Ho conosciuto Simone qualche mese fa quando ricevetti una sua email, nella quale mi chiedeva il permesso di pubblicare sul suo libro una delle mie fotografie, scattate in Russia durante i miei sei viaggi dal 2011 al 2020. Come sempre accordai il permesso. Sono passate settimane da quella prima email ed ecco la sua opera che ho il piacere di farvi conoscere. Sono sincero... non ho ancora letto il suo libro, ma ve lo consiglio fortemente, fosse anche solo per un motivo (so che ce ne sono sicuramente molti altri, ma questo almeno per me li vale tutti). Simone ha solo 25 anni e per me che ho qualche anno in più di lui, è sempre una sorpresa e anche un'emozione, vedere che un ragazzo di queste ultime generazioni, prende "carta e penna" e racconta una storia di Russia, una storia così vicino alla sua famiglia. Anche e solo per questo il suo libro merita di essere letto.
Simone Girardi, Lettere dalla steppa: storia di coloro che non tornarono. La Campagna di Russia (1941-1943) nelle memorie degli italiani sul fronte del Don, Milano, Biblion edizioni, 2024.
Prefazione: Ch. ma Prof. ssa Maria Teresa Giusti, Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara.
Autore: Simone Girardi (Milano, 1999), laureatosi presso il Dipartimento di Studi Storici e specializzando in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Milano, con questo testo è stato
proclamato vincitore dell’edizione 2023 del premio “Riconoscenza alla solidarietà e al sacrificio degli Alpini”, a cura dell’Associazione Nazionale Alpini (ANA) e del Consiglio Regionale della Lombardia. Dal 2023 è socio di ANCFARGL e fa parte della redazione di Giano Public History APS.
Una lettera dal fronte ritrovata ottant’anni dopo tra i ricordi di famiglia, rappresenta - oggi - l’unica traccia che la storia ha lasciato di Deglause Legnani, caporal maggiore alpino infermiere della divisione «Cuneense», cugino del nonno dell’autore, mai più tornato dalle gelide steppe del fronte russo. Da questa testimonianza familiare, ha origine la volontà di comprendere cosa rappresentò la campagna italiana di Russia per i “vinti”, i “non-colti”, coloro che Nuto Revelli - nella sua opera La strada del davai - definirà i «senza storia». Parafrasando la storica Natalie Zamon Davis, non si è inteso scrivere «su grandi personaggi, sulle regine e sui re»; si è cercato di dare voce agli «altri», a storie di «coloro che non tornarono».
Perché 229.000 soldati italiani furono inviati sul fronte orientale, nelle ostili terre del Doneckij bassejn, meglio conosciuto come Donbass; in quegli stessi luoghi oggi al centro delle più drammatiche cronache di guerra internazionali? Cosa dovettero affrontare quei giovani contadini e operai, partiti per la steppa inconsapevoli delle vicende che la storia avrebbe loro riservato?
Il volume - senza alcuna pretesa di completezza - vuole trattare i drammatici fatti d’arme delle 229.000 «gavette di ghiaccio» impegnate sul fronte orientale, richiamando l’attenzione sul ruolo della corrispondenza militare giunta dal territorio di guerra e, precipuamente, della bibliografia sorta nel dopoguerra, tanto unita negli intenti storico-memorialistici, quanto diversificata nelle operazioni letterarie.
La prima parte è dedicata al racconto storico della spedizione armata italiana, inquadrata nel mito mussoliniano della «guerra parallela». Con un approccio compilativo, non privo degli spunti critici e storiograficamente riconosciuti dei principali storici contemporanei italiani e stranieri - su tutti, Aldo Giannuli, Thomas Schlemmer, Maria Teresa Giusti -, il primo Capitolo principia dal consolidamento dell’alleanza tra i regimi dell’Asse, proseguendo con la spedizione in terra russa di CSIR e ARMIR. L’analisi storica degli eventi bellici, susseguitisi tra l’estate 1941 e l’inverno 1942/43, culmina nel racconto della tragica ritirata italiana, e nelle drammaticamente note battaglie nella steppa, tra il Kalitva, il Don, le località di Nowo Postojalowka, Nikolajewka e Valujki; laddove si elevarono al grado di “eroiche” - nella definizione di Aldo Rasero - le tre divisioni alpine «Julia», «Tridentina», «Cuneense».
Nella seconda parte - nucleo dello scritto - si è inteso indagare le forme della comunicazione storica rappresentate - nell’ideale percorso tra “Storia” e “Memoria” tracciato - da un metaforico “binario” tripartito costituito da: le «opere letterarie dei reduci scrittori», tre Alpini d’Italia, Giulio Bedeschi, Mario Rigoni Stern, Nuto Revelli, rispettivamente con Centomila gavette di ghiaccio, Il sergente nella neve, La strada del davai; le «relazioni eseguite dai vertici militari», di cui si è voluto declinare a case study l’opera del generale Giovanni Messe La guerra al fronte russo; le «lettere dal fronte», le missive dei soldati italiani i cui nomi sono spesso celati in sineddochi storiche. Secondo l’interpretazione offerta, in questi tre distinti segmenti risiede la genesi della critica volta dallo storico tedesco Thomas Schlemmer - nella sua opera Invasori non vittime - alla «politica italiana della memoria», accusata di aver trasmesso l’immagine dell’italiano come “vittima” della guerra, e non come “invasore”. In sintonia con quest’ultimo tema, si è ampiamente considerata - nelle Conclusioni del saggio - l’opera dello storico italiano Filippo Focardi Il cattivo tedesco e il bravo italiano. La rimozione delle colpe della Seconda guerra mondiale.
Affiancando, ai magistrali lavori degli storici Antonio Gibelli, Gabriella Gribaudi, Lucio Ceva, l’omogeneo coro delle testimonianze alpine raccolte nelle opere di Revelli e Rigoni Stern, particolare attenzione è stata posta al “comune sentire” dei soldati italiani al fronte, le cui lettere - non prive dei rigidi canoni censori del regime fascista - rappresentano oggi - di frequente - l’unico ricordo rimasto alle famiglie di quei 95.000 soldati italiani Caduti e Dispersi.
Il terzo Capitolo, infine, vuole essere dedicato all’alpino Deglause Legnani, caporal maggiore infermiere del 615° ospedale da campo, 2° reggimento alpini, divisione «Cuneense»; ferrarese di nascita, orfano della Grande Guerra ’15-’18, emigrato in terra ligure, soldato veterano dei fronti alpino occidentale e greco-albanese, per il quale - oggi - una lettera datata «6 aprile 1941» diviene ultimo ricordo per la famiglia dell’autore. Attraverso un percorso di ricerca intrapreso tra il 2019 e il 2022, grazie alla fondamentale collaborazione di autorevoli istituzioni tra cui l’Unione Nazionale
Italiana Reduci di Russia (UNIRR), il Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti, gli Archivi di Stato di Bologna e Savona, le istituzioni comunali competenti, e l’Associazione di Collaborazione
Militare Commemorativa di Mosca, in Russia, è stato possibile ricostruire la vita civile e militare dell’alpino, figurante tra i “Dispersi”, - scrisse Revelli - «l’eredità più crudele di ogni guerra»; italiani dei quali oggi - come si legge nella cripta del Tempio “Madonna del Conforto” di Cargnacco - «CI RESTA IL NOME».
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