sabato 31 agosto 2019

Santo Pelliccia

Un caro ricordo... con Santo Pellicia, reduce di El Alamein, volato in cielo oggi per raggiungere i suoi camerati.

domenica 25 agosto 2019

La carica di Isbuscenskij

24 agosto 1942 - La carica di Isbuscenskij.

Voglio ricordare questa data così importante con la figura di Giancarlo Cioffi, scomparso di recente e conosciuto di persona durante qualche incontro sulla campagna di Russia. Uomo tutto di un pezzo e fiero del suo passato, è per me un esempio da seguire. Ho imparato da persone come il Sergente Cioffi a rispettare sempre e comunque il soldato italiano e a rendergli onore sempre e comunque.

Giancarlo Cioffi, milanese, 95 anni, è uno degli ultimi cavalieri del “Savoia” che parteciparono alla battaglia di Isbuscenskij, in cui ebbe luogo l’ultima, famosissima, carica di cavalleria della storia moderna. Arruolato nel “Savoia Cavalleria” nel gennaio 1941, venne inquadrato nel 4° Squadrone, comandato dal capitano Silvano Abba, medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Berlino. Dopo solo un mese e mezzo di addestramento, partì per la Jugoslavia. Poi il “Savoia” venne destinato al Corpo di Spedizione Italiano in Russia. Il suo primo inverno di guerra trascorse relativamente tranquillo.Quando avete ripreso ad avanzare? «Ai primi di giugno del 1942 ci muovemmo da Avdeiewka, a tappe forzate, per raggiungere la grande ansa del Don, dove la Divisione “Sforzesca” era stata investita da una forte pressione russa. Il fronte era davvero ampio e lo schieramento troppo rado, con pochi capisaldi. Si trattava di tenere i russi fermi al di là del Don mentre veniva preparata una nuova linea di difesa». Arriviamo ai giorni della famosa battaglia. «Il 20 agosto arriva l’allarme. Ci mettiamo in movimento. L’offensiva nemica è ormai consistente e continua. Della Cavalleria si sfrutta la mobilità, così riusciamo in qualche maniera a simulare una continua e consistente resistenza, un presidio che, in effetti, non esiste. C’è “puzza di bruciato”, tutti ne siamo consapevoli. Il Reggimento si muove freneticamente tra Tschebotoreskij e Jagodnij, incrociando orde di sbandati italiani e rumeni che lasciano precipitosamente il fronte. Il pomeriggio del 23 agosto arriva l’ordine di spostarsi nella zona di Isbuscenskij e occupare la quota 213,5. Quella collina permetteva di controllare tutte le vie di comunicazione che dai guadi portano alle linee ferroviarie, vitali per i nostri rifornimenti… Il capitano Abba affida alla mia squadra la ricognizione della quota. Perlustriamo attentamente tutta la zona, coperta di fitti e alti girasoli. Unica presenza, la carcassa di una vecchia macchina agricola, lungo il tratturo. “La quota è completamente sgombra”, riferisco. È buio quando arrivano i rifornimenti. È finalmente possibile dare un po’ di biada ai cavalli e consumare l’unico rancio della giornata. Arriva anche la posta: è bello sentire la vicinanza della famiglia in quelle situazioni…».Cioffi con il cavallo ViolettoE, finalmente, spunta l’alba. «Da quelle parti comincia ad albeggiare intorno alle 3,30. La squadra del sergente maggiore Comolli è inviata nuovamente in esplorazione alla quota, prima di portarvi il Reggimento. Ma appena si mette in movimento, si scatena un violento fuoco di armi automatiche: durante la notte il nemico ha occupato la quota, protetto dalla rigogliosa vegetazione e approfittando del frastuono