sabato 9 gennaio 2021

Le mappe dello CSIR e dell'ARMIR 7

Le mappe delle operazioni del CSIR e dell'ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942 - L'avanzata al Dnjepr dopo la "Battaglia dei due fiumi".

Il viaggio del 2011, Mosca e il milite ignoto

Di questi tempi l'anno scorso e anche altri anni prima ero in piena preparazione per il trekking invernale... anche quest'anno sarei dovuto ripartire con "vecchi" e nuovi compagni di viaggio, ma la situazione sanitaria ha ovviamente bloccato tutto. E' proprio in questo periodo dell'anno che la voglia di tornare in Russia emerge con più forza. Virtualmente ci tornerò con le immagini del primo viaggio "esplorativo" effettuato nel 2011.

Il monumento del milite ignoto della Grande Guerra Patriotica a Mosca. La sera partimmo da una delle tante stazioni di Mosca in direzione di Rossosch... ero in Russia! I vagoni letto a 4 posti erano il nostro giaciglio per la notte; notte che ho passato quasi insonne perché volevo vedere tutto il possibile dal finestrino, seppur al buio. Lì ho iniziato a capire l'immensità della Russia: campi immensi per decine di minuti senza vedere una luce di una strada o di una casa.



L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 4

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), quarta parte.

LE OPERAZIONI: L'OFFENSIVA RUSSA SUL FRONTE DELL'8a ARMATA NELLE SUE GRANDI LINEE.

L'offensiva iniziata dai russi l'11 dicembre 1942 sul fronte dell'Armata si sviluppa attraverso due periodi operativi aventi caratteri e scopi propri, coordinati tuttavia da un piano generale organico, le cui linee fondamentali si riveleranno nel corso degli avvenimenti: - il primo periodo (11 dicembre-8 gennaio) comprende: la battaglia di logoramento sul fronte del II C.A. e della D. «Pasubio» (XXXV C.A.), la battaglia di rottura sul fronte del II C.A. e l'accerchiamento dell'ala destra dell'Armata, il ripiegamento del XXXV e XXIX C.A., la ricostituzione di una difesa arretrata continua; - il secondo periodo (9-31 gennaio) comprende: la preparazione del nemico al nuovo attacco e la rottura sul fronte del XXIV C.A., l'avvolgimento ed il ripiegamento C.A. alpino e dei resti del XXIV C.A., i combattimenti nelle valli del Derkul, dell'Ajdar e del Krassnoie.

PRIMO PERIODO (11 dicembre 1942 - 8 gennaio 1943), LA BATTAGLIA DI LOGORAMENTO.

Le operazioni si svolgono dall'11 al 15 dicembre in due zone diverse, sul fronte del II C.A. e sul fronte della D. «Pasubio» (XXXV C.A.) differenziandosi per intensità e continuità.

FRONTE DEL II C.A. (D. «COSSERIA E RAVENNA»).

All'alba del giorno 11, il nemico attacca con forze valutate ad almeno 5 btg. appoggiate da un intenso fuoco di artiglieria e mortai e con il concorso dell'aviazione, le posizioni della «Ravenna» nel tratto a sud dell'ansa di Werch Mamon. Alcuni capisaldi accerchiati in zona Krassno Orechowoje ed a q. 21 resistono validamente. Nostri contrattacchi locali ristabiliscono completamente la situazione. Il giorno successivo l'avversario rinnova senza risultati gli attacchi in corrispondenza delle stesse zone; il 13, soltanto in direzione di Krassno Orechowoje con forze valutate a circa 3 btg. che, contenute in un primo tempo, vengono poi respinte. Successivamente, fino al 15, il nemico svolge in questo settore azioni continue meno consistenti.

Sull'ala sinistra (D. «Cosseria») dal 12 al 15 i russi tengono invece costantemente impegnate, con forze pari a 5-6 btg. anche qui rinnovantesi per le forti perdite subite, le nostre unità premendo particolarmente in corrispondenza di Nowo Kalitwa, Koscharnyi e Ssamodurowka. Il 13, sulla estrema sinistra del settore la situazione, inizialmente aggravatasi per la prevalenza di forze nemiche (3 btg. contro il nastro II/89), viene ristabilita con un contrattacco effettuato da un reggimento della 383a D. tedesca posto a disposizione del II C.A. Il 14, il nemico persiste nell'attacco e lo estende al tratto fra Ssamodurowka e Deresowka, riesce a progredire occupando la prima e parzialmente la seconda di dette località. L'indomani l'azione continua ininterrotta per tutta la giornata con alterne vicende di attacchi e contrattacchi, ma non dà all'avversario il possesso di nessuno degli obiettivi prefissati. Il 318° rgt. ftr. germanico (che ha preso il posto di un battaglione della «Cosseria») in contrasto con le disposizioni di resistenza in loco, ha tuttavia arretrata la sua destra per sottrarla ad una eventuale minaccia di aggiramento da parte delle forze nemiche su q.158 (pressi di Krassno Orechowoje).

