domenica 30 ottobre 2022

Capitano Pilota Giorgio Iannicelli, 5

La storia del Capitano Pilota GIORGIO IANNICELLI, Medaglia d'Oro al Valor Militare, nelle parole del figlio GianLuigi, quinta parte.

Breve biografia.

Aveva ragione il comandante Enrico Meille quando scriveva: "Un poco sbruffoni, i cacciatori, ma sbruffoni con gli altri, non fra di loro, perché il valore di ogni singolo è pesato con severissima bilancia e se qualcuno cerca di usurpare una fama alla quale non ha diritto, la sua sorte è segnata: la caccia non è pasto per lui e bisognerà che prima o poi se ne vada". Il capitano Iannicelli, oltre ad esserlo, si "sentiva" cacciatore, partecipe di quella élite dell'Arma, circondata, dati anche i tempi, da un alone, quasi romantico, fatto di audacia e di eroismo. Questo rapporto speciale e unico fra il pilota e la macchina (si pensi, come avveniva nel conflitto spagnolo, al momento, quasi esaltante, in cui un giovane di ventisei anni, addestrato molto bene e motivato, ai comandi di un agile aeroplano da caccia come il FIAT CR 32, incrociava, nello spazio infinito in "caccia libera") però non lo isolava, non lo rinchiudeva in se stesso, non gli impediva il rapporto con gli "altri", non annullava l'altruismo presente nel suo animo.

Ancora Meille, anche lui cacciatore, comandante di squadriglia, amico e collega di tante avventure di guerra di Giorgio Iannicelli, bene illustra, nell'introduzione ad una sua pubblicazione sull'argomento, dal titolo "Cacciatori": "Una stanza, una baracca, una tenda. Tre lunghe tavole messe a ferro di cavallo; in mezzo a quella centrale un gruppetto di giovani individui che tutti gli altri chiamano "Comandanti " e che parlano animatamente fra di loro, insensibili alla sarabanda infernale che regna tutt'attorno. Le discussioni sono vivacissime, c'è gente in piedi che si scalmana, tre o quattro pare che stiano per suffragare i loro argomenti orali con altri più solidi; chi grida, chi strilla, chi si divora con studiata lentezza un piattone di pastasciutta dietro il quale quasi scompare, chi prova una rivoltella, sparando alcuni colpi in un angioletto, e su tutto il tumulto alcuni allegri scoppi di bombe o di petardi fanno come la voce di fondo di un lontano coro nascosto. Non si può sbagliare: questa è una mensa della caccia. Se si esce dalla stanza, dalla baracca o dalla tenda e si gira un poco nei paraggi, si scopriranno certamente, più o meno nascosti e più o meno sparpagliati tutt'intorno, a gruppetti, i veloci apparecchi monoposto ed armati solo con mitragliere fisse anteriori, che i dizionari aeronautici qualificano come apparecchi da caccia ed il cui scopo è quello di combattere nel cielo contro gli aerei nemici e qualche volta quello di scendere a mitragliare anche bersagli al suolo e qualche altra anche quello di schiaffarsi qualche bomba sotto le ali e fare i loro bravi bombardamenti. Pure, qualunque cosa facciano, quelli sono apparecchi da caccia e questi pazzi della mensa sono piloti della caccia, gli ufficiali qui, i sottoufficiali là, in quell'altra tenda, in quell'altra baracca o in quell'altra stanza, ma cacciatori tutti e tutti fatti così.

Perché poi debbano essere fatti cosi, nessuno lo sa, neppure loro, ma il fatto rimane ed anche quelli che vengono da altra specialità o che, pivelli pivelli, per la prima volta si affacciano, intimiditi ed esterrefatti all'urlo che li accoglie, in un ambiente di cacciatori, state sicuri che dopo pochi giorni saranno fatti così anche loro. Urleranno, strepiteranno, vorranno fare valere le loro ragioni con tutti i mezzi, taglieranno la cravatta al signor generale in nome di una tradizione barbarica, specie quando la cravatta è quella dell'uniforme zero zero; sosterranno a spada tratta che la caccia e solo la caccia ha diritto di vita e di parola; ostenteranno la più sovrana delle indifferenze per tutto ciò che non sia acrobazia; spareranno colpi di pistola per futili motivi; confezioneranno bombe carta e feroci scherzetti per i nuovi venuti. Ne faranno insomma di tutti i colori, vantandosi di sbronze colossali, di conquiste femminili innumerevoli, di resistenze amatorie inconcepibili e più saranno nuovi e più ci daranno dentro come quel colonnello della guerra di Spagna che veniva dalla ricognizione marittima e che teneva la disciplina a mensa mediante raffiche di fucile mitragliatore, il che forse era un poco eccessivo anche per un ambiente come quello della "Cucaracha".