circostante. Sparano con le mitragliatrici e con i mortai, ma per nostra fortuna sparano male… Il colonnello potrebbe decidere di ripiegare, ma non è nello stile del “Savoia”. L’alternativa, dunque, è contrattaccare». Quali sono state le fasi dello scontro? «La battaglia è durata tre ore. Lo scontro ha avuto tre momenti ben definiti. Subito la reazione della nostra artiglieria: 10-12 minuti di fuoco ad alzo zero, efficace e instancabile. Frattanto il colonnello Bettoni ordina di caricare il nemico con il 2° Squadrone, al quale si unisce il 2° plotone mitraglieri. Scesi nel fondo-balka, i 120 cavalieri compiono un’ampia conversione e piombano sul loro fianco destro con assoluta sorpresa. L’esito di questa prima carica è travolgente: i russi si accorgono della carica solo all’urlo “Savoia!” dei cavalieri. L’urto è dirompente. Abba, in piedi tra i mitraglieri, vede alcuni cavalieri cadere e urla: “Io vado. 4° Squadrone: baionetta!”. Inizia così la terza fase della battaglia, la più lunga. Appiedati, superiamo d’un balzo gli 800 metri che ci separano dalla quota: dobbiamo ora occupare il terreno. Non possiamo permettere al nemico di riorganizzarsi; dobbiamo andare oltre. I nemici sono tantissimi per noi che siamo solo in 80». Cosa si agita nel cuore dell’uomo nel pieno di un attacco? «Non vi è alternativa: resa, fuga o sangue… Il sangue, al primo impatto, ti fa impressione vederlo scorrere dalle membra lacerate. Poi, per avanzare, devi scavalcare cadaveri, ignorare lamenti e urla di feriti, l’espressione terrorizzata dell’assalito senza scampo. Durante l’assalto non c’è tempo per pensare e non ci possono essere esitazioni: sarebbero fatali». A questo punto la battaglia sembrava vinta… «Avanziamo conquistando metro dopo metro. Ecco raggiunto quel relitto di macchina agricola. Il fuoco nemico si è fatto meno intenso e organico, anche se si spara ancora con accanimento da alcuni focolai di resistenza a protezione della rovinosa ritirata del grosso delle truppe nemiche che stanno scappando verso il fiume. A questo punto, però, il tenente Toja mi comunica: “Il capitano è ferito. Mi sposto al centro per prendere il comando dello Squadrone. Tu vai avanti lo stesso”. Mi sale un gran senso di rabbia... Constatato che il fuoco nemico è scemato e all’avanzata non si frappongono gravi ostacoli, il capitano Abba invia un portaordini al colonnello: “La quota è nostra. Occorrono autocarri per il recupero dei feriti, dei morti e dei materiali”. Ma poco dopo una raffica lo colpisce in fronte, mortalmente. L’entusiasmo per il sorprendente risultato della battaglia è soffocato dal dolore e dalle lacrime. Il nostro Squadrone ha perso 11 cavalieri tra cui l’insostituibile capitano». A battaglia conclusa che idea vi siete fatti della consistenza dei vostri nemici? «Poi si capì che di fronte a noi c’erano due battaglioni di Siberiani, circa 2.500 uomini. Lasciarono sul terreno 250 morti e, nelle nostre mani, 500 prigionieri, circa la metà feriti: furono trasferiti nei nostri ospedali. Il giorno dopo, 25 agosto, fui promosso – “sul campo” – sergente». Fino a quando durò la vostra attività di copertura del fronte? «Ancora per un mese. Alla fine di settembre arrivò in posizione la “Tridentina” e noi potemmo rientrare a Nikitowka, il luogo della sede invernale. Ma era ormai tempo di avvicendamento. Il 24 dicembre raggiunsi Vipiteno, la mattina di capodanno ero a Milano, in famiglia».

