVM soldato CARBONIN Ottavio
CGVM soldato CARRETTI INCERTI Livio
CGVM soldato CIFERRI Giuseppe
CGVM soldato CORRADO Pasquale
CGVM soldato CRIVELLARO Marino
CGVM soldato DAVO' Bruno
CGVM soldato DI PEDE Francesco
CGVM soldato DI TOMMASO Angelo
CGVM soldato D'ONOFRIO Luigi
CGVM soldato D'OSNALDO Aurelio, alla memoria
CGVM soldato FARINA Ambrogio
CGVM soldato FINESSI Rodrigo
CGVM soldato FIPERTANI Luigi
CGVM soldato FONTANELLI Ivo
CGVM soldato GASPARINI Gaspare
CGVM soldato GIONCO Guerrino, alla memoria
CGVM soldato ILARDO Salvatore
CGVM soldato LOMBARDO Francesco
CGVM soldato LORO Emilio
CGVM soldato MAZZEI Manforte
CGVM soldato MOGAVERO Luigi
CGVM soldato PANIZZA Gabriele
CGVM soldato PIEROTTI Vincenzo
CGVM soldato POGGI Walter
CGVM soldato RENOSTO Emilio
CGVM soldato RISOLI Benvenuto
CGVM soldato SCUSSAT Giacinto
CGVM soldato SETTANNI Nicola
CGVM soldato SPARENI Aldio
CGVM soldato TRESOLDI Florindo
CGVM soldato ZERLOTTI Aldo
CGVM soldato ZOPPELLO Natale

Il viaggio del 2011, steppa a Novo Georgiewskij

Immagini del mio primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011... la steppa fra Novo Georgiewskij e Krawzowka.