FRONTE DELLA D. «PASUBIO».

All'alba del giorno 11, il nemico, preceduto ed appoggiato da un intenso tiro di mortai e di artiglieria, attacca fra Krassnogorowka ed Ogolew con forze valutate a 3 btg. partenti dalle estreme propaggini collinose dell'ansa; dopo qualche iniziale penetrazione la colonna nemica viene arrestata e successivamente respinta dai nostri contrattacchi. L'abitato di Ogolew nel quale il nemico era penetrato in un primo tempo viene rioccupato dal raggruppamento «3 gennaio» che, dopo due ore di aspra lotta, libera un nucleo del nostro presidio che aveva tenacemente resistito conservando i prigionieri precedentemente catturati. Il giorno 12, il nemico fin dalle prime ore del mattino riprende l'azione estendendola alla cortina collinosa fra Ogolew e Abrossimowo. L'abitato di Ogolew battuto dalle nostre e dalle artiglierie russe si riduce ben presto ad un cumulo di rovine e viene abbandonato dalle opposte forze combattenti. Nei giorni 13, 14 e 15 nessuna azione di rilievo sul fronte della divisione.

Dopo cinque giorni di aspri combattimenti, validamente sostenuti con oscillazioni in massima ristabilite sia sul fronte del II. C.A. che su quello della D. «Pasubio» le posizioni di difesa risultano praticamente intatte. Le unità più duramente impegnate, fedeli alla consegna hanno combattuto resistendo in posto anche se superate dal preponderante nemico. L'aviazione si è prodigata come sempre, ma per condizioni assolutamente proibitive non ha potuto specie negli ultimi tre giorni eseguire quelle azioni a massa sui concentramenti di carri nemici ben individuati che avrebbero senza dubbio diminuito notevolmente l'efficienza dell'urto dei mezzi corazzati. Gravissime le perdite del nemico: lo asseriscono concordi dichiarazioni di prigionieri, lo confermano gli altoparlanti russi che minacciano ritorsioni e le notizie affluite da ogni parte.

Gravi le nostre. In conseguenza il comando Gruppo Armate dispone la sostituzione in linea della D. ftr. «Cosseria», con la 385a D. germanica (la quale deve assumere la responsabilità del settore con le forze organiche dipendenti, il 318° rgt. ftr., il rgt. polizia - in affluenza - ed il Gruppo c.c.B, che passano alle sue dipendenze) e l'impiego della D. «Cosseria» sul fronte ed in rinforzo della D. «Ravenna». La 385a D. germanica, però, a parte le difficoltà di effettuare una simile operazione durante gli attacchi in corso non si sentirà di svincolare i reparti della «Cosseria» proiettati in linea. Il nemico, fermato ma non battuto, serra sotto intanto nuove forze per iniziare la fase decisiva.

venerdì 8 gennaio 2021

I congelati

Ancora una volta "Italica Virtus - Rievocazione Storica Regio Esercito Italiano" pubblica un interessante post sulla Campagna di Russia, in questo caso sul tema dei "congelati"; l'articolo originale come tutto il materiale lo potete trovare a questo link https://www.facebook.com/italicavirtus/posts/5606851829341038; ringrazio gli estensori per il permesso accordatomi. Aggiungo di mio pugno questa premessa: l'obiettivo di questa pagina è sempre e solo quello di tenere vivo il ricordo dei nostri soldati in Russia; post come questo NON hanno l'intento di scagionare chi mandò i nostri soldati in Russia, perché direi che sono note a tutti le responsabilità ed i responsabili, ma ciò non mi deve impedire di pubblicare quelle che io ritengo verità o comunque notizie da diffondere. Qualsiasi commento ed opinione è apprezzato se si basa sull'educazione ed il buon senso; tutto il resto verrà prontamente cancellato.