giovedì 22 agosto 2019

Si ritorna in Russia

Si torna in Russia! E si torna nelle stesse zone del viaggio organizzato nell'estate del 2016! Questa volta con qualche amico di vecchia data e diversi nuovi "esploratori" visiteremo in particolare le zone del "cappello frigio" e della valle di Arbusovka alla ricerca delle testimonianze dei nostri soldati delle Divisioni di Fanteria Pasubio e Torino, delle Legioni CC.NN. M d'Assalto Tagliamento e Montebello. Queste ultime sere sono tutte dedicate allo studio delle cartine e alla ricerca delle testimonianze dei diretti interessati. Dal 31 agosto all'8 settembre sulla pagina pubblicherò giorno per giorno la sintesi del viaggio e le immagini più suggestive.





martedì 11 giugno 2019

Una campagna fatale

Una campagna fatale, Russia: 1941-43; intervento dello storico Riccardo Maffei sull'Operazione Barbarossa e sulla partecipazione italiana alla campagna di Russia.

Premessa metodologica: Quale campagna di Russia? Riflessioni sul conflitto tedesco-sovietico tra immaginario collettivo e controversie storiografiche.

Il 22 giugno 1941 la Germania nazionalsocialista di Adolf Hitler attaccò l'Unione Sovietica di Jozif Stalin sulla base dei piani contenuti nella direttiva n. 21, meglio nota come Operazione Barbarossa, con l'obiettivo di annientare il bolscevismo e ristrutturare radicalmente con metodi brutali i territori conquistati fino al fiume Volga come previsto dal cosiddetto Generalplan Ost.

Pochi giorni dopo l'aggressione l'Italia fascista di Benito Mussolini seguì l'alleato perché “non poteva essere assente da una guerra anticomunista”, come dichiarò il duce. La guerra, dopo gli iniziali clamorosi successi, prese un'altra piega.

Il 25 luglio 1943 il fascismo crollò sotto il peso di un conflitto al quale non era in grado di far fronte. Il 30 aprile 1945 Hitler si suicidava mentre l'Armata Rossa combatteva tra le rovine di Berlino contro ciò che restava dell'esercito tedesco.

La guerra sul fronte orientale si era ritorta contro gli aggressori trasformandosi in un enorme carnaio e aprendo le porte alla sconfitta dei regimi che l'avevano scatenata.

Con la fine della guerra la vittoria sovietica contro la Germania assunse un significato addirittura epico e leggendario poiché simboleggiava la superiorità del comunismo, l'indispensabile apporto del regime staliniano alla coalizione antifascista, sanzionava la criminale condotta della guerra da parte dei nazi-fascisti ma, soprattutto, il carattere provvidenziale delle politiche staliniane, che avevano reso l'Urss in grado di resistere ai colpi delle armate hitleriane senza crollare su se stessa.

La condotta criminale della guerra da parte della Germania nazionalsocialista fu stigmatizzata e illustrata durante il processo di Norimberga.

Lontano dai campi di battaglia e dalle aule del tribunale di Norimberga, ma non dalle polemiche della guerra fredda, gli storici iniziarono a ricostruire, con i documenti alla mano (fino al 1991 principalmente sui documenti tedeschi), gli eventi proponendosi di riesaminare le cause e le origini della guerra tedesco-sovietica del 1941-45.

Il loro lavoro iniziò a scontrarsi con le reticenze dei governi, con le memorie divise di vincitori e vinti, con le strumentalizzazioni dettate dal realismo politico (Realpolitik) nonché col mito, assai potente nel secondo dopoguerra, dell'Urss come nazione che aveva distrutto il nazismo e “liberato” gran parte dell'Europa centro-orientale.

Già al tempo del processo di Norimberga un selezionato gruppo di ufficiali anglo-americani, coadiuvati da francesi e sovietici, ebbe la possibilità di esaminare gli archivi tedeschi e di interrogare militari e civili, gerarchi e gregari tedeschi preparando, a tempo di record, il materiale che avrebbe sostanziato le accuse del tribunale militare internazionale (R. J. Overy, Interrogatori. Come gli alleati hanno scoperto la terribile realtà del Terzo Reich, tr. it., Milano, Mondadori, 2003).

