martedì 7 novembre 2023

Italiani nella neve, parte 3

Italiani nella neve: Il cinema della campagna italiana di Russia, di Sergio Spinnato - tratto da HUMANITIES, anno VI, numero 12, dicembre 2012.

Terza parte, il Neorealismo (2).

Il secondo film dedicato ad uno dei tanti aspetti della campagna di Russia è Il Cristo Proibito (1951).

Il giornalista e scrittore nonché regista del film Curzio Malaparte, all’interno di Appunti per un’intervista, si domanda se il suo film potrà essere definito a pieno titolo un film neorealista. La risposta è inequivocabilmente positiva, adducendo al fatto che i suoi romanzi Kaputt (1944) e La Pelle (1949), potevano essere definiti precursori del Neorealismo cinematografico.

Il Cristo Proibito, che per inciso rappresenta l’unica fatica cinematografica di Malaparte, racconta la vicenda di Bruno, tornato nella natia Montepulciano dopo anni di prigionia in Unione Sovietica. Ma a differenza degli altri reduci, la sua felicità per il ritorno è offuscata dalla morte del fratello partigiano, ucciso dai tedeschi a causa del tradimento di un compagno.

Il Cristo Proibito, in considerazione delle sue caratteristiche tecniche e narrative, può essere presentato come un ponte tra la corrente neorealista e l’estetismo, di cui proprio il Neorealismo si era dichiarato oppositore. Gli elementi comuni alla filosofia neorealista sono molteplici, a cominciare dalla tematica, ossia il ritorno in patria di un reduce con tutte le situazioni che ne scaturiscono. In tal senso, Malaparte procede su due livelli. Da una parte analizza lo stato d’animo del reduce soffermandosi sulle miserie patite in guerra, in prigionia e alle difficoltà di adattarsi alla nuova vita. Dall’altra pone l’accento sulle sofferenze, sui soprusi, sulle rappresaglie subite dal piccolo borgo durante l’occupazione nazi-fascista e alla conseguente volontà di dimenticare e guardare avanti, andando così a delineare il perfetto quadro dell’incomunicabilità. Quest’ultima tematica è riscontrabile in altri grandi classici del cinema neorealista come Il bandito (1946) di Alberto Lattuada e Napoli Milionaria (1950) di Eduardo De Filippo.

Oltre a tale tematica esistono altri elementi comuni ad uno dei più popolari risultati del Neorealismo italiano, cioè Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis. Aldilà della comune presenza di Raf Vallone, all’inizio del film ascoltiamo una voce fuori campo di un operaio lombardo che, sorvolando il paesaggio toscano, «introduce una sorta di testimonianza “in diretta” analoga alla radiocronaca della partenza delle mondine che apre il film di De Santis» (Storia del cinema italiano,1949 - 1953, Ed. Bianco & nero - Marsilio, Roma - Venezia, 2003, p. 137). La scena della vendemmia, con «generosa esibizione delle nudità delle giovani contadine», riporta alla mente la prorompente femminilità di Silvana Mangano in Riso Amaro, che tanto scandalo aveva portato nell’Italia dell’epoca. Infine le musiche e i canti, di cui Malaparte se ne occupò personalmente, richiamavano i suoni che grande parte avevano avuto in Riso Amaro (Storia del cinema italiano,1949 - 1953, Ed. Bianco & nero - Marsilio, Roma - Venezia, 2003, p. 137).

Si allontana in maniera evidente dall’ideologia neorealista «una resa di gusto decisamente pittorico (e comunque fortemente stilizzato) del paesaggio toscano e la commistione, nella sequenza della processione, tra elementi folkloristici, un simbolismo alquanto ermetico e raffinate citazioni pittoriche (da Goya a De Chirico)» (Storia del cinema italiano,1949 - 1953, Ed. Bianco & nero - Marsilio, Roma - Venezia, 2003, p. 137). Inoltre Malaparte, attraverso dialoghi che rendono evidente le analogie tra il sacrificio di mastro Antonio e il sacrificio di Cristo, tenta di farsi interprete di un esasperato simbolismo religioso, contro cui proprio il Neorealismo si era battuto.