IL CASO DEI CONGELATI.

Segnaliamo anche un’altra notizia, ampiamente pubblicata in rete e riscontrabile nelle pubblicazioni dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore del Regio Esercito prima e dell’Esercito Italiano poi. Nel primo inverno di guerra (1941/1942) in Unione Sovietica, a fronte delle migliaia di militari germanici che avevano avuto problemi di congelamento agli arti inferiori, il nostro esercito ebbe una percentuale estremamente bassa di casi (vedi foto tratte da "Le operazioni del CSIR e dell’ARMIR", edizioni Ministero della Difesa, Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico 1947 e "L’Armata Italiana nella seconda battaglia difensiva del Don", edizioni Ministero della Guerra, Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico, 1946).

Bisogna puntualizzare anche che il comando dello CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia), nell'inverno 1941/42, non si fece sorprendere a differenza dell'alleato germanico; grazie al lavoro del Generale Messe e di tutti gli enti preposti alla guerra, in novembre i reparti ebbero già le dotazioni necessarie per affrontare l'inverno. Citando alcune delle parole di Giovanni Messe, scritte sul suo libro "La guerra al fronte Russo", pag.158: "In realtà, dunque, il comando tedesco si era lasciato cogliere dall'inverno in uno stato di impreparazione materiale e morale assolutamente contrastante con la sua innegabile capacità organizzativa"; pag.159: "Parecchi ufficiali e soldati tedeschi (della 1^ armata corazzata) [...], furono convenientemente equipaggiati dai nostri comandi"; pag.163: "[...] ciò valse non solo ai fini del benessere materiale della truppa, ma ebbe altresì sensibili riflessi morali in quanto i frequenti contatti con le truppe germaiche permisero al nostro soldato di constatare, una volta tanto, la superiorità del nostro equipaggiamento rispetto a quello degli alleati, che i tedeschi stessi riconoscevano molto sommario, e di trarne, perciò, motivo di intima soddisfazione".

Per quanto riguarda i congelamenti, dai dati delle relazioni ufficiali risulta che il CSIR, con una forza media di circa 60.000 uomini ebbe in tutto l'inverno un totale di 3.614 congelati (1°, 2° e 3° grado). Di essi 1.635 furono curati sul posto e recuperati. In realtà dunque i militari rimpatriati per congelamento sommarono a 1.979 unità (3,3 %). Questi dati vengono riportati anche sul libro scritto dallo stesso Generale Giovanni Messe, comandante il CSIR; una fonte più che autorevole dato che ne era a capo.

Per quanto riguarda l’ARMIR (Armata Italiana in Russia), i comandi che subentrarono allo CSIR fecero tesoro dell’opera di Messe e si prepararono a dovere. Prova ne sono i documenti inerenti l'equipaggiamento invernale che che sarebbe stato dato in dotazione alle truppe (faremo prossimamente una pubblicazione). Ovvio che data la campagna differente a quella del 41’, seguita dal collasso del fronte con il conseguente nostro ritiro, le perdite siano state maggiori, anche dal punto di vista dei congelati. Dai dati delle relazioni ufficiali risulta che l’ARMIR, con una forza di circa 230.000 uomini ebbe in tutto l'inverno un totale di 29.690 congelati (1°, 2° e 3° grado) pari a circa il 12.9 % della forza.







mercoledì 6 gennaio 2021

Ricordi, parte 11

Non è un binario qualunque... siamo abituati a vederne di altri e anch'essi sono il simbolo della morte di migliaia di persone; questo è meno famoso ma è parte di una storia anch'essa tragica, una storia di morte, disperazione e solitudine. Non ricordo onestamente se fossi a Tambov o in uno degli altri campi di prigionia visitati in questi anni, uno dei tanti disseminati in Russia, ma questo era il punto in cui morti e vivi venivano scaricati dai treni piombati che trasportavano quello che restava dell'ARMIR. Il viaggio in treno era solo una delle tappe del "calvario" che fanti, alpini, bersaglieri e tutti gli altri senza dimenticarne nessuno dovettero affrontare in quei primi mesi del 1943. Quello che accadde in quei viaggi in treno sono certo lo conoscono la maggior parte di voi: fame, freddo, morte, dissenteria. Arrivati nei pressi del campo i vagoni venivano aperti: i morti scaricati da una parte e nel migliore dei casi buttati in una fossa comune, i vivi o quello che rimaneva di vivo in ogni uomo, partivano a piedi, sempre a piedi, per il campo, per entrare in un nuovo girone dell'inferno, fatto ancora di fame, freddo, morte, dissenteria, malattie. Su questo binario loro sono passati, vicino a questo binario noi siamo venuti ad omaggiarli.