La pubblicazione degli atti processuali fornì alla comunità internazionale degli storici una prima documentazione sulla condotta della guerra e della diplomazia da parte dell'Asse (International Military Tribunal, Nuremberg).

Lo stesso avvenne a Tokyo con il processo contro i leader politici e militari del Giappone imperiale. Anche in questo caso la documentazione raccolta fu pubblicata e resa disponibile al pubblico e agli storici (International Military Tribunal for the Far East, Tokyo).

Ovviamente, non tutto venne reso accessibile agli storici e per decenni il materiale catturato dagli alleati negli archivi ministeriali dell'Asse (Captured German and Related Records on Microfilm in the National Archives; German Foreign Ministry and other captured enemy documents from the Second World War) fu posto lontano da occhi indiscreti in attesa che le procedure burocratiche e il trascorrere del tempo rendessero tali carte consultabili e/o innocue.

Già con le prime fasi della guerra fredda parte di questo materiale venne usato a fini propagandistici, come nel caso della pubblicazione – da parte del governo statunitense – dei documenti provenienti dagli archivi diplomatici tedeschi relativi alle relazioni tedesco-sovietiche tra il 1939 ed il 1941 (Nazi-Soviet Relations 1939-1941. Documents from the Archives of the German Foreign Office, Washington D.C., GPO, 1948).

Fu in tale occasione che venne resa nota l'esistenza del protocollo segreto stipulato tra Berlino e Mosca per la spartizione dell'Europa orientale alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Ovviamente Mosca negò l'esistenza del documento e pubblicò una contestazione formale dei documenti divulgati dagli Stati Uniti, accusati di falsificare la storia (Fal'sifikatory istorii (istoriceskaja Spravka), Moskva, 1948).

Nonostante la restituzione dei documenti catturati e microfilmati dagli alleati alle nazioni sconfitte e la pubblicazione dei documenti diplomatici tedeschi (Documents on German Foreign Policy), a cura di una commissione storica internazionale, ciò che era avvenuto sul fronte orientale restò una materia incandescente per gli storici e vincolata a veti, censure e ricostruzioni di parte.

Soltanto lentamente, man mano che i documenti venivano pubblicati o resi accessibili negli archivi, era possibile per gli storici precisare, delineare, ricostruire criticamente le dinamiche degli eventi e potersi così confrontare con la memorialistica e le ricostruzioni interessate circolanti allora (A. Dallin, German Rule in Russia, 1941-1945, London, 1957; G. Reitlinger, The House built on Sand, New York, 1960).

Di tutti gli archivi esistenti gli unici ad essere rigorosamente chiusi, ad eccezione dei pochi storici autorizzati e vincolati a non citare indicazioni o riferimenti al materiale consultato oltre ad essere graditi al regime comunista, erano proprio quelli dell'Urss.

venerdì 7 giugno 2019

Il reduce dell'Armata Rossa

In un anniversario così significativo ed importante come il 75° dello sbarco in Normandia, io voglio ricordare TUTTI i soldati che presero parte a quella tremenda guerra. Qui raffigurato un reduce dell'Armata Rossa conosciuto di persona nel 2016; fiero della bandiera per la quale aveva combattuto e rischiato la vita più volte, ci ha raccontato alcuni episodi che lo videro protagonista. Al di là delle ideologie e delle proprie convinzioni personali, credo che ogni persona che sente saldi nel cuore e nella testa certi valori, debba sempre portare estremo rispetto per tutti questi uomini e queste donne che servirono, nel bene o nel male, il proprio paese; chi si scaglia contro questo o quel SOLDATO credo non abbia proprio capito nulla del loro sacrificio; chi oggi da dietro una tastiera non porta rispetto per tutti i SOLDATI non ha la minima idea di ciò che queste persone dovettero affrontare in quei giorni tragici. Per questo seppur allora nemico quest'uomo rappresenta per me l'onore, il sacrificio e la dedizione per la propria bandiera ed il proprio paese.