Proseguendo nel solco della tradizione neorealista, nel 1952 il regista pugliese Francesco De Robertis realizza Carica Eroica. La pellicola rievoca le vicende dell’ormai mitico reggimento Savoia cavalleria, durante la campagna di Russia. Il Savoia, comandato dal colonnello Alessandro Bettoni, impiegato come unità di pattuglia nell’ambito della prima battaglia difensiva del Don, nella mattina del 24 agosto 1942 si rendeva protagonista di una vittoriosa carica passata alla storia come la carica di Isbuschenkij. Questo episodio oltre ad essere ricordato, erroneamente come l’ultima carica della storia della cavalleria italiana, rappresenterà una delle poche note liete dell’avventura italiana in Russia (Giovanni Messe, La guerra al fronte russo: il Corpo di spedizione italiano (CSIR), Rizzoli, Milano, 1954, p. 211).

Carica Eroica è un film, come d’altro canto l’intera filmografia di De Robertis, caratterizzato da un’impostazione documentarista entro la quale sono riscontrabili elementi neorealistici.

Il film, per l’argomento trattato, ossia l’azione di un reparto di cavalleria, rappresenta un unicum nella produzione di De Robertis. Infatti il regista, nella sua vasta filmografia, ha ambientato gran parte delle pellicole nell’ambiente della marina. In questo ambito ricordiamo Uomini sul fondo del 1941, Alfa Tau! del 1942 e, in veste di sceneggiatore e supervisore, La Nave Bianca del 1941, per la regia di Rossellini. Per l’appunto De Robertis, oltre ad essere stato ufficiale della Marina Militare, era responsabile del centro cinematografico del Ministero della Marina (Massimo Causo, De Robertis in Enciclopedia del cinema, 2003). Il taglio che il regista fornisce in Carica Eroica è il medesimo presente in tutti i suoi film. Il chiaro intento di De Robertis è quello di esporre i fatti d’arme con particolare attenzione alle fonti avvicinandosi, in tal modo, al genere del documentario, raccontando il risvolto umano di queste imprese militari, facendo attenzione a non cadere nella retorica (Massimo Causo, De Robertis in Enciclopedia del cinema, 2003).

Il regista, pur mantenendo intatte le caratteristiche che erano comuni a tutti i suoi film, procedette ad introdurre delle innovazioni sia in campo narrativo sia in campo tecnologico. Dal punto di vista narrativo, Carica Eroica si era perfettamente allineato alla tendenza dei primi anni ’50 che «cerca di recuperare certo patriottismo, quasi ci fosse stata, prima dell’8 settembre, una guerra buona della quale è bene non dimenticarsi. Film tesi a esaltare l’eroismo dei nostri combattenti, che agiscono come se in quel momento in Italia non esistessero un governo e un regime, che si battono in nome del dovere e del sacrificio» (Storia del cinema italiano,1949 - 1953, cit., p. 44).

Coevi al film di De Robertis troviamo I sette dell’Orsa maggiore (1953) e Divisione Folgore (1954), entrambi diretti da Duilio Coletti (Storia del cinema italiano,1949 - 1953, cit., p. 44). Dal punto di vista tecnico, il film apparve ricco di formule tipiche del war movie hollywoodiano: l’innovativa gestione del montaggio, diretto da Franco Fraticelli, prevedeva l’accostamento in rapida successione di riprese in primo piano, piano medio e piano lungo; l’idea di realizzare riprese dal basso, al livello del terreno, fornendo in tal modo un’idea di estrema dinamicità all’intera sequenza (Storia del cinema italiano,1949 - 1953, cit., p. 225). In tal senso, la scena più fortemente influenzata dal cinema western americano degli anni ’40 è quella del finale in cui il Savoia Cavalleria procede alla carica contro i soldati russi (Carica Eroica, Francesco De Robertis, 1952. Min. 01:21:00). Il cast, seguendo i dettami neorealistici, era costituito da attori non professionisti. In mezzo a questa marea, per così dire, di dilettanti ci furono tre attori che, nel corso della loro carriera, raggiunsero in diversa misura un posto di rilievo nello star system. Essi furono Domenico Modugno, Gigi Reder e Franco Fabrizi.



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