L'ARMIR nella II battaglia del Don, parte 3

L'8 Armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don (11 dicembre 1942 - 31 gennaio 1943), terza parte.

Inoltre, l'affluenza in zona, in rapporto alla minaccia che si fa di giorno in giorno più imponente e immediata, effettuata sotto le imperiose necessità del momento, avverrà, specie per la 385a D. ftr., in modo irregolare; le unità verranno impiegate a spizzico per il frazionato arrivo degli elementi costitutivi, a detrimento, quindi, della loro piena capacità operativa. All'inizio dell'offensiva russa, l'Armata è quindi schierata a cordone su un fronte di quasi 300 chilometri, con scarsi elementi di rincalzo nei vari settori divisionali; senza grandi unità di 2a schiera, se si eccettua la 27a D. Cr. giunta anch'essa tardi e la cui modesta consistenza non può dare affidamento di una robusta reazione.

Concetto basilare cui si deve informare la condotta della difesa, ribadito in una serie di disposizioni dei comandi superiori germanici, il seguente: la difesa del Don, la cui sponda da noi occupata rappresenta la linea di resistenza, non deve essere fatta in modo elastico, bensì in modo rigido. Viene assolutamente escluso ogni ripiegamento tattico sia ai fini della manovra, sia per ottenere un raccorciamento del fronte e una conseguente maggiore disponibilità di forze. Decisioni del genere possono essere prese soltanto dal comando Gruppo Armate. ln caso di rottura i pilastri laterali non debbono ripiegare. (Si noti che il Don gelato è transitabile al nemico ed ai suoi carri). L'Armata è cosi condannata ad una difesa lineare contro forze nettamente preponderanti senza poter contare sull'arrivo tempestivo di grandi unità in misura adeguata all'entità delle forze nemiche attaccanti.

La situazione del nemico, all'inizio della battaglia, presenta per contro sul fronte dell'ARMIR: 15 D. ftr. ed 1 br. ftr. autonoma, con un complesso di 145 btg.; 2 corpi corazzati, 1 brigata corazzata e 2 rgt. corazzati con un complesso di 600 carri e btg. motorizzati; unità varie di artiglieria con un complesso di btr. delle quali circa la metà schierate. Il complesso delle forze sopraindicate gravita decisamente sul fronte del II C.A. , prescelto per l'attacco, dove risultano schierate: 9 divisioni di ftr. (di cui 6 in prima schiera) pari a 80-90 btg., 400-500 carri armati, 11-12 btg. motorizzati; 130-140 btr. (delle quali una parte si è schierata e rivelata soltanto prima dello scatto della fanteria). Contro questo schieramento il II C.A. può opporre soltanto, 16 btg. organici più i 3 btg. del 318° rgt. ftr. germanico e la 27a D. Cr. di soli 50 carri. Soltanto a battaglia iniziata potrà valersi di altri 6 btg. (2 rgt.) della 385a D.

I sovietici, peraltro, effettuarono la radunata delle proprie unità celermente a differenza di quanto era avvenuto nelle precedenti azioni (molte truppe furono autotrasportate dalle stazioni di scarico alla zona di schieramento); occultarono il movimento delle masse corazzate, facendole marciare di notte e lo mascherarono con rumore di trattori e automezzi. Riuscirono così a celare, fino all'ultimo, parte delle grandi unità e dei mezzi affluiti. Talune divisioni segnalate in arrivo sul fronte dell'ARMIR furono, ciò nonostante, dall'organo informativo del Gruppo Armate, date come sicuramente presenti in altri settori. A questi nuovi procedimenti impiegati per attuare la radunata, fece riscontro una nuova dottrina operativa tendente, nel campo strategico, alla rottura del fronte con aggiramento delle ali (formazione di sacche) per conseguire la distruzione o cattura delle forze accerchiate, prima di tendere verso la conquista territoriale. ln relazione a questo concetto il comando russo aggiornò anche le modalità nel campo tattico ai fini di ottenere maggiore rapidità e potenza d'azione.

