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Il luogo mi è noto anche se non c'è la neve. Sono certo di essere tra Postojali e Seljachino. Ma perché queste macchie d'alberi lontani, questa terra, queste lunghe erbe secche e questo cielo si impastano e sfumano in un'unica linea orizzontale? Si sciolgono come se una calda luce liquida li dissolvesse. Da laggiù siamo arrivati dopo aver lasciato il Don e per questo lungo dosso abbiamo camminato tra il 20 e il 22 gennaio. Vorrei camminare come allora lungo una traccia che so, e dormire nelle isbe; e vorrei che fossero qui anche loro: gli amici che sono rimasti vivi e che mai, forse, qui potranno ritornare. Ma gli altri come potranno capire questo? [...]
Cammino un poco da solo, e ai margini di uno stagno inselvatichito osservo i resti di quattro isbe. Vedo tra le erbacce le stufe di mattoni, i camini crollati, qualche trave carbonizzata. Per chi si sarà svolta qui l'ultima parte del dramma? Da quale paese delle nostre montagne sono venuti a morire qui? Tutt'intorno non si vede un essere vivente. [...] Passiamo per Olichovatka; scendiamo lungo il Kalitva e alle due pomeridiane arriviamo a Rossoch. [...] Proprio li, tra la chiesa di San Nicola e la stazione (che ancora porta i segni di allora) è stato visto per l'ultima volta il Mario Pesavento, mio compagno alle elementari. Suo padre lo vedevo tutti i giorni passare davanti a casa mia quando tornava dalla cava; ora ha tanti anni, ma l'ultimo suo lavoro di scalpellino è stato un monumento per i dispersi in Russia.
Anche qui a Rossoch c'è un monumento dentro un giardino di betulle e di aceri; è per i loro caduti e a fatica traduco: «Alla gloria eterna di coloro che sono morti per la liberazione e l'indipendenza del loro paese». Un poco fuori del centro, lungo la strada che scende a Novo Kalitva, hanno trovato un ristorante. Prima di sedermi al tavolo mi avvicino al banco per comperare qualcosa per il viaggio perché prevedo una cena molto lontana: - Sono un italiano, - dico alla donna che mi serve. E vedo il suo viso trasfigurarsi: impallidire, arrossire, gli occhi illuminarsi e inumidirsi; sorridere, infine.
Non riusciamo a parlarci. Questa donna che per l'emozione non è capace di avvolgere il pacchetto avrà avuto vent'anni. Mi dice: - Dasvidània! - E poi, in italiano: - Arrivederci -. E nient'altro. [...]
Ora ho fretta di arrivare sul Don, anche se Larissa dopo essersi allontanata dal gruppo per telefonare, mi dice che il Soviet di Rossoch gradirebbe una visita. - No, - dico, - se è possibile; si farebbe troppo tardi. E poi bisogna ritornare a Charkov viaggiando tutta la notte. Andiamo subito a Podgornje. Vorrei anche andare verso Staraja e Novo Kalitva, a Quota Pisello, dove hanno combattuto quelli della Julia e della Cuneense. Ma lassù c'è il mio caposaldo: - Andiamo, - dico, accennando al Nord.
Ecco Podgornje con la fabbrica di calce e i carrelli che passano sopra la strada; [...] Sulla strada che va a Dacia c'è ancora il mulino a vento dove un giorno incontrai il Silvio dalle Ave che faceva il guardafili; ero passato con gli sci prima di andare in linea, per trovare Rino al comando del battaglione genio. Questo mulino indicava la strada ai nostri conducenti e ai portaordini, ed è come rivedere un campanile di paese. Stiamo attraversando un villaggio e Boris ferma la macchina vicino a un pozzo perché ha sete. [...]
Gli scavi erano grandi e profondi, per stare al caldo e al sicuro; uno ogni due plotoni. Noi mitraglieri del tenente Sarpi eravamo con i fucilieri di Cenci. Quanto abbiamo cantato là sotto quando veniva la sera! Ci sono ancora i segni degli scavi ed è come mi ritrovassi davanti tutti i compagni di allora e le voci: Artico, Tardivel, Moreschi, Bodei, Monchieri, Linardi, Corazza, Barp. Tutti. [...]
Bielogoroje; il paese che declina verso il fiume, a destra e a sinistra le due montagne biancheggianti, il boschetto e la piana con il fosso anticarro, le erbe, la riva e l'acqua che va lenta. Lo riconoscete, amici del Tirano, questo posto? Quante volte siete venuti di pattuglia dove ora cammino e non sparano? Quaggiù sulla riva c'erano i posti avanzati dove venivate di notte; sui dossi ci sono ancora i segni delle trincee delle postazioni e guardando verso il sole che tramonta indico con la mano i caposaldi. [...]
Scendo alla riva, con l'acqua mi bagno la fronte e raccolgo una manciata di terra. Un cartello dice che è vietato fare il bagno: forse perché sul letto ci sono ancora bombe a mano o mine? Un ponte di barche unisce le due rive; al di là la strada prosegue dentro il bosco e camminando su questo ponte dondolante ho l'impressione della vastità delle Russie. Quante migliaia di chilometri ancora? Foreste, città, pianure, fiumi, deserti, laghi, villaggi, steppe, montagne fino dove finisce il mondo.
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