Insomma, faranno di tutto per mantenere in vita la leggenda del cacciatore caposcarico, esuberante, scettico e vanaglorioso che costituisce uno dei vanti della caccia e che è una delle più solenni balle dell'aeronautica passata, presente e futura. Perché, lasciate parlare chi li conosce veramente bene, i capo scarichi della caccia, gli strafottenti della caccia, gli indisciplinati della caccia, sono la gente più seria e più innamorata del suo mestiere che si conosca. Dicono che loro navigano cosi, a fiuto, ma poi fanno un baccano del diavolo se a bordo non ci sono tutti gli strumenti per navigare senza visibilità, perché la caccia deve essere dappertutto, nubi o non nubi, nebbia o sole, pioggia o vento e quindi bisogna che abbia i mezzi per poter volare sempre. Dicono che per loro la ferrodromia, la stradodromia, la costodromia ed altre simili dromie sono l'unico sistema di navigare e poi, conti fatti, due ore di autonomia, cinquecento chilometri l'ora, mille chilometri di distanza ortodromica e loro partono e arrivano, con l'indicatore della benzina che si mette sullo zero quando le ruote toccano terra. Loro sanno fare tutto d'istinto e tengono il "manico" come la somma delle scienze, ma poi stanno su la notte intiera, carta sotto il naso, tabella delle prestazioni pratiche sulla sinistra, carta e matita a destra, per sfruttare tutte le caratteristiche dell'apparecchio ed arrivare a fare quello che si può fare solo tenendo al limite ogni volontà ed ogni scienza e sfruttando fino allo scrupolo tutto quello che il motore e l'apparecchio possono dare.

C'era, ai tempi della guerra contro la Grecia, da portare apparecchi da caccia a Rodi. Fatevi i conti, se ne avete voglia. Partite dal più favorevole dei campi albanesi, se volete, atterrate nel più prossimo dei campi egei, concesso. Mettete cento litri di benzina in più, non so bene dove, ma metteteceli. Poi fate i conti di nuovo e vedrete un po' se c'è molto da scialare. Cacciatori: gente che dice di fregarsene dei calcoletti di deriva, ma gente che s'è portala per ben tre volte la sua squadriglia sopra il cielo greco ancora nemico, diritta per la sua strada: dall'Albania a Rodi, senza perdere un apparecchio e senza sbagliare di un grado. E ha fatto in Russia e cosi ha fatto in Libia, nel deserto, dove navigare è peggio che andare per mare e cosi ha fatto sempre, perché i cacciatori sono come quei ragazzacci pieni di cuore che a sentir loro picchiano qui e bastonano là, delle donne ne fanno polpette, i quattrini li buttano dalla finestra, non passa giorno che non abbottino gli occhi a qualcuno, ostentando un cinismo troppo assoluto per essere vero e poi se uno li sa pigliare, gli danno anche la camicia, pigliano delle cotte dove i menati per il naso sono proprio loro, non farebbero male ad una mosca se la mosca non gli rompe troppo le scatole e sono dei sentimentaloni che per un distintivo si farebbero ammazzare e che portano lo spirito di corpo e di reparto alle sue più estreme conseguenze.

Tutta posa, credete. E fra di loro lo sanno. Non se lo dicono, ma lo sanno lo stesso. Perché poi si conoscono tutti e non è facile che qualcuno riesca a fregarli. Cacciatori: gente di punta e d'attacco, gente che va sempre da sola, che non può consigliarsi con nessuno, che deve agire d'istinto e che ha il combattimento nell'anima: gente che deve essere sempre di parere contrario per partito preso, ma che sa ubbidire, che conosce il suo mestiere come pochi, in tutte le sue sfumature, sempre pronta a buttarsi allo sbaraglio per una affermazione e per una idea; che si rinchiude in se stessa e nelle sue tradizioni perché non può aprire il suo cuore che a chi vuol loro veramente bene. Cacciatori: gente che vuole essere amata e compresa e stimata e ammirata, cacciatori, continuatori più schietti e puri di una tradizione che è sempre stata la rappresentazione più vera della nostra gente e della nostra razza. Cacciatori: garibaldini, bersagliereschi, arditi, cacciatori di tutti gli stormi da caccia d'Italia, volta a volta sbulinati e impeccabili, strafottenti e rispettosissimi, lasciavivere e pignoloni, bisogna che la gente vi conosca meglio. Voi non volete, lo so, a voi piace essere cosi, incomprensibili a volte per chi non abbia la chiave del vostro cuore e dell'anima vostra, per chi non sappia cosa voglia dire avere per la propria squadriglia quell'apparecchio e non quell'altro, quel pilota e non quell'altro, so che voi godete della vostra fama di gente difficile ed un poco reproba, che non si sa bene come pigliare, che reagisce in modo differente dagli altri, che è lontana dalla massa della comune umanità cosi come lo sono gli artisti. Abbiate pazienza. Bisognerà che qualcuno di voi parli di quello che avete fatto, perché ne vale davvero la pena, nei cieli di Francia, della Manica, di Libia, di Grecia, di Serbia, dell'Egeo, dell'Africa nostra più cara, in quelli della Russia, su tutta la distesa del Mediterraneo...".

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