Le nuove norme previdero: - l'impiego di masse corazzate con obiettivi in profondità, utili ai fini dell'accerchiamento, sostenute da elementi di fanteria, portati sui carri stessi, e di cavalleria. (Per lo innanzi i carri erano stati adoperati soltanto in appoggio alla fanteria e con obiettivi limitati); - preparazione di artiglieria breve, ma particolarmente violenta con l'impiego di artiglierie pesanti e di numerose "Katiusce" (arma lancia-bombe incendiarie capace di lanciare 24 bombe contemporaneamente, con gittata oltre i 600 metri e con buona efficacia di tiro) in contrasto con la preparazione precedente, effettuata con pochi pezzi e limitata consistenza; - un largo appoggio nell'attacco della fanteria da parte dell'aviazione, appoggio che era sempre mancato nelle precedenti azioni; - il frequente ricorso alla ricognizione ed ai bombardamenti aerei spinti in profondità, con masse notevoli, le quali, anche per ubicazione dei campi e perizia del personale, ebbero quasi sempre prevalenza nel cielo delle azioni.

Nell'attuazione della nuova dottrina i comandi sovietici si dimostrarono capaci di iniziativa, duttili e pronti nello sfruttare le situazioni favorevoli. L'entità delle forze russe in azione, la rapidità della radunata e i nuovi concetti operativi costituirono senza dubbio una sorpresa per il comando germanico che, fra l'altro, era convinto che i russi non avrebbero potuto attuare azioni invernali in grande stile dopo le perdite subite nell'estate.

domenica 3 gennaio 2021

Krinovaja, un campo

Ho visitato il campo di Krinovaja nel settembre 2019; era una giornata di sole; vedevo intorno a me anche persone spensierate; anche noi forse lo potevamo sembrare. Ho visitato insieme alle altre persone che erano con me tutta la struttura e i box dei cavalli, e nella mia testa erano presenti sempre le parole del Colonnello Antonio Andrioli... lui per Krinovaja ci è passato, ci ha vissuto se così si può dire per mesi. Ricordo e ricorderò sempre i suoi racconti. Essere lì dove lui era stato e dove a migliaia sono morti, mi dava proprio un senso di "essere fuori posto", verso di loro, per rispetto a loro... io qui quasi come un turista, loro qui come esseri pronti a morire ad ogni ora. Ho visto i box dei cavalli e mi sono immaginato loro dentro, lui il Colonnello, lì dentro. Oggi ci sono i cavalli, le piste, c'è tutto per farlo sembrare un posto qualunque. Invece non lo è. Fuori, nel cimitero civile del paese c'è solo una lapide che li ricorda... ecco è rimasto solo questo.

Krinovaja... Don Guido Maurilio Turla, cappellano della Divisione Cuneense...

Il 17 febbraio 1943 giungiamo al campo di smistamento di Krinovaja; siamo partiti da Valujki il 31 gennaio. Krinovaja ha malfamata notorietà per i crimini commessi ai danni di migliaia di prigionieri italiani, romeni, ungheresi, qui rinchiusi e fatti morire di fame. Il campo ha ospitato nel volgere di quattro mesi (da gennaio ad aprile) settantamila prigionieri. Lo smistamento avviene su un vasto piano, fiancheggiato da fabbricati, una volta caserme, ora diroccati. Delle antiche scuderie restano solo capannoni e box fetidi e schifosi. Prima di entrare, facciamo il computo degli uomini sopravvissuti. Della colonna Catanoso, tremila uomini, all'arrivo a Krinovaja ne rimangono cinquecento: tra questi sono inclusi altri italiani, rastrellati lungo il cammino.

MI HA DATO LA VITA.

La sosta fuori del campo si protrae per due ore; siamo esposti al gelo della notte. Poi si entra. Io sono assegnato in un corridoio senza luce. Appoggio la schiena piagata alla parete incrostata di ghiaccio; dalle finestre senza vetri raffiche di vento mordono la carne. Non un minuto di sonno nelle poche ore che mancano all'alba. La fame e il freddo obbligano a vegliare; addormentarsi è morire. All'alba incomincia a nevicare; nell'interno, dappertutto, entra neve; il tetto per buchi e fessure appare una scacchiera. Alba grigia. Mi accorgo di aver passato la notte in mezzo ai morti; tre commilitoni sono immobili ai loro posti; li ha ghermiti la morte bianca. Hanno faccia e capelli coperti di neve. Anche per me sento vicina la morte per inedia. Dal fondo del corridoio avanza inaspettatamente una figura a me non sconosciuta; è padre Fiora di Borno, bresciano, un mio confratello. Da mesi non c'incontriamo. Tutti i prigionieri qui conoscono il cappellano della 308a sezione sanità della Julia. Il francescano instancabile si aggira alla ricerca di chi soffre; passa da un capannone all'altro a confortare, a rincuorare. Quando egli dispone di un tozzo di pane, lo distribuisce ad altri con evangelico altruismo. Appena mi vede, accorre e comprende che le forze non mi reggono più; soffro assai per congelamento al naso, a un braccio e a una gamba; ma adesso la più pericolosa è la fame. Padre Fiora mi abbraccia e non esita a offrirmi l'unico pezzo di pane scurissimo, che per lui era vita in quell'inferno di affamati. Mi somministra quel cibo a lenti bocconi, come si fa con un animale affamato. Padre Norberto Fiora mi ha salvato la vita.

IL CAMPO DELLA MORTE.

Nei box degli ufficiali della Cuneense, ritrovo cari amici: i tenenti Manlio Francescone, Domenico Dal Toso, Carlo Ghiglione, Mariolino Radaelli, Bonicelli, Mario Buffa, Franco Massobrio, Supplizi, Torsegno. Sono nominato "nacalnik" con la responsabilità di "difendere i diritti dei prigionieri e tenere alto il morale". Siamo ventisette persone costrette nello spazio di solito riservato a un cavallo. La sporcizia e i pidocchi infestano la paglia marcia. I soldati hanno sistemazione peggiore in piccole baracche. Non siamo più uomini; solo numeri di una semplice operazione: ogni prigioniero che muore è uno di meno da sfamare. Talvolta, per disporre di maggiore assegnazione di vitto, teniamo nascosti nel box i cadaveri dei nostri compagni. A Krinovaja non si vive da uomini: si muore da bestie.

TESTIMONIANZE.

Dinanzi a me, un soldato incalzato dai compagni va a finire in un bidone di brodaglia bollente. Lo tirano fuori urlante: poche ore dopo muore per le ustioni riportate in tutta la persona. Sulla realtà di questa nostra vita infernale ecco la testimonianza di un mio compagno di prigionia, il dottore Nicolò Giannetto di Messina, tenente medico della sezione sanità dell'8° reggimento della Julia: "Noi ufficiali ricevevamo cento grammi al giorno di quell'orribile pane, e non tutti i giorni, oltre a un gavettino di brodaglia senza grassi, mentre i soldati ricevettero in quel mese tre volte cinquanta grammi di pane e qualche volta la brodaglia. Non venivano distribuiti medicinali e si barattavano una aspirina, una compressa di sulfamidico, un tozzo di pane, con anelli d'oro, anelli con pietre preziose. Morivano circa cinquecento prigionieri al giorno, i quali venivano caricati uno sull'altro, nudi, senza un segno di riconoscimento, sulle slitte e trasportati nei prati adiacenti, dove venivano sepolti in grandi fosse comuni. È importante notare che a tutto il 5 marzo 1943 non si era verificata alcuna epidemia; si moriva di fame, di cancrena da congelamenti e da ferite, di dissenteria, di atrofia intestinale, di assideramento o per mano dei custodi russi che uccidevano con spranghe di ferro e con armi da fuoco. Lo stato di bestialità in cui ci avevano ridotto fame e sofferenze, ha fatto, di valorosi soldati, cannibali dei loro stessi commilitoni".

IL CANNIBALISMO.

Il titolo è impressionante; purtroppo si addice ai fatti. Contiamo le ore che ci rimangono di vita. I nostri ufficiali medici dicono che possiamo vivere, con lo scarso cibo che ci passano, i più deboli dieci-quindici giorni; i più forti un mese. Deleghiamo il colonnello Scrimin a chiedere ai russi di essere fucilati; l'autorità del campo risponde che non è autorizzata. Nei corridoi e nei luoghi di passaggio i cadaveri rimangono intere giornate, perché mancano becchini; nessuno di noi è in grado di trasportarli. I più robusti si assumono il compito di portare i morti all'aperto e accatastarli sul piazzale interno del campo, trascinandoli con una cinghia. La fame fa perdere ogni controllo alla ragione, tramutando gli uomini in iene. Il cannibalismo, la caccia all'uomo, è il rimedio orrendo degli impazziti per fuggire la morte. I primi casi di antropofagia avvengono tra soldati ebrei ungheresi, presto imitati da italiani e romeni. Questi, dopo aver bollito le proprie scarpe per farne brodo e ingoiato scatole di olio anticongelante, si scagliano sui moribondi, ne bevono il sangue ancora caldo; squartano cadaveri, asportando cervello, cuore, fegato; tagliano parti di muscoli per farne brodo. lo sono impotente testimone di questi atti selvaggi. La mia parola di sacerdote riesce qualche volta a far presa sulle menti sconvolte, ma per breve durata.

"VOGLIONO MANGIARE MIO CUGINO".

Una sera degli ultimi di febbraio, un alpino della Valcamonica viene a scongiurarmi di seguirlo nell'alloggiamento soldati. "Venga subito, padre; vogliono mangiare mio cugino. Compagni, pazzi e inferociti dalla fame, attentano alla sua vita". Lungo il percorso si notano evidenti tracce di antropofagia: scheletri decapitati, braccia e gambe spolpate, ventri squartati, brandelli di membra abbandonati tra detriti di ogni genere. L'alpino mi racconta di scene ributtanti che avvengono nottetempo. Suo cugino, uscito dal campo a lavorare, è stato colpito a fucilate da una guardia russa, nell'atto di lasciare la fila per raccogliere patate gelate ai margini della strada. Ne ha riportato una gamba stroncata ed è in pericolo di vita. Al mio arrivo nell'alloggiamento, quattro forsennati tentavano di forzare la porta di una stalla con un legno appuntito, usato come leva. Il sangue, di cui il ferito ha segnato il percorso, li ha richiamati alla porta, dietro la quale altri invasati difendono come un tesoro la sorgente di quel sangue. La mia presenza convince i disgraziati a desistere dalla mostruosità; riesco a far loro comprendere che quello che stanno facendo è un delitto orribile, che macchia la loro coscienza di cristiani e di italiani. Tornano a poco a poco, vergognosi, in se stessi. Ora non pensano più a bere il sangue del moribondo: pregano con disperata invocazione.

L'ALPINO IMPAZZITO.

Un alpino aveva con sé un fratello; stavano sempre insieme, si parlavano continuamente, come se tante cose da dirsi. Ciascuno aveva giurato all'altro di difendere il corpo contro gli assalti dei bevitori di sangue e dei mangiatori di visceri. Il servizio di sorveglianza, istituito per evitare tali eccessi, non arrivava dappertutto: ogni mattina si trovava qualche cadavere mutilato. Uno dei due fratelli si ammala; i compagni cominciano ad avvicinarsi al degente; ne fiutano la fine. Egli muore infatti dopo una decina di ore. È già notte, nessuno sarebbe venuto a vedere quello che succedeva là dentro. Il fratello superstite rimane desto, con le spalle al muro, tenendo nell'arco delle gambe divaricate e con i piedi ben puntati contro il suolo, il corpo rattrappito del morto. Lottando contro il sonno tiene d'occhio i compagni, che intorno a lui fanno finta di dormire. In realtà alcuni fra essi aspettano il momento buono per impadronirsi del cadavere e cuocerne i visceri sul coperchio della gavetta. Verso l'alba vanno in due a parlamentare col fratello. Gli dicono che non è il caso che egli continui in quello sforzo; che bisogna togliere il morto di mezzo; si sarebbero incaricati loro due della sepoltura. Gli parlano dolcemente, con inconsueta bontà. L'alpino, stanco di quella notte, di quel dolore, di quella mostruosa paura, cede alle insistenze, consegna il cadavere di suo fratello e ridendo si lascia cadere a terra: è impazzito.







Schema di tiro dei mortai del Natale 1941

Ricevo e pubblico dalla gentilissima Signora Carla Marinelli una copia originale dell'epoca e fatta a mano dello schema dei tiri di sbarramento e d'interdizione della III Compagnia mortai da 81 durante la battaglia di Natale del 1941.

Ordine del giorno di Messe

Ricevo e pubblico dal gentilissimo Signor Fabio Testori una copia originale del famoso "ordine del giorno" del Maresciallo Messe datato 9 maggio 1942.





sabato 2 gennaio 2021

Italia in guerra, tragedia sul Don

Il documentario della meravigliosa serie "Italia in guerra" del 1983, realizzata da Massimo Sani, dedicato alla Campagna